PSICOTERAPIA COGNITIVO-COMPORTAMENTALE
La psicoterapia è nata e si è sviluppata come una disciplina eminentemente clinica, e per decenni i suoi rapporti con la ricerca psicologica sperimentale sono stati scarsi e incerti. Solo a partire dagli anni Cinquanta si sono fatti sistematici tentativi di fondare una serie di interpretazioni dei fenomeni psicopatologici (e di conseguenti tecniche terapeutiche) sulla base dei principi, dei metodi e dei risultati della psicologia sperimentale. La p.c.-c. è il frutto di questi tentativi.
Negli anni Cinquanta, il paradigma teorico che dominava la ricerca sperimentale in psicologia era il comportamentismo. Le prime tecniche terapeutiche che derivarono da questa impostazione teorica miravano, di conseguenza, soprattutto alla modificazione del comportamento osservabile ed erano basate su un'interpretazione del significato dei sintomi psicopatologici nei termini dell'apprendimento di comportamenti abnormi in risposta a precise influenze ambientali. Queste tecniche terapeutiche (riunite sotto il nome di behavior therapy, "terapia del comportamento") si ponevano dunque, per il loro carattere sostanzialmente ambientalista, in evidente contrapposizione alla psicoanalisi, che attribuiva invece scarso valore allo studio delle influenze ambientali sullo sviluppo e il mantenimento dei disturbi psicopatologici.
Le tecniche di terapia del comportamento si dimostrarono presto efficaci nella modificazione dei comportamenti di evitamento che caratterizzano le fobie semplici e alcuni disturbi sessuali. Il fatto che alcuni pazienti evitano situazioni innocue veniva spiegato come l'effetto di un processo di condizionamento di risposte di paura a stimoli ambientali non nocivi, e la terapia era concepita come un processo di decondizionamento, mirante a estinguere gradualmente la risposta condizionata di paura. L'utilità pratica della terapia del comportamento apparve presto evidente ma anche decisamente limitata: solo una quantità trascurabile dei disturbi psicopatologici poteva essere spiegata e trattata nei termini delle teorie dell'apprendimento e soprattutto in quelli dei processi di condizionamento. D'altronde, mentre diversi clinici e ricercatori (Eysenck, Lazarus, Meyer, Rachman, Wolpe e altri) sviluppavano la teoria e le tecniche della terapia comportamentale, la ricerca sperimentale in psicologia abbandonava gradualmente il comportamentismo teorico, per effetto dell'influenza dell'etologia, della neuropsicologia e della cibernetica. Anche i processi interni di elaborazione delle informazioni fornite dall'ambiente all'organismo, esclusi dall'ambito di ricerca del comportamentismo, apparivano suscettibili d'indagine sperimentale: diveniva possibile studiare obiettivamente lo sviluppo e l'organizzazione della conoscenza che l'individuo ha di sé e del mondo in cui vive (cognitivismo), e l'influenza che tale conoscenza esercita sull'esperienza emotiva e sulla regolazione del comportamento motorio. Negli anni Settanta, il cognitivismo aveva praticamente sottratto al comportamentismo il ruolo di paradigma teorico dominante la ricerca sperimentale in psicologia (v. psicologia cognitiva, in questa Appendice).
La gamma limitata di applicabilità clinica della terapia del comportamento e la nuova disponibilità di modelli sperimentali dell'attività conoscitiva umana concorsero a stimolare lo sviluppo di tecniche di ''terapia cognitiva'' (cognitive therapy) da affiancare a quelle di terapia comportamentale: nasceva così, negli anni Settanta, la prospettiva cognitivo-comportamentale in psicoterapia.
In tale prospettiva, i disturbi psicopatologici sono visti come la risultante del tipo di conoscenza di sé, degli altri e delle relazioni interpersonali che il paziente sviluppa fin dall'infanzia. Tale conoscenza si traduce in strutture cognitive (schemi, costrutti) che, formatesi a partire da concrete esperienze passate, daranno significato ai futuri eventi vitali con cui l'individuo dovrà confrontarsi. Grazie alla riconosciuta influenza dell'esperienza concreta (più che di trasformazioni simboliche di essa legate a dinamiche pulsionali come vuole la psicoanalisi) nello sviluppo delle strutture cognitive, la visione ambientalista tipica della terapia del comportamento è parzialmente conservata nella nuova prospettiva cognitivista.
L'insieme delle strutture cognitive regola sia l'agire motorio che l'esperienza emotiva dell'individuo. Di conseguenza, la modificazione delle strutture cognitive connesse al comportamento abnorme e alla sofferenza emotiva di tipo nevrotico si ripercuoterà in cambiamenti dei disturbi psicopatologici dell'agire e dell'affettività. Questo assunto centrale della p.c.-c. si traduce in una tecnica terapeutica volta anzitutto a evidenziare i rapporti che intercorrono fra: a) eventi della vita quotidiana, b) emozioni disturbanti e azioni del paziente configurabili come ''sintomi'' psicopatologici (ansia, depressione, distacco emozionale, aggressività inappropriata, comportamenti fobici di evitamento, rituali ossessivi, ecc.), e c) processi di pensiero che accompagnano tali emozioni e azioni.
A tale scopo, il paziente viene anzitutto invitato a sviluppare le proprie capacità di auto-osservazione, e a tener nota di quanto osserva di sé, fra una seduta terapeutica e l'altra, per poi riferirne al terapeuta. Le auto-osservazioni del paziente forniscono il materiale che permette al terapeuta di evidenziare le strutture cognitive connesse alla sofferenza nevrotica, e poi a cercarne la modificazione attraverso tecniche di ristrutturazione cognitiva e/o comportamentale. Tra tali tecniche, alcune fanno appello all'esercizio attento del pensiero razionale, e si basano sulla confutazione, da parte del terapeuta, degli aspetti francamente irrazionali delle convinzioni del paziente. Altre si basano sulla ricostruzione dei contesti interpersonali (in genere, relazioni precoci con i genitori) in cui il paziente ha acquisito i modi di pensare che ora appaiono connessi alla sofferenza nevrotica, e sulla valutazione congiunta, da parte del terapeuta e del paziente, di come tali modi di pensare fossero appropriati nella situazione originaria di apprendimento, ma non lo siano più nei nuovi contesti interpersonali in cui ora il paziente, divenuto adulto, si trova a vivere. A partire da tale valutazione congiunta, diviene possibile elaborare ipotesi di nuovi modi di pensare e agire, maggiormente rispondenti alle esigenze delle nuove realtà di vita. Sotto la guida del terapeuta, il paziente è poi invitato a sperimentare questi nuovi modi di pensiero e di azione, e a osservare come alla messa in atto di essi corrisponda una riduzione della sofferenza emotiva. Di grande importanza, nella messa a punto di tali modi alternativi di pensiero, è la conoscenza, da parte del terapeuta, del decorso normale dello sviluppo cognitivo-emozionale umano, come viene evidenziato dalla psicologia sperimentale dell'età evolutiva. Il graduale superamento dell'egocentrismo cognitivo nel corso dello sviluppo individuale e le condizioni che lo facilitano costituiscono uno dei frutti della ricerca psicologica di base di maggiore interesse per la p. cognitivo-comportamentale.
Esistono valutazioni accurate dell'efficacia della terapia cognitivo-comportamentale. In tempi più brevi di quelli richiesti in media dalle terapie psicoanalitiche, essa si è dimostrata utile nel trattamento delle fobie (incluse l'agorafobia e la nevrosi ansioso-fobica), della depressione nevrotica, dei disturbi ossessivo-compulsivi, e di alcuni disturbi del comportamento sessuale. Meno certa, ma probabile, è la sua utilità nel trattamento dei disturbi del comportamento alimentare (anoressia mentale, bulimia nervosa).
Bibl.: V. Guidano, G. Liotti, Elementi di psicoterapia comportamentale, Roma 1979; Cognitivismo e psicoterapia, a cura di V. Guidano e M. Reda, Milano 1981; V. Guidano, G. Liotti, Cognitive therapy and the emotional disorders, New York 1983; W. Dryden, W. Golden, Cognitive-behavioural approaches to psychotherapy, Londra 1986; A.T. Beck, A. Rush, B. Shaw, G. Emery, Terapia cognitiva della depressione, Torino 1987.