PUGILE DELLE TERME (v. vol. I, p. 486, s.v. Apollonios 6°)
La trattazione dell'opera è stata a lungo condizionata dalla pretesa lettura del nome di Apollonios, figlio di Nestore, sulle stringhe del guanto sinistro. Benché la successiva indagine abbia escluso l'esistenza dell'iscrizione (Guarducci, 1959-1960), si è continuato a confrontare il P. con il Torso del Belvedere (v.), che è firmato dallo scultore ateniese del I sec. a.C., sia pure quale copista.
Liberato il campo dalla confusione epigrafica e dall'ipotesi che la statua fosse collegata in gruppo con il c.d. Principe Ellenistico (v.) rinvenuto parimenti sulle pendici del Quirinale, conviene sottolineare la celebrità del soggetto che ricorre su una pasta vitrea a Gottinga: controparte nell'incisione, ma coerente con la statua nell'impronta che se ne ricava. L'opportunità di assegnare l'opera a un maestro del IV sec. a.C., anzi che dell'estremo ellenismo, emerge dall'analisi di ogni aspetto iconografico e stilistico.
La tettonica esalta lo spazio della figura entro l'impianto degli arti, senza invadere il mondo del riguardante. La tensione delle membra è contenuta in un invaso geometrico. L'asimmetria della posa si compone nell'unità di un volume regolare, che serve a enfatizzare per contrasto la sola apertura nel moto della testa. Il volgersi laterale e verso l'alto del capo si trova allo scorcio del IV sec. nell'Eracle seduto degli stateri di Festo, dove l'interesse dell'artista è concentrato su una situazione momentanea, secondo il principio dell'estetica lisippea (v. kairos). Nel P. il fenomeno si rivela attraverso le agemine di rame rosso applicate sulla gamba e sul braccio destro, compreso il guantone: esse rappresentano le gocce di sangue cadute dalle lacerazioni osservabili sul viso, nell'istante in cui l'atleta ha girato la testa. Il brusco movimento è ulteriormente giustificato dall'occlusione dei padiglioni auricolari: come sappiamo dalle fonti per il Dèmos o il Kairòs di Lisippo, l'autore avrebbe trovato modo di rappresentare la «sordità» del personaggio, che si volge nello sforzo di leggere sul volto dei giudici le parole del verdetto, o verificare con lo sguardo il plauso della folla.
Rimanda al IV sec. anche il raro dettaglio dell'ematoma sotto l'occhio destro reso con un elemento metallico fuso a parte in una lega più scura, e successivamente saldato: Plutarco cita un simile espediente da parte di Silanion che avrebbe ottenuto con una mescolanza d'argento il pallore della Giocasta (Mor., 673 F). Né trova riscontro più tardi la lavorazione delle labbra in rame massiccio (non in lamina), fuse preventivamente e inserite nella cera, con un ancoraggio all'anima della statua tanto saldo da impedire ogni spostamento al momento della colata della lega. Come in altri originali di età classica, le dita centrali dei piedi erano state fuse separatamente per poter modellare liberamente tutti gli spazi interdigitali: la lettera alpha, tracciata sotto al medio del piede sinistro, come iniziale di άριστερός ττούς, si rendeva utile per distinguere al momento dell'assemblaggio la sezione pertinente.
Intorno al 337 la base del Polidamante di Lisippo a Olimpia, con la sua faccia superiore di un metro per lato, offriva spazio sufficiente per ospitare una figura seduta come quella del Museo Nazionale Romano, che ha la parte superiore dei piedi fortemente consunta: risultato di un secolare processo di venerazione popolare, descritto da Luciano (Deor. conc., 12) a proposito del Polidamante. Il movimento del capo e alcuni aspetti della barba sono comuni all'Eracle Epitrapèzios. Per il trattamento della muscolatura non si è lontani dall’Eracle in riposo del tipo «Farnese Pitti» (v. ercoli farnese). La compattezza della figura seduta si trova nell'Eracle meditante del periodo tarantino. Il giudizio sull'acribia di Lisippo - «sembra propria di lui l'espressività serbata fin nei minimi particolari» (Plin., Nat. hist., XXXIV, 65) - si attaglia alla finezza con cui sono stati realizzati i guantoni. I polpastrelli restano liberi, consentendo all'artefice di cesellare con esattezza le unghie, mentre le dita sono inguainate da una pelle così sottile che lascia trasparire le articolazioni fino alle falangi: gli orli sono ribattuti per ciascun dito e resi appariscenti da sottili inserti di rame rosso, sui quali sono incise fitte serie di punti a suggerire le cuciture. Il cuoio che protegge il carpo, il polso e l'avambraccio conserva, rivolto all'interno, il vello, adatto ad ammortizzare i colpi durante il combattimento; il pelame sbocca in densi riccioli al termine dei guanti. Forti stringhe garantiscono l'aderenza dell'apparato difensivo, e al contempo fissano intorno alle mani i micidiali cesti (sphàirai), venuti in uso nel IV sec. a.C.
Sulla struttura dei capolavori di Lisippo, il verismo del volto rivela l'innesto di una sensibilità apparentemente eterogenea. Numerose sono le alterazioni annotate, quale risultato di remote lesioni, cui si sovrappongono i colpi subiti nell'ultimo scontro. La perdita dei denti superiori ha ingenerato l'affossamento del labbro corrispondente, mentre quello inferiore rimane in aggetto orientando il fiato affannoso a muovere verso l'alto le ciocche dei baffi intrise di sudore. La frattura dell'osso nasale e lo spostamento delle cartilagini hanno determinato la deformazione del naso. Oltre al gonfiore sotto l'occhio destro, sono evidenziati gli sfregi alle guance e alla fronte da cui è grondato il sangue sugli arti del lato destro. Il fratello del maestro, nel giudizio di Plinio, avrebbe rinunciato all'autonomia dal modello, alla sublimazione dei tratti fisionomici che Lisippo perseguiva: «cominciò a rendere somiglianti i ritratti, che prima di lui cercavano di fare quanto più belli possibile» (Nat. hist., XXXV, 153); a tal fine l'artefice aveva perfezionato la tecnica del calco in gesso, traendo impressioni dirette dal vivente (v. vol. IV, p. 753, s.v. Lysistratos). La compenetrazione dell'eventuale intervento di Lysistratos nella trascendente stanchezza del vincitore è tale da rendere inscindibile l'attribuzione. La patologia del soggetto, studiata sulla maschera di gesso, è gestita al di là del particolare penoso in una visione tesa a proporzionare illusivamente le parti, attenta allo scorcio, alla potenza e insieme allo slancio della statua collocata su un elevato piedistallo. Si tratta se mai di un'esecuzione a quattro mani che vede ancora convivere in un'alta «maniera» le diverse tendenze della scuola, destinate a svilupparsi in una vivace dialettica.
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Pasta vitrea di Gottinga: P. Zazoff, Antike Gemmen in Deutschen Sammlungen, iii, Braunschweig, Göttingen, Kassel, Wiesbaden 1970, p. 134, n. 408, tav. LXIII; N. Himmelmann, Herrscher und Athlet, cit., pp. 151-152, fig. 58; P. Moreno, Scultura ellenistica, cit., I, p. 62, fig. 65.
Statere di Festo: R. P. Franke, M. Hirmer, Die griechische Münze, Monaco 1964, p. 114, tav. CLXVII: G. Le Rider, Monnaies crétoises du Ve au 1er siècle av. J.-Chr., Parigi 1966, pp. 92-93, 148-149, nn. 41-47, tavv. XXII, 25-31, XXIII, 1; P. Moreno, Scultura ellenistica, cit., I, pp. 63-64, fig. 64; F. Smith, in P. Moreno (ed.), Lisippo. L'arte e la fortuna, cit., p. 102, n. 4.13.3.