PSICHE (ψυχή)
L'etimologia della parola, che significa "respiro", ci riconduce a uno stadio primitivo della concezione dell'anima dell'uomo. Ancora nei poemi omerici la maniera di concepire e di rappresentare la ψυχή si può confrontare molto da vicino con le credenze di popoli primitivi, antichi e moderni (v. anima) e la concezione risente naturalmente della concretezza rappresentativa che è propria dell'immaginazione popolare. In Omero (secondo gli studî più recenti, e posteriori alle indagini di E. Rohde), si distingue nettamente l'anima dell'uomo vivo dall'anima del morto (ψυχή): l'anima del vivente (ϑυμός, secondo l'Otto), anzi le anime del vivente (κῆρ, ἦτορ, ϕρένες, μένος, ϑυμός, secondo le recentissime interpretazioni) presiedono alla vita sensitiva intellettuale e volitiva dell'uomo, la ψυχή invece acquista la sua determinazione solamente nel punto della morte, quando, uscendo dalla bocca dell'uomo o dalle ferite con il sangue, corre a prendere il suo posto nel mondo dell'oltre tomba: essa è un εἴδωλον in tutto somigliante alla figura umana dalla quale è uscita.
Anche nell'arte figurata l'anima è spesso rappresentata come un εἴδωλον, oppure sotto le forme di un essere alato, e specialmente di un uccello con volto umano. Nel primo periodo della speculazione greca, presso i filosofi ionici, il concetto dell'anima, ricollegandosi all'astratta credenza dell'immortalità, ha perduto i caratteri della concretezza e della duplicità, tipicamente popolari. Qualche traccia, tuttavia, o per lo meno un'impronta di concezioni popolari si scorge ancora nel mito dell'anima come Platone l'ha rappresentato nel Fedro: però si scorge solo nelle forme della rappresentazione, e non nel suo significato concettuale.
All'inizio di un periodo ciclico di 10.000 anni, ogni anima d'uomo, per Platone, segue il corteggio divino che si sviluppa circolarmente negli spazî sovracelesti; e Platone la raffigura come un cocchio alato con due cavalli, uno bianco e buono, l'altro nero, cattivo, e sordo ai richiami del guidatore. Ogni anima in questa evoluzione cerca di attingere quanto più è possibile della Verità, che ha sede solamente in quegli spazî; nello sforzo di tale conquista, perdendo le ali, precipita, e a seconda di quanto è riuscita a vedere, s'incarna sulla terra in una delle diverse categorie di uomini. Anche dopo l'incarnazione, il cavallo nero trascina il cocchio verso la bruttura e la volgarità; cosicché, dopo la morte dell'uomo, l'anima ha da scontare una pena o da godere una ricompensa, per poi scegliere ancora, ogni mille anni, una nuova specie di esistenza, fino alla fine del periodo ciclico, quando ogni anima riacquista le ali.
Quindi la speculazione filosofica della Grecia classica, incontrandosi con le correnti ideologiche dell'Oriente, ha dato origine al mito delicato e significativo di Amore e Psiche verso l'inizio dell'età ellenistica, quando anche nell'arte figurata cominciano a pullulare le svariatissime rappresentazioni di Psiche, quasi sempre alata, fanciullina o adulta, ora bruciata e tormentata dalle fiaccole di Amore, ora blandita dalle sue lusinghe (v. eros); finché si arriva in processo di tempo, alla novella di Apuleio (v. amore e psiche).
Bibl.: E. Rohde, Psyche, trad. ital., Bari 1911; C. Pascal, Le credenze d'oltre tomba nelle opere letterarie dell'antichità classica, II, Catania 1912; W. F. Otto, Die Manen, Berlino 1923; J. Böhme, Die Seele und das Ich im homerischen Epos, Lipsia 1929; per le rappresentazioni dell'anima sotto forma di uccello, G. Weicker, Der Seelenvogel in der alten Lit. und Kunst, ivi 1902; per Platone, H. Barth, Eidos und Psyche in der Lebensphilosphie Platons, Tubinga 1932. Su Amore e Psiche recentemente, R. Reitzenstein, Noch einmal Eros und Psyche, in Archiv für Religionswissenschaft, XXVIII.