psicolinguistica
Ramo della linguistica e della psicologia che studia i fenomeni del linguaggio in rapporto ai processi psicologici che li determinano, con particolare attenzione alle relazioni tra significato e comunicazione, all’apprendimento delle lingue, alla connessione tra linguaggio e cervello, nonché all’origine neurologica delle disfunzioni linguistiche (➔ linguaggio). Negli anni Cinquanta del 20° sec. in p. prevalse un’impostazione positivistica (rifiuto di postulare entità inosservabili, come la mente o le rappresentazioni, ma solo osservazione di stimoli e di risposte) e associazionistica (spiegare il comportamento linguistico come apprendimento di associazioni tra parole e tra parole e cose), in conformità con il behaviorismo (➔). Nel 1957 il linguista statunitense Noam Chomsky diede l’avvio alla linguistica generativo-trasformazionale, che doveva rivoluzionare la ricerca non solo in linguistica, ma anche in p. e avere effetti su tutta la psicologia e sulle altre scienze dell’uomo. Gli assunti fondamentali di questa teoria erano tre: che il linguaggio è una competenza, cioè un insieme di regole e meccanismi nella mente di chi parla e capisce; che vi sono principi linguistici universali, comuni a tutte le lingue e presumibilmente radicati nel patrimonio genetico della nostra specie; che compito della linguistica è costruire modelli formali in grado di descrivere quelle regole, quei meccanismi e questi principi universali e così giungere a livelli sempre più profondi di spiegazione della capacità linguistica. Sulla base di questi assunti generali, Chomsky e altri linguisti elaborarono modelli della competenza linguistica che concepivano la sintassi come il meccanismo fondamentale del linguaggio (a scapito della semantica), e che attribuivano a ogni frase due strutture sintattiche: una superficiale (più direttamente osservabile) e una profonda, più astratta, legate tra loro da regole di trasformazione. Nei decenni successivi la p. è rimasta in stretto collegamento con la linguistica chomskiana, ma due tendenze opposte hanno continuato a dividere gli studiosi del linguaggio: a una prima tendenza, sostenuta da Chomsky, dell’autonomia del linguaggio dalla cognizione, si è contrapposta una seconda tendenza, quella del minimalismo linguistico; secondo tale tendenza non vi è modulo mentale separato per il linguaggio e non vi è una base innata specifica per le strutture linguistiche, ma il linguaggio emerge utilizzando varie capacità cognitive di per sé non linguistiche.