pugilato
Fare a pugni per sport
Il pugilato – in Italia chiamato anche boxe, dal termine francese utilizzato a livello internazionale e a sua volta adattamento dell’inglese box – è uno degli sport più discussi: alle qualità più spiccatamente atletiche (come la forza, la tecnica per i vari tipi di colpo, l’agilità nel sapersi spostare con destrezza) va unita una certa dose di violenza. Se è vero che anche per altri sport si potrebbe dire lo stesso, nel pugilato cercare di colpire e danneggiare l’avversario costituisce la normalità, e anzi il fine del combattimento sportivo
Il pugilato ha origini antichissime, essendo in pratica nato insieme all’uomo, che, dovendo subito imparare a combattere per difendersi, si è reso conto che chiudere la mano e sferrare colpi con forza aveva un effetto simile a quello di un’arma.
La mitologia è ricca di personaggi ed episodi che testimoniano l’attrazione da sempre esercitata sull’essere umano da tali combattimenti. Diversi poeti e scrittori (tra i quali i greci Omero, Platone, Pindaro e i latini Virgilio e Tacito) hanno toccato nelle loro opere questo argomento; anzi è possibile che alcuni di loro conoscessero il pugilato per averlo praticato.
Il pugilato ai tempi di Omero e Virgilio era una disciplina simile, ma non identica a quella che si pratica oggi, e non certo sottoposto alle tante regole attuali. Non si faceva uso di guantie si ricoprivano avambracci e mani con strisce di cuoio dotate di borchie di piombo: gli incontri erano quindi decisamente più pericolosi e violenti.
Le antiche Olimpiadi costituivano la manifestazione più importante per questa disciplina, e spesso colui che si aggiudicava la vittoria negli incontri godeva poi di alta considerazione da parte della gente. La fama acquisita con le Olimpiadi consentì addirittura ad alcuni atleti di migliorare la propria condizione sociale: si narra il caso del pugile armeno Varazdat che nel 4° secolo venne incoronato re della sua terra.
Una forma di pugilato più simile a quella praticata oggi nacque invece in Inghilterra, negli ultimi anni del 17° secolo. Naturalmente anche allora si combatteva a pugni nudi e le regole erano molto meno severe e meno precise di quelle attuali. Era il clima della sfida quello che contava: a Londra, in particolare, si combatteva nelle osterie e nei vicoli, tra marinai, lavoratori portuali, gente robusta, rude e a volte aggressiva.
Ben presto però anche i nobili cominciarono ad appassionarsi a questa sorta di gioco, organizzando, alla buona, incontri per poter scommettere su chi avrebbe vinto. Quella delle scommesse è sempre stata una vera e propria passione per gli Inglesi, e lo sport si è prestato a questa pratica: specialmente gli scontri ‘uno contro uno’ si rivelavano adatti a destare interesse. Spesso accadeva che i nobili organizzassero gare di pugilato nei giardini delle loro tenute, e che a combattere fossero i loro servitori.
Si diffuse presto l’abitudine a questi incontri, a cui cominciarono ad assistere anche intellettuali e artisti, che in qualche caso furono ispirati da questo genere di avvenimenti o dalle vicende di qualche campione. Tra questi, il primo che viene solitamente ricordato è James Figg, che combatté dal 1719 al 1734, quando decise di ritirarsi dall’attività agonistica per organizzare a sua volta incontri di pugilato in un locale di Londra, una sorta di teatro.
Fu comunque un nobile, il marchese di Queensberry, a stabilire regole più precise sul modo di combattere, in riferimento anche alle categorie di peso, che all’inizio erano soltanto tre, ma in seguito sarebbero diventate sempre più numerose, fino a raggiungere le diciassette attuali. Tutto questo accadeva tra il 1887 e il 1892. L’uso dei guantoni fu inaugurato ufficialmente il 7 settembre 1892, in occasione del confronto per il titolo mondiale dei pesi massimi tra James J. Corbett e John L. Sullivan.
Da quel momento la storia del pugilato è un lungo elenco di grandi campioni e di modifiche dei regolamenti: nel tempo la sua popolarità cresce in molti paesi, principalmente negli Stati Uniti.
Il pugilato in molti casi è stato anche un mezzo di riscatto sociale per i più poveri e sfortunati (spesso atleti di colore), che iniziavano a combattere, letteralmente, per conquistare benessere economico e rispetto.
Il pugilato entrò tra le discipline delle Olimpiadi moderne a St. Louis (1904).
I pugili da citare per fama e importanza sarebbero decine. Tra questi, nei pesi medi, troviamo lo statunitense Walker Smith Jr., nato in Georgia nel 1921 e conosciuto come Ray ‘Sugar’ Robinson, rimase in attività per ventisei anni, nei quali disputò 201 incontri, subendo l’unica sconfitta della sua carriera contro Jake La Motta nel 1943.
La storia di Cassius Clay (Muhammad Ali, dopo la conversione all’Islam) è di grandissimo spessore in ambito non solo pugilistico e non solo sportivo. Protagonista tra gli anni Sessanta e Ottanta nel pugilato e nella lotta al razzismo, personaggio istrionico sul ring e fuori, conquistò per tre volte il titolo mondiale dei massimi, grazie a un carattere estremamente deciso e a una boxe ‘danzata’ davvero insolita nella sua categoria di peso. Avendo contratto dopo il termine della carriera il morbo di Parkinson, Alì ha continuato a essere il lottatore carismatico, stavolta contro la malattia, che tutti guardano con rispetto e ammirazione.
Infine è opportuno ricordare Primo Carnera, pugile friulano degli anni Trenta, primo italiano a conquistare il titolo di campione del mondo (pesi massimi); l’impresa fu compiuta il 29 marzo 1933 contro Jack Sharkey, mandato k.o. alla sesta ripresa. Forse come nessun altro italiano Carnera ha incarnato il mito dell’umiltà e del riscatto sociale grazie allo sport.
Il pugilato è stato certamente lo sport più rappresentato al cinema, non soltanto per la qualità delle sue storie, ma anche perché il combattimento nello spazio circoscritto del ring si presta bene alle riprese: sono sicuramente più di 500 le pellicole cinematografiche che gli sono state dedicate. Tali opere, testimoniando speranze, gloria, miseria e sconfitte, da sempre legate a questo sport, hanno finito per avvicinare al pugilato anche chi non era interessato al fatto agonistico in sé.
Nel 1956 il regista Robert Wise girò Somebody up there likes me (Lassù qualcuno mi ama), ritenuto forse il film più verosimile sulla boxe e ricordato per la splendida interpretazione di Paul Newman. Si tratta della storia di un vero campione, Rocky Graziano (pugile italo-americano il cui vero nome era Rocco Barbella), nella quale si intrecciano con il pugilato i temi pesanti della mafia e della corruzione. La forza di volontà del campione prevarrà su pregiudizi e ingiustizie. Il film The harder they fall (Il colosso d’argilla), dello stesso anno, ispirato alla carriera del pugile Primo Carnera, ha diverse particolarità: vi recitarono, nelle parti sportive, due ex pugili, Max Baer e J.J. Walcott; ma il regista Mark Robson riuscì a far apparire come vero protagonista combattente un giornalista (che si adopera per difendere un pugile volgarmente sfruttato), interpretato dal bravissimo Humphrey Bogart.
Nel film I mostri di Dino Risi c’è un malinconico episodio nel quale un ex-pugile mal ridotto (Vittorio Gassman) viene convinto dal suo ex-manager (Ugo Tognazzi), anche lui in difficoltà economiche, a tornare sul ring per guadagnare qualche soldo, con esiti disastrosi. Il film è efficacissimo nel ritrarre un ambiente pugilistico marginale, crudele e popolato di sconfitti dalla vita.
Nel 1960 uscì Rocco e i suoi fratelli, del regista Luchino Visconti; qui le storie di pugilato fanno quasi da sfondo alla trama: forse il vero ring è la città di Milano, uscita da poco dalla guerra, dove alcuni immigrati meridionali cercano fortuna tra tante difficoltà.
Altri celeberrimi film dedicati al pugilato sono basati su personaggi vincenti. Famosissima in tal senso è la saga di Rocky, cinque film girati tra il 1976 e il 1990, di cui Sylvester Stallone è stato l’indiscusso protagonista, inaugurando un filone che ha portato alla conquista di numerosi premi Oscar.
È la storia di un figlio di immigrati italiani che si riscatta e diventa vincitore, realmente o moralmente, delle avventure non soltanto pugilistiche in cui viene a trovarsi. Sembra che l’idea di Rocky sia venuta a Stallone mentre seguiva un combattimento di Cassius Clay, incontro che il famoso campione aveva rischiato di perdere.
Nel 1980 uscì Raging bull (Toro scatenato), da molti giudicato il miglior film in assoluto sul pugilato: diretto da Martin Scorsese, è interpretato da Robert De Niro, che come attore protagonista ha vinto l’Oscar per la sua interpretazione di Jake LaMotta, pugile dall’indole violenta e persino autodistruttiva.
Il mito di uno sport interamente maschile è stato infranto nel 2004 da Million dollar baby, di Clint Eastwood. Una storia amara legata a un pugile donna (Hilary Swank sullo schermo) in cui ancora una volta il ring e i combattimenti sono emblemi e metafore della vita.