Vedi PTOION dell'anno: 1965 - 1973
PTOION (v. vol. vi, p. 535)
In questi ultimi anni sono stati fatti varî scavi nel santuario e studî sulla topografia, sui culti e sui monumenti.
Nel santuario di Apollo, Chr. Llinas nel 1964-65 ha messo in luce il muro inferiore di sostegno della terrazza delle fontane; si è ripulita la grande cisterna scompartita fino al fondo, che è costituito di lastre fittili; si sono altresì ripuliti l'emissario di questa cisterna e la fontana arcaica. Si sono scoperti alcuni frammenti di koùroi.
Nel santuario dell'eroe (Kastraki) Chr. Llinas e J. Ducat nel 1963, Chr. Llinas nel 1964 e nel 1965, hanno eseguito varî lavori. Si è ripulito il tempio della terrazza superiore; nel suo stato attuale non sembra posteriore al IV sec. a. C. Si è completato lo scavo della terrazza inferiore, dove è stata trovata una nuova base di tripode completa; inoltre son venuti in luce i basamenti di molti altri, scomparsi. Un muro delimitava la vasta spianata che reca i due altari; la ceramica scoperta alla base del muro (arỳballoi beotici imitanti lo stile corinzio) sembra contemporanea all'altare rotondo scavato da P. Guillon (metà del VI sec. a. C.). Gli scavi hanno permesso di ritrovare numerosi kàntharoi beotici, dei quali più di 400 recano dediche incise, e inoltre tutta una serie di lastre bronzee ritagliate, raffiguranti soggetti varî. Saggi sono stati praticati ugualmente lungo l'allineamento dei tripodi che va dal santuario in direzione di Akraiphia.
Topografia e architettura. 1) La terrazza del tempio. Il tempio di cui sussistono attualmente i resti non è arcaico, ma la sua data precisa non può considerarsi ancora stabilita. Se è, come si ammette generalmente, della fine del IV sec. a. C., bisogna tener presente che esso è stato preceduto (certamente sullo stesso luogo) da un edificio le cui terrecotte architettoniche (sima, tegole, coppi del culmine) permettono una datazione intorno alla metà o seconda metà del V sec. a. C. Quanto al tempio arcaico, se ce n'è stato uno, non ne resta alcuna traccia; l'antefissa a gorgonèion scoperta dal Mendel non proviene certamente da esso.
È dubbio che la costruzione semicircolare, che è addossata al tempio all'estremità O, meriti l'appellativo di "rampa" che le vien dato spesso. Di fatto non si conosce alcun esempio di scalinata di questa forma, e la sua utilità resta problematica, poiché condurrebbe alla parte posteriore di un tempio che è sprovvisto di opistodomo. Questa interpretazione sembra dunque che debba essere abbandonata. Si tratta forse delle fondazioni di un'abside?
Non si resta meno perplessi circa il sotterraneo crollante, poiché esso non presenta alcuna traccia di accesso, mentre mostra i resti non equivoci di condotte d'acqua, seguendo lo Holleaux è ancora indicato come antro profetico. Questo impianto idraulico, che in ogni caso non potrebbe essere anteriore al tempio, non deve aver avuto sempre altro che funzioni molto utilitarie.
2) La terrazza intermedia reca tracce di due complessi di costruzioni: ad E quella che lo Holleaux chiamava "il grande quadrilatero"; ad O, quella che chiamava "i due portici". Oggi non sappiamo di più riguardo alla destinazione di questi edifici, che erano forse in rapporto con l'oracolo. In epoca arcaica non vi era stata innalzata alcuna costruzione; un'iscrizione che interdice forse la raccolta di legna e in ogni caso vieta di cogliere l'alloro, invita a ricostrurvi un bosco sacro.
3) La terrazza inferiore si data nel suo stato attuale alla stessa epoca delle altre due; è sostenuta da un poderoso muro pseudo-poligonale, di cui non sussiste che un solo filare. Le grandi cisterne in pòros comunicavano tra loro per mezzo di aperture che si possono vedere nella fig. 4, p. 938 del Bull. Corr. Hell., 1966. Erano alimentate dalle acque che scaturivano nel sottosuolo e che erano filtrate da un muro ad arco di cerchio formante un drenaggio; l'evacuazione avveniva per mezzo di un emissario fatto di grandi lastre. Questo emissario ha tagliato la fontana arcaica che, seppellita nella terrazza posteriore si è salvata dalla distruzione in modo che si può facilmente ricostruirne il funzionamento.
Il tracciato del peribolo è sconosciuto. Forse ne sono stati ritrovati alcuni tronconi a N-O del santuario, ma non è necessario pensare che il peribolo sia stato dappertutto segnato da un muro.
Storia dei culti. La teoria di P. Guillon generalmente accettata, può esser così riassunta: il tripode monumentale che all'epoca arcaica si trovava nel santuario di Kastraki, ma non in quello di Apollo, sembra esser l'offerta caratteristica del culto dell'Eroe. Resti di tripodi sono venuti in luce a Perdikovrysi, ma soltanto per l'epoca orientalizzante. Questo indica che, secondo un processo ben attestato in altri casi, Apollo ha usurpato un santuario che in origine era quello di un eroe locale, Ptoios. Questa usurpazione nel passaggio tra il VII e il VI sec. a. C. (data d'inizio del culto a Kastraki) deve corrispondere al momento in cui Tebe mette le mani sul santuario.
A questa teoria si può obiettare che:
- non è attestata l'intromissione di Tebe nello Ptoion prima del 480 (consultazione di Mys: Herod., viii, 135);
- nessuna fonte, nessun documento fanno allusione in nessun periodo all'esistenza di un culto dell'Eroe Ptoios a Perdikovrysi;
- tra l'apparizione del culto di Apollo a Perdikovrysi e la fondazione del santuario dell'Eroe non c'è quella esatta coincidenza cronologica supposta dalla teoria dell'evizione. Per Apollo una data abbastanza sicura è fornita dalla dedica incisa su un arỳballos di stile protocorinzio recente: verso il 640 a. C. Ora, la ceramica più antica di Kastraki non è anteriore al 580 a. c.;
- tripodi sono stati ugualmente consacrati ad Apollo (come del resto ad Atena), nel santuario di Perdikovrysi, nel VI e nel V sec. a. C.
È dunque molto probabile che non ci sia stata l'evizione dell'Eroe e che la divinità adorata a Perdikovrysi sia stata fin dall'origine (cioè dalla fine dell'VIII sec. a. C.) Apollo.
3) L'oracolo è stato certamente la causa della prosperità del santuario di Apollo Ptòios che culmina nel VI sec. a. C. con la serie dei koùroi. Sul suo funzionamento non si sa altro che quello che ne dice Erodoto nel passo riguardante la consultazione di Mys; inoltre bisogna fare delle riserve, perché può darsi che questa consultazione non abbia avuto luogo secondo le forme abituali. Non si può non essere colpiti dall'importanza che avevano nello P. le istallazioni idrauliche; che esse siano state in rapporto con l'oracolo (come anche l'alloro?) non è che un'ipotesi, ma molto verisimile.
P. Guillon era stato indotto dal suo schema della storia dei culti (Trépieds, ii, pp. 155-156) a postulare l'esistenza di un oracolo anche a Kastraki. I fatti registrati permettono di respingere questa ipotesi un poco disperata.
I koùroi costituiscono sicuramente la categoria più importante di trovamenti fatti allo Ptoion. Si sono messi in luce frammenti più o meno notevoli) di circa 120 koùroi; ricordiamo che oltre quelli dello P. il catalogo di G. Richter enumera 158 statue di questo tipo. Non abbiamo alcun mezzo per conoscere quanti koùroi siano stati dedicati in tutto nel santuario durante il periodo arcaico; è chiaro comunque che per questo genere di offerte c'è stato un mercato molto attivo, il più attivo forse di tutto il mondo greco.
Numerosi scultori stranieri sono venuti a lavorare allo P.; che le statue non siano state importate già fatte è dimostrato dall'esemplare di Tebe 3, statua di stile insulare (nassio?) scolpita in un marmo-calcare locale. L'attività di artisti attici è attestata da un numero alquanto ridotto di frammenti; sono opere interessanti, tutte d'un atticismo un poco marginale, (eccezion fatta per la testa di kòre MN 17: buon esempio: la testa maschile Tebe 15), senza dubbio perché si tratta di opere di bottega. La Ionia è rappresentata da una sola testa, MN 3452, di una qualità notevole. Fra le opere straniere, le più numerose provengono da botteghe insulari. Ma si desidererebbe poterle localizzare più precisamente. Paro non sembra rappresentata altro che da imitazioni locali. Resta dunque Nasso. Infatti lo stile nassio più puro è illustrato dalla statua MN 10 e da alcuni frammenti che gli si aggruppano. Ma lo stile nassio pare sia stato multiforme, e gli possono esser riferiti i gruppi che si costituiscono intorno a Tebe 3 da una parte e a Tebe 6 dall'altra.
La maggior parte (due terzi circa) dei koùroi dello P. pare che sia stata scolpita nelle officine di Akraiphia. Quando è puro, cioè non contaminato dall'assimilazione facilmente riconoscibile d'influssi stranieri, lo stile locale manifesta una vigorosissima originalità; come mostrano non soltanto le opere maggiori come MN 15 (verso il 580) e Tebe I (verso il 560), ma anche piccoli frammenti come una caviglia.
Il koùros di Akraiphia mira non tanto a rappresentare un giovane stante, nudo, quanto a costruire un'immagine quasi astratta con volumi semplici, massicci e allo stesso tempo gracili, ben delimitati da spigoli netti. Anche se la statua anatomicamente è costituita di pezzi e di parti, ciascuna parte essendo trattata a sé, raggiunge stilisticamente una grande unità. Nel vedere queste statue si ha l'impressione d'incontrare in Beozia una grecità particolare, come quella della Sicilia o della Magna Grecia; di queste arti "coloniali" l'arte di Akraiphia ha la semplicità, il vigore spesso brutale, la vitalità. La ceramica, la piccola plastica potrebbero offrirne altre testimonianze per tutta la Beozia.
Una concezione così geometrica, del tutto opposta al "realismo", non poteva in seguito che condurre ad una aporia. Infatti questa formula del koùros era sostanzialmente non evolutiva; ora l'arte greca a quest'epoca non può non evolversi. Gli scultori di Akraiphia, si è visto, non vivevano in un vaso chiuso. È probabile che da quando cominciarono a lavorare e a concepire il loro tipo di koùros, subissero influenze straniere: quella dell'Attica probabilmente; quella del Peloponneso, forse; quella di Nasso senza dubbio. Queste influenze divengono molto forti verso il 560-550 (Nasso) e continuano ad esserlo verso il 540 (Paro), come dimostrano serie di statue di fabbricazione locale imitanti modelli cicladici. Ma il compromesso era impossibile e, dopo il 540, lo stile locale sparisce; ad Akraiphia allora non si sa ormai cosa imitare. Tuttavia un rinascimento sembra aver avuto luogo a partire dal 530-520, se statue come quelle MN 12 e MN 20 sono, come incliniamo a credere, veramente di origine locale. Ma allora la parte dell'originalità di Akraiphia è ben scarsa, seppure esiste; si tratta di koùroi "eclettici" il cui stile, puramente o quasi puramente cicladico, mescola apporti "nassi" e apporti "parî".
I koùroi dello P. rendono dunque più sensibili alcuni aspetti essenziali della scultura greca arcaica. Dapprima l'aspetto "artigianale": la fama del santuario e la moda locale dell'offerta del koùros, offerta personale, caratteristica di questa società aristocratica del VI sec., hanno determinato qui una richiesta notevole di grandi statue di pietra. Per soddisfare questa richiesta non ci si è accontentati di far venire artisti da città dove la grande scultura era già una tradizione antica; si sono costituite officine locali, che hanno elaborato rapidamente uno stile originale.
Da questo carattere artigianale sgorga un altro aspetto della scultura arcaica: la forza dei particolarismi locali, specialmente evidente nel caso di Akraiphia. Ma al tempo stesso lo P., dove hanno lavorato scultori venuti da regioni diverse, mostra come la loro arte abbia potuto progredire quasi con lo stesso passo di quella di tutta la Grecia; grazie ai "mercati" che costituivano i grandi santuarî, i contatti tra i diversi stili erano permanenti, e ogni importante innovazione era quasi immediatamente conosciuta da tutti. Così il particolarismo locale e lo sviluppo unitario non sono due teorie moderne, escludentisi reciprocamente, sull'evoluzione della scultura arcaica: ne sono due aspetti, insieme antinomici e complementari, la cui dialettica costituisce la trama stessa della loro storia.
Bibl.: Santuario di Apollo: Bull. Corr. Hell., 1965, Chronique, pp. 908-912; 1966, Chronique, pp. 936-939. Santuario dell'Eroe: Bull. Corr. Hell., 1964, Chronique, pp. 851-864; 1965, Chronique, pp. 912-916; 1966, Chronique, pp. 939-943. Studî: G. Daux, Mys au Ptoion, in Hommage à W. Deonna, in Latomus, 28, 1957, pp. 147-162 (con bibl. anteriore sulla consultazione di Mys); P. Guillon, Offrandes et aedicaces du Ptoion, I, in Bull. Corr. Hell., 1962, pp. 569-577; id., La retraite aux trois cimes du Ptoion, ibid., 1963, pp. 377-389; J. Ducat, Le Ptoion et l'histoire de la Béotie à l'époque archaïque, in Rev. Et. Gr., 1964, pp. 283-290, soprattutto pp. 286-288, con discussione dello schema proposto da P. Guillon (Les Trépieds du Ptoion, 1943); A. Schachter, A Beotian Cult-type, in Bull. of the Institute of class. Studies of the University of London, 14, 1967, pp. 1-16 (storia dei culti); J. Ducat, Les kouroi du Ptoion, Parigi 1971, con la storia degli scavi dello Ptoion, studio di tutti i trovamenti d'epoca arcaica fatti nel santuario di Apollo Ptoieus, sculture, ceramica, bronzi, piccoli oggetti, topografia e architettura, iscrizioni, storia del santuario, lo Ptoion e la storia della scultura greca arcaica.