MODESTI, Publio Francesco
– Di famiglia patrizia, il M. (non Pier Francesco come riferito da Clementini) nacque a Saludecio, presso Rimini, il 17 ag. 1471. Non si conoscono i nomi dei genitori, mentre sono noti quelli di due fratelli: Sebastiano e Giovanni Antonio.
Il toponimo Saludecio deriverebbe, secondo un’ipotesi dello stesso M., da Salus Decii, giacché la rocca su cui sorge il paese avrebbe dato salvezza a un membro della famiglia romana dei Deci (forse lo stesso imperatore vissuto tra il 201 e il 251) scampato al nemico. Questa origine si ritrova in una iscrizione composta nel 1547 dal M. e collocata all’ingresso del paese sulla Porta Marina, dove ancora si trova: «Subvenit historiae sed fama vetustior, et vox / quae duci a Decii ducta salute sonat: / invenisse etenim Decium hic ex hoste salutem, / testatur gemina voce Saludecium» (in Albini, p. 10).
Il M. compì i primi studi a Rimini, dedicandosi proficuamente alle materie umanistiche e scientifiche. Si avvicinò ai poeti latini, in particolare a Virgilio, che divenne il suo principale modello. Entrato nell’Ordine domenicano, diventò canonico a Rimini, ottenendone la cittadinanza, come ricordò egli stesso in un distico: «Prima Saludecium cunabula fovit ab ortu / donor Ariminea mox natu grandior urbe» (in Tonini, p. 331). Nel 1503 Rimini passò sotto il dominio veneziano, sottratta al dominio della Chiesa, che non cessò di rivendicare la propria giurisdizione su questo territorio. Da allora in avanti, il M. – come altri notabili riminesi – fu costretto a destreggiarsi su due fronti: da un lato, come membro di una delle famiglie notabili, doveva intrattenere rapporti con i dominanti veneziani; dall’altro, data la sua condizione di ecclesiastico, non poteva esimersi dall’avere relazioni con Roma. Già il 9 genn. 1504 il fratello Giovanni Antonio tenne un discorso in rappresentanza della Comunità dinanzi al doge per richiedere l’approvazione di alcuni capitoli.
Nel frattempo, il M. cominciò a raccogliere i primi consensi in ambito letterario. Al 1504 risale una Elegia dedicata al beato Amato Ronconi, patrono di Saludecio, destinata a una cospicua fortuna locale nel corso dei secoli. Ispirò la Vita composta nel 1518 dall’umanista Sebastiano Della Seta (Serico), conterraneo del M., rimasta inedita e tradotta in italiano agli inizi del Seicento da Giacomo Antonio Modesti (Vita del beato Amato di Saludeccio …, Rimini 1610). Il riconoscimento delle qualità umane e artistiche del M. fu sancito dalla convocazione a Roma presso la corte di Leone X. A Roma il M. si trovava certamente nel settembre 1515, quando venne raggiunto dalla notizia della vittoria di Francesco I a Melegnano, mentre a dicembre dello stesso anno si recò a Bologna al seguito della corte papale, in occasione della stipula del concordato tra Francesco I e il papa. Nel giugno 1517, pur risiedendo ancora a Roma, si spostò a Venezia, ospite della famiglia Lippomano, recando con sé un breve papale in cui veniva caldamente raccomandato al Senato per un poema latino che andava componendo, intitolato la Venetias, ossia Veneziade. Il 14 luglio si presentò al Maggior Consiglio, pregando che la Signoria si degnasse di accettare i dieci libri fino ad allora composti. Della circostanza parla anche Sanuto (XXIV, col. 473), che ricorda come l’opera fosse data in lettura a Francesco Bragadin, membro del collegio dei Savi del Senato. Dopo pochi giorni questi «referì di l’opera venetiana fata in versi heroici per domino pre’ Francesco Modesto ariminese, qual fu comessa a lui a vederla, et disse meritava esser premiato. Et fu concluso scriver una letera in corte […] di darli beneficii per ducati 300» (ibid., col. 509). Dunque il Consiglio si limitò a incaricare l’ambasciatore veneziano a Roma di richiedere alla Curia una rendita di 300 ducati per il M. nel territorio della Repubblica, con un gioco al rimpallo su cui Sanuto si lascia andare a facile ironia: «Il Papa ge lo racomanda a nui e nui lo rimandemo al Papa a premiarlo!» (ibid., col. 578). Non si conosce con precisione l’esito di queste trattative diplomatiche; dal 1522 il M. ottenne in effetti una pensione annua, ma sappiamo da una sua lettera a Bernardino Scotto del 1545 che non fu soddisfatto del trattamento ricevuto. Non è escluso che nella vicenda avesse pesato il risentimento di alcuni nobili veneziani offesi dal trattamento riservato loro nella Veneziade.
Tra le opere del M., tutte in latino, la Venetias è certamente quella più celebre e di maggior pregio poetico. Divisa in dodici libri, sul modello dell’Eneide virgiliana, fu composta tra il 1507 e il 1520, se è vero, come si legge nella dedica al doge Leonardo Loredan, che l’autore impiegò per scriverla un numero di anni pari a quello dei libri che la compongono. L’opera fu pubblicata a Rimini dal veneziano Bernardino Vitali nel novembre 1521, in un voluminoso in folio, a spese di un fratello dell’autore, il notaio Sebastiano. Sono presenti due dediche, la prima a Leonardo Loredan, sotto il cui dogado si colloca la maggior parte degli avvenimenti narrati, e l’altra al successore Antonio Grimani.
L’opera, di chiaro intento celebrativo, racconta in esametri latini la storia di Venezia, dalla sua fondazione mitica fino alle vicende belliche della Lega di Cambrai. Il M. finge che l’antico odio di Giunone, per i Troiani prima e per i Romani poi, si riversi sui Veneziani, il cui destino viene difeso da Venere. L’intreccio delle vicende attraverso cui si snoda e si sviluppa la gloria della Serenissima è scandito dal M. attraverso l’alternanza di episodi mitologici e fatti storici, minuziosamente ricostruiti sulle cronache dell’epoca. Nella descrizione di eventi contemporanei l’attenzione si concentra sulle imprese eroiche di Venezia che resiste all’esercito tedesco di Massimiliano I e dei suoi uomini: Niccolò Pitigliano, capitano delle truppe francovenete sul fronte veronese, e Bartolomeo Alviano, che guida la resistenza in Friuli e viene lodato come novello Cesare, assurgendo a eroe principale. In questo schema il M. riesce a inserire anche riferimenti autobiografici e alcuni richiami alla propria città d’origine e ai suoi signori, i Malatesta. La Veneziade, che, come si deduce dalla prima dedica, doveva essere la prima parte di un lungo poema storico, per quanto concerne l’arco temporale preso in considerazione (gli eventi bellici fino alla Lega di Cambrai) può essere avvicinata ai Rerum Veneticarum libri XII di Pietro Bembo, ma ispirò anche un omonimo poema celebrativo di Girolamo Vannino, la Venetiade leggiadrissima in terza rima infin ai primi seminari della terza guerra genovese (Venezia 1558). Dopo un iniziale successo, tuttavia, la Veneziade fu a lungo ignorata, forse anche a causa del ristretto numero di copie circolanti: molti esemplari erano infatti stati ritirati e soppressi per volontà delle famiglie patrizie che si erano ritenute «offese della non favorevole menzione fatta di esse» (Tonini, p. 342) nella rassegna dei nobili veneziani offerta dal M. nel libro decimo.
Il volume del 1521 contiene anche alcune opere minori del M. (per l’elenco completo cfr. Tonini, pp. 343 s.), tra cui un libro di Selve ed elegie dedicate a Francesco I di Valois e alla regina Claudia, alcuni epigrammi e meditazioni religiose e un Duellum inter Vidum Rangonem et Ugonem Pepulum.
Finché fu in vita Leone X, il M. poté contare su una protezione sicura. Agli inizi degli anni Venti gli fu affidata per un breve periodo una cattedra presso l’Archiginnasio romano, evento ricordato nel poemetto De poetis urbanis di Francesco Arsilli, del 1524, in cui il M. viene definito «Romani Gymnasii decus» (Albini, p. 30). Dagli anni Trenta in avanti non si conoscono con esattezza gli spostamenti del M., ma si può dar per certo che continuò a muoversi tra Venezia, Roma e il paese natale. Vi rientrò stabilmente verso il 1547, poiché a quell’anno risale la proposta di collocare all’ingresso di Saludecio la lapide con l’iscrizione sopra citata. Qui trascorse gli ultimi suoi giorni, in qualità di arciprete, dedito all’attività pastorale coadiuvato da due cappellani. Non trascurò tuttavia di rivolgere a distanza il debito ossequio ai nuovi papi via via eletti, come risulta dalle dediche di suoi componimenti poetici a Paolo III (Rimini, Biblioteca Gambalunga, Gambetti, f. 1483: Miscellanea manoscritta riminese, cc. n.n.) e a Giulio III (due orazioni Ibid., Sc., 939 [già fondo Gambetti, Sc., IV.84], Miscellanea umanistica, cc. 29-35 insieme con una Oratio ad Franciscum Donatum principem Venetum) e da una lettera indirizzata a Paolo IV in occasione della sua elezione (conservata in una miscellanea gratulatoria nell’Archivio segreto Vaticano, Castel S. Angelo, Arm. 8, Ordo 2, t. 2, p. 129; cfr. Pastor, p. 422).
Il M. morì a Saludecio il 17 marzo 1557. È un omonimo il Francesco Modesti fiorentino vivente nel 1577 citato in Quetif - Echard (II, p. 825).
A parte gli scritti encomiastici, la produzione poetica degli ultimi anni, abbandonata la vena epica che aveva ispirato l’opus maius, è caratterizzata da componimenti di natura religiosa e occasionale, che pure riscossero il giudizio benevolo di Lilio Gregorio Giraldi nei Dialogi duo de poetis nostrorum temporum, del 1551. Nel settembre 1552, a Rimini, presso E. Virginio, uscirono in un unico volume varie opere: Christiana pietas, De Dei opificio sesquiliber, Urbis Arimini elogium, Lucerna. La Christiana pietas è una raccolta di componimenti poetici religiosi, meditazioni, invocazioni alla Vergine, epigrammi indirizzati a personaggi famosi come Giulio III, destinatario di versi intrisi di formule adulatorie. Il De Dei opificio è un poema rimasto incompiuto, nonostante il titolo, al principio del secondo libro. A lungo cadute in oblio, alcune di queste opere minori trovarono nuovi estimatori nell’Ottocento, grazie all’interesse di eruditi romagnoli. Giuliano Anniballi parafrasò l’elogio di Rimini pubblicandolo in un opuscolo per nozze (Per le desideratissime sponsalizie celebrate nell’autunno dell’anno 1854 …, Rimini 1854) e tradusse il carme a Paolo III. Una riduzione della Christiana pietas fu edita e tradotta da Domenico Antonio Franzoni nel volume da lui curato Vita del beato Amato, Bologna 1818, pp. 130-135.
Fonti e Bibl.: M. Sanuto, I diarii, Venezia, XXIV, 1889, coll. 473 s., 509 s., 577 s.; G.A. Modesti, Vita del beato Amato di Saludeccio tradotta di latino in volgare per maggior commodita del popolo, dal molto reverendo, et eccellente m. Giacom’Antonio Modesti …, Rimini 1610; C. Clementini, Racconto istorico della fondatione di Rimino, e dell’origine, e vite de’ Malatesti …, I, Rimini 1617, p. 120; G. Malatesta Garuffi, Vita, e miracoli del b. Amato di Saludeccio descritti da Gioseppe Malatesta Garuffi riminese, Venezia 1693; J. Quetif - J. Echard, Scriptores Ordinis praedicatorum recensiti notisque historicis et criticis illustrati …, II, Lutetiae Parisiorum 1721, p. 825; C. Tonini, La coltura letteraria e scientifica in Rimini dal secolo XVI ai primordi del XIX, I, Rimini 1884, pp. 330-345; G. Albini, Il M. e la «Veneziade», Imola 1886; L. von Pastor, Storia dei papi, VI, Roma 1944, pp. 230, 422; R. Fabbri, La «Veneziade» di P. F. M., in Studi umanistici piceni, XXVIII (2008), pp. 109-116.