punto interrogativo
Il punto interrogativo (detto anche, meno spesso, punto di domanda) è un segno di interpunzione (➔ punteggiatura), composto da un punto sormontato da un tipico ricciolo ‹?›, che contrassegna l’interrogazione diretta, la domanda intesa come «la forma grammaticale, o meglio il tipo sintattico, dell’atto linguistico relativo, non la forza illocutiva che manifesta l’intenzione con cui viene fatta» (Mortara Garavelli 2003: 94).
Tipica «marca dell’intonazione», cui è idealmente associato il caratteristico modello di tono discendente-ascendente (➔ intonazione), anche il punto interrogativo, come il ➔ punto esclamativo, andrebbe più propriamente definito un «indicatore di atto linguistico», benché non univoco, «dal momento che una domanda può valere come un invito, un consiglio, un comando, ecc.» o perfino un’esclamazione (per es., può indicarmi la strada?, vuoi stare zitto?, davvero non lo sapevi?), e quindi avere, anche dal punto di vista prosodico-intonazionale, diverse realizzazioni (ibid.: 93).
In greco antico non esisteva il segno di interrogazione, essendo «necessarie e sufficienti le forme specifiche che nelle frasi interrogative assumevano le congiunzioni, i pronomi e gli aggettivi. Le prime isolate testimonianze di punto interrogativo greco nella forma ‹ ; › risalgono ai secoli IX e X» (Geymonat 2008: 47).
Alla metà dell’VIII secolo, la pratica di copiatura dei testi liturgici, nei quali «la punteggiatura era importante anche per la corretta intonazione del canto» (ibid.: 61), diede impulso a un nuovo sistema di simboli (o positurae), che tra le altre cose si arricchì del punctus interrogativus, il cui uso, iniziato alla corte di Carlomagno allo scopo di indicare il termine di una sententia contenente una domanda, «si diffuse nei secoli successivi anche al di fuori dei testi religiosi» (ibid.; Parkes 1992: 35-37).
Nel Cinquecento, Coluccio Salutati e poi Jacopo Vittori da Spello individuano come peculiarità dell’interrogativo il «dimandare con desiderio di risposta» (cfr. Tognelli 1963: 149-151), cogliendo un aspetto fondamentale del valore del segno dell’interrogazione: il suo essere rivolto all’altro, a un interlocutore di cui, reale o fittizio che sia, la domanda non può fare a meno.
Fin da ➔ Lionardo Salviati (Degli avvertimenti della lingua sopra ’l Decamerone, vol. I, 1584), inoltre, è stata riconosciuta all’interrogativo la funzione di segnalare una pausa che dal punto di vista della forza sintattica equivale a quella indicata dal punto fermo, ma che differisce per la ➔ modalità (ad un tempo logico-sintattica e intonativa) che imprime all’enunciato (interrogativa anziché assertiva).
L’interrogativo «fu raffigurato dapprima con un punto a cui sovrasta una linea ondulata o spezzata» (Schiaffini 1935), per poi arrivare ad assumere la forma grafica per noi abituale, già nelle trattazioni dei grammatici della seconda metà del Cinquecento, da Lodovico Dolce (I quattro libri delle Osservationi, 1550) al citato Vittori da Spello (cfr. Maraschio 2008: 124-125). Tuttavia, lo scambio dell’interrogativo con l’esclamativo, di cui alcuni studiosi (come Ciro Trabalza nel 1908) trovano tracce già in ➔ Petrarca, è un fenomeno destinato a durare fino al Seicento.
Un’altra differenza rispetto all’uso moderno consiste nell’uso del punto interrogativo per segnalare anche le interrogative indirette, di cui si trovano esempi dal Decameron di ➔ Boccaccio (Maraschio 1993: 168) a scritture epistolari colte del primo Ottocento (cfr. Antonelli 2008: 197).
Si tratta di un segno che non presenta particolari difficoltà di uso. Come nel caso del punto esclamativo, l’unica incertezza pare essere quella relativa all’iniziale (➔ maiuscola o minuscola) della parola che segue immediatamente il segno stesso. Anche in questo caso
la decisione dipende dal tipo di confine che l’interpunzione stabilisce rispetto a una frase. Se l’espressione interrogativa è o può essere integrata nella frase, sarà seguita da una parola con l’iniziale minuscola. Se invece l’interrogazione chiude una frase o un periodo, al punto interrogativo si attribuiscono gli stessi diritti del più forte tra i segni di pausa, il punto fermo, che impone all’enunciato successivo di incominciare con l’iniziale maiuscola della prima parola (Mortara Garavelli 2003: 95).
Un altro aspetto su cui vale la pena soffermarsi è quello relativo alla collocazione del segno nell’ambito di una struttura costituita da più frasi o più sintagmi in sequenza. La non sovrapponibilità dell’intonazione nel parlato e della sua resa nello scritto è dimostrata anche dal fatto che, in caso di «interrogation multiple» (Catach 19962: 62), cioè in caso di domande in serie sintatticamente coese, e quindi racchiudibili in un unico enunciato, ma scorporate nella resa orale, si riserva in generale al segno la sola posizione finale:
(1) Ora perché mai, circa un mese dopo, Malagna picchiò, furibondo, la moglie, e, con la schiuma ancora alla bocca, si precipitò in casa mia, gridando che esigeva subito una riparazione perché io gli avevo disonorata, rovinata una nipote, una povera orfana? (Luigi Pirandello, Il fu Mattia Pascal, in Id., Tutti i romanzi, Milano, Mondadori, 1973, 2 voll., vol. 1°, p. 351)
Ma può darsi anche il caso, opposto, di frammentazione di sintagmi sintatticamente coesi per mezzo dell’interrogazione multipla, spesso con funzione stilistica, come in quest’esempio pirandelliano, in cui alla scissione sintattica corrisponde, per così dire, quella psichica:
(2) Mi pende? A me? Il naso? (Pirandello, Uno, nessuno e centomila, in Id., Tutti i romanzi, cit., vol. 2°, p. 739)
Normalmente, per circoscrivere il riferimento del segno a un solo segmento dell’enunciato (lessema o sintagma), in casi in cui l’intento non è quello di perseguire effetti stilisticamente marcati, si fa ricorso (come per il punto esclamativo) all’uso del segno stesso «inserito in parentesi come commento metatestuale», per segnalare «che si mette in dubbio (si prendono le distanze da, si ironizza su, ecc.) ciò che precede l’interpunzione» (Mortara Garavelli 2003: 95-96):
(3) è indubbio che l’Italia dei poveracci dell’immediato dopoguerra, per quanto viziata (?) da un sistema politico anomalo («La Repubblica» 29 dicembre 2002)
Il punto interrogativo di commento può anche attrarre, all’interno della parentesi che lo contiene, il segmento cui si riferisce, formando un’unità inscindibile che a sua volta svolge la propria funzione commentativa sulla parte di enunciato che la precede fuori parentesi:
(4) Il pericolo è che non ci siano novità (dall’esterno?) (Ottiero Ottieri, Il campo di concentrazione, Milano, Bompiani, 1972, p. 9)
Antonelli, Giuseppe (2008), Dall’Ottocento a oggi, in Mortara Garavelli 2008, pp. 178-210.
Catach, Nina (19962), La ponctuation, Paris, Presses Universitaires de France (1a ed. 1994).
Geymonat, Mario (2008), Grafia e interpunzione nell’antichità greca e latina, nella cultura bizantina e nella latinità medievale, in Mortara Garavelli 2008, pp. 25-62.
Maraschio, Nicoletta (1993), Grafia e ortografia, in Storia della lingua italiana, a cura di L. Serianni & P. Trifone, Torino, Einaudi, 3 voll., vol. 1° (I luoghi della codificazione), pp. 139-227.
Maraschio, Nicoletta (2008), Il secondo Cinquecento, in Mortara Garavelli 2008, pp. 122-137.
Mortara Garavelli, Bice (2003), Prontuario di punteggiatura, Roma - Bari, Laterza.
Mortara Garavelli, Bice (a cura di) (2008), Storia della punteggiatura in Europa, Roma - Bari, Laterza.
Parkes, Malcolm B. (1992), Pause and effect. An introduction to the history of punctuation in the West, Aldershot, Scholar Press.
Schiaffini, Alfredo (1935), Punteggiatura, in Enciclopedia Italiana di scienze, lettere, ed arti, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1929-1937, 35 voll., vol. 28º, ad vocem.
Tognelli, Jole (1963), Introduzione all’«Ars punctandi», Roma, Edizioni dell’Ateneo.