QUADRATURISTI
. Si chiamò quadratura la pittura murale a prospettive, e quadraturisti furono detti i pittori che vi si specializzarono nei secoli XVII e XVIII. Già usata dall'arte classica (v. prospettiva), e ripresa nel Rinascimento dal Mantegna, dal Peruzzi e da altri, fu sempre più praticata nel sec. XVII, da Tommaso Laureti, da Giovanni e Cherubino Alberti in Roma, da Bruno in Venezia e da Tommaso Sandrini (1578-1630 o 31), che dipinse la prospettiva della vòlta nella chiesa dei Santi Faustino e Giovita in Brescia. Sviluppò la sua pratica pittorica, che richiede studio, fantasia e ardimento, Girolamo Curti (v.) detto il Dentone (1575-1652). Accortosi di non avere attitudine alla figura, si dedicò alla quadratura dopo avere assimilato i classici dell'architettura, segnatamente il Serlio e il Vignola. Un soggiorno a Roma ebbe molta efficacia sul gusto del giovane, che dalla rovina dell'antico derivò la varietà delle colonne, delle trabeazioni, delle balaustrate e degli archi. Egli seppe scorciare con illusione perfetta, dissipando i dubbî che il suo magistrale chiaroscuro fosse aiutato dal rilievo degli stucchi. Nel rendere le volute e gli aggetti delle fabbriche apparenti, il Dentone evita la vistosa mescolanza dei materiali e s'attiene alla logica del costruire, quantunque sembri che in alcune parti il pennello tradisca, con eccessiva inventiva, il rigore delle leggi statiche. L'instauratore della grande decorazione fu anche un tecnico consumato, che si servì sobriamente dell'oro ed innovò i procedimenti degli scenografi. A Bologna, nel Palazzo Comunale, si conserva come saggio d'audacia prospettica una vòlta degli uffici di contabilità; assai meno notevole è la prospettiva del secondo chiostro nel convento dei Servi (1630), ma qualche disegno della Pinacoteca dà meglio l'idea del maestro che costruì nel vuoto con semplici e felici fughe di linee e di piani digradati dal chiaroscuro. Parecchi contemporanei collaborarono come figuristi con il Dentone e, fra i più noti, si citano il Brizio, Francesco ed Antonio Carracci, il Valesio, il Massari, il Guercino e lo Spada; si crede che anche Guido Reni abbia preparato qualche cartone per il maestro, che si valse particolarmcnte dell'assistenza di Angelo Michele Colonna (X, p. 853), artista esperto di tutti i segreti della decorazione e mirabile nell'adattare le risorse dell'ingegno raffinato allo stile dei compagni di lavoro. Mago della scenografia celeste, il padre Andrea Pozzo (VI, tav. XLIII; XIX, tav. CXCIV), trentino (1642-1709), aumenta l'inganno dello spazio con gli abissi aerei dei suoi soffitti, che superano nell'evidenza fondata sugli scorci d'imponenti edifizî l'illusione barocca, ottenuta di solito con la sola alternativa delle nubi e dei gruppi di figure volanti dal genovese G. B. Gaulli (1642-1709) detto il Baciccio (V, tav. CLXVIII). L'ovato di mezzo nel soffitto dei saloni, delle cappelle e poi delle scale s'arricchisce di cartocci, di volute e di rilievi; diviene d'un'abbondanza inaudita e sopraccarica con i falsi marmi e le lumeggiature d'oro, ma la singolarità dei trovati fa perdonare il soverchio sfoggio degli elementi principali e degli accessorî. I medesimi ornatisti, specie i bolognesi, si giovano delle fughe prospettiche dei portici e dei contrasti architettonici della loro città per prolungare le vedute degl'interni e per immaginare un mondo fittizio sulle pareti dei cortili e dei giardini, dove l'arte gareggia con la natura. Ricchezza e convenienza di partiti ornamentali spiegano i due Mitelli (XXIII, p. 470), concittadini di Enrico Haffner (1640-1702), intelligente aiuto del Franceschini nel decorare la chiesa del Corpus Domini in Bologna, dove dipinse con Giuseppe Dal Sole nel palazzo Bianconcini e con Fabrizio degli Arrigucci in San Michele in Bosco. Indimenticabile collaboratore del Tiepolo, il quadraturista Girolamo Mengozzi Colonna nelle prospettive che adornano gli affeschi di Antonio e Cleopatra (Venezia, Palazzo Labia) palesò il calore e lo slancio d'una maniera personale, feconda di ritmi plastici e pittoreschi. Alla scuola del Colonna e del Mitelli appartengono Giovanni Gherardini e i due Rolli, che affrescano vòlte e pareti con insolita animazione di figure e con larga e franca immaginativa. Attraverso il Settecento, i Bibiena (VI, p. 928, tavv. CCXIX, CCXX), costruiscono teatri, dipingono scene e decorano chiese e palazzi; la loro arte si afferma nell'inverosimile ampiezza delle sale e delle gallerie adorne di colonne, d'archi, di statue e di stucchi, di trabeazioni sporgenti e di terrazze sbiancate dalla luce e sfavillanti di marmi e d'oro. In seguito i quadraturisti perdono il senso della solidità costruttiva; le linee e le masse fanno scoprire il virtuosismo effimero dell'effetto per l'effetto, e qualche volta pare che la superficie muraria sia di tela e non senta il peso, pur alleggerito, delle smisurate fabbriche fragili, vuote e troppo decorate. Ornatisti e figuristi lavorarono di pieno accordo nel periodo del rococò, e gli ultimi bolognesi, che tennero fede alla tradizione patria, furono Vittorio Bigari (1692-1776) e Stefano Orlandi (1681-1760).