PSICOFARMACOLOGIA
. Una fervida attività sperimentale, condotta secondo molteplici indirizzi di ricerca, e particolari osservazioni cliniche hanno sempre più incrementato quell'interesse per l'effetto dei farmaci sulle attività psichiche (v. psicofarmaci, App. II, 11, p. 517) che già si era manifestato nella seconda metà dell'Ottocento con gli studi sulle droghe e con l'introduzione, nella terapia dei disturbi del sonno e degli stati di ipereccitabilità, dei calmanti (bromuri) e degl'ipnotici (cloralio idrato, paraldeide, uretano; ipnotici barbiturici: barbitale, fenobarbitale). Una particolare importanza nell'accentuazione di questo interesse può essere attribuita alle ricerche di K. M. Bjkov (1947) sulle correlazioni tra cervello e funzioni vegetative e sui riflessi condizionati viscerali; alle osservazioni di medicina psicosomatica, che portarono all'adozione degl'ipnotici e dei sedativi nella terapia di affiancamento dell'ulcera gastrica, dell'ipertensione arteriosa, delle manifestazioni viscerali degli stati ansiosi; agli esperimenti che tra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta, avendo per obiettivo le basi biochimiche delle psicosi e la loro eventuale cura farmacologica, hanno analizzato in soggetti normali e in psicotici gli effetti catatonizzanti della bulbocapnina (H. H. de Jong, 1930-34), quello depersonalizzante e allucinogeno della mescalina (E. Guttmann e W. Maclay, 1936), le proprietà della dietilammide dell'acido lisergico (LSD25) che induce una fenomenologia che suggestivamente richiama quella della schizofrenia, caratterizzata com'è da allucinazioni visive, fluttuazioni dell'umore, modificazione del rapporto spazio temporale, stati paranoidei più o meno transitori (De Schon, Mayer-Gross, 1951-5z). In modo affatto rilevante le ricerche neurofisiologiche degli anni Cinquanta, culminate nella scoperta della formazione reticolare bulbomesencefalica (H. W. Magoun e G. Moruzzi), consentirono nuove vedute sull'organizzazione del sistema nervoso e fornirono le prove della sua funzione integratrice dello stato di vigilanza, delle reazioni emozionali e nel controllo centrale di funzioni somatiche viscerali, endocrine, ecc. Da queste acquisizioni neurofisiologiche hanno preso avvio molteplici ricerche sistematiche, concernenti l'effetto dei farmaci sulle espressioni elettrofisiologiche delle aree d'integrazione e sul "comportamento", che appare ora, per le ovvie connessioni neurologiche, il bersaglio più aggredibile della ricerca psicofarmacologica.
L'importanza che il concetto d'integrazione del sistema nervoso conferisce alla funzione dei circuiti neuronici polisinaptici è all'origine di numerosi studi di neurofarmacologia relativi alla possibilità di modulare o inibire mediante sostanze chimiche la trasmissione intersinaptica. Nell'ambito di queste ricerche si colloca la realizzazione di una serie di dicarbamati miorilassanti, uno dei quali, il meprobamato (F. M. Berger, 1954), offre la singolare proprietà di rendere mansueti (taming) animali selvaggi o aggressivi. L'applicazione terapeutica di questo nuovo genere di psicofarmaco è inizialmente diretta a influire su sintomi pericolosi o incontrollabili di condizioni neurotiche o psicotiche, senza la pretesa di modificarne le cause profonde o il carattere di processualità. L'attività antiaggressiva del meprobamato non si associa al sonno, il che differenzia il composto dai tradizionali psicosedativi (ipnotici), e autorizza il termine di "tranquillizzazione", un concetto terapeutico che ispirerà la realizzazione di una folta classe di farmaci.
Un'indifferenza affettiva ancor più incisiva viene sperimentalmente riscontrata con un fenotiazinico, la clorpromazina (S. Courvoisier, 1953), e con un principio della Rauwolfia, la reserpina, di ampia applicazione in psichiatria (v. psichiatria, in questa App.).
L'evoluzione della metodologia clinica di studio, che si orienta sull'analisi dei grandi numeri e sul controllo degli effetti terapeutici a distanza, l'osservazione di effetti psichiatricamente interessanti in farmaci primitivamente usati per indicazioni somatiche, l'approfondimento e lo studio comparato delle loro proprietà neurochimiche, permettono d'individuare un numero via via crescente di psicofarmaci e allo stesso tempo suggeriscono ipotesi di lavoro per l'indagine del substrato biochimico di alcune sindromi mentali. Frutto di questa convergenza di ricerche è l'acquisizione di agenti terapeutici di notevole interesse pratico, che si aggiungono alle già ricordate clorpromazina e reserpina: l'iproniazide e i suoi derivati, l'imipramina e le benzodiazepine, delle quali si è detto in altra sede (v. psichiatria, in questa App.), il litio, studiato inizialmente come psicosedativo e poi dimostratosi (M. Schou, 1958) farmaco efficace nello stato maniacale e nella prevenzione della psicosi depressiva.
Le indagini neurochimiche si rivelano proficue per l'analisi dei sintomi psicotici prodotti dai farmaci psicotossici: consentono di dimostrare l'interazione tra LSD e serotonina cerebrale, di esaminare il ruolo eventuale della triptamina e delle sostanze triptaminergiche nella schizofrenia, di studiare il significato dell'effetto aggravante della metionina, riportato sia alla formazione di N alchil derivati della triptamina dissennanti, sia alla formazione di dimetossiarilalchilamine, analoghe all'allucinogeno mescalina, trovate nelle urine di schizofrenici.
Problema specifico, e particolarmente arduo, che si pone alla ricerca sistematica, chimica e farmacologica, di nuovi psicofarmaci, è rappresentato dall'individuazione di modelli psicologici e psicopatologici che permettano di fare in sede preclinica previsioni sull'efficacia terapeutica di una nuova molecola chimica. Il comportamento innato degli animali (etologia), i riflessi condizionati pavloviani, le risposte condizionate di evitamento, le risposte emozionali condizionate, il condizionamento operativo (B. F. Skinner, 1938) vengono adattati alla problematica farmacoterapeutica (conflitto alimentazione-punizione; reazioni emozionali anticipatrici; aggressività da isolamento, da punizione; apprendimento farmacodipendente; modelli di memorizzazione, ecc.).
Alla metodologia "psicologica" di laboratorio si affianca quella farmaco-tossicologica, nella quale sono saggiate le attitudini del potenziale psicofarmaco a sopprimere specifiche manifestazioni di prodotti psicotossici capaci di scatenare psicosi cliniche (reserpina, tetrabenazina, anfetamine, LSD, ecc.); la metodica farmaco-biochimica intesa a confrontare con prototipi clinicamente utili il nuovo farmaco nell'idoneità a indurre o rettificare specifiche modificazioni della cinetica o del metabolismo dei trasmettitori chimici dei messaggi nervosi; quella elettrofisiologica intesa a esplorare funzioni di base (caratteri del sonno, attenzione) o ad analizzare il livello di attività di sistemi neuronici implicati in talune funzioni psichiche elementari degli animali; infine le metodiche della psicologia fisiologica "classica" basate sulla riproduzione di comportamenti anormali mediante l'ablazione o lesioni di aree nervose (sham rage da decorticazione nel gatto; aggressività da lesioni del septum, nel ratto). Questo approfondimento multilaterale delle proprietà farmacologiche, che potrà recare anche un utile contributo all'individuazione delle basi funzionali e biochimiche del processo morboso, consente di passare alla sperimentazione sul malato, fase essenziale per confermare la reale efficacia terapeutica del prodotto e precisarne le indicazioni sui parametri dello stato morboso. In quest'ultima fase sono utili l'uso di scale psicopatologiche, la quantificazione dell'andamento dei sintomi caratteristici ed, eventualmente, quella dei tempi di ospedalizzazione.
Principali gruppi di psicofarmaci. - Con riferimento all'applicazione terapeutica, S. Ross e J. O. Cole (1960) distinguono gli psicofarmaci in tranquillanti maggiori, tranquillanti minori, antidepressivi e psicotomimetici.
I tranquillanti maggiori (o antipsicotici, o neurolettici) comprendono il gruppo delle fenotiazine (clorpromazina e riumerosi derivati "neurolettici"), i derivati del tioxantene (cloprotixe: ie, metixene, ecc.), il gruppo degli alcaloidi della Rauwolfia e loro analoghi semisintetici, i composti derivati della benzochinolizina, i derivati del butirrofenone (triperidolo, aloperidolo e altri). Presentano alcune caratteristiche farmacologiche molecolari come la capacità di bloccare, nel sistema nervoso centrale, i recettori della dopamina (fenotiazine) o d'indurre la deplezione (reserpina) di amine cerebrali come la noradrenalina, la serotonina e la dopamina stessa, cui sarebbe da ascrivere il parkinsonismo secondario. Hanno la proprietà d'inibire le risposte condizionate di evitamento e le allucinazioni anche se da farmaci psicotossici, di modulare l'attività della formazione reticolare mesencefalica, apparentemente incrementando la sua funzione di filtro delle afferenze sensoriali; sono ipotermizzanti, antiadrenergici e ipotensivi, ed efficaci nella schizofrenia, negli stati deliranti e in quelli di agitazione.
I tranquillanti minori comprendono i derivati del propandiolo (meprobamato), i numerosi derivati della benzodiazepina (clordiazepossido, diazepam, ossazepam), gli antistaminici come l'idrossizina e altri composti detti genericamente "ansiolitici". Per i tranquillanti minori l'effetto miorilassante, specialmente evidente con il meprobamato e con alcune benzodiazepine, riveste, probabilmente, un significato terapeutico nell'attenuazione di alcune manifestazioni di "tensione" dell'ansia. Le benzodiazepine, comunque, inibiscono le reazioni emozionali condizionate e clinicamente offrono un certo grado di attività antidepressiva, specie quando ansia e depressione risultano associate. Peraltro, misure psicometriche indicano che, entro certi limiti di dose, i tempi di reazione e le capacità manuali sono migliorati, in soggetti ansiosi, dall'uso di tranquillanti. Trovano impiego sintomatico in condizioni psichiatriche, internistiche e in anestesiologia.
Il gruppo dei farmaci antidepressivi, o psicoanalettici, è costituito dalle anfetamine (anfetamina, metilamfetamina, ecc.), dagl'inibitori delle MAO (iproniazide, carboisossazide, ecc.) e soprattutto dagli antidepressivi "triciclici", le dibenzazepine (imipramina, desmetilimipramina), la amitriptilina e altri di recente acquisizione. L'effetto neurochimico e neurofarmacologico caratteristico dei farmaci antidepressivi è l'aumentata disponibilità di noradrenalina nel sistema nervoso centrale, realizzata con meccanismi diversi, a livello di specifiche aree. La noradrenalina, piuttosto che la serotonina e la dopamina, sembra implicata nel determinismo del tono dell'umore. Un dispositivo di autostimolazione cerebrale applicato al ratto (J. Olds, 1958) indicherebbe in questa specie l'esistenza di "aree del piacere" (fascio mediale ipotalamico del prosencefalo) sensibili agli effetti facilitanti dell'anfetamina e degli antidepressivi triciclici (L. Stein, 1968). Il litio, di cui è stato detto in precedenza, interviene nel metabolismo del sodio e, almeno in prove di laboratorio, avrebbe anche un'attività anticatecolamminica. I farmaci psicotomimetici, o psicodislettici, si caratterizzano per le alterazioni percettive, sino alle varie modalità di allucinazione che determinano, per le modificazioni di tipo paranoide del pensiero, spesso compromesso in modo complesso, e per la presenza di turbe affettive che vanno dalla depressione all'estremo eccitamento. Classificazioni che tengono conto delle modalità d'impiego, del contenuto psicologico dell'esperienza psicotossica e della fisionomia clinica degli effetti, distinguono gli agenti usati nei rituali religiosi (telepatine), quelli che dispongono all'esperienza mistica (psichedelici, in quanto manifestano i contenuti dell'animo), i farmaci "deliranti" (anticolinergici), come la belladonna e lo stramonio per i quali illusioni e allucinazioni si sviluppano nell'ambito di uno stato confusionale e tossico, gli psicotossici occasionali (dai cortisonici all'alcool), che in soggetti sensibili possono determinare sindromi confusionali con allucinazioni. I farmaci psicotomimetici comprendono vari composti colinolitici, tipici allucinogeni (LSD, mescalina, psilocibina, preparazioni di canape ricche di delta-9 tetraidrocannabinolo come lo hashish), vari derivati della triptamina, la NN dimetiltriptamina, l'armina, la bufotenina, l'adrenocromo, l'anfetamina, l'allucinogeno sintetico 2,5-dimetossi 4-metilanfetamina. Di particolare interesse la 6 idrossidopamina per la capacità di riprodurre sintomi schizofrenici. Il ruolo terapeutico dei farmaci psicotossici è oltremodo limitato. Il processo della "psichedelia" avrebbe qualche collocazione nel trattamento selettivo di pazienti neurotici per rivivere traumi infantili repressi o subcoscienti.
Per la patologia da psicofarmaci, v. in questa Appendice: psichiatria: Rischi e risultati terapeutici delle terapie psicofarmacologiche; tossicomania, per l'eventuale induzione di abitudine e di dipendenza.
Bibl.: J. R. Cooper, F. E. Bloom, R. H. Roth, The biochemical basis of neuropharmacology, Londra 1970; M. Gordon, Psychopharmalogical agents, New York 1974.