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PSICHIATRIA

di Lucio BINI - Enciclopedia Italiana - III Appendice (1961)
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PSICHIATRIA (XXVIII, p. 446; App. II, 11, p. 624)

Lucio BINI

Neurofisiologia. - La funzione di stato di coscienza, intesa come quella di un direttore d'orchestra che controlla e stimola le attività psichiche, è attribuita definitivamente dopo le più recenti esperienze di neurofisiologia, al sistema reticolare ascendente del tronco dell'encefalo (v. nervoso sistema: Fisiologia del tronco dell'encefalo, in questa App.).

Questa formazione anatomica, per la integrazione generale della personalità, è strettamente collegata all'archipallio (principalmente alle formazioni ammoniche), fino a poco tempo fa considerato residuo di strutture filogeneticamente in regressione. Il sistema ammonico, molto sviluppato nell'uomo, riceve impulsi afferenti connessi con tutte le esperienze sensoriali e vegetative, e attraverso la fimbria, i corpi mammillari ed il talamo, restituisce alla corteccia nuovi impulsi elaborati. Questo processo di ricorticalizzazione, in armonia alle tesi cibernetiche delle funzioni cerebrali, viene ipotizzato come il substrato anatomo-fisiologico del controllo e del dominio della personalità umana sugli impulsi e sulle esperienze istintivo-emotive (W. E. Le Gros Clark).

Il sistema reticolare tronco-encefalico, con l'archipallio, viene indicato come centroencefalo. A questo, attraverso impulsi, provenienti da altre zone, dove si integrano le funzioni vegetative e somatiche, giungono informazioni sulle funzioni dei visceri e delle pulsioni istintive e si collegano con le esperienze di percezioni del mondo esterno e della memoria intelligente. Le informazioni elaborate a creare uno "stato dinamico" (P. Guiraud), attraverso i collegamenti efferenti con le altre parti dell'encefalo, attivano o inibiscono tutte le funzioni, o globalmente o selettivamente.

Questa nozione è stata specificata dai dati della sperimentazione e della neurografia fisiologica (H. Magoun) e delle recenti osservazioni di fisiopatologia clinica, particolarmente con le indagini elettroencefalo- e cortigrafiche sull'epilessia cosiddetta "centroencefalica" (W. Penfield e H. Jasper).

I recenti studî sull'epilessia hanno anche portato chiarimenti sulla fisiopatologia della memoria. Si è potuto dimostrare (W. Penfield e H. Jasper), che le aure epilettiche della vecchia nosologia, con gli strani fenomeni del "già visto", del "mai visto" e degli "stati sognanti", altro non sono che manifestazioni jacksoniane per stimolazioni epilettiche locali del lobo temporale (attacchi psichici); quasi una sorta di "attivazione della memoria". Da qui la ragionevole ipotesi di Penfield che gran parte del lobo temporale e le zone di passaggio adiacenti verso il lobo occipitale, esplichino la funzione di integrare le rappresentazioni e le idee che costituiscono il patrimonio della memoria. L'intervento del sistema reticolare come "controllo dello stato di coscienza (denominato da Penfield "livello supremo") sarebbe fondamentale per il riconoscimento dei ricordi. Una sua alterazione contemporanea allo stimolo temporale, nella epilessia psichica, produrrebbe veri disturbi psicosensoriali (con allucinazioni in varî campi sensoriali) e delirî fantastici.

In questa ipotesi sull'integrazione della memoria trova spiegazione la lesione dei corpi mammillari come tipico reperto della sindrome di S. S. Korsakov (deficit della fissazione mnemonica e confabulazioni). Questa formazione, anello del sistema limbico-ippocampico, rappresenterebbe una connessione essenziale nella integrazione delle esperienze attuali con le vecchie immagini di memoria.

L'aspetto più recente di conferma e specificazione per queste ipotesi, è rappresentato dai tentativi per il comando elettronico della condotta umana (J. M. R. Delgado e coll.). In pazienti con piccoli elettrodi infissi in varie zone del cervello, o con onde radio, si sono inviati stimoli di onde elettriche ad alta frequenza e bassa intensità, e si è creduto poter rilevare sensibili modificazioni del corso del pensiero, con le caratteristiche della spontaneità. I risultati più attendibili in questo senso sono soprattutto nell'ambito di esperienze istintivo-affettive (spinte all'apatia, all'attività, alla simpatia o a desiderî sessuali).

Si è ancora lontani da poter trarre conclusioni sicure e definitive; tuttavia la luce che la moderna neurofisiologia getta sui meccanismi delle funzioni psichiche hanno spinto alcuni entusiasti a specificare la base anatomo-funzionale di alcune malattie mentali. Ad esempio una "disfunzione temporolimbica" è invocata come patogenesi della schizofrenia e di quadri simili di altre malattie (S. Karagulla e E. Roberston).

È stato scritto da L. Bini (1959) che su questa via è suggestivo intravedere la possibilità di una spiegazione non solo dei concetti della predisposizione, del patoplasma, dello sviluppo psicopatico. ma, attraverso un fattore tempo, anche dello scatenamento e della provocazione dei disturbi psichici. La ripetizione frequente (specie nei cervelli ancora immaturi) di un determinato arrangiamento di circuiti per causa organica (come l'epilessia) può produrre, per un fenomeno di facilitazione, una via predisposta ove si incanala l'energia nervosa a condizionare determinate forme di pensiero e di affetti, che si estrinsicheranno come caratteristiche della personalità, capaci di dare impronte patoplastiche tipiche, sviluppi psicopatici, o essere la base (predisposizione) per lo scatenamento di una psicosi endogena, quando ne compaia una causa necessaria, ma non sufficiente. Si può addirittura ipotizzare che la predisposizione possa giungere a tal punto di sensibilità da provocare una malattia endogena, per cause che sarebbero fisiologiche e non patogene, senza il particolare terreno. In altre parole, si possono, con ardita fantasia, gettare i ponti di passaggio fra il fisiogeno esogeno, il fisiogeno endogeno e lo psicogeno.

Nessuno può disconoscere l'interesse e l'importanza di questi moderni studî; i quali, però fino ad oggi, hanno dato risultati accettabili solo come ipotesi di lavoro.

Le moderne ricerche sull'attività elettroencefalografica, hanno dimostrato che non vi sono reperti specifici né patognomonici di alcuna malattia mentale. È però certo che i soggetti con disturbi psichici presentano, in percentuali maggiori della norma, reperti definiti come difetto di maturazione (perché presenti anche nei bambini e negli adolescenti) cioè: ritmo teta eccessivo, fino a ritmo teta dominante, variante alfa lenta, foci post-temporali delta e teta (D. Hill, 1952). Ed è significativo che i gruppi dove tali variazioni sono più frequenti, sono quelli in cui il disturbo mentale si presenta con carattere di alienazione minore o dubbia (psicopatici e criminali). Il significato di questi dati è ancora tutt'altro che chiaro, specie se si tiene conto che alcuni disturbi mentali (in psicosi epilettiche o in catatonie periodiche) mostrano remissione, parallelamente alla comparsa di onde elettroencefalografiche anormali, e viceversa (cfr. Hill, H. Landolt).

La ricerca con elettrodi portati direttamente nelle formazioni della base (talamo, ippocampo, setto pellucido), dai quali si possono derivare scariche di punte, o parossismi periodici di onde lente, hanno fatto ipotizzare come base di disturbi mentali una lesione centrale con alterazione dei circuiti subcortico-corticali (R. G. Heath e coll.). Queste ricerche sono state criticate sia per ragioni di tecnica (soprattutto per la lesione traumatica prodotta dall'elettrodo stesso), sia per la nostra scarsa conoscenza di questo aspetto della neurofisiologia normale (J. C. Lilly, 1955, Sem Jacobsen e coll., 1955).

Biochimica. - Le speranze di una terapia efficace delle malattie mentali è basata, logicamente, sulla possibilità di influenzare una ipotetica alterazione umorale causa più o meno specifica della psicosi. Questa meta appare oggi lontana, ad onta di una numerosa serie di ricerche alle quali ha dato particolare vigore lo studio delle cosiddette psicosi sperimentali. Si sono provocati nell'uomo disturbi mentali di apparenza simile, ma non uguale, a quelli di psicosi naturali (specie di alcuni quadri della schizofrenia), con sostanze anche in dosi infinitesimali: i prodotti dell'acido lisergico agiscono in dosi dell'ordine del millesimo di milligrammo (dati bibliografici: nei Simposî organizzati da L. Cholden e da Georgi e Moll).

Finora non si sono date dimostrazioni certe delle due ipotesi, che sembravano più promettenti per la clinica. La prima ammette un meccanismo comune di varî medicamenti sulla patogenesi di alcune sindromi, attraverso un'azione sul ricambio della serotina, sostanza ritenuta fondamentale nella trasmissione dell'impulso nervoso a livello delle sinapsi. L'altra ipotesi, partita da somiglianze nella struttura chimica di sostanze usate per provocare le cosiddette psicosi modello con l'adrenocromo e la simpatina (sostanze del metabolismo dell'adrenalina e della nor-adrenalina, prodotti naturali della glandola surrenale), fa intravedere la possibilità di individuare la fonte di una ipotetica tossicosi per malattie naturali. Il cosiddetto effetto adrenergico sul cervello (attraverso la simpatina e la serotonina), che produrrebbe inibizione delle sinapsi neuroniche, viene ipotizzato come il modello di un meccanismo fisiopatologico che altera la percezione della realtà. Da questo meccanismo, attraverso semplici errori di interpretazione (di comune esperienza nelle situazioni di paura e di ansia, che producono scariche adrenergiche), si è voluto vedere la nascita delle allucinazioni e dei delirî.

Non hanno avuto maggior fortuna le numerose ricerche sul ricambio dei malati di mente (in prevalenza si tratta di schizofrenici), atte a svelare un errore metabolico o un tossico specifico. Tutte le tecniche più moderne sono state impiegate per ricerche su varî componenti del sangue e del liquor, sulle funzioni del fegato, del rene e delle ghiandole a secrezione interna.

Sono stati descritti da ricercatori entusiasti numerosi reperti come indice di una presunta alterazione tipica e causale di una psicosi endogena (specie per la schizofrenia). Ma una severa critica (cfr. C. Riebeling e la monografia diretta da Richter) ha dimostrato l'infondatezza delle conclusioni, ponendo in evidenza gli errori di molte metodiche, la contraddittorietà dei reperti di varî autori, l'arbitrarietà con cui si sono tratte conclusioni da reperti dubbî o di valore non probativo; anche perché non si sono tenuti nel dovuto conto momenti particolari che possono influire sul ricambio: fattori costituzionali, disturbi di nutrizione, stato di attività, medicamenti.

I risultati positivi più attendibili (come quelli di Giessing, che dimostrano una alterazione del ricambio azotato nella catatonia periodica, e un'alterazione del ricambio degli idrati di carbonio) permettono di concludere solo che in molti schizofrenici esiste una alterazione del controllo omeostatico, soprattutto per la circolazione. Ma ciò non prova che sia questo il punto centrale etiopatogenetico della schizofrenia, perché si può ipotizzare che una stessa noxa agisca, indipendentemente, sui controlli omeostatici centrali e sulla funzione psichica.

Anatomia patologica. Microbiologia. - In queste branche contributi recenti, molto importanti per la psichiatria, interessano quasi esclusivamente il campo delle oligofrenie (encefalopatie; encefalite, v., in questa App.).

Le ricerche anatomo-patologiche nelle psicosi endogene (schizofrenia, distimie), si sono arricchite di molti contributi specie per lo studio bioptico nelle leucotomie e topectomie, e l'uso delle nuove tecniche atte a svelare singoli componenti proteici (acido desossiribonucleico) ed enzimi intracellulari (fosfatasi acida ed alcalina, colinesterasi). Una severa critica dei reperti (mai imponenti né tipici, spesso contrastanti secondo varî Autori) e del loro significato reale (specie tenendo conto degli artefatti di origine tecnica e della possibile esistenza di altre cause non in rapporto alla noxa responsabile della psicosi: vedi bibliografia in David, 1958), non permette di confermare le conclusioni ottimistiche di alcuni ricercatori, portati a voler indicare una base anatomica della schizofrenia e delle distimie; queste rimangono ancora "psicosi senza reperto anatomico".

Il riscontro di evidenti lesioni istopatologiche nei pezzi operatorî delle lobotomie per epilessia, unitamente agli studî elettroencefalografici, hanno dato il colpo di grazia, quasi definitivo, al concetto della epilessia essenziale (v. epilessia, in questa App.) intesa come malattia di tutto l'organismo senza lesione cerebrale anatomica (v. Penfield e Jasper).

Ricerche istopatologiche recenti hanno isolato fra le psicosi a decorso cronico con esito demenziale, un'entità nosografica nuova: il reumatismo cerebrale cronico, che può decorrere anche con l'aspetto di episodî recidivanti di aspetto schizofrenico (L. Bini e G. Marchiafava; ivi bibliografia).

Genetica. - Il moltiplicarsi di ricerche di genetica, eseguite con larghi mezzi, ha arricchito la psichiatria di nuovi dati, specie per quello che si riferisce al "rischio di morbilità" delle psicosi endogene e delle psicopatie; ma non ha potuto risolvere problemi fondamentali di etiologia.

La ricerca degli alberi genealogici famigliari, ed il metodo del censimento delle popolazioni, in p., più che in tutte le altre branche della medicina, ha limitazioni notevolissime di pratica attuazione: anche per le difficoltà diagnostiche e la variabilità dei concetti nosologici delle malattie non organiche. I progressi più significativi si attribuiscono allo "studio dei gemelli".

Le controversie che hanno dato origine all'interpretazione di dati desunti da molte statistiche sembrano orientare l'interpretazione genetica ad una visione più ampia delle semplici leggi mendeliane. È molto probabile che molte condizioni anomale o morbose si trasmettano in modo né pienamente dominante né del tutto recessivo (dominanza e recessività incomplete); cioè vi sarebbero nell'eterozigote, caratteri che possono essere risvegliati con minore o maggiore facilità, come espressioni di malattia quantitativamente differente, da una interazione additiva poligenica (tipo multifattoriale di una eredità quantitativa), unita all'azione dell'ambiente biologico e dell'ambiente esterno (v. Allen, 1957; F. J. Kallmann, 1959).

Il tipo di eredità quantitativa multifattoriale è ammesso per le caratteristiche della personalità e dell'intelligenza e spiega la loro distribuzione secondo la curva di Gauss, con gli estremi della lieve imbecillità fisiologica e della genialità.

Gli studî moderni sull'ereditarietà della insufficienza mentale biopatica, delle personalità psicopatiche e delle psiconevrosi, confermano l'importanza delle disposizioni genetica di queste anomalie, per la dimostrazione di uno o più fattori biologici della "personalità" neurotica; con concordanza nei gemelli univolari fino all'80% e per l'omosessualità fino al 100% (v. H. Eysenck e M. Prell, E. Slater). Un tentativo di conciliare questi dati con le teorie psicodinamiche annette molta importanza patogenetica all'ambiente e agli avvenimenti psichici, ma indica nell'eredità biologica il fattore dominante che determina la selezione e la ricerca delle situazioni esistenziali traumatizzanti (Muller).

La psicosi maniaco-depressiva, dallo studio dei gemelli, ha ricevuto conferma di essere malattia legata ad un gene specifico di carattere dominante incompleto; anche per la schizofrenia si è dimostrato con certezza un fattore ereditario, ma molto incerta è la sua definizione (v. schizofrenia, in questa App.).

Le ricerche più promettenti appaiono quelle sulla trasmissione genetica di alterazioni del metabolismo- legate ad alterazioni cerebrali. Al già noto gruppo delle lipoidosi cerebrali (idiozia amaurotica e gargoilismo) si sono aggiunte, l'idiozia fenilpiruvica, la glicogenosi, e la galattosemia (v. encefalopatie, in questa App.). La speranza di influenzare in modo costante e sensibile il decorso dei sintomi neuropsichici modificando le alterazioni del ricambio sembra confermata solo in alcune malattie in cui vi sono alterazioni precoci e dominanti anche in altri organi (come la glicogenosi e la galattosemia): ma in altri casi (specie in soggetti con idiozia fenilpiruvica, tenuti a dieta priva di fenilnanina) i risultati non sono stati univoci. Non può escludersi l'ipotesi che alcune di queste malattie siano prodotte da geni polimerici capaci di produrre indipendentemente le due alterazioni: le ricerche di una eventuale alterazione enzimatica, che colleghi i due tipi di disturbi, è un campo promettente anche per altre malattie mentali organiche o endogene (bibl. in Kallmann, 1959).

Nosologia e clinica. - Dopo il fondamentale lavoro di descrizione fenomenologica e distinzione clinica compiuto dalla psichiatria europea nei primi del secolo, seguendo le linee direttive del metodo clinico-nosografico tracciato da E. Kraepelin e da K. Jaspers, non si sono avuti sostanziali progressi. Gli indirizzi psicanalitici e psicobiologici della psichiatria anglo-americana non hanno dato risultati pratici importanti (D. Brower); solo una cospicua serie di ricerche di psicopatologia e di psicogenesi, nell'ambito dei disturbi psichici funzionali, che accresce molto la letteratura psichiatrica, senza arricchire proporzionalmente il dottrinale utile al clinico. Questi studî partono da differenti premesse teoriche, spesso con preconcetti personali o nettamente filosofici, e si prefiggono scopi molto varî. La diversità e la opinabilità di questi dati, oltre la contraddizione di molti risultati, non ne permettono una integrazione unitaria, con chiaro rigore di obiettività; vale a dire non sono utili alla Clinica.

L'orientamento più recente in questo campo è quello della cosiddetta "psichiatria esistenzialista o antropologica", di cui viene detto altrove (v. psicopatologia, in questa App.). In questa sede può essere ricordato che se Germania e Gran Bretagna sono indicati (H. P. David) come i paesi dove i concetti psicodinamici psicoanalitici fanno progressi, è anche vero che proprio in questi paesi tale indirizzo ha suscitato le critiche più drastiche e più autorevoli: basterà citare, per la Germania, W. Gruhle, K. Jaspers, Ellis, K. Kisker e W. Mayer Gross, E. Slater, M. Roth per la Gran Bretagna.

Unico risultato concreto di questi indirizzi è di aver creato nell'ambito delle psicosi endogene (schizofrenia, distimie) e specialmente in quello delle psiconevrosi e delle psicopatie, un dualismo nosografico fra la p. nord-americana e quella di altri paesi.

La prima usa una semeiologia basata sui concetti psicanalitici, servendosi molto dei reattivi mentali di proiezione (specie il Rorschach), pretende di ricostruire una psicodinamica dei disturbi, in base a una genesi psicogena individuale, oppure mista "psicobiologica", in cui motivi psicologici e i più varî fattori biologici, vengono concepiti sommativamente come concause potenzialmente di egual valore, senza nessun tentativo di creare una teoria gerarchica. Questa psichiatria è portata alla distruzione della diagnostica basata sulle categorie di una sistematica biologica, fino a negare il concetto di "psicosi" che dovrebbe essere sostituito da quello di "disturbo della personalità" (O. Diethelm).

Quantunque, come più volte notato (K. Kisker), le classificazioni ufficiali della Soc. psichiatrica americana rispecchiano l'orientamento kraepelianiano (1933 e 1942), nei recenti trattati e manuali statunitensi i concetti psicologici e psicodinamici tentano di modificare questo indirizzo in modo vario, creando divisioni e gruppi derivati, spesso molto poco chiaramente, da interpretazioni teoriche personali (vedi Sadler, Noyes).

In Europa e nell'America Meridionale la nosografia non ha affatto risentito di questo indirizzo, e i più recenti trattati seguono quello clinico nosografico classico, discordando solo in particolari, soprattutto per orientamento eccessivamente organicista (così il trattato di J. Leonhard e K. Sagarra, il trattato di H. Baruk, e tutti i trattati in lingua russa). In Italia i manuali e i trattati di psichiatria clinica recentemente editi (C. Ferrio, L. Bini e T. Bazzi) seguono la tradizionale impostazione clinico-nosografica.

Terapia. - Nell'ambito delle cure violente (shockteranie e psicochirurgia) l'ultimo decennio ha segnato il suo progresso, con la delimitazione più esatta delle indicazioni ragionevoli; questa ha portato una generica diminuzione delle applicazioni e l'avvio al tramonto definitivo di alcune di queste terapie.

L'insulinoshockterapia ha deluso le brillanti speranze che aveva suscitato per la cura della schizofrenia. Dimostrata erronea la superiorità del coma profondo e prolungato di fronte a quello breve e leggero (Boling e coll.), la maggior parte dei più recenti lavori riporta risultati a distanza molto modesti o scoraggianti (vedi: K. Kolle e K. T. Ruckdeschel). Anche i miglioramenti e le remissioni immediate, non sembrano diverse da quelle ottenute con sonno prolungato (R. H. Boardman e coll., B. Ackner e coll.). Da molti clinici, in considerazione del suo costo e dei pericoli notevoli, è stata del tutto abbandonata.

La terapia convulsivante, non ha dato migliori risultati nella schizofrenia, se si eccettua l'indubbia azione sintomatica positiva su alcune forme di catatonia e di atimia semplice. Questa terapia ha invece confermato in modo definitivo la sua azione specifica sulle depressioni endogene (vedi bibliografia in K. Wilcox e coll.) al punto da poter servire come criterio ex adiuvantibus per la diagnosi delle varie forme di depressione (L. Bini, 1959). Il metodo dell'elettroshock è praticamente l'unico usato per queste terapie; ad onta di molte proposte di cambiare la tecnica originale annunziata nel 1938, da U. Cerletti e L. Bini, questo è rimasto fondamentalmente immodificato (Kalinowsky e P. Hock). Ma un progresso notevole si è avuto negli ultimi anni con l'uso preventivo di una breve narcosi con succinilcolina, che evita i pericoli della convulsione muscolare e dell'asfissia. L'elettroshock è considerato anche terapia di scelta in alcune forme confusionali, specie nei tossicomani.

La psicochirurgia si è ridotta praticamente alla sola tecnica della lobotomia bimediale, e, in minor grado, della lobotomia transorbitale ampia (rifiutata dai chirurgi). La sua indicazione è oggi limitata genericamente a quei casi di intensa tensione emotiva, con gravi disturbi del contegno o tendenza al suicidio, a decorso cronico e non sensibili ad altre cure.

Nella schizofrenia il ricorso alla lobotomia è divenuto meno frequente dopo l'introduzione degli psicofarmaci: tuttavia in alcuni casi di schizofrenia con intensa agitazione o con violenta aggressività e, soprattutto, in forme di ansia depressiva e di ansia-ossessione a decorso cronico, si possono ottenere risultati brillanti. Perciò non è giustificata la preconcetta ostilità di chi ha, ingiustamente definito la psicochirurgia "eutanasia parziale". Si è infatti stabilito con certezza che una operazione ben condotta e seguita da una paziente rieducazione nell'ambiente familiare (talora anche per molti mesi), non altera la personalità del paziente nei suoi tratti essenziali. e permette un'attività sociale, anche nell'ambito di professioni qualificate.

La farmacoterapia si è arricchita nell'ultimo decennio di molti prodotti con tentativi di distinguere azioni specifiche in varie formazioni del sistema nervoso, e su varî atteggiamenti morbosi (v. anche psicofarmaci in questa App.). La pratica clinica più serena ha riconosciuto indubbia azione specifica solo ai cosiddetti farmaci antipsicotici (o ganglioplegici centrali, o neuroleptici), derivati della rauwolfia e derivati della fenotiazina, con azione prevalente sul sistema reticolare e motorio extrapiramidale. Con alte dosi si riesce a migliorare il comportamento di molti schizofrenici, anche cronici, le agitazioni maniacali e quelle confusionali. Inoltre queste sostanze si sono dimostrate le più attive, dopo gli oppiacei, per sedare l'ansia. Gli altri farmaci (rilassanti, tranquillanti, rasserenanti, atarassici, antifobici, timolettici) hanno azione clinica sintomatica di importanza minore, incostante, e affatto specifica; rappresentano perciò solo un utile arricchimento della vecchia farmacopea dei neurosedativi.

I neuroleptici hanno rimesso in voga la terapia del sonno prolungato (abbandonata dopo il 1922 per le gravi intossicazioni da alte dosi di barbiturici). Anche questa cura, dopo un periodo di entusiastica diffusione, sta dimostrando la sua vera utilità in un limitato numero di indicazioni, soprattutto negli stati di agitazione ed in alcune forme di ansia.

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Vedi anche
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