pseudo-Longino
Nome ‒ consacrato da una lunga tradizione ‒ dell’autore non noto del celebre trattato Del sublime (Περὶ ὕψους). Attribuito erroneamente a Cassio Longino, nel titolo del Codex Parisinus graecus 2036, del 10° sec., lo scritto viene detto «Διονυσίου Λογγίνου», ma nell’indice del contenuto del medesimo codice, e in un manoscritto vaticano di età rinascimentale, si legge la più dubbiosa, e perciò rivelatrice, indicazione «Διονυσίου ἢ Λογγίνου» («di Dionisio o di Longino»). Tale scritto è uno dei più importanti documenti della critica letteraria nell’antichità, composto da un ignoto filologo dei primi decenni del 1° sec. d.C. Nel trattato, diretto contro un’omonima opera non giunta a noi di Cecilio di Calatte, l’autore, più che definire che cosa sia il sublime, vuole insegnare «in qualche modo e per quali vie si possono sollevare le anime nostre a quella certa altezza»; più che insegnare una maniera di scrivere, vuole mostrarne gli effetti. La trattazione, che non è strettamente letteraria ma morale, indaga sulle fonti del sublime, individuate innanzitutto nelle doti naturali della ricchezza di pensiero e del pathos entusiastico, quindi anche in procedimenti artificiali, quali l’uso adeguato delle figure retoriche, il ricorso a un linguaggio elevato, un’accorta combinazione di parole. La letteratura è concepita come una realtà interiore e come una capacità quasi congenita, tale da non poter essere insegnata mediante modelli. Il tradizionale concetto della poesia come «mimesi» è superato e si delinea il concetto della fantasia, che è in rapporto non con la realtà esterna ma con l’anima del poeta.