CATONE, Publio Valerio (P. Valerius Cato)
Caposcuola dei νεώτεροι, poetae novi, quali Licinio Calvo, Furio Bibaculo, Ticida, Cinna, Catullo; era, secondo le notizie di Svetonio, originario della Gallia (senża dubbio Cisalpina); e dovette nascere pochi anni dopo il 100, perché era ancor pupillo quando fu spogliato del patrimonio paterno durante le proscrizioni di Silla (82-80 a. C.) e perché fu in tempo ad ascoltare le lezioni del grammatico Vezio Filocomo sulle satire di Lucilio. Godette molta fama per la sua dottrina e per il fine gusto di critico e di poeta (è noto l'epiteto di Latìna siren datogli da Furio Bibaculo). Ingolfatosi nei debiti, visse miseramente ma dignitosamente fino alla tarda vecchiezza. Scrisse, oltre a libri d'argomento grammaticale, anche poemi, fra i quali erano soprattutto celebrati Lydia e Diana (o Dicynna): il primo era forse un libro d'elegie amorose e il secondo un epillio. Un altro suo scritto, non si sa se in prosa o in versi, l'Indignatio, era a sfondo autobiografico. Ovidio (Tristia, II, 436) definiva le poesie di lui come leve opus.
Dirae e Lydia sono due poemetti dell'Appendix Vergiliana, assai guasti nella tradizione manoscritta, che nei mss. si trovano fu̇si sotto il titolo comune di Dirae Maronis. Ma questo titolo si adatta solo ai primi 103 versi, nei quali il poeta lamenta la spoliazione della sua proprietà per la spartizione delle terre ai Veterani; gli altri 80 versi invece contengono i lamenti dell'amante, che, abbandomto dalla sua Lidia, invidia i campi che godono della sua presenza. Per la situazione diversa dei due poemetti, felicemente Federico Jacobs li separò, dando al secondo il titolo di Lydia. Benché i grammatici antichi e la tradizione manoscritta li attribuiscano a Virgilio, non glieli attribuiscono, generalmente, i critici moderni; e poiché C. aveva scritto sulla spoliazione patita e aveva anche lui celebrato una Lydia, molti, a cominciare dal Giraldi (1690), hanno attribuito a lui i due componimenti. Alcuni li ritengono opera d'un tardivo imitatore di Virgilio, e certo sono il frutto d'un ingegno non comune, come dimostrano l'originalità del primo poemetto e la bellezza del secondo. Altri, pur rigettando la paternità di C., li assegnano all'età catulliana e a uno stesso poeta.
I frammenti in Baehrens, Poetae latini minores, Lipsia 1876-83, II, p. 73; Vollmer; Poetae latini minores, Lipsia 1916, I, p. 68.
Bibl.: Per la vita e le opere: G. Funaioli, Gramm. Rom. fragmenta, Lipsia 1907, p. 141 segg. Per tutte le questioni intorno alle Dirae e Lydia, cfr. oltre al Crusius, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl. d. class. Altertumswiss., V, col. 2289 segg., O. Ribbeck, Storia della poesia romana, Roma 1909, p. 359 segg.; F. Plessis, La poésie latine, Parigi 1909, p. 162 segg.; Schanz-Hosius, Gesch. der röm. Liter., Monaco 1927, p. 287; W. S. Teuffel, Geschichte der röm. Lit., I, 6ª ed., Lipsia 1916; O. Ribbeck, Appendix Vergiliana, Lipsia 1895; R. Sciava, Le imprecazioni e la Lydia, Pesaro 1898; N. Pirrone, Sui due poemetti "Dirae" e "Lydia", Teramo 1901; V. Ussani, Su le Dirae, Riv. di fil. class., XXX (1902); W. M. Lindsay, Notes on the Lydia, in The Class Review, XXXII (1918), pp. 62-63; id., in Amer. Journ. of philol., XLIV (1923), pp. 53-55; F. Ribezzo e R. Sciava, in Rivista indo-greco-italica, 1920; P. I. Enk, in Mnemosyne, XLVII (1919), p. 382 segg.; A. Monti, I poemetti Dirae e Lydia, Torino 1921; E. H. Alton, Notes on the Dirae and the Lydia, in Hermathena, XLIII, pp. 309-14.