PSICOBIOLOGIA
. Definizione. - Fra ìe scienze naturali la p. ha come oggetto lo studio delle strutture biologiche sulle quali riposano il comportamento animale e umano. Definita recentemente da alcuni biologi come il tentativo di "fusione delle scienze del cervello e di quelle del comportamento" (T. J. Teyler, 1975), essa è stata inoltre considerata in campo psicologico come "lo studio dell'interdipendenza dei processi somatici e comportamentali" (G. Newton e A. H. Riesen, 1972). Nella sua accezione più rigorosa e più moderna tuttavia la p. s'identifica con la psicologia animale e con la psicologia comparata. Il suo approccio è interdisciplinare (J. L. McGaugh, 1966) e si articola nei seguenti indirizzi:
1) Etologia: studio dei diversi modi di comportamento in relazione alle specie zoologiche e alla loro organizzazione. Descrizione del profilo di attività delle singole specie e dei singoli individui e caratterizzazione dei fattori ambientali determinanti. 2) Neurobiologia: ricerca delle basi dei comportamenti globali tramite lo studio dei meccanismi parziali più direttamente accessibili all'esperienza. Come per es.: a) lo studio delle funzioni ricettive sensoriali, reattive e motrici (psicofisica); b) l'analisi dei meccanismi fisiologici che regolano la funzionalità del sistema nervoso (neurofisiologia, psicofisiologia) e quella ormonale (neuroendocrinologia). 3) Neuropsicologia: studi sul condizionamento, l'apprendimento e la memoria. Indagini sui comportamenti acquisiti e sulle funzioni di elaborazione ("attività nervosa superiore"). 4) Psicopatologia e psicofarmacologia. 5) Psicogenetica: applicazione allo studio del comportamento dei metodi della genetica mendeliana e della genetica delle popolazioni. 6) Sociobiologia: ricerche sulla natura delle relazioni fra individui della stessa specie (rapporti parentali e sociali all'interno del gruppo) e sulla struttura delle società animali e umane (antropologia) (fig. 1).
L'origine della parola p. si può situare all'inizio del secolo da parte di R. Francé e A. Wagner (1909) in Germania, K. Dunlap (1909) e R. M. Yerkes (1929) negli Stati Uniti.
La psicologia come scienza naturale. - Da un punto di vista concettuale si può far risalire a Cartesio l'indirizzo della p. contemporanea. Nel contesto di una filosofia spiritualista l'autore del Discorso sul metodo (1637) negava agli animali l'anima immateriale e immortale che restava prerogativa peculiare dell'uomo. Dopo aver indicato come i fenomeni biologici obbediscano alle leggi fisiche della materia, Cartesio descriveva l'organismo animale come una macchina simile a quelle prodotte dall'industria umana. Venivano così enunziati per la prima volta i princìpi strettamente meccanicistici che presiedono al comportamento animale (fig. 2). Per cui il dualismo cartesiano, che nella sua metafisica spiritualista costituirà la base dell'idealismo di Malebranche e di Berkeley, portava implicitamente in sé anche i germi del naturalismo moderno. Annunziava il materialismo di P. Bayle (1696) che parlava di "natura materiale dell'anima" e precorreva gl'illuministi.
Servendosi dell'immagine di Lucrezio, Voltaire (1735) considerava più che probabile che noi "pensassimo con il cervello né più né meno che camminassimo con i piedi". Successivamente, in termini più espliciti e con una formula che sarà spesso ripresa, P. J. G. Cabanis (1802) scriverà che "il cervello va considerato come un organo particolare specialmente destinato a produrre il pensiero così come lo stomaco e l'intestino operano la digestione e il fegato il filtraggio della bile".
Alle ricerche sperimentali e cliniche l'indirizzo materialistico permetteva, in particolare alla biologia, di liberarsi delle pastoie del vitalismo. L'approccio neurofisiologico progrediva man mano che si approfondivano le conoscenze della struttura delle cellule e del tessuto nervoso (O. F. Deiters, 1865; W. B. Lewis e H. Clarke, 1878; C. Golgi, 1894; S. Ramon y Cajal, 1911) e quelle dei centri cerebrali (P. P. Broca, 1861; F. L. Goltz, 1880) con la scoperta dell'arco riflesso (M. Hall, 1850). L'interesse crescente per i concetti generali della biologia si ritrova nella "controversia sul materialism" e la formulazione dei princìpi del "cosiddetto materialismo volgare" di J. Moleschott (1852), di K. Vogt (1852) e di L. Buchner (1855). Come reazione tuttavia all'interpretazione antropomorfica che pretendeva stabilire una continuità fra l'uomo e l'animale nei fenomeni psichici coscienti un gruppo di biologi tedeschi proclamava la necessità di un approccio specificamente fisiologico del comportamento animale (M. Verworn, 1889; L. Loeb, 1890).
Nel corso di ricerche neurofisiologiche I. M. Sechenov (1863) in Russia estendeva il concetto di attività riflessa al sistema nervoso centrale e I. P. Pavlov (1909) lo sviluppava dando origine alla teoria dei riflessi condizionati. Concentrando i suoi studi sulla natura delle basi fisiologiche dei fenomeni mentali, Pavlov sostituì al termine "intelletto" quello di "attività nervosa superiore". Dopo aver profondamente influenzato il comportamentalismo di Watson le sue idee dominano tuttora la neurofisiologia sovietica e continuano a suscitare importanti ricerche sperimentali sui meccanismi preposti ai riflessi condizionati.
Altrettanto fecondo è stato negli Stati Uniti l'approccio di J. B. Watson (1910) che sotto il nome di "comportamentalismo" (behaviorism) ha creato un tipo di psicologia limitata all'osservazione e allo studio sperimentale del comportamento.
Se la psicologia viene definita come la "scienza del comportamento", un'analisi del concetto si rende necessaria.
Il comportamento è la risultante delle attività degli organi effettori controllati dal sistema nervoso e caratterizza il modo di agire e di essere dell'individuo. Se ne facciamo oggetto di ricerca constateremo subito che non vi è settore della conoscenza che ci sia più familiare. Eppure la semplice osservazione e la descrizione di un comportamento ha già posto problemi metodologici assai complessi quando si voglia effettuare un controllo oggettivo e costante e senza che ciò rappresenti una costrizione del soggetto in esperienza.
Considerare la p. come un ramo delle scienze naturali implica l'esistenza di un determinismo del comportamento e, in un certo senso, la possibilità di prevedere in anticipo le reazioni del soggetto.
Se si passano in rivista i vari campi della psicologia animale il cui studio si è dimostrato particolarmente fecondo nella prima metà del secolo, si constaterà l'interesse dimostrato dai ricercatori per il concetto generale di relazione fra "stimolo sensoriale" e "risposta motrice" (secondo lo schema classico S → R).
A questo proposito l'insieme dei dati raccolti sui tropismi e i riflessi da una parte e sui comportamenti istintivi da un'altra, infine l'analisi sperimentale dei processi di apprendimento rappresentano diversi approcci a un tipo di reazione al tempo stesso stereotipato e riproducibile.
Nella ricerca di un determinismo e di una possibilità di previsione l'analisi statistica globale tendente a stabilire un "profilo di attività" o un "bilancio del tempo" e che viene designato con il nome di etogramma è caratteristico della specie e costituisce un approccio assai suggestivo (figg. 3 e 4).
La psicologia behaviorista è stata definita "psicologia senz'anima" in quanto essa esclude esplicitamente l'introspezione dai metodi d'indagine e non prende in considerazione i problemi della coscienza; oppure "psicologia ratomorfica" perché essa privilegia le ricerche nell'animale di laboratorio seguite con grande rigore, e propone a volte di trasferirne i risultati alla specie umana.
Senza pretendere di essere una scuola, il movimento iniziato da Watson ha esercitato una profonda influenza negli Stati Uniti. Vi si possono ricollegare le tendenze manifestate prima da E. B. Holt (1914), P. Weiss (1925), E. R. Guthrie (1930) e successivamente da E. C. Tolman (1932), C. L. Hull (1943), K. S. Lashley (1928), B. F. Skinner (1938) e H. F. Harlow (1949).
"Every sentence of psychology may be formulated in physical language" affermava R. Carnap (1932), e E. G. Bergmann (1953) scriveva: "Logicamente e in principio, il riduzionismo fisiologico è una certezza. Ogni elemento del comportamento e tutto ciò che, come il contenuto cosciente, può essere definito in termini di comportamento possiede il suo equivalente fisiologico".
Indirizzo filogenetico. - Un aspetto importante della ricerca in p. è costituito dall'incentivo e al tempo stesso dai limiti che s'incontrano nell'approccio filogenetico. Il concetto di una psicologia evoluzionista si trova esplicitamente formulato in Lamarck e in Darwin. Vi troviamo infatti espressa l'idea che i fattori psichici così come le caratteristiche morfologiche hanno potuto svilupparsi ed evolvere sotto l'influenza delle stesse cause naturali per le quali, nella scala animale, l'evoluzione del comportamento appare strettamente legata alle trasformazioni successive del sistema nervoso.
"Perché possa esservi intelligenza" - scrive Lamarck - "occorre vi sia l'organo speciale nel quale vengono elaborati idee complesse, pensieri, paragoni e giudizi. Gl'Insetti e i Molluschi posseggono un sistema nervoso in grado di produrre soltanto i movimenti muscolari. La formazione delle idee rappresenta l'appannaggio dei vertebrati. Essa appare in questo gruppo in modo tanto più chiaro quanto più gli emisferi cerebrali risultano meglio sviluppati" (J. B. de Lamarck, Filosofia zoologica, 1809).
"La differenza mentale" scrive Darwin "tra l'uomo e gli animali superiori, per quanto sia grande è certamente di grado e non di genere". "Dobbiamo anche ammettere che vi è una differenza molto maggiore di capacità mentale fra un pesce inferiore come la lampreda o un anfiosso e una scimmia superiore, che fra questa e un uomo" (C. Darwin, L'origine dell'uomo, 1871).
Considerato quindi in una prospettiva filogenetica, il comportamento animale ha subìto una serie di modifiche successive passando dalle forme elementari a quelle più complesse nel senso di un progressivo adattamento all'ambiente. Nei limiti di una psicologia del comportamento definita dal complesso stimolo-risposta (S → R) oppure stimolo-organismo-risposta (S → O → R) una simile evoluzione appare strettamente legata a quella che si osserva 1°) negli organi sensoriali recettori, 2°) nell'apparato motorio e 3°) nella struttura del sistema nervoso ed endocrino.
Potrebbe quindi apparire logico basare le ricerche sull'evoluzione del comportamento e l'origine dell'intelligenza sui dati forniti dall'anatomia comparata. Per quanto riguarda l'insieme degl'Invertebrati un tentativo del genere è stato compiuto da N. R. Maier e T. Schneirla (1935). In modo molto generale se ne desume che il passaggio dalle forme sprovviste di sistema nervoso (Protozoi) a quelle con cellule nervose isolate (Poriferi), a quelle con sistema nervoso a rete dinusa (Celenterati) o cordonale (Platelminti, Echinodermi) o a gangli (Anellidi, Molluschi, Artropodi) corrisponde, volta per volta, con l'apparizione di tipi di comportamento più complessi: coordinamento motorio (Celenterati), orientamento topografico (Platelminti), sviluppo delle attività istintive e comportamento condizionato (Anellidi e Artropodi).
Nelle varie classi dei vertebrati il sistema nervoso segue un processo di encefalizzazione con la progressiva espansione della parte anteriore del tubo neurale. All'aumento ponderale che viene empiricamente espresso dal coefficiente encefalico corrispondono caratteristiche strutturali: accrescimento delle formazioni neoencefaliche rispetto alla formazione paleoencefalica e spinomidollare, aumento della superficie corticale con la formazione dei solchi e delle circonvoluzioni cerebrali, la sempre maggiore organizzazione citoarchitettonica e mieloarchitettonica del tessuto nervoso, così come la progressiva estensione delle aree associative nei Mammiferi superiori.
Per i Vertebrati P. D. Maclean (1970) ha proposto uno schema tripartito assai suggestivo per i rapporti esistenti fra strutture organiche e comportamento. In modo generale tale schema permette di stabilire, in corrispondenza con l'evoluzione filogenetica che porta dai Procordati ai Protovertebrati e ai Mammiferi, un parallelo fra lo sviluppo del sistema nervoso centrale e la comparsa di nuove forme di comportamento (fig. 5). Premesso che un quadro così generale non può presentare che un carattere volutamente schematico, se ne deduce tuttavia che il sistema nervoso dei Mammiferi superiori e dell'uomo potrebbe essere interpretato sulla base della sovrapposizione di tre gruppi di strutture corrispondenti a tre diverse fasi dell'evoluzione. Sotto la formazione corticale alla quale sono devolute le funzioni essenzialmente cognitive si possono scorgere i resti di un cervello rettiliano, responsabile delle funzioni istintive e affettive e quelli del cervello dei Procordati, centri delle attività riflesse elementari.
È necessario aggiungere che le relazioni che si è cercato di stabilire fra forme di comportamento osservate in gruppi zoologici differenti possono essere considerate valide solo se derivano da strutture anatomiche analoghe e da meccanismi fisiologici paragonabili. È per tale motivo che le analogie spesso invocate e che troppo frequentemente si trovano in letteratura fra il comportamento, l'intelligenza o la vita associativa degli uccelli e dei mammiferi o perfino fra insetti e primati appaiono, per es., assai poco pertinenti. D'altra parte all'immensa ricchezza e diversità delle strutture filogenetiche corrisponde una varietà altrettanto sorprendente di modi di comportamento. L'evoluzione psicobiologica e l'evoluzione morfologica presentano, nel corso della loro storia, lo stesso carattere fortuito e contingente ma anche le stesse costrizioni e gli stessi incerti. Con l'apparizione della coscienza pervengono al successo rappresentato dalla conoscenza che l'uomo è in grado di avere di sé stesso.
Stabilire l'unità dell'evoluzione psichica com'è stato fatto per quella morfologica è stata una delle maggiori preoccupazioni dei primi continuatori di Darwin. Ma le pubblicazioni di quel periodo dimostrano il pericolo al quale si va incontro quando si prende l'uomo come punto di riferimento finendo con l'attribuire agli animali facoltà maggiori di quante non ne abbiano realmente. Infatti nei lavori dei primi successori di Darwin si trovano alcune descrizioni che, giudicate oggi, appaiono pervase dal peggiore antropomorfismo: L'affetto della lumaca (C. Darwin, 1850), L'eroismo, la nobiltà e la magnanimità del leone (A. Brehm, 1864), L'odio verace della formica (J. W. Lubbock, 1883), La depressione del pappagallo, La fedeltà e la raffinatezza dei sentimenti del piccione (G. J. Romanes, 1881).
Verso la fine del secolo scorso una prima reazione allo "psicologismo" fu espressa da Lloyd Morgan (1894). Secondo la sua classica "Legge di economia" un'azione non deve mai essere interpretata come il risultato di una facoltà psichica superiore se può invece essere attribuita all'esercizio di una facoltà di livello più elementare. La scuola tedesca di fisiologia (Th. Beer, A. Bethe, J. von Uexkull, 1899) dopo aver negato perfino la possibilità di costituire una psicologia comparata propose una nomenclatura oggettiva. Vedere si dirà "fotoricevere", il naso si chiamerà "stiboricettore", ma E. Claparède (1905) potrà facilmente dimostrare che sostituire un linguaggio fisiologico a un linguaggio psicologico non è che un grossolano inganno.
Negli autori contemporanei si nota il desiderio di far ricorso a una terminologia al tempo stesso familiare e oggettiva. Si preferirà parlare di appetito piuttosto che di fame, di attività esplorativa e di manipolazione piuttosto che di curiosità, infine di socializzazione e di attaccamento piuttosto che di amore.
Basi organiche del comportamento. Memoria genetica e memoria acquisita. - L'approccio naturalistico del pensiero psicobiologico contemporaneo implica l'esistenza di basi anatomofisiologiche del comportamento e apre il campo alle ipotesi relative ai sistemi di codificazione e di accumulo dell'informazione.
Senza nascondersi l'estrema complessità del problema nei limiti di ciò che J. Monod (1970) pone come una posizione di principio, è evidente che oggi un certo numero di risultati sperimentali permette di porre il problema relativo alla natura dell'"engramma". I risultati piú importanti ottenuti sono a livello della membrana della cellula nervosa. La memoria del comportamento riveste due forme ben distinte: la prima, la memoria genetica, è innata, morfogeneticamente determinata e corrisponde ai comportamenti istintivi. La seconda, la memoria vera e propria, chiamata a volte memoria transazionale, è invece essenzialmente legata all'esperienza individuale e ai processi di condizionamento e di apprendimento.
Per il biologo la memoria genetica che corrisponde ai comportamenti istintivi non rappresenta che uno degli aspetti dell'eredità organica per cui è presumibile che essa risieda, in origine, nelle macromolecole dell'acido desossiribonucleico (DNA) le quali determinano la struttura specifica dell'individuo.
Lo stadio successivo, che è quello della trasmissione genetica delle forme di attività istintive nel comportamento, riguarda un approccio analogo a quanto compiuto in embriologia per seguire lo sviluppo epigenetico del sistema nervoso centrale. La natura stessa dell'engramma, invece, e la conoscenza dei meccanismi responsabili della sua genesi, rappresentano ancora un campo del tutto inesplorato. Lo studio sperimentale dei processi di apprendimento rende probabile l'esistenza di un meccanismo complesso che mette in gioco due o più tipi di memoria. Nella teoria del duplice meccanismo proposta da D. O. Hebb (1949) e da R. W. Gerard (1950) una prima fase labile e di breve durata precederebbe la memoria durevole. È assai notevole che questo modello renda conto in modo soddisfacente di numerosi dati forniti dalla p. dell'apprendimento: capacità della memoria immediata, processi di consolidazione e d'interferenza, amnesie retrograde provocate dall'elettroshock, effetti di determinati farmaci nel periodo che segue immediatamente l'apprendimento.
Se appare sperimentalmente dimostrato che i fattori ambientali provocano alcune modifiche strutturali e molecolari dei neuroni, non siamo per il momento in grado di spiegare la natura del fenomeno. D'altra parte i tentativi per riavvicinare i meccanismi molecolari della memoria al modello rappresentato da quella genetica inclusa nelle macromolecole dell'acido desossiribonucleico, oppure a quel particolare tipo di memoria cellulare costituito dalla produzione di anticorpi, non ha finora ricevuto alcuna conferma sperimentale valida.
Ciò malgrado, un insieme di fatti ben stabiliti starebbe a dimostrare che la sintesi proteica è necessaria perché una memorizzazione durevole s'instauri. In effetti, alcune sostanze che bloccano in modo specifico la sintesi proteica turbano la consolidazione della memoria durevole.
Di fronte però alle difficoltà di mettere in luce il meccanismo molecolare che vi presiede, altre strategie sperimentali sono state messe in opera. L'approccio genetico in ceppi di animali consanguinei e quello della nutrizione o farmacologico durante il periodo perinatale permettono entrambi lo studio dei correlati biochimici e neuroanatomici nelle capacità di apprendimento dell'animale di laboratorio.
Comportamento geneticamente programmato, innato o istintivo. - L'origine del concetto d'istinto risale alla filosofia scolastica che negò agli animali l'anima razionale e pensante, concedendo loro la semplice anima sensibile. Malgrado alcune reazioni completamente negative (G. Bohn, 1905) il significato di questo concetto si è andato progressivamente precisando. Tralasciando l'idea di un'immutabilità assoluta e d'infallibilità, gran parte dei biologi ne ha tuttavia riconosciuto la validità. L'espressione di "comportamento istintivo" riferito ai Vertebrati per i quali è stato compiuto un approccio interdisciplinare, può essere così definito: i comportamenti istintivi sono caratteristici della specie; essi sopo evocati da stimoli intrinseci in relazione con stati emozionali regolati da strutture subcorticali chiaramente individuate e rispondono a funzioni adattative essenziali per la sopravvivenza dell'individuo e della specie (fig. 6; vedi anche tabella).
Nell'analisi che egli fece dell'istinto, W. James (1890) indicò che questo rappresenta il "correlato funzionale della struttura" e che "la presenza di alcuni organi comporta in un certo senso regolarmente l'attitudine innata ad adoperarli". L'inserimento del comportamento istintivo nell'insieme delle attività funzionali dell'organismo e il suo carattere meramente adattativo è ciò che ha maggiormente sorpreso, a volte addirittura stupito, gli osservatori del mondo animale.
I criteri che servono alla classificazione dei comportamenti istintivi non sono mutati e si dividono secondo cinque gruppi principali di motivazione: a) nutrizione (appetito, sete, funzioni di eliminazione); b) riproduzione (corteggiamento, accoppiamento, costruzione del nido, parto, cura della prole) e cioè comportamento sessuale e parentale; c) pulizia e cura del pelo e in genere della salute del corpo; d) comportamenti di salvaguardia e di allarme (comportamenti di difesa e di fuga, comportamenti esplorativi, costruzione della tana, organizzazione del territorio, migrazione, comportamenti sociali e aggressivi; e) comportamenti di recupero: sonno e sonno paradosso.
Un contributo importante nello studio del comportamento istintivo è stato portato da N. Tinbergen (1951) con la formulazione del concetto di "stimoli chiave" (releaser) e lo sviluppo di tecniche in grado d'identificarli.
Nell'apparire di un atto istintivo è possibile riconoscere che gli stimoli significativi non rappresentano che un elemento limitato della configurazione ambientale.
In una serie di esperienze sul comportamento aggressivo si è potuto dimostrare che un pesce (Gasterosteus) reagisce alla presentazione di un modello molto grossolano funzionante come evocatore o "stimolo chiave" di un meccanismo scatenante innato.
Nel concetto degli etologi moderni (G. Heimroth, 1910; K. Lorenz, 1951; N. Tinbergen, 1951; W. H. Thorpe, 1951) l'analisi di queste azioni complesse indica che esse sono in realtà costituite da una catena di azioni istintive elementari, ciascuna delle quali corrisponde a un meccanismo innato d'induzione legato a uno stimolo specifico.
Gli esempi più tipici di un'attività istintiva complessa, allo stesso tempo geneticamente programmata e altamente stereotipata si trovano fra gli uccelli: comportamento sessuale del corteggiamento, costruzione del nido, comportamento parentale, cova, canto.
Nel corso di reazioni di corteggiamento, le reazioni successive si stabiliscono sulla base di un concatenamento nel corso delle quali i due elementi della coppia, maschio e femmina, fanno alternativamente la parte di soggetto e di segnale.
I comportamenti acquisiti. L'apprendimento. - L'apprendimento può essere definito come un cambiamento durevole del comportamento generato dall'esperienza. Esso costituisce un capitolo largamente aperto alla ricerca sperimentale, nell'animale come nell'uomo. Le ricerche si basano sull'osservazione e la registrazione delle risposte di soggetti posti in condizioni sperimentali rigorose, poi nella manipolazione e nelle analisi sistematiche dei vari parametri.
Da un punto di vista storico, contemporaneamente agli studi pioneristici degli apprendimenti verbali nell'uomo (H. Ebbinghaus, 1885) e all'approccio neurofisiologico della scuola di Pavlov, si andavano sviluppando le prime ricerche sperimentali di apprendimento nell'animale iniziate da E. L. Thorndike (1898) (fig. 7), seguite negli anni Trenta e Cinquanta specialmente negli Stati Uniti con un indirizzo prevalentemente teorico e alle quali restano legati i nomi di E. C. Tolman (1932); C. A. Hull (1943); K. W. Spence (1945) e W. J. Brogden (1946). Si deve a tali ricerche l'aver messo in luce la pluralità dei tipi di apprendimento (J. Konorski, 1928; B. F. Skinner, 1932), quindi la formulazione di teorie che portano a considerare l'esistenza di meccanismi diversi nelle fasi successive di uno stesso esercizio. vanno distinti: 1) i processi di assuefazione e di adattamento; 2) il condizionamento rispondente o pavloviano; 3) l'apprendimento per contingenza o strumentale; 4) l'apprendimento del comportamento di evitamento; 5) l'apprendimento discriminativo; 6) gli apprendimenti che mettono in gioco eventuali processi simbolici elementari (fig. 8); 7) l'apprendimento per imitazione e le forme elementari di comportamento culturale; 8) l'apprendimento concettuale al quale si perviene progressivamente con il risultato che il soggetto è in grado di affrontare la soluzione dei problemi in modo intuitivo pervenendo così alla genesi dei comportamenti "intelligenti". Un criterio spesso adottato è quello, nell'animale, della capacità di costruire e usare un arnese; 9) nella specie umana, in particolare, lo sviluppo dei processi di comunicazione nell'uso del linguaggio articolato e dell'apprendimento verbale.
A seconda della natura dei processi messi in opera gli apprendimenti vengono raggruppati in semplicemente associativi (n. 3, 4), discriminativi (n. 5) e complessi (n. 6, 7 e 8). Nell'ambito delle stesse specie esistono notevoli differenze individuali nell'adattarsi ai fattori ambientali.
Il concetto di quel che P. B. Medawar (1957) e gl'immunologhi hanno giustamente definito il "carattere unico dell'individuo" si è progressivamente imposto anche in questo campo.
Già nel 1907, in una classica monografia su "Il topo ballerino", R. M. Yerkes metteva in luce l'interesse che poteva presentare lo studio delle variazioni individuali di comportamento in topi provenienti da uno stesso allevamento. Le ricerche nell'animale di laboratorio hanno rapidamente messo in luce che la varietà delle funzioni cerebrali nei diversi campi della percezione, della motivazione, della sociabilità e della capacità di apprendimento non è affatto privilegio della specie umana.
Un insieme di studi recenti sugli effetti della selezione (P. C. Tryon, 1940) e sui confronti che possono essere fatti in ceppi consanguinei di roditori (D. Bovet, F. Bovet-Nitti, A. Oliverio, 1967) hanno permesso di confermare l'importanza dei fattori genetici (fig. 9).
Esperienza precoce e "imprinting". - Da un punto di vista biologico l'apprendimento corrisponde spesso a un comportamento adattativo e per tale ragione costituisce in vari gruppi zoologici un insieme di reazioni di conseguenza. A seconda della specie considerata, l'animale appare atto o preparato a distinguere determinati stimoli e a restare indifferente ad altri. Diverse forme di memoria e di discriminazione corrispondono in varie specie a determinate funzioni: l'apprendimento topografico al ritrovamento del nido e della tana nell'uccello e nel mammifero, una certa attitudine al conteggio per il controllo della covata negli uccelli nidicoli. Studiando l'orientamento stellare di un uccello migratore, il ministro (Passarina cyanea), si è notato che i giovani soggetti distinguono la disposizione delle stelle intorno al polo nord celeste e si servono di questo dato per determinare la direzione della migrazione (S. T. Emlen, 1975).
Le maggiori capacità di discriminazione olfattiva, acustica o visiva rivestono un'importanza sociale per il riconoscimento dei singoli individui della specie, per la scelta sessuale e per il ritrovamento della coppia.
Il maschio e la femmina di alcune specie tropicali di uccelli canori, per es. l'averla (Laniarius aethiopicus), si uniscono in un canto a due, ben modulato, la cui funzione è di mantenere fra di loro il contatto anche quando si perdono di vista (W. H. Thorpe, 1973).
D'altra parte si notano in alcune specie delle forme di apprendimenti capaci d'instaurarsi in seguito in un solo e unico esercizio (apprendimento flash degli autori anglosassoni). Con alcune modalità che provano un'evidente funzione di adattamento, determinati pesci e uccelli, dopo una sola prova, rifiutano d'ingerire una preda rivelatasi nociva. Parimenti, nel ratto, esperienze di laboratorio hanno permesso di confermare le reazioni di rifiuto osservate casualmente in presenza di alimenti che avevano la prima volta provocato sintomi d'intossicazione (C. P. Richter, 1943).
Il carattere di adattamento dell'apprendimento appare in modo ancor più evidente nel caso dell'imprinting. Un certo numero di osservazioni compiute dagli etologi ha esteso le nostre conoscenze su questo tipo di apprendimento in alcuni gruppi zoologici. Negli uccelli nidifugi (pulcino, Gallus gallus; anatra, Anas) la reazione d'inseguimento (fig. 10) s'instaura durante una fase sensibile estremamente breve e, dopo un numero limitato di prove, corrisponde al processo di imprinting (D. A. Spalding, 1873). Esperienze di laboratorio dimostrano che la stimolazione provocata dal verso materno, anche nel periodo anteriore allo schiudersi dell'uovo, può successivamente facilitare in una determinata misura il riconoscimento del richiamo caratteristico dell'anatra (E. H. Hess, 1957,1970).
Nella pecora (Ovis) l'attaccamento alla madre e il suo inseguimento nel gruppo si stabiliscono dopo la nascita, nel periodo immediatamente successivo, chiamato "periodo critico" (R. B. Cairns, 1866).
L'eredità e l'ambiente. - I rapporti esistenti fra i comportamenti innati e quelli acquisiti e la parte che dev'essere attribuita all'istinto e all'apprendimento, ha rappresentato uno dei maggiori problemi della psicologia e l'oggetto dei più accesi dibattiti. I rapporti fra istinto e intelligenza non possono più essere concepiti oggi nel senso di un'antitesi, così come voleva la tradizione scolastica (Alberto Magno, 1193; Tommaso d'Aquino, 1250) né in quello di una filiazione diretta nel senso di Lamarck (W. M. Preyer, 1890; T. Ribot, 1896).
F. Cuvier (1825) e M. J. Flourens (1841) affermavano già che istinto e intelligenza si trovano in rapporti inversi. Se la loro tesi è difficile da sostenere per l'insieme del regno animale in cui la facoltä di apprendere sembra essere comparsa a diverse riprese e in maniera indipendente, essa trova maggiore conferma nelle osservazioni compiute negli animali superiori.
Per i vertebrati le osservazioni più convincenti riguardano il carattere geneticamente determinato e programmato di forme di comportamento anche relativamente comdesse osservate in pesci teleostei e negli uccelli. Secondo i gruppi zoologici ai quali ci si rivolge, i pesci, gli uccelli, ì mammiferi inferiori o i primati, si constata che l'istinto diminuisce man mano che aumenta la parte dovuta ai comportamenti acquisiti, all'esperienza e all'intelligenza.
All'interno della classe dei Mammiferi la parte del comportamento innato decresce progressivamente quando si passa dagl'Insettivori ai Roditori, ai Carnivori e ai Primati. Che si tratti dell'accoppiamento, della costruzione del nido o del comportamento parentale, quelli che riguardano la conservazione della specie perdono progressivamente il loro carattere stereotipato. La sensibilità alle condizioni ambientali, la parte dell'esperienza e quella dell'adattamento alla vita sociale, acquistano una maggiore importanza man mano che l'organismo si eleva nella scala zoologica. Numerosi autori (M. E. Bitterman, 1965; J. M. Warren, 1965; W. Hodos, 1970) hanno fornito un insieme di dati che, mediante un approccio filogenetico, permettono di dimostrare lo sviluppo progressivo delle attitudini all'apprendimento. Nei vertebrati le varie specie differiscono per il grado di plasticità del comportamento. Un esempio particolarmente dimostrativo è fornito, nelle prove di discriminazione successive, dal miglioramento progressivo delle prestazioni. È il classico problema dell'"imparare a imparare" (learn to learn) che, negli animali superiori, non può essere risolto che da quelli dotati di un grado di encefalizzazione molto elevato (H. F. Harlow, 1949).
I risultati ottenuti dai vari autori su diverse specie sono tuttavia anco- ra troppo scarsi per apparire completamente significativi (fig. 11).
Dopo la specie umana le scimmie antropomorfe (scimpanzé, Pan, e gorilla, Gorilla) occupano il primo posto, seguite dalle altre scimmie del vecchio continente (cercopitechi, Cercopithecus, macachi, Rhesus), mentre quelle del nuovo mondo (cebi, Cebus capucinus) non migliorano che lentamente le loro prestazioni. I carnivori (gatto, furetto) possono essere riavvicinati alle scimmie del nuovo mondo, mentre i roditori (ratto, scoiattolo) appaiono incapaci di qualsiasi progresso anche dopo un migliaio di prove.
Abbiamo precedentemente sottolineato il carattere altamente specializzato di alcune forme di apprendimento e di memoria e l'intricarsi dei fattori di programmazione genetica e dei processi di apprendimento che condizionano l'esperienza precoce e l'impronta (imprinting). Il confronto dei dati ontogenetici e biologici permette di concepire la nascita dell'intelligenza quale risultante della "riorganizzazione dei dati dell'istinto su nuovi livelli" (J. Piaget, 1967). vedi anche etologia, in questa Appendice.
Nel passaggio da un comportamento istintivo a un comportamento intelligente ciò che diminuisce è il livello medio di un'attività stereotipata e comune alla specie; ciò che si estende e prende progressivamente importanza è il livello iniziale rappresentato dalle forme di coordinazione generale e di autoregolazione nel corso della fase appetitiva; ma è soprattutto al terzo livello che la parte di adattamento individuale all'ambiente è già presente nelle forme di comportamento elementare e si traduce nell'apprendimento e nella memoria nel corso delle condotte strumentali e cognitive dei mammiferi superiori.
L'uomo e l'animale. - All'interrogativo in quale misura lo studio del comportamento animale può trovare un'applicazione in psicologia umana, un certo numero di fatti ha già dato una risposta.
Per il passato ricorderemo, nel campo della neurofisiologia e della neuropatologia, i contributi portati da W. James (1884) e da W. B. Cannon (1915) nella teoria dell'emozione; gli studi di I. Pavlov e di J. H. Masserman (1943) sulle nevrosi sperimentali da conflitto; più recentemente la formulazione da parte di H. Selye (1956) del concetto di stress e i tentativi di far poggiare su basi sperimentali le teorie psicoanalitiche compiuti da W. H. Dennenberg (1962) e da S. Levine (1960). In quanto al significato clinico, esso è apparso in campi affatto diversi come il comportamento nella prima infanzia e l'eziopatologia delle malattie mentali.
Ma è nella terapia chimica che le analogie appaiono più chiaramente. In seguito ai primi clamorosi successi ottenuti con l'introduzione della clorpromazina nelle malattie mentali (S. Courvoisier e coll., 1953; J. Delay e P. Deniker, 1952) i farmacologi ricorrono tuttora ai classici metodi della psicologia comparata ogni volta che si debba, in laboratorio, procedere allo screening di nuovi farmaci psicotropi: neurolettici, atarassici o antidepressivi. Secondo l'espressione di N. Tinbergen è stata in definitiva la ricerca medica a conferire all'esperto in psicologia animale "la temerarietà di affrontare i problemi relativi alla psicologia umana".
In molti settori le ricerche attualmente vanno di pari passo nell'animale e nell'uomo a tal punto che non sempre è agevole determinarne l'origine: per es., i recenti studi sul sonno, quelli sulla psicogenetica, la genetica medica, e la genetica delle popolazioni.
Due correnti nella ricerca contemporanea dimostrano l'interesse che gli studiosi portano al problema dei rapporti fra l'animale e l'uomo. Da una parte le ricerche che tendono a riconoscere nell'uomo le coordinazioni ereditarie e il loro apparire nel neonato (I. Eibl-Eibesfeldt, 1970) e dall'altra il significato che con J. Huxley (1966) si è portati ad attribuire ai comportamenti di ritualizzazione culturale. Molto significativo egualmente il concetto "behaviorista" del linguaggio umano (B. F. Skinner, 1957), lo studio dei segnali nei gruppi sociali di Primati (R. A. Hinde, 1972).
Gli esperimenti diretti a insegnare un linguaggio ai Primati risalgono all'inizio di questo secolo. Essi non hanno avuto che uno scarso successo finché si è voluto far pronunziare all'animale delle parole (L. Boutan, 1921; N. Kohts, 1923; H. Nissen, 1921). Invece grandi progressi sono stati compiuti quando si è tentato d'insegnare a uno scimpanzé un modello di comunicazione non verbale costituito da gesti della mano (B. T. Gardner e R. A. Gardner, 1969) o dalla scelta di forme in plastica (D. Premack, 1970) (fig. 12).
Queste esperienze pongono il problema se nella possibilità d'interazione con specie animali non umane, ciò che si studia corrisponde realmente alla capacità di astrazione dei soggetti o se, come insinuano alcuni, non è in definitiva l'uomo che impone la sua propria struttura cognitiva utilizzando le analogie che scopre man mano nei riguardi dei Primati non umani.
La possibilità di trovare in uno sviluppo filogenetico una delle chiavi per comprendere il comportamento umano che si oppone all'antropocentrismo ha sollevato un vasto dibattito: K. Lorenz (Il cosiddetto male, 1963) e I. Eibl-Eibesfeldt (Amore e odio, 1970) per i paesi germanici, R. Ardrey (The territorial imperative, 1966) e D. Morris (La scimmia nuda, 1967) per quelli anglosassoni. Ma soltanto nuove e complesse ricerche potranno dirci, nei limiti di quel che E. O. Wilson (1975) ha chiamato la "sociobiologia", in quale misura, al di là dei comportamenti individuali, uno studio del comportamento interpersonale (fig. 13) e un'analisi delle strutture delle società animali potranno rappresentare un campo valido d'indagine.
"I gruppi di primati non umani" - scrive R. A. Hinde (1974) - "meritano di essere studiati proprio per le differenze che presentano rispetto ai gruppi umani. La struttura dei gruppi illustra la complessità che può risultare dalle interazioni fra individui nel caso in cui l'influenza della cultura e della tradizione si trovano ridotte al minimo".
Bibl.: B. F. Skinner, The behavior of organisms. An experimental analysis, New York 1938; J. P. Scott, Animal behavior, Chicago 1958; N. R. F. Maier, T. C. Schneiria, Principles of animal psychology, New York 1964; Sex and behavior, a cura di F. A. Beach, ivi 1965; Primate behavior, a cura di I. De Vore, ivi 1965; C. T. Morgan, Physiological psychology, ivi 1965; G. Thinès, Psychologie des animaux, Bruxelles 1966; I. Eibl-Eibesfeltdt, Grundniss der vergleichenden Verhaltensforschung, Monaco 1967; A. Manning, An introduction to animal behaviour, Londra 1967 (trad. it., Il comportamento animale, Torino 1972); D. Morris, Primate ethology, New York 1969; La fisica della mente, a cura di V. Somenzi, Torino 1969; J. Altman, Organic foundations of animal behavior, New York 1970; R. Chauvin, Le comportament animal, Parigi 1970; M. R. Denny, S. C. Ratner, Comparative psychology, Homewood (Ill.) 1970; Psychobiology, a cura di J. L. Mc Gaugh, New York 1971; J.L. Gewirtz, Attachment and dependency, Washington 1972; R. A. Hinde, Biological basis of human social behavior, New York 1974; D. Mainardi, L'animale culturale, Milano 1974; L'unité de l'homme (i-iii), a cura di E. Morin, M. Piattelli-Palmarini, Parigi 1974; E. D. Wilson, Sociobiology. The new synthesis, Cambridge, Mass., 1975.