CAPANNA, Puccio (Puccius Cappanne)
Pittore di Assisi che, secondo documenti recentemente ritrovati (Abate, 1956), nel 1341-42 eseguì un affresco "in Portis Bonaematris et Sancti Ruphyni" nella sua città, in collaborazione con un Cecce Saraceni (quest'ultimo artista, per il resto ignoto, viene menzionato da solo anche in un documento del 1356). Voci sull'origine assisiate di Puccio, confermate dalla testimonianza dello storico cinquecentesco fra' Ludovico da Pietralunga e ora dai documenti, giunsero al Vasari; ma egli lo ritenne fiorentino, allievo e collaboratore di Giotto, causando così una notevole confusione intorno alla figura dell'artista (Bottari).
Fra le opere attribuitegli da fra' Ludovico (Incoronazione della Vergine e due Storie di s. Stanislao nella cantoria della basilica inferiore di S. Francesco; Madonna col Bambino e santi sulla porta di S. Rufino; e qualche dipinto non più esistente, quali un Miracolo di s. Chiara nella basilica di S. Chiara; una Madonna col Bambino fra due sante e una Flagellazione di Cristo in una "facciata" di via Portica e, con qualche dubbio, la Gloria celeste della tribuna della basilica inferiore di S. Francesco) è soltanto una, il perduto affresco di via Portica, che spetta, anche secondo il Vasari, al Capanna. In compenso lo storico aretino gli attribuì molti e assai disparati dipinti che poi, in seguito alle ricerche moderne, sono tornati quasi tutti ai loro veri autori: il Crocifisso dipinto di S. Maria Novella a Firenze (che sarebbe risultato di una collaborazione fra Puccio e Giotto) restituito a Giotto stesso (H. Thode, Giotto, Bielefeld-Leipzig 1899, p. 136); l'affresco con il Noli me tangere, residuo della decorazione della cappella Strozzi in S. Trinita, assegnato al Maestro dell'altare di Fabriano (W. Cohn, in Boll. d'arte, XLII [1957], p. 175), che fu poi identificato con Puccio di Simone dal Longhi (in Paragone, X [1959], 111, pp. 9 ss.); gli affreschi della cappella Covoni della Badia, che furono almeno avvicinati dal Gronau (Andrea Orcagna e Nardo di Cione, Berlino 1937, p. 52) a Nardo di Cione, a cui effettivamente spettano; gli affreschi della cappella di S. Ludovico (cioè dell'odierna sagrestia) in S. Francesco a Pistoia, restituiti a Giovanni di Bartolomeo Cristiani dall'Offner (in Mitteil. des Kunsthistor. Instituts in Florenz, VII [1956], p. 192); le Storie francescane nella cappella maggiore della stessa chiesa, assegnate a Dalmazio di Scannabecchi dal Longhi (in Paragone, I [1950], 5, p. 12); la decorazione del transetto di sinistra nella basilica inferiore di S. Francesco d'Assisi, riconosciuta di Pietro Lorenzetti dal Cavalcaselle (pp. 117 ss.); gli affreschi della cappella di S. Martino, ivi, restituiti a Simone Martini dal Fea e dal Ranghiasci (p. 11).
Altri numeri del catalogo vasariano, gli affreschi in S. Cataldo a Rimini, in S. Maria degli Angeli ad Assisi, in S. Domenico a Pistoia e in S. Francesco a Bologna sono andati perduti, ma, evidentemente, anche queste attribuzioni si basavano su informazioni incerte e su un errore fondamentale: sembra infatti che il Vasari abbia confuso due o più pittori dello stesso nome. Che uno di questi fosse Puccio di Simone, pittore fiorentino documentato fra il 1343-46 e il 1358, appare assai probabile per il fatto che in connessione con la Crocifissione in S. Domenico a Pistoia il Vasari riporta la firma "Puccio di Fiorenza me fece", e perché il Maestro dell'altare di Fabriano, autore di una delle opere ascritte al C. dallo storico, con ogni probabilità non era altri che, appunto, Puccio di Simone. Fu infine la Marcucci (1963) a ritenere che il dipinto documentato del C. sia da identificare con un affresco frammentario conservato nella Pinacoteca comunale di Assisi (n. 42), indicando così la vera strada per la ricostruzione dell'artista. La ricostruzione stessa, cioè il collegamento di un gruppo di opere, riunite in precedenza dalla critica, con la personalità storica del pittore assisiate, è stata poi condotta esemplarmente dallo Scarpellini (1969). Risultano dunque definitivamente falliti i tentativi di alcuni critici (Thode, 1885, pp. 551 ss.; Sirén, 1917, pp. 112 ss.; Chiappelli, 1925 e 1929-30) di ritrovare opere del C. in base alle indicazioni vasariane.
Al gruppo menzionato prima fa capo lo stupendo complesso con l'Incoronazione della Vergine e Storie di s. Stanislao nella basilica inferiore di Assisi, ricordato fra le opere del C. da fra' Ludovico, ma riferito a Giottino dal Vasari e, sulla sua scorta, da molti critici moderni (Thode, 1885, pp. 273, 475; Schubring, 1900, pp. 168 s.; Sirén, 1908, pp. 11 s.; Khvosinsky-Salmi, 1914); mentre il Suida (1904, p. 487), la Zocca (1936, pp. 67 s. e passim) e il Toesca (1929 e 1951) lo credevano opera di Maso di Banco. Il Venturi (1907, pp. 489 s.), che cautamente avanzava l'ipotesi potersi trattare di opere di Stefano fiorentino, collegava con gli affreschi della basilica inferiore la Crocifissione della sala capitolare del convento francescano e il polittico affrescato raffigurante la Madonna col Bambino fra quattro santi nella cappella di S. Giorgio della basilica di S. Chiara in Assisi. Si formò, dunque, un primo nucleo di opere assisiati a cui il Sirén (1908, 1917), pur riferendole a Giottino, ne aggiunse altre: la Crocifissione, la Flagellazione e la Sepoltura di Cristo della chiesa di S. Rufinuccio (ora distaccate ed esposte al Museo diocesano: ma la Sepoltura è da ritenere di un seguace), nonché l'Annunciazione e la Crocifissione (e qualche altro affresco che spetta però a seguaci) del monastero di S. Giuseppe. È stato in seguito lo stesso Sirén (1924-26; 1927-28) a rendersi conto per primo che questi dipinti presentano un carattere diverso da quello delle opere riferibili a Maso o Giottino, e a considerarli quindi come documenti di un percorso pittorico indipendente. Opinione simile è stata espressa anche dal van Marle (1924), che suggerì si trattasse di un allievo del Maestro delle Vele. L'importanza artistica di questo "nuovo" pittore è stata messa in rilievo dal Longhi (1940 e 1951), che riprendendo l'idea del Venturi propose di identificarlo con Stefano fiorentino, allievo di Giotto, molto lodato dalle vecchie fonti. Lo studioso aggiunse inoltre al catalogo qualche dipinto su tavola: la Madonna col Bambino e santi della Pinacoteca Vaticana (n. 170) e la Crocifissione del North Carolina Museum of Art in Raleigh, N. C. (n. GL. 60.17.8), nonché un Crocifisso dipinto del Louvre di Parigi (n. 1655; opera non più menzionata nel catalogo di "Stefano" dal Longhi nel 1951), e una serie di tavolette con scene cristologiche (Annunciazione, Genova, coll. privata; Natività, già Bruxelles, coll. Stoclet; Madonna col Bambino, Pinacoteca Vaticana, n. 176; Crocifissione, Firenze, Bibl. Berenson presso la villa I Tatti; Compianto su Cristo morto, già a Roma, coll. Grassi), che, tuttavia, sembrano essere estranee al catalogo dell'artista. La proposta non è stata accolta dal Coletti (1942; 1946; 1949, pp. 55 s.; 1950), che preferì indicare il pittore col nome di "Maestro colorista di Assisi" e gli attribuì un'altra tavoletta con la Madonna col Bambino e santi, già nella coll. Platt di Englewood e ora nel Princeton University Art Museum (n. 62. 72), dipinto che appartiene invece al Maestro di S. Lucchese. A parte una breve nota dell'Offner (1947), che riferì l'Incoronazione della basilica inferiore di Assisi al Maestro delle Vele, la maggioranza della critica accolse la tesi del Longhi (Bettini, 1944; Volpe, 1951, pp. 42 ss.; Gabbrielli, 1956; Lazarev, 1959; Previtali, 1967; Bellosi, 1968; Gnudi, 1968; Bologna, 1969), e anche ulteriori proposte sono state avanzate per allargare l'ormai non breve catalogo: il Previtali cautamente suggerì la collaborazione di "Stefano" negli affreschi della cappella del Bargello a Firenze, e il Bellosi gli ascrisse un dittichetto raffigurante la Pietà nella Pinacoteca Ambrosiana a Milano - proposte che, nonostante tutto, non convincono, come pure è da respingere decisamente la recente proposta del Ragghianti di attribuire ad Altichiero il gruppo degli affreschi assisiati (C. L. Ragghianti, Stefano da Ferrara. Problemi critici tra Giotto e Padova,la espansione di Altichiero..., Firenze 1972).
Anche se si è tardato molto a identificare il loro vero autore, la critica ha già ampiamente sottolineato l'eccezionale valore artistico delle opere del Capanna. Questo maestro, ritenuto dal Coletti non senza fondamento il maggior colorista, il "pittore più pittore" dell'intero Trecento italiano, e dallo Scarpellini il grande precursore di Masaccio, partì evidentemente dalla vasta produzione pittorica lasciata da Giotto in Assisi, e in questo senso il suo stile può essere considerato di origine in parte fiorentina. Difficile dire però se il suo contatto con Giotto fosse diretto, e rimane compito delle future ricerche precisare se, e in che misura, egli abbia partecipato, ad esempio, alla decorazione delle vele della basilica inferiore di S. Francesco. Sulla sua formazione hanno forse potuto influire anche gli affreschi eseguiti nel transetto di sinistra della stessa chiesa da Pietro Lorenzetti; d'altra parte certi fenomeni stilistici della pittura di Ambrogio Lorenzetti intorno al 1330 farebbero pensare (Volpe) che il C. a quell'epoca fosse già pittore formato e capace di influenzare altri maestri. Trovandosi circondato all'inizio della sua carriera da documenti di un mondo pittorico raffinato e splendente, egli si rifece indubbiamente al linguaggio grave ed equilibrato di Giotto dei tempi della decorazione della cappella di S. Maddalena nella basilica inferiore. Tale orientamento era simile a quello, simultaneo, di Maso di Banco, ma i modi dei due artisti, benché per lungo tempo confusi, risultano in realtà nettamente diversi. La sceneggiatura del C. è di solito semplice, costruita con saldissimo senso prospettico; appare quasi assorbita in una luce che toglie la nitidezza delle forme ma assicura ad esse una realtà e un'evidenza plastica rarissime in quel tempo. La sua regia è misurata e può apparire anche lenta; sotto l'aspetto equilibratissimo s'intravvedono però sentimenti di vero calore umano e, a volte, drammi strazianti.
Resta ancora da risolvere la distinzione delle diverse tappe di questa vicenda che probabilmente non durò più di due decenni circa. Si può ipotizzare comunque che all'inizio della sua attività appartengano, oltre agli affreschi del monastero di S. Giuseppe, le tavolette del dittico Raleigh-Vaticano, e che la sua ultima fase sia documentata dagli affreschi di S. Rufinuccio e da quelli della sala capitolare del convento francescano. L'attività del C., che probabilmente non oltrepassò la metà del secolo, non ha lasciato una impronta profonda sulla pittura locale, ed è interessante notare (Longhi, Coletti) come proprio artisti della cultura lombardo-padovana (Maestro della Crocifissione di S. Gottardo, Giusto de' Menabuoi, Giovanni da Milano) mostrino le analogie più strette col suo gusto di modellare col colore e con la sua particolare epica pittorica. Non si può scartare, dunque, l'ipotesi che la carriera del C. si sia conclusa nell'Italia settentrionale.
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite…, a cura di G. Milanesi, I, Firenze 1878, pp. 394, 396, 402 s.; Fra' Ludovico da Pietralunga, Descrizione della basilica di S. Francesco in Assisi, s. d. (ma prima del 1580), a cura di G. Cristofani, in Boll. della Deputaz. di storia patria per l'Umbria, XXVIII (1926), pp. 1-87; P. Ridolfi da Tossignano, Historiarum seraphicae religionis, Venezia 1586, II, pp. 248 s.; F. Baldinucci, Notizie de' professori del disegno, II, Firenze 1686, p. 45; F. M. Angeli, Collis Paradisi Amoenitas, Montefalisco 1704, pp. 31-39; G. Bottari, Vite... di G. Vasari. Corrette da molti errori e illustrate con note, Roma 1759, pp. 52 s.; C. Fea (e S. Ranghiasci), Descriz. ragionata della... basilica... di S. Francesco d'Assisi..., Roma 1820, pp. 11, 13; F. Kugler, Handbuch der Geschichte der Malerei in Italien [1837], Venezia 1862, p. 624; J. Burckhardt, Il Cicerone... [1855], Firenze 1952, pp. 830, 832; J. A. Crowe-G. B. 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