PUBLICANO (publicanus; τελώνης)
Era nell'antichità colui che prendeva ad appalto le imposte, pagando allo stato una certa somma per il prodotto di una tassa che esigeva poi per mezzo dei suoi uomini e per proprio conto. I publicani erano quindi gli esattori del publicum, sinonimo di vectigal, ossia delle imposte, che formando una rendita dello stato, erano di proprietà pubblica.
In Grecia avevano l'appalto delle pubbliche entrate ed erano molto odiati, disprezzati e vilipesi. In Roma formavano una classe assai potente e ricca. Appartenevano generalmente all'ordine equestre, non essendo decoroso l'ufficio per i membri dell'ordine senatorio. Ricevevano dai consoli l'appalto delle imposte dirette per conto dello stato. Le imposte che rilevavano erano la tassa sui terreni, la tassa sui pascoli, esatta dai publicani pecuarii, la tassa sulla terra arata, percepita dai publicani aratores, la decima sul grano e i cereali, dai publicani decumani, e i diritti di dogana (vectigalia). Il publicano che rilevava direttamente le imposte, per trarre profitto del contratto stipulato con lo stato aveva bisogno di nulla lasciar perdere di ciò che gli era dovuto, era quindi lungi dall'essere popolare. Le ricchezze da lui accumulate non riuscivano a renderlo un personaggio di grande credito e influente. Nuoceva alla sua reputazione anche l'avidità e la mancanza di scrupoli dei suoi subalterni. I publicani costituivano una corporazione speciale (ordo publicanorum). Le ingenti somme occorrenti per far fronte ai grandi appalti di imposte resero necessaria la formazione di società (societates) per azioni con dividendo, che ben presto vennero a formare una potente aristocrazia del denaro. Queste società rette da magistri furono molto più numerose e potenti durante il periodo repubblicano; nell'impero ebbero minore importanza. La loro attività fu ridotta all'istituzione di funzionarî imperiali dell'ordine equestre, il cui ufficio era precisamente quello di riscuotere direttamente nelle provincie, per conto del governo centrale, le imposte di maggior gettito. Rimasero appaltate soltanto il portorium, o dazio marittimo che si riscuoteva sopra le esportazioni e le importazioni di merci, e qualche altra tassa di carattere daziario gravante sull'introdursi delle merci in provincie o in città. Anche il termine publicanus, durante l'impero, andò gradatamente in disuso e fu sostituito dal titolo di socii o di conductores. Rarissimo è l'appellativo di publicani, quali appaltatori di tasse nei municipî (Corpus Inscr. Lat., XIII, 7623). Nelle provincie, contro le angherie dei publicani si faceva ricorso al governatore; se questi avesse preso dei provvedimenti contro i publicani, essi, per vendetta, accusavano alla loro volta il governatore. I governatori avidi si accordavano sovente con i publicani per difendersi a vicenda e per dissanguare i sudditi. Fra i publicani va rilevata la figura di Matteo che, ubbidiente all'appello di Gesù, lo seguì abbandonando il telonio, e divenendo suo apostolo ed evangelista (Mutth., V, 46; IX, 10, 11).
Bibl.: F. Kniep, Societas publicanorum, Jena 1896; R. Cagnat, in Daremberg-Saglio, Dictionnaire des antiquités grecques et romaines, Parigi 1907, IV, p. 752 segg.; M. Rostowzew, Geschichte der Staatspacht in der röm. Kaiserzeit bis Diokletian, Lipsia 1903.