pubblico (publico; pluvico)
Nell'accezione propria di " comune a tutti ", " appartenente a tutti ": Torquato mandò a morte suo figlio per amore del publico bene, cioè per il bene della patria (Cv IV V 14; anche nella Monarchia sono ricordati i Deci, qui pro salute publica devotas animas posuerunt, II V 15); Giustiniano chiama pubblico segno l'aquila romana, simbolo della monarchia universale, " quae est signum comune iustum " (Benvenuto), e deplora l'antagonismo del partito guelfo e del ghibellino, che tende a rompere l'unità da quel segno, appunto, rappresentata: L'uno al pubblico segno i gigli gialli [l'emblema della casa di Francia] / oppone, e l'altro appropria quello a parte [" restringe il significato dell'aquila, considerandola come emblema proprio ", Casini-Barbi], / sì ch'è forte a veder chi più si falli (Pd VI 100: cfr. Mn II I 6 regum et principum, qui gubernacula publica sibi usurpant).
La forma ‛ piuvico ' (attestata nel latino medievale la forma plubicus, per metatesi da publicus), presente nel sonetto anonimo Ai lasso, di che sono io blasimato 11 " non può durare / biasimo dato a sì piuvico torto " (Panvini, Rime 599), ricorre in Rime LXXVII 8: Forese Donati è piuvico ladron negli atti sui, " cioè notorio, famoso (in atto bolognese del 1284: ‛ Dicit etiam eum esse latronem publicum et famosum ') ": così il Barbi, che ricorda anche il " ladro piuvico " di Boccaccio (Dec. IX 5 53), avvertendo che si trattava di " una delle più comuni ingiurie ".