puro
In senso proprio è attributo di tutto ciò che, non essendo mescolato con sostanze estranee, presenta intatte le proprie caratteristiche: la testa del veglio di Creta è di fin oro formata, / e puro argento son le braccia e 'l petto (If XIV 107). In senso estensivo indica mancanza di commistione di elementi estranei: Pd XVI 51 Ma la cittadinanza [di Firenze], ch'è or mista / di Campi, di Certaldo e di Fegghine, / pura vediesi ne l'ultimo artista: ai tempi di Cacciaguida, la popolazione della città era tutta fiorentina schietta, non ancor mescolata con famiglie venute dal contado; l'evento è descritto nella sua verità storica, ma, per il sentire aristocratico di D., quella mescolanza di genti diverse vale confusione, degradazione, decadenza.
Riferito a uno specchio d'acqua o al cielo, vale " limpido ": Come 'n peschiera ch'è tranquilla e pura / traggonsi i pesci a ciò che vien di fori... (Pd V 100); il fummo della cornice degl'iracondi ne tolse li occhi e l'aere puro (Pg XV 145). Altre volte l'idea della limpidità e della trasparenza dell'aria sottintende quella della mancanza di nubi: I 15 Dolce color d'orïental zaffiro / ... s'accoglieva nel sereno aspetto / del mezzo, puro infino al primo giro, " senza nebbia o nugolo o altra offuscazione o turbolenzia di vento " (Buti); Pd XV 13 per li seren tranquilli e puri / discorre ad ora ad or sùbito foco. Anche di un raggio di sole che filtra limpido attraverso lo squarcio di una nuvola: XXIII 79 Come a raggio di sol, che puro mei / per fratta nube.
Quando è usato con riferimento a un sostantivo astratto, p. assume il senso di " non offuscato ": Pd XXIX 73 ancor dirò, perché tu veggi pura / la verità che là giù si confonde: il chiarimento che Beatrice si prepara a dare paleserà a D. la verità nella sua pienezza e integrità, libera da ogni sia pur minima scoria di errore: la contrapposizione tra tu veggi pura e si confonde, resa più evidente dalla posizione in clausola finale e dall'enjambement, rivela un atteggiamento di pensiero simile a quello cui si è fatto cenno con riferimento a Pd XVI 51: anche sul piano intellettuale, oltre che su quello dei rapporti sociali, la mancanza di coerenza si risolve in confusione, disordine, errore.
Solo apparentemente è analogo a quello precedente l'esempio di Fiore CXXXV 3 quand'uon conta pura veritate, / molt'è folle colu' che no lla crede; qui infatti p. ha lo stesso valore di un avverbio di esclusione, e tutta la locuzione significa " nient'altro che la verità ". E così Cv IV XI 7 [le ricchezze] vegnono da pura fortuna [sono cioè dovute " soltanto " a un evento casuale] ... quando sanza intenzione o speranza vegnono per invenzione alcuna non pensata; Vn XIX 1 pure femmine contrapposte a ‛ donne gentili ', che della donna hanno " solo " il sesso e non la gentilezza. Altre volte l'idea della purezza, della mancanza di elementi estranei, si sviluppa in quella dell'autonomia; in questo caso p. sembra indicare la pienezza del significato del sostantivo cui è riferito o, meglio, insiste sull'uso letterale e non approssimato del sostantivo stesso. Così, nell'ambito delle operazioni o attività pratiche, D. distingue fra quelle che sono pure arti (Cv IV IX 11 e 14), cioè arti " vere e proprie ", perché si servono della natura per ottenere un fine da esse fissato, e altre dove l'arte è instrumento de la natura, e queste sono meno arti (§ 12), cioè arti " improprie ". Analogamente la leggiadria non è pura vertù (Rime LXXXIII 77), non è virtù " assoluta " perché conviene ai cavalieri ma non già ai chierici, e ciò che ha valore assoluto sta bene a tutti (vertù pura in ciascuno sta bene, v. 88).
In senso molto più rigoroso p. ricorre in passi dottrinari, in relazione alla dottrina della materia e della forma, e quindi della potenza e dell'atto. Se atto è la realtà realizzata, giunta alla piena attuazione di sé, atto p., in senso proprio, è solo la divinità, in quanto, nell'assoluta sua perfezione, non può essere null'altro più di quanto non sia, ed è con ciò " pura ", scevra di potenza. Di fatto, p., riferito a Dio, ricorre solo nella metafora della favilla pura (Pd XXVIII 38), allusiva alla luce di Dio apparso a D. nel Primo Mobile come un punto... che raggiava lume / acuto (vv. 16-17) al centro delle nove gerarchie angeliche. Esempio analogo si ha nella definizione dell'Empireo quale ciel ch'è pura luce: / luce intellettüal, piena d'amore (XXX 39), il che presuppone una sua identificazione con lo splendore della Mente divina (per i problemi collegati con la dottrina dell'Empireo, v. EMPIREO, e B. Nardi, La dottrina dell'Empireo, in Saggi di filosofia dantesca, Firenze 1967², 167-214, in partic. 207 ss.).
In Pd XXIX Beatrice spiega a D. come le creature siano state prodotte dal nulla immediatamente e simultaneamente, mediante un unico atto di Dio: Forma e materia, congiunte e purette, / usciro ad esser... / come d'arco tricordo tre saette (v. 22); simili a tre frecce scagliate insieme da un arco munito di tre corde, furono create le Intelligenze celesti, la materia prima, e i cieli, che sono composto indissolubile di materia e forma. L'aggettivo purette (il suffisso è probabilmente per necessità di rima) significa " assolutamente pure ", e si riferisce sia alle Intelligenze celesti che, per essere sostanze separate dalla materia, sono forma. p., sia alla materia incorruttibile, considerata come ‛ mera ' potenzialità. Questi concetti sono poi ulteriormente chiariti nei versi successivi, dove degli angeli è detto che in loro puro atto fu produtto (v. 33), mentre la materia informe è indicata come pura potenza (v. 34).
In Cv IV XXI, per spiegare come la nobiltà discenda in noi, è illustrato il processo evolutivo dell'embrione umano dal concepimento fino alla sua perfetta organizzazione: il seme umano, quando cade nella matrice, porta con sé la virtù dell'anima generativa, la virtù del cielo e la virtù degli elementi contemperati tra loro; ma la complessione del seme (cioè la virtù degli elementi legati) può essere più o meno buona, e così la disposizione del seminante, e la disposizione del cielo, che varia col variare delle costellazioni; accade così che de l'umano seme e di queste vertudi più pura [e men pura] anima si produce (§ 7). Il termine p. designa il grado di perfezione raggiunto dall'anima sensitiva in rapporto alla ‛ disposizione ' del seminante del cielo e della complessione del seme. L'anima sensitiva riceve l'intelletto, che sarà tanto più libero dalle ombre corporee e capace di ricevere l'illuminazione divina, quanto più essa sarà realizzata.
Usato in senso morale, è attribuito di chi è innocente, virtuoso, immune da contaminazioni peccaminose: Vn XIX 11 44 Dice di lei Amor: " Cosa mortale / come esser pò sì adorna e sì pura? "; If XXVIII 117 coscïenza m'assicura / ... che l'uom francheggia / sotto l'asbergo del sentirsi pura; Pg XXXIII 145 Io ritornai da la santissima onda [dell'Eunoè] / ... puro e disposto a salire a le stelle. E così del grembo verginale di Maria: l'albergo dove il celestiale rege intrare dovea convenia essere mondissimo e purissimo (Cv IV V 5). Altri esempi: III Amor che ne la mente 30 (ripreso in VI 11); Rime CVI 39. Anche riferito a cose: Adamo rimase nel Paradiso terrestre poco più di sei ore con vita pura e disonesta (Pd XXVI 140), cioè prima e dopo il peccato originale; i pagani non riusciranno a far sì che puro / già mai rimanga d'essi testimonio (Pg XIV 119), " che mai abbino più buona fama, che non sia meschiata coi mali " (Buti). In senso meno grave indica la mancanza di passioni capaci di turbare la serenità dei giudizi: le imprese dell'aquila imperiale devono essere valutate con occhio chiaro e con affetto puro (Pd VI 87).
Inserito nella trama del Fiore, vale semplicemente " leale " (III 7) o è attributo di sostantivi allusivi alla fedeltà cortese (II 10, XII 11, CXXVII 11); e così in Rime dubbie III 5 11, dove però allude alla fedeltà della donna innamorata.