Vedi PYLOS dell'anno: 1965 - 1996
PYLOS (Πύλος)
La sabbiosa P., come è spesso chiamata nei poemi omerici, secondo la tradizione greca, venne dapprima in possesso di Neleo o fu da lui costruita. Egli veniva dalla Tessaglia e fondò un regno per sé; più tardi P. divenne la sede e la capitale del figlio Nestore, il più illustre membro della famiglia, il quale prese parte, come uno dei capi, alla guerra contro Troia e visse fino a un'età venerabile. A Nestore succedettero un figlio e un nipote (e forse un pronipote): poi il palazzo fu preso dai Dori invasori e distrutto dal fuoco. I Neleidi fuggirono ad Atene e nella Ionia, il luogo fu abbandonato e presto fu interrato e non più visibile.
Nel V sec. nessuno conosceva esattamente dove fosse situata la P. di Nestore. I Messeni riferivano il nome P. all'alta scogliera che gli Spartani chiamavano Koryphasion, sul promontorio dello stretto a N dell'isola di Sphakteria. Tutti gli scrittori greci classici che parlano di Nestore lo considerano messenio e nel Catalogo delle Navi il suo regno è chiaramente posto in Messenia.
Strabone, che scrive nel I sec. a. C., parla di una controversia che era sorta riguardo la posizione della P. di Nestore. Qualcuno sosteneva che fosse situata sulla riva del mare sotto il Koryphasion; ma gli Homerikòteroi - prendendo sul serio i dettagli topografici e la tabella oraria delle marce diurne e notturne come sono riferiti nell'Iliade da Nestore, quando ricorda le sue eroiche imprese giovanili, razzie di bestiame e combattimenti - congetturarono che P. doveva essere stata in Trifilia vicino al fiume Alfeo. Questa ipotesi è stata ripresa recentemente da alcuni studiosi di Omero, che ancora nutrono la stessa ingenua fede nella precisione del poeta riguardo i dettagli geografici, metrologici e cronologici. La scoperta del Dörpfeld nel 1907 di tre tombe a thòlos e di un'acropoli, con i muri fatiscenti di un edificio, a Kakovatos, circa 56 km a N del Koryphasion, procurò molti sostenitori alla teoria che P. si trovi in Trifilia. Ma saggi di scavo rivelarono nel 1939 a Epanò Englianos, nella Messenia occidentale (circa 8 km a N del Koryphasion e a circa 5 km dal Mar lonio verso l'interno), i resti di un palazzo contemporaneo e paragonabile a quelli di Micene e Tirinto. Il pendolo ha così oscillato ancora una volta verso il S. Il palazzo di Englianos si adatta bene al resoconto dato nell'Odissea della visita di Telemaco al re Nestore e corrisponde anche alla "vecchia messenica P." che Strabone situava sotto il Monte Aigaleon. Quando questa città fu distrutta, egli dice, parte degli abitanti si trasferì al Koryphasion.
Epanò Englianos è una collina dalla sommità appiattita lunga circa 170 m da N-E a S-O, con una larghezza massima di 90 m. La parte sud-occidentale era occupata dal palazzo, un complesso consistente in quattro edifici maggiori e parecchi più piccoli. Al tempo del palazzo non vi era apparentemente muro di fortificazione, ma il margine ripido della collina che si solleva su tutti i lati da 4 a 7 m circa, può essere stato ritenuto un'opera difensiva adeguata.
Lo scavo del palazzo, che a partire dal 1952 continuò per undici campagne annuali, è stato virtualmente completato. Molti muri stanno ancora in piedi per un'altezza da o,6o a 1 m e più, e il piano del complesso è per la maggior parte chiaro. L'edificio centrale, all'incirca lungo 50 m e ampio 32 m si affacciava a S-E su una corte esterna. Un pròpylon con una sola colonna di legno scanalata su ciascuna facciata conduceva dalla corte esterna a una interna. A sinistra, accanto al passaggio sono due piccole camere, evidentemente il quartiere generale dell'amministrazione economica, perché qui furono trovate più di 1000 tavolette di argilla e frammenti, con iscrizioni nella scrittura lineare, che erano state indurite dal fuoco che distrusse il palazzo (v. vol. v, p. 88 ss.). Attraversando la corte interna si passava a sinistra in una sala d'aspetto con un sedile, dove gli ospiti potevano sedere in attesa del loro turno di essere introdotti alla presenza del re. Poi venivano condotti attraverso un portico, formato da due colonne tra ante, e un vestibolo nella grande sala o Stanza del Trono (12,90 m × 11,20).
Il trono, non conservato, era probabilmente fatto di legno con intarsi di avorio e kỳanos; stava a destra contro il muro. Al centro della sala era un focolare rotondo, di 4 m di diametro, alto circa 0,20 m dal suolo. Quattro colonne disposte quasi simmetricamente, sostenevano una loggia che correva attorno ai quattro lati della stanza, e probabilmente anche una parete con aperture (finestre) che lasciavano entrare aria e luce. Il focolare, il pavimento stuccato, le parti in legno e i muri intonacati erano vivacemente decorati con disegni dipinti; dietro il trono erano affrescati due grifoni in una composizione araldica, ciascuno accompagnato da un leone. Un grande polipo era dipinto sul pavimento proprio di fronte al trono.
Attorno a ciascun lato della sala del trono era un lungo corridoio sul quale si aprivano le porte di depositi, dispense, altri quartieri e magazzini di olio, che si estendevano anche da un lato all'altro dietro la stanza del trono. Cinque dispense contenevano più di 6ooo vasi di molte forme differenti; questi vasi stavano in ordine su scaffali di legno il giorno che il palazzo fu bruciato. Vi era anche su ciascun lato una scalinata per il piano superiore, dove dovevano essere le stanze di servizio e le camere da letto.
Nell'angolo orientale dell'edificio, è possibile che una grande sala per ricevimenti, con focolare centrale e muri affrescati, insieme con parecchie camere più piccole, fossero l'appartamento di rappresentanza della regina. Accanto vi è una stanza per il bagno, fornita da una làrnax, o vasca, di terracotta e due grandi giare per l'acqua, poste su un alto sostegno contro il muro. Due stanze più piccole può darsi che servissero come boudoir e gabinetto. Tutti gli ambienti erano apparentemente decorati con affreschi e motivi sul pavimento.
L'edificio sud-occidentale fu probabilmente il primo elemento del palazzo ad essere costruito, risalendo al principio del XIII sec. a. C. Ha sofferto più danni del resto del complesso, essendo stato usato a lungo come una cava da cercatori di materiali per costruzione. Si affaccia su un'ampia corte a S-E l'imponente salone d'ingresso, con una facciata a due colonne e una singola colonna interna posta assialmente. Aveva un pavimento stuccato e muri affrescati con un fregio di grifoni. Voltando ad angolo acuto a S-O si entrava nella sala principale, senza dubbio la Sala del Trono, che aveva quattro o forse sei colonne interne che sostenevano una loggia e il tetto. L'erosione ha portato via quasi tutto il pavimento; non vi sono tracce del focolare e rimangono solo frammenti degli affreschi. Dietro questi appartamenti di rappresentanza erano magazzini, depositi, una dispensa, un bagno e una scalinata di accesso al piano superiore. Quest'ala più antica continuò ad essere occupata dopo la costruzione della parte centrale.
L'edificio nord-orientale, composto di sei stanze e un corridoio, tutti con pavimento in terra battuta, senza tracce di affreschi, era l'officina del palazzo, dove, come è indicato da iscrizioni su tavolette, gli artigiani riparavano oggetti di metallo e di cuoio. Sono state recuperate molte impronte di sigilli che testimoniano il carattere ufficiale del lavoro. Nell'angolo meridionale è una corte con un altare innalzato su un'area pavimentata di stucco, di fronte a un piccolo santuario.
Il blocco settentrionale, lungo il margine della collina, era un magazzino di vino, contenente i resti di 35 o più grandi giare disposte su varie file. Più di 6o sigilli d'argilla qui ritrovati probabilmente certificavano i tipi e le annate del vino che entrava.
L'intero palazzo, come pure la città bassa, esterna all'acropoli, furono distrutti da un tremendo incendio nel tempo in cui la ceramica dello stile chiamato Miceneo III B volgeva al termine verso la fine del XIII secolo. Tutti gli altri palazzi micenei sul continente greco (eccetto forse in Attica) incontrarono un simile destino più o meno nello stesso periodo, evidentemente a causa dell'invasione dorica.
Il palazzo di Englianos con la sua forte posizione domina la Messenia occidentale; era sicuramente la capitale amministrativa dell'intera regione, come è mostrato dalle abbondanti registrazioni sulle tavolette delle stanze degli archivî, che riguardano molte città in un'area molto estesa. Questo è il solo palazzo finora trovato nel Peloponneso occidentale contemporaneo alla guerra troiana e di una mole commisurata all'armamento di 90 navi complete di ciurme per la spedizione di Troia. Nella tradizione greca la sola famiglia regnante di quel periodo, stabilita in questa parte della Grecia e che possedeva ricchezza e potere politico sufficiente per mantenere un tale palazzo, era quella di Nestore Neleide.
(C. Blegen)
Dintorni e necropoli. - In questi ultimi anni gli scavi della Società Archeologica Greca, condotti da Spiridione Marinatos, hanno avuto come obiettivo la ricerca della topografia omerica e preomerica della zona. Le ricognizioni, seguite talvolta dagli scavi, si sono svolte partendo dalle immediate vicinanze del palazzo, tutt'intorno, per un raggio di 15 km circa. I risultati, raggiunti sino ad ora dal Marinatos, hanno rivelato come la parte occidentale del Peloponneso, in epoca protomicenea, rappresentasse un forte dominio, in tutto paragonabile a quello di Micene, con un'attività marittima intensa e volto ad una espansione coloniale. I rapporti con Creta sarebbero qui molto più stretti che non nelle altre parti del Peloponneso. Solo alla fine del periodo miceneo avvenne la costruzione del palazzo, quello che viene via via riportando alla luce lo scavo condotto dalla Scuola americana.
Un altro centro della regione, dopo quello di Englianos, è documentato dai trovamenti in località Koukounara, dove sono da identificarsi, secondo il Marinatos, due delle 9 città sottomesse alla capitale, menzionate nelle iscrizioni delle tavolette di P.: PAKILIA (= εϕαγία) e ΚΑΡΑΔΟΡΟ (χάραδρος). Un mègaron absidato lungo il 11, formato da un pròdomos e un vano principale, databile in periodo protomiceneo, è stato rinvenuto su un'altura, e intorno è attestato tutto un abitato, che inizia nell'Antico Miceneo e dura sino al Tardo Miceneo (Tardo Elladico). Un altro stanziamento è accertato sull'acropoli di Katarrachachi, a E di Koukounara. In località Mouriatada (oggi ᾿Αμϕιγένεια) posta sulla sommità della collina, è stato rinvenuto un edificio che aveva certo rappresentato il palazzo del signore locale: si tratta di un'ampia sala (un mègaron, senza però colonne né focolare), preceduto da un pròdomos; ai piedi della collina si conservano tratti di muro in apparato ciclopico, che richiamano, secondo il Marinatos, il metodo di costruzione del palazzo di Gla. Circa 100 m a S-E è apparso un altro edificio a forma di mègaron, con 4 colonne nell'ambiente maggiore (si conservano solo tre basi; è scomparso anche il focolare), pròdomos e opisthòdomos. La destinazione dell'edificio, costruito in grosse pietre (si conserva solo l'assise inferiore) è ignota. Un altro grande centro della civiltà micenea nella parte occidentale del Peloponneso è da riconoscersi a Peristerià, presso l'entrata della vallata di Messene, dove tra i numerosi resti, è stata riportata in luce un'abitazione del Medio Elladico, in uso sino al Tardo Elladico, contenente ceramica del tipo Mattmalerei e Tardo Elladico I. Abitazioni sono state rinvenute anche a Voroulià e a Palaiochorafa, dove la presenza di alcune vasche in terracotta testimonia, secondo il Marinatos, degli stretti legami intercorsi tra il Peloponneso occidentale e l'isola di Creta. Numerosissime sono le sepolture rinvenute nella zona intorno al palazzo di P.: poche sono le deposizioni in fosse o in vasi; molto più numerose le tombe a thòlos, contenenti sino a 6-7 scheletri, raggruppate a formare tumuli, facilmente riconoscibili, anche se non tutti ancora scavati. Quasi tutte le tombe apparvero agli scavatori già violate e saccheggiate, a partire dalla fine del periodo miceneo. Talvolta il dròmos, che conduce all'ambiente circolare, è preceduto da uno o due piccoli cortili, con focolare e resti ceramici di tipo domestico, usati evidentemente per la preparazione di pasti, connessi con riti funebri. La vòlta costruita in pietre è nella maggior parte dei casi caduta entro l'area della tomba stessa. Tra le thòloi più grandiose sono quelle di Peristerià e di Routsi; altre sono a Tragana, a Voidokilia (ant. Βουϕράς), a Koukounara, a Gouvalari, Akona, Methoni, Palaipulou (Volimidia). Il numero di queste tombe indica che ciascuno dei principi locali costruiva una thòlos come tomba di famiglia. Notevoli sono i rinvenimenti che provengono dalle tombe, sfuggiti alle precedenti spoliazioni: vasi, per lo più nello "stile di palazzo", una tavola d'offerta in terracotta dipinta, due pugnali con incrostazioni d'argento e figure di natili e polipi (v. minoicomicenea, arte, p. 88, fig. 116), sigilli, collane, ambre ecc.
Al di fuori del periodo miceneo, nella zona, si hanno dell'inizio dell'Età del Bronzo, sepolture in pìthoi in località Koukirikou; del periodo classico ed ellenistico, resti di muri di fortificazione in tecnica isodomica e resti di abitazione in località Koryphasion. Nella vicina Navarino è in corso di allestimento un museo che conterrà tutti i reperti archeologici della zona.
(L. Guerrini)
Bibl.: Per gli scavi a Epanò Englianos: K. Kourouniotis-C. Blegen, in Am. Journ. Arch., XLIII, 1939, p. 557 ss.; C. Blegen, ibid., LVII, 1953, p. 59 ss.; LVIII, 1954, p. 27 ss.; LIX, 1955, p. 31 ss.; LX, 1956, p. 95 ss.; LXI, 1957, p. 129 ss.; LXII, 1958, p. 175 ss.; LXIII, 1959, p. 121 ss.; LXIV, 1960, p. 153 ss.; LXV, 1961, p. 153 ss.; LXVI, 1962, p. 146 ss.; LXVII, 1963, p. 155 ss. Per gli scavi a Kakovatos: W. Dörpfeld, in Ath. Mitt., XXXII, 1907, p. VI ss.; XXXIII, 1908, p. 295 ss. In favore della teoria del Döpfeld riguardo a P. di Trifilia: E. Meyer, in Pauly-Wissowa, XXIII, 2, 1959, cc. 2113-2161; 2517-2520. In favore della localizzazione di P. (Engliagnos) in Messenia: R. Hampe, in Herbig, Vermächtniss der antiken Kunst, 1950, p. 11 ss.; id., in Gymnasium, LXIII, 1956, p. 21-25; M. Ventris-J. Chadwick, Documents in Mycenaean Greek, Cambridge 1956, p. 141, passim; id., The Decipherment of Linear B, Cambridge 1956, passim; L. Palmer, Mycenaeans and Minoans, Londra 1961, p. 75 ss. Dintorni e necropoli: C. W. Blegen, in Τὸ ῎Εργον, 1956 (1957), p. 90 ss.; 1957 (1958), p. 70 ss.; 1960 (1961), p. 145 ss.; 1961 (1962), p. 164 ss.; Bull. Corr. Hell., LXXXI, 1957, p. 558 ss.; LXXXII, 1958, p. 722 s.; LXXXIII, 1959, p. 642 ss.; LXXXIV, 1960, p. 703 ss.; LXXXV, 1961, p. 703 ss.; LXXXVI, 1962, p. 726 ss.
(C. Blegen - L. Guerrini)