Pubblicità
La pubblicità consiste nell'insieme delle modalità e degli strumenti usati per segnalare l'esistenza e far conoscere le caratteristiche di merci, servizi, prestazioni di vario genere, attraverso i messaggi ritenuti più idonei per il tipo di mercato cui sono indirizzati. Il corpo è inscritto nella ragion d'essere stessa della pubblicità che, quale tecnica di comunicazione intenzionale, persuasoria, di massa, ha il corpo sia come destinatario sia come soggetto. Alluso, evocato o direttamente raffigurato, il corpo è sempre presente a significare la desiderabilità dei prodotti e la perseguibilità, in virtù del potere taumaturgico delle merci, di ruoli sociali, stili di vita e situazioni esistenziali appaganti.
l. Il corpo come destinatario della pubblicità
La pubblicità attiene prevalentemente all'ordine della cultura materiale, di quel sapere e di quel fare che muovono dai bisogni dell'individuo per soddisfarli su un piano che, pur essendo elaborato simbolicamente, è anzitutto fisico e concreto. La pubblicità di beni e prodotti a carattere propriamente culturale è invece piuttosto limitata sotto il profilo sia quantitativo sia espressivo. Soprattutto quando si tratta di cultura alta (produzioni artistiche), ma anche di cultura di massa (prodotti televisivi, cinematografici, editoriali), gli investimenti economici sono scarsi e i codici di comunicazione piuttosto elementari. La persuasione al consumo, in questi casi, resta perlopiù indiretta e affidata ad altre forme di comunicazione. Diviene così determinante il rilievo, o 'clamore massmediatico', che quel prodotto o evento culturale è riuscito a ottenere nei programmi televisivi o sulle pagine di giornale. Così pure acquista un notevole peso il passaparola fra coloro che hanno fruito di quella performance teatrale o di quella mostra e li suggeriscono ad altri. Anche quando esiste un messaggio specifico e mirato, questo si muove più sul registro informativo che su quello persuasivo: gli striscioni che annunciano un concerto, le 'finestrelle' che, sulle pagine di giornale, incorniciano la copertina di un libro o i trailers che anticipano le sequenze chiave di un film si limitano a dare visibilità a ciò che reclamizzano, trasmettendone gli aspetti denotativi senza costruirvi intorno un discorso suggestivo e imbonitorio.
La pubblicità dunque è prevalentemente rivolta alla sfera materiale del consumo; i maggiori investimenti si riversano nei comparti merceologici dell'igiene, dell'automobile, dell'alimentazione, dell'abbigliamento, della cosmesi e, in ultima analisi, nel territorio del corpo.
Anche le campagne pubblicitarie più espressive e creative, quelle più elaborate dal punto di vista dei linguaggi, ruotano intorno alla fisicità del mangiare, del bere, del guidare, mettono in scena i gesti dell'accudirsi, dell'abbellirsi e così via. Da questo punto di vista, il corpo è senz'altro il destinatario privilegiato della pubblicità. Non si tratta evidentemente solo del corpo naturale e fisiologico ma anche e soprattutto di quello culturale. Così come nel consumo delle società avanzate i bisogni fisici sono inscindibili da quelli estetici e psicologici, nella pubblicità gli aspetti organolettici e funzionali di un prodotto (il suo valore d'uso) non sono separabili da quelli simbolici (il suo valore di scambio). Anzi la pubblicità svolge il ruolo di valorizzare e codificare i significati immateriali di un bene di consumo, i suoi elementi connotativi, la sua rielaborazione sul registro dell'immaginario collettivo. Anch'essa, come il cinema, è una fabbrica di sogni, ma quelli che produce sono appunto i 'sogni del corpo' o più propriamente i 'sogni più felici' del corpo.
Il cinema ha una funzione artistica: nella sua libertà tematica ed espressiva può dare corso agli incubi e ai 'brutti sogni', nel suo forte 'contenuto d'anima' può ospitare angosce, paure e fantasmi. La pubblicità, invece, ha una funzione commerciale: nelle sue finalità persuasive tende a vendere miraggi e illusioni, nel suo rilevante spessore corporeo ad accogliere quasi necessariamente gratificazioni e piaceri. C'è una grande promessa di benessere che rinnova senza soluzioni di continuità al suo destinatario, il corpo. Quello a cui si rivolge la pubblicità è in fondo il corpo nostalgico della felicità primaria; è il corpo perduto della beatitudine infantile, per il quale ogni desiderio è realtà; è il corpo restituito alla 'madre buona', al suo sguardo di approvazione, alle sue cure, alle sue parole rassicuranti: corpo nella sua dimensione ideale, bello e degno di godimento. Si ritrova nella pubblicità una promessa di onnipotenza ed euforia che si rivolge anzitutto al corpo reale, sollevandolo dal limite della frustrazione, dell'imperfezione e del dolore per elevarlo in una condizione mitica di appagamento illimitato. Liberandolo dal peso e dalle fatiche del 'principio di realtà', la comunicazione pubblicitaria inventa per il corpo un mondo idilliaco nel quale domina il 'principio di piacere'. In Italia lo sviluppo di questo corpo utopico, massimo destinatario della pubblicità, è stato piuttosto lento e tortuoso, così come è avvenuto per lo sviluppo dell'industria, la crescita dei consumi e, parallelamente, la diffusione della cultura laica ed edonistica. Ha cominciato ad affacciarsi negli anni Sessanta del 20° secolo, per imporsi negli anni Ottanta e avere definitivo successo negli anni Novanta (v. oltre). Per lungo tempo, invece, la pubblicità ha continuato a rivolgersi al corpo degli happy few.
Dai primi anni del secolo fino al secondo dopoguerra era il corpo aristocratico il vero beneficiario della promessa di felicità insita nel consumo. A un consumo che era sinonimo di rarità e distinzione corrispondeva il corpo 'eletto' di chi era stato favorito dal privilegio sociale. Non si trattava del corpo dei giorni nostri cui tutti possono ambire (almeno virtualmente), ma di quello inavvicinabile dalla gran massa degli individui, strutturalmente esclusa da un mercato ristretto a pochi beni di lusso. È solo con la società affluente, con l'abbondanza delle merci, la propagazione sociale del loro consumo e la democratizzazione del loro portato edonistico che il corpo destinatario della pubblicità si è allargato ai diversi segmenti socioculturali della popolazione. Non più riservata al 'corpo dei pochi', la pubblicità moderna ha rivolto i suoi messaggi al 'corpo di tutti' in un moltiplicarsi di prodotti, promesse, rappresentazioni e lusinghe.
La pubblicità è uno specchio magico del sociale: lo riflette sotto la luce idealizzante del consumo. I modelli di riferimento cui più si aspira e le situazioni esistenziali maggiormente appaganti prendono forma a contatto con il potere taumaturgico delle merci. La seduzione della pubblicità consiste nel mettere in scena un immaginario tutto al positivo, siglandolo volta per volta con una delle marche presenti sul mercato. In questo gioco di magico rispecchiamento che tutto trasfigura e bonifica, il corpo è senza dubbio il grande protagonista. Che sia alluso ed evocato o, come più spesso succede, direttamente raffigurato, esso è sempre presente a significare la desiderabilità delle merci, a incarnare quel principio di piacere che la pubblicità celebra e ritualizza in ogni atto di consumo.
Tuttavia il corpo assume una presenza significativa anche all'interno del filone pubblicitario trasgressivo: quello che utilizza codici di rottura e forza le 'porte dorate' del consumo per immettervi il lato d'ombra altrimenti rimosso, le componenti oscure di sofferenza, perversione e ambiguità. Ne è esempio uno dei manifesti più provocatori di O. Toscani, che ritrae appunto un bambino nei primi minuti di vita, piangente, con la pelle ancora ricoperta di muco, sangue, escrementi. La stessa pubblicità decadente, che mette in scena fantasmi e angosce della fine del 20° secolo, è tutta abitata dal corpo: proviene soprattutto dai settori merceologici della moda e dei profumi e costruisce atmosfere sadomasochistiche popolate di espressioni di sfida, posture perverse, abbracci ambigui, in bilico tra la passione e lo scontro fisico, oggetti infranti e riti vodù.
Nell'ambito di questa presenza pervasiva e protagonistica del corpo nella pubblicità contemporanea, è possibile individuare funzioni differenziate in relazione agli scopi comunicativi e rappresentazioni variabili (v. oltre) in rapporto all'evoluzione storico-sociale. Il ruolo comunicativo del corpo può essere articolato in sette specifiche funzioni, quattro delle quali si rifanno direttamente a quelle individuate da R. Jakobson nei suoi studi di linguistica: fàtica, referenziale, emotiva, poetica. Queste sette funzioni, che possono presentarsi isolate oppure associate, a seconda del tipo di messaggio, rappresentano strutture costanti, un manifestarsi del corpo che resta piuttosto invariante e indipendente dal mutamento socioculturale e dall'evoluzione pubblicitaria. La prima e fondamentale funzione è quella fàtica. Il corpo è lì a stabilire un contatto visivo, a dotare il messaggio pubblicitario di 'attenzionalità'. Indipendentemente dai significati che assume, esso, in questo caso, costituisce un richiamo, un aggancio immediato per lo sguardo del destinatario. A partire dal pionieristico 'uomo sandwich' fino ai più sofisticati spot e manifesti pubblicitari, viene a essere una Gestalt buona, un catalizzatore e un veicolo percettivo di sicuro impatto per il messaggio commerciale. Lo stimolo sarà tanto più efficace quanto più il corpo rappresentato avrà caratteristiche di intensità cromatica, morfologica, estetica. Così pure l'efficacia dello stimolo dipenderà dal contenuto affettivo e simbolico del tipo di corpo prescelto: quello del cucciolo (bambino o animale) come quello della donna costituiscono esempi ipercodificati di attenzionalità.
Esiste tuttavia una capacità segnaletica intrinseca e propria del corpo in quanto tale: la sua natura animata e il suo carattere vivente producono, in generale, una sorta di 'lampeggiamento', uno stimolo forte cui diviene più improbabile sottrarsi. La seconda funzione è quella referenziale o cognitiva. Il corpo serve a inserire il prodotto nel suo contesto merceologico e a chiarirne le caratteristiche primarie. Un corpo seduto a tavola situerà il prodotto nel comparto alimentare, così come uno immerso in una vasca da bagno segnalerà l'appartenenza del prodotto alle toiletries. In questo caso il corpo e il prodotto pubblicizzato stabiliscono un rapporto di massima pertinenza, che tuttavia si svolge sul piano semantico più elementare: quello della denotazione. Il corpo si farà così significante del valore d'uso, veicolerà in modo piuttosto chiuso e univoco la ragion d'essere fondamentale e tangibile del prodotto. La terza funzione, di tipo sensoriale, è volta a provocare nel destinatario una risposta fisica omologa a quella che precede, accompagna o segue l'atto di consumo. Un viso accaldato stimolerà la sete, così come una bottiglia ricoperta di goccioline potrà virtualmente soddisfarla. Una pelle disidratata susciterà quel senso di aridità che poi verrà eliminato dalla spalmatura di un cosmetico nutriente e cremoso. L'occlusione delle vie respiratorie potrà essere ricreata per pubblicizzare l'efficacia di uno spray decongestionante; la ruvidezza di un asciugamano per esaltare quella di un ammorbidente. È attraverso questa funzione che i messaggi pubblicitari esaltano i valori polisensuali dei prodotti.
Ricostruendo stimoli di carattere visivo, olfattivo, gustativo, tattile, essi cercano di colpire i sensi del destinatario e adottano modalità 'fisiche' di persuasione che si rivolgono al corpo nel modo più diretto e immediato. La quarta funzione è quella emotiva che assegna al corpo il compito di esprimere l'effetto psicologico di un atto di consumo. La mimica facciale, i gesti e le posture sintetizzano tutta l'atmosfera affettiva di cui si ammanta il mittente della comunicazione: il prodotto-marca. Al consumatore-destinatario viene promessa una serie di sentimenti e stati d'animo che possono variare dal divertimento alla tenerezza, dalla cordialità all'amore, e che rientrano generalmente nel registro della gioia. Il corpo pubblicitario è un corpo che ride o sorride, abbraccia, esulta e si abbandona senza soluzione di continuità, ribadendo il lato più appagante dell'esistenza anche dal punto di vista dei sentimenti.
Fa eccezione, come già anticipato, un filone trasgressivo sorto nella seconda metà degli anni Novanta del 20° secolo e composto perlopiù di campagne internazionali globali rivolte contemporaneamente a più paesi del mondo: pur minoritario, è decisamente in crescita ed esprime una sprovincializzazione e ibridazione della pubblicità italiana, che viene ad allinearsi alla spregiudicatezza di quella francese e anglosassone e a contaminarsi con altri generi espressivi (il cinema anzitutto). La quinta funzione è quella poetica. Il corpo è usato per la messa a punto di uno stile di comunicazione ricercato. La sua presenza diviene in questo caso ritmica, innovativa e divergente rispetto ai cliché estetici della pubblicità. A volte può trattarsi anche di un corpo asemico, a volte addirittura controsemantico. Esso non è utilizzato soprattutto o soltanto per significare qualcosa a proposito del prodotto, quanto per stabilire una complicità culturale tra l'autore del messaggio e il suo destinatario. Questa funzione del corpo compare generalmente nelle pubblicità per i prodotti ad alto costo e a elevato contenuto d'immagine. La sesta funzione è quella sociale. Il corpo si fa supporto e 'produttore di segni' atti a significare status e stile di vita, a indicare una determinata posizione e un certo livello di integrazione sociale. Esso diviene così un simbolo di appartenenza reale o a cui si aspira. Fabbricato in base ai valori egemoni in quella determinata fase sociale, si abbiglia di tratti somatici, espressioni, contegni e oggetti stereotipici.
Associato a un certo consumo, questo corpo-maschera diviene una promessa di inclusione nei gruppi anagrafici, nei ruoli professionali e nelle figure sociali che costituiscono i modelli di riferimento più attuali e condivisi. Rispecchiarsi e proiettarsi in quel corpo (che utilizza quel prodotto) costituisce una sorta di promozione, di adeguamento o, quanto meno, di conferma sociale: che si tratti della casalinga modello, del manager vincente, del giovane spensierato, della donna raffinata o del tecnico affidabile, il compito del corpo resta quello di codificare l'immagine di sé più accettabile e degna di ammirazione per gli altri. La settima funzione è quella simbolica. Come in quella referenziale, il corpo stabilisce in questo contesto un legame di stretta pertinenza con la merce pubblicizzata. Il rapporto di pertinenza si svolge però al livello più elevato di significazione: quello connotativo. Il corpo, in questo caso, viene a veicolare i significati secondari di un atto di consumo; si fa metafora, metonimia o emblema dei valori allusivi e affettivi, del sovrappiù di senso di cui è portatore il prodotto. Diviene il simbolo del valore di scambio di quest'ultimo, della sua componente immateriale e intangibile.
Così, per es., un busto muscoloso trasmetterà i valori archetipici di bellezza e forza virile, una silhouette sinuosa, al contrario, comunicherà quelli di morbidezza e armonia femminile; analogamente, un corpo snello farà riferimento alla modernità di quel consumatore, mentre un corpo associato al piercing e al tatuaggio parlerà del contenuto di attualità e di moda di un certo prodotto.
Le raffigurazioni del corpo si sono andate differenziando e moltiplicando insieme all'evolversi della comunicazione pubblicitaria, della civiltà industriale e dell'intero contesto socioculturale (v. L'immagine del corpo nei nuovi media). In realtà, come si è accennato in precedenza, il precisarsi e l'articolarsi della pubblicità del corpo hanno rappresentato un processo piuttosto lento ed esitante rispetto ai salti, le scosse e le rotture caratterizzanti le diverse fasi storiche del Novecento. La messa in scena del corpo è esplosa in pubblicità solo in tempi relativamente molto recenti, sull'onda di una serie di fenomeni che vanno dalla laicizzazione di una società cattolica come quella italiana, alla liberalizzazione dei costumi sessuali, piuttosto castigati fino al 1968, all'emancipazione della donna e alla rivalutazione sociale dei valori di cui è portatrice (inclusi appunto quelli della materia, della sensualità e della sensorialità).
Delle otto modalità di rappresentazione del corpo che si possono individuare nella storia della comunicazione pubblicitaria, ben cinque appartengono agli ultimi venti anni del Novecento, anni che del resto hanno segnato anche lo sviluppo impetuoso dei mass media con il loro utilizzo spettacolare ed erotico della fisicità di attori, cantanti, soubrette e top model.
a) Il manifesto pubblicitario e il corpo ornamentale. La pubblicità d'artista rivolta a un'élite sociale ebbe vita molto lunga quanto il tipo di corpo che rappresentava. Dai primi anni del secolo fino alla ricostruzione industriale, il corpo in pubblicità assume una funzione poetica e si propone come elemento grafico e pittorico volto a sollecitare la complicità di un destinatario colto e privilegiato. È un corpo 'astratto' e 'disincarnato', un insieme di linee e colori, tanto affascinanti quanto irreali e fantastiche, che risentono dell'influenza delle correnti artistiche del tempo: dallo Jugendstil, al futurismo, al Bauhaus. Nel primo ventennio sono perlopiù i personaggi femminili a popolare le affiches.
Solo negli anni Trenta, con l'esplodere della mitologia vitalistica e del culto della macchina, il corpo della donna perde la sua predominanza figurativa e diventa comprimario condividendo gli spazi cartellonistici con le automobili, ritratte in modo celebrativo e magniloquente e con il corpo di uomini prometeici che simboleggiano la possanza virile. Le donne raffigurate nei cartelloni sono comunque il simbolo più pregnante della pubblicità di tutto quel periodo: sono l'effige dell'estetica stessa con i suoi valori di bellezza, levità, eleganza. Ad accentuare l'irrealtà delle loro figure eteree, che sembrano quasi apparizioni, ci sono le inquadrature laterali o di schiena e i tratti del volto appena accennati, quando presenti. Le loro azioni sono perlopiù elitarie, come i consumi che reclamizzano, e consistono nella lettura del giornale, nell'esibizione di un pezzo di argenteria, nella contemplazione di un gioiello. I loro corpi possono presentarsi nudi solo grazie a quell'aura mitologica che restituisce loro una sorta di innocenza e di purezza divina. Altrimenti sono ipercoperti, a valorizzare la preziosità di abiti e accessori, come nella serie dei Magazzini Mele di Napoli, ideata da uno dei più grandi cartellonisti italiani: M. Dudovich. Un altro grande cartellonista, L. Cappiello, nel definire la sua opera e i suoi simboli chiave, usò il termine 'arabesco', che può essere esteso a tutta la trattazione del corpo nella réclame: in quanto corpo d'élite, il corpo pubblicitario di quel periodo implicava infatti quasi necessariamente una trasfigurazione artistica, esigeva un utilizzo pittorico e ornamentale che lo smaterializzasse confermandone le connotazioni più aristocratiche.
b) La ricostruzione e il corpo fiorente. Nel 1946 esce un manifesto nel quale G. Boccasile ritrae, per una ditta produttrice di profumi e ciprie, una ragazza florida e gioiosa a seni scoperti. Della nudità mitologica dei manifesti precedenti, la ragazza conserva solamente la cornice, mentre il suo corpo appare decisamente carnale, pulsante. Il manifesto di Boccasile verrà presto censurato e il corpo della donna non lascerà molte tracce nella pubblicità di questo periodo. Vi domina infatti la grafica di E. Carboni che alla figura umana preferisce l'uso figurativo del marchio e degli utensili collegati al prodotto; così come vi ricorre l'umorismo bonario di A. Testa, G. Rossetti, R. Savignac, che inventano pupazzi tanto simpatici quanto asessuati e stilizzati. Tuttavia le nuove tendenze grafiche del manifesto e l'atmosfera perbenista degli anni non sono comunque sufficienti a sopprimere del tutto la raffigurazione di un corpo più carnale e sensuale, ancora una volta prevalentemente, femminile che, con la moda delle maggiorate, diventerà il simbolo stesso della rinascita del paese. In diversi annunci stampa e in alcuni manifesti la donna è ora raffigurata in modo più realistico, di frequente attraverso primi piani e inquadrature frontali, ad aggiungere 'verità' e 'vivezza' alla sua presenza. Le sue pose sono più seducenti e allusive con l'ostentazione di labbra e gambe. È questa una donna 'divistica', sia per la rarità sia per la qualità della sua apparizione. A volte coincide con le attrici hollywoodiane come nella pubblicità storica di un sapone "Il sapone di 9 stelle su 10", ma altre volte è una donna anonima che di divistico possiede soltanto la fierezza del corpo seducente, come nel caso del celebre "Fascino Camay che fa girar la testa".
c) Carosello e l'eclissi del corpo. Il programma televisivo Carosello, che esordisce nel 1957 come fenomeno tipicamente italiano, esprime, insieme a una forte dose di creatività e di simpatia, tutto il ritardo con cui la pubblicità e la stessa cultura del corpo hanno trovato pieno diritto di cittadinanza in Italia. La presenza pervasiva del cattolicesimo, del pregiudizio antindustriale (politicamente 'bianco' o 'rosso' che fosse) e di un'economia ancora fortemente agricola hanno prodotto una diffidenza profonda e resistente nei confronti dei valori edonistici e materialistici del consumo. Carosello ha costituito per quasi venti anni una sorta di occultamento della pubblicità con la sua struttura narrativa che relegava in fondo, in un 'codino', prevalentemente slegato dalla storia, il messaggio commerciale. E con la pubblicità è stato occultato anche il corpo, che lungi dall'essere celebrato ed esibito, era oscurato da una forte e rigorosa tutela della decenza. Del corpo gioioso degli anni Sessanta e di quello 'liberato' degli anni Settanta non c'è quasi traccia negli sketch dell'epoca. Trionfa invece il 'corpo di scena' dei nostri più celebri attori, cantanti, presentatori e quello dei pupazzi che hanno popolato l'immaginario infantile di alcune generazioni di italiani: da Lancillotto all'Ippopotamo Pippo, da Topo Gigio a Susanna Tutta Panna, da Calimero Pulcino Nero a Papalla. Le stesse pubblicità che si rivolgono direttamente al corpo esprimono una forte dose di perbenismo. Valga per tutti l'esempio della lunga e famosa serie di sketch ideata per la reclamizzazione di un prodotto farmaceutico, che ha dato vita a un interminabile giro e gioco di parole per comunicare il suo messaggio in modo assolutamente eufemistico: "Quando si dice Falqui basta la parola"; le avventure linguistiche di T. Scotti (interprete della serie), infatti, altro non erano che un modo divertente e fantasioso per aggirare il pervicace divieto di pronunciare il termine 'lassativo' in televisione.
d) La contestazione e il corpo spregiudicato. La figura sensuale di S. Stubing, la giovane bionda che avanza dicendo "Chiamami Peroni sarò la tua birra" rappresenta, oltreché uno dei 'caroselli' più celebri in assoluto, il grande esordio di una trattazione spregiudicata del corpo. Il primo di questa serie risale infatti al 1968, mentre è nel pieno degli anni Settanta che cominciano a comparire le immagini di corpi femminili ad alto contenuto erotico. Tra queste spiccano, per impatto e notorietà, quella che, per reclamizzare una marca di jeans, mostra il primo piano di glutei femminili in hot pants accompagnato dallo slogan "Chi mi ama mi segua", e quella adottata da un'azienda petrolifera in cui è raffigurata una donna rossa e fiammante con in mano la pistola di una pompa di benzina, cui si riferisce allusivamente lo slogan "Scappa con Superissima". Nonostante le accuse di mercificazione del corpo della donna che riceveranno, questi annunci esprimono comunque il liberalismo sessuale che si sta diffondendo nella società italiana. E, nello stesso tempo, sono fra i pochi esempi menzionabili in un panorama pubblicitario altrimenti grigio, compresso in una dimensione piuttosto razionale e informativa dalla revisione critica marxista sul consumismo e dall'emergenza della crisi petrolifera, con i suoi effetti di depressione economica e, conseguentemente, di austerità.
e) Gli anni Ottanta e il corpo euforico. Edonismo e narcisismo, valori egemoni di questo decennio, sono l'humus migliore per l'affermarsi di un vero e proprio culto del corpo di cui la pubblicità è senza dubbio la maggiore officiante. Riscattandosi da tutte le negazioni, le censure e i precetti cui era stato sottoposto in passato, il corpo ottiene grande visibilità e legittimazione sociale, divenendo il protagonista di importanti fenomeni di consumo nel campo della moda e, più in generale, della bellezza. Nell'era delle griffe, del body building e dei sostituti del pasto, il paradigma corporeo è profondamente esteriorizzato. La pubblicità costruisce e diffonde questo paradigma con il ricorrere di corpi 'belli e in forma': corpi asciutti, scattanti, alla moda; corpi colti nella loro efficienza narcisistica mentre si rispecchiano negli oggetti di consumo; corpi che, peraltro, appartengono anche all'uomo mentre si riappropria dell'attenzione al suo aspetto. La pubblicità di un olio di semi, con il famoso salto della staccionata, costituisce l'esempio più longevo e didascalico degli aspetti efficientistici e maschili che l'euforia del corpo assume nella pubblicità, così come nella società, degli anni Ottanta. I superposter di G. Armani con i loro modelli scultorei e la campagna televisiva di una ditta di cosmetici ("Scolpisci i tuoi capelli") esprimono da parte loro la concezione imperante di un corpo tutto da costruire: nel look come nel tono muscolare e nell'acconciatura. E tale costruzione deve essere fatta per rappresentarsi agli altri. Tra le funzioni del corpo domina infatti quella sociale nella quale esso, appunto, si fa strumento di comunicazione del proprio stile di vita e oggetto privilegiato di un processo di estetizzazione della vita quotidiana.
f) Il boom dell'abbigliamento intimo e il corpo erotico. Con l'inizio degli anni Novanta e l'annessione degli indumenti intimi da parte della moda, la rappresentazione erotizzata del corpo riceve un forte impulso nella pubblicità italiana. Seminudità e pose sexy ricorrono disinvolte negli annunci di reggiseni, slip e mutandine, grazie a una particolare pertinenza merceologica: se l'intento seduttivo è nella ragion d'essere stessa della moda intima, i messaggi che lo pubblicizzano non possono che assecondarlo e anzi esaltarlo. In pochi anni l'uso sensuale del corpo si diffonde però nella comunicazione di altre categorie di prodotto, perdendo così la sua funzione semantica denotativa e connotativa per divenire invece un elemento segnaletico e svolgere quella funzione fàtica, classicamente usata sulle copertine dei periodici, allo scopo di stimolare l'acquisto d'impulso. Anche grazie ai mass media, la legittimazione sociale del nudo si fa via via maggiore. Il corpo ostentato, parcellizzato e ritagliato nelle sue zone più erotiche, i glutei, i seni, il ventre ecc., diviene un nuovo stereotipo pubblicitario che riguarda in misura pressoché analoga uomini e donne. La reificazione del corpo, storicamente associata alla donna, assume così un ruolo unisex, in una sorta di par condicio alla rovescia, e si colora di tinte talora hard soprattutto nei messaggi pubblicitari rivolti ai giovani.
g) La cultura olistica e il corpo armonico. Nella seconda metà degli anni Novanta e con il diffondersi della cultura New age, si fa strada una concezione più autodiretta e introflessa del corpo, che viene alleggerito degli obblighi di rappresentanza sociale e, almeno in parte, restituito alla sua fisicità. La pubblicità che mette in scena questo modello corporeo è ancora scarsa, esitante: attiene ad alcune acque minerali, alle linee di profumi eau fraîche, a qualche idromassaggio e centro estetico. È comunque piuttosto coerente nel costruire un messaggio complessivo di armonia e integrità. Il corpo, in questo filone pubblicitario, è riportato ai canoni classici di bellezza, equilibrio e proporzione, e caricato di significati cerimoniali vagamente magico-religiosi. Quasi sempre è ritratto nudo ma entro un alone di innocenza, come se si trattasse della nudità primigenia. Talora è metonimicamente associato alla natura cosmica e ai quattro elementi generatori, acqua, terra, aria, fuoco, talaltra ai fiori e alla vegetazione. Ricolmo e traboccante di luce, è valorizzato soprattutto per lo splendore della pelle, l'organo più sensibile e delicato, lo specchio più diretto del benessere psicofisico e dell'equilibrio ecologico di un individuo. Inserito in contesti scenici ricchi di trasparenze e sfumature cromatiche, questo modello assume una funzione comunicativa a tutto campo, insieme referenziale, sensoriale, emotiva, poetica, sociale e simbolica. h) Fine secolo e corpo perturbante. Sotto l'influsso di spinte decadenti che serpeggiano nell'immaginario collettivo, prende forma un filone pubblicitario dove il corpo assume tinte più torbide e ambigue. In questo filone, rivolto prevalentemente ai giovani e presente soprattutto nelle campagne internazionali di prodotti con forti implicazioni erotiche, come gli alcolici, i profumi, i deodoranti per uomo e i gioielli, il corpo diviene interprete di inquietudini, ansie e fantasmi, e assume tre sembianze fondamentali. La prima è quella del 'corpo androgino', a drammatizzare la riduzione sociale delle differenze sessuali. Nella pubblicità dei profumi unisex compaiono, per es., coppie uomo/donna molto simili e simmetriche per acconciatura, postura, muscolatura, abbigliamento. La seconda è quella del 'corpo dionisiaco', simbolo di tutta la carica trasgressiva e debordante delle passioni. Ci sono esempi di corpi perversi, messi al centro di triangoli erotici ad alto rischio, ed esempi di corpi selvaggi, che si scatenano per effetto di un'attrazione fatale. La terza forma della rappresentazione perturbante è il 'corpo emarginato' che riemerge dall'ombra nella quale era stato gettato dalla pubblicità idilliaca rivendicando una sessualità poco conforme, come quella degli omosessuali, dei bisessuali e degli anziani, o esibendo un corpo repulsivo, grasso e cadente. In tutti questi casi il corpo si allontana dal comune senso del pudore e del bello per provocare straniamento e dissonanza cognitiva. È infatti un corpo estremo e un po' trash che sbandiera 'disvalori' convenzionalmente rimossi, come la caducità, la bruttezza, la perversione, e intende prendersi gioco del cliché pubblicitario positivo e rassicurante.
r. barthes, Système de la mode, Paris, éditions du Seuil, 1967 (trad. it. Torino, Einaudi, 1970).
p. bourdieu, La distinction. Critique sociale du jugement, Paris, éditions de Minuit, 1979 (trad. it. Bologna, Il Mulino, 1983).
g.p. ceserani, Storia della pubblicità in Italia, Roma-Bari, Laterza, 1988.
g. falabrino, Effimera e bella. Storia della pubblicità in Italia, Torino, Gutenberg 2000, 1990.
u. galimberti, Il corpo, Milano, Feltrinelli, 1991.
m. giusti, Il grande libro di Carosello, Milano, Sperling & Kupfer, 1995.
c. metz, Essais sur la signification au cinéma, Paris, Klincksieck, 1968 (trad. it. Milano, Garzanti, 1972).
id., Le signifiant imaginaire, Paris, Union générale d'éditions, 1977 (trad. it. Venezia, Marsilio, 1989).
w. pasini, c. crepault, u. galimberti, L'immaginario sessuale, Milano, Cortina, 1988.
a.c. quintavalle, Lei & Lui. Cronaca e pubblicità, Roma-Bari, Laterza, 1981.
s.f. scrocco, p. taggi, a. zanacchi, Spot in Italy, Torino, ERI, 1987.
l. verdi, Habeas corpus. Figure sociali del corpo, Milano, Angeli, 1996.