punto esclamativo
Il punto esclamativo (detto talvolta anche punto ammirativo), composto da un punto in basso e da un trattino verticale soprascritto ‹!›, è un segno di interpunzione (➔ punteggiatura) classificabile tra le «marche dell’intonazione» (Mortara Garavelli 2003: 92), in quanto serve principalmente a dare istruzioni riguardo all’intonazione che deve assumere l’esecuzione orale di un enunciato.
Per questa sua funzione è stato uno dei segni tra i più chiamati in causa, insieme al punto interrogativo, a favore di un primato della punteggiatura «orale» su quella «scritta», nell’annosa querelle che ha contrapposto un’interpretazione fonologica a una «grafematica» (Anis 1983). Diventata acquisizione ormai pacifica che tra le pause e l’intonazione che governano le unità del parlato e «le demarcazioni stabilite dalla punteggiatura nello scritto» la corrispondenza «è solo parziale, e in molti casi fortuita», si è anche rilevato come la qualifica di «marca di un’intonazione» per un segno di punteggiatura si riferisca «a schemi ideali, non alle realizzazioni effettive di fatti prosodici» (Mortara Garavelli 2003: 46-47). Superata dunque la rigidità dello schema ascendente-discendente postulato come modello del tono della voce nell’esclamazione, modello cui, in realtà, si possono «assegnare non una ma molteplici realizzazioni», si è preferito identificare tali segni come «indicatori di atti linguistici», che possono andare dalla domanda all’ordine, dall’invito alla sorpresa, in una gamma di sfumature che ne fa degli indicatori non univoci di atti di parola (ibid.).
Il punto esclamativo ha una vicenda strettamente legata a quella del ➔ punto interrogativo, da cui pare nasca. I due segni sono spesso confusi ancora nell’Ottocento, se Giuseppe Borghesio nel 1888 nota che «talvolta si confonde il punto ammirativo col punto interrogativo. Per questo il Manzoni, in più luoghi, mutò un punto interrogativo in un punto ammirativo e viceversa» (cit. in Antonelli 2008: 198 nota).
Ignoto ai greci e ai romani, il punctus admirativus o exclamativus nasce nel contesto dello sviluppo dell’oratoria ad opera degli esponenti dell’ars dictandi bolognese nei secoli XIII e XIV e degli umanisti nel Quattrocento. Iacopo Alpoleio da Urbisaglia, intorno al 1360, nel De ratione punctandi (una Ars punctandi attribuita a Petrarca fin dal Quattrocento), lo include tra gli otto segni da lui inventariati e ne rivendica l’invenzione.
La prima applicazione del segno risale invece a Coluccio Salutati (➔ Umanesimo e Rinascimento, lingua dell'), che, in copie da lui controllate di sue opere o in codici della sua biblioteca, fu tra i primi a usare il «punto ammirativo» e la parentesi, in virtù della peculiare attenzione che pone a un tipo di punteggiatura capace tanto di separare tutte le clausole quanto di indicare la struttura retorica del discorso.
Per tutto il Cinquecento, tuttavia, l’uso dell’esclamativo subisce la concorrenza dell’interrogativo, e «timidamente affiora», alla fine del secolo, «nei manoscritti e nelle stampe (non l’avevano ancora tutte le tipografie) e trova posto in qualche trattato» (Schiaffini 1935), tra i quali si segnala per la sua rilevanza L’arte del puntar gli scritti (1585) di Orazio Lombardelli, dove un paragrafo è dedicato al punto «affettuoso» (cfr. Maraschio 2008: 129), segnato mediante «un punterello con virgoletta sopra, non torta, ma distesa» (cit. in Schiaffini 1935), cioè quasi nella forma per noi abituale.
Il punto esclamativo non presenta particolari problemi d’uso, né l’interpretazione delle sue funzioni comporta dubbi o difficoltà di rilievo. Tuttavia, è un segno a cui si fa ricorso parcamente nella scrittura formale e che è del tutto bandito dai testi legislativi, scientifici e tecnici, essendo associato all’emotività, al sentimento, all’espressione della soggettività, e quindi reputato incompatibile con esiti di razionalità e oggettività.
Si tratta di un giudizio che grava sul punto esclamativo fin dai suoi primordi: Carlo Maria Carlieri, nel primo Settecento, scriveva infatti che «l’ammirativo si segna dopo le parole di passione, d’ammirazione e d’affetto» (Regole e osservazioni di varj autori intorno alla lingua toscana, Firenze 1715, p. 158). Insieme a questa valutazione, nasce la regola, chiaramente espressa da Giovanni Gherardini a metà Ottocento, che tali segni «ove son posti non alterano in veruna guisa l’ordinaria interpunzione, la quale dee farsi nel modo stesso che noi la faremmo se que’ segni non fossero» (cit. in Antonelli 2008: 197 nota).
La successiva codificazione grammaticale, al contrario, ha riconosciuto al punto esclamativo, così come all’interrogativo e ai punti di sospensione, il valore – equivalente a quello del punto fermo – di punti di chiusura, e quindi la funzione di segnalare una pausa che dal punto di vista della forza sintattica equivale a quella indicata dal punto fermo, ma che differisce per la modalità (a un tempo logico-sintattica e intonativa) che imprime all’enunciato (rispettivamente esclamativa, interrogativa, sospensiva, anziché assertiva). Quando l’esclamativo assolve tale funzione si impone l’uso della maiuscola per la prima lettera della parola che lo segue, ad eccezione dei casi in cui si voglia marcare la stretta contiguità (sintattico-semantica) che lega i segmenti testuali scanditi dal segno.
Il punto esclamativo ha goduto di una certa fortuna nella prosa narrativa, specie nelle parti mimetiche (dialoghi in particolare), nelle quali, dovendo far emergere la soggettività e i tratti caratteristici dei personaggi che prendono la parola, abbondano i segni d’interpunzione tipici dell’espressività:
(1) Se inzuppavamo il pane nella salsa, gridava: – Non leccate i piatti! Non fate sbrodeghezzi! non fate potacci! (Natalia Ginzburg, Lessico famigliare, Torino, Einaudi, 1963, p. 9).
Il punto esclamativo permette di ottenere effetti di stile rilevanti specie in quei testi letterari in cui il piano del narratore e quello dei personaggi non si oppongono ma sono sottilmente separati da una punteggiatura diversa (il punto per la narrazione e i punti esclamativo e interrogativo per il discorso indiretto libero):
(2) Campana di legno diceva che lui non ne sapeva nulla, come è vero Iddio! «Quel ch’è di patto non è d’inganno»; che l’anima lui non doveva darla ai porci! e Piedipapera schiamazzava e bestemmiava come un ossesso per metterli d’accordo (Giovanni Verga, I Malavoglia, in Id., I grandi romanzi, Milano, Mondadori 1972, p. 17)
Una peculiarità del punto esclamativo consiste, inoltre, nella duttilità di posizione, potendosi collocare a tutti i livelli della sintassi, dalla frase alla parola, fino ad arrivare alla presenza isolata, in uno o più elementi, al di fuori dell’espressione verbale (per indicare ad esempio una pausa emotiva nel dialogo):
(3)
– Stia zitto, non mi rovini; ritiro la parola.
– Troppo tardi! Sarà mio dovere denunciarla alle autorità costituite, ai posteri … ai posteri …
– Ed ai posteri, se le piace! Ah, muoia Sansone con tutti i Filistei!
! . . . . . .
– (Oh, oh: ma guarda che specie di pazzi s’incontra per le vie del mondo!)
(Tommaso Landolfi, “La prova”, in A caso, Milano, Rizzoli, 1975, p. 199)
In virtù dell’espressività e duttilità che lo caratterizzano, il punto esclamativo non ha cessato di proliferare fino ai giorni nostri, nonostante le crociate contro il suo impiego, tra le quali celebre è quella di Ugo Ojetti, che propose di bandire
questo gran pennacchio su una testa tanto piccola, questa spada di Damocle sospesa su una pulce, questo gran spiedo per un passero, questo palo per impalare il buon senso, questo stuzzicadenti pel trastullo delle bocche vuote, questo punteruolo da ciabattini, questa siringa da morfinomani, quest’asta della bestemmia, questo pugnalettaccio dell’enfasi, questa daga dell’iperbole, quest’alabarda della retorica (Ugo Ojetti, Cose viste, Milano, Rizzoli 1941, tomo III, p. 115).
L’iterazione in due o più elementi consecutivi (‹!!, !!!›), oppure la combinazione con il punto interrogativo (‹?!›, più raramente ‹!?›), forme più insolite nella prosa letteraria, dove comunque non mancano esempi, «ricorrono soprattutto nella pubblicità […] o in scritture popolari, con forte mimetismo orale (come i fumetti)» (Serianni 1988: 60), e di recente hanno ricevuto impulso dalle varie forme di «scrittura digitale» (sms, e-mail, chat, blog, siti di social network, e così via) (cfr. Antonelli 2008).
Anis, Jacques (1983), Pour une graphématique autonome, in Id. (edité par), Le signifiant graphique, «Langue française» 59, pp. 31-44.
Antonelli, Giuseppe (2008), Dall’Ottocento a oggi, in Mortara Garavelli 2008, pp. 178-210.
Maraschio, Nicoletta (2008), Il secondo Cinquecento, in Mortara Garavelli 2008, pp. 122-137.
Mortara Garavelli, Bice (2003), Prontuario di punteggiatura, Roma - Bari, Laterza.
Mortara Garavelli, Bice (a cura di) (2008), Storia della punteggiatura in Europa, Roma - Bari, Laterza.
Schiaffini, Alfredo (1935), Punteggiatura, in Enciclopedia Italiana di scienze, lettere, ed arti, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1929-1937, 35 voll., vol. 28º, ad vocem.
Serianni, Luca (1988), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria, Suoni, forme, costrutti, con la collaborazione di A. Castelvecchi, Torino, UTET.