PROVVIDENZA
Le concezioni filosofiche. - Il concetto di provvidenza (gr. πρόνοια, lat. providentia) nasce propriamente nello stoicismo classico, che lo identifica con quello del fato divino e razionale, governante l'immutabile vicenda ciclica del mondo. Nella sua perfetta intelligenza, questo fato riflette a priori il modo in cui si svolgerà il corso delle cose, e per ciò stesso assicura a tale svolgimento la migliore forma possibile: esso quindi, insieme, "prevede" e "provvede". Questo duplice aspetto dell'idea della provvidenza (che nello stoicismo giustifica da un lato la teoria della previsione del futuro mercé la mantica e dall'altro la fede ottimistica nella perfezione dell'universo), è serbato anche dalla concezione medievale, per quanto in questa venga sempre più prevalendo il motivo del diretto intervento di Dio nel corso delle cose. Di qui il contrasto fra l'idea della preordinata razionalità del disegno divino e quella della libera azione di Dio a vantaggio del mondo, che la teologia cristiana medievale cerca in vario modo di conciliare. Nel pensiero moderno, Spinoza esclude rigorosamente quel contrasto riducendo la provvidenza alla causalità dell'universale sostanza divina; e il problema della provvidenza perde in seguito d'importanza in relazione col diminuito interesse per i suoi generali presupposti teologici. Esso rinasce tuttavia come problema d'interpretazione storiografica. Nel Discours sur l'histoire universelle del Bossuet la provvidenza è considerata come l'unica autrice della storia, i cui personaggi sono soltanto ignari esecutori dei disegni di Dio. Nella Scienza Nuova del Vico la divina provvidenza dirige egualmente la storia, ma la sua azione non soverchia in modo così assoluto la libera iniziativa dei singoli; essa bensì costituisce il quadro universale in cui s'inseriscono e compongono le azioni individue, che così s'illuminano della loro luce più vera e manifestano la loro effettiva funzione storica spesso divergente da quella che esse s'illudono di compiere. A questa concezione vichiana della provvidenza come razionalità intrinseca all'accadere storico risponde nell'Ottocento la filosofia hegeliana della storia, che nel corso delle cose vede il progressivo realizzarsi dell'idea o della ragione, la cui "astuzia" dirige a suo vantaggio anche le divergenti intenzioni degli uomini; e dal Vico e dal Hegel tale concezione passa nella teoria storiografica del Croce, che parimenti considera la provvidenza come la razionalità dell'universale accadere storico. Per tutte le concezioni moderne della provvidenza cfr. perciò anche storia.
Concetto cristiano. - Per Boezio, approvato da S. Tommaso, la Provvidenza è ipsa divina ratio in summo omnium principe constituta, qua cuncta gubernat (De consol., IV, pr. 6).
Il fondamento di questo concetto, oltreché nella ragione naturale, è nell'Antico e nel Nuovo Testamento. Nel primo, si trovano le affermazioni del libro di Giobbe (v.), che si può dire il poema della Provvidenza per ciò che riguarda il problema del male; del libro dei Salmi, per la lirica e fidente implorazione dell'assistenza divina (p. es, Salmo, XXII, 1, 4; XC, 1, 8; XXXI, 31, ecc.); dei libri dei Proverbî (v.) e più ancora della Sapienza, la cui testimonianza non dovrà parere indebolita, se anche l'espressione del pensiero risente di una certa influenza della filosofia ellenistica, dei neoplatonici in particolare, attraverso la diaspora giudaica; ma nessuno stoico né platonico giunse mai al calore dell'affermazione della paternità divina, espressa già nella Sapienza (XIV, 13): "È la tua Provvidenza, o Padre, che governa".
Questa vivacità di affermazione è superata dal Nuovo Testamento, in cui l'amore di Dio come provvido padre richiama i figli all'attesa tranquilla del promesso soccorso: "Per questo vi dico: non vi date affanno né come alimentare la vostra vita né come vestire il vostro corpo. La vita non vale più dell'alimento e il corpo più che il vestito? Guardate gli uccelli dell'aria: essi non seminano né mietono né empiono granai e il vostro Padre celeste li pasce. Non siete voi da più di essi?... E perché vi prendete pena per il vestito? Considerate come crescono i gigli del campo: essi non lavorano e non filano; eppure io vi dico che nemmeno Salomone in tutta la sua magnificenza non fu mai vestito come uno di loro. Se dunque Iddio riveste in tal modo l'erba del campo, che oggi è e domani viene buttata nel forno, quanto più voi, uomini di poca fede! Non vogliate, dunque, stare ansiosi, dicendo: che cosa mangeremo e che cosa berremo? Il vostro Padre celeste sa che di tutte queste cose avete bisogno. Cercate, dunque, in primo luogo, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte le altre cose vi saranno date per giunta" (Matteo, VI, 25-33).
Queste medesime verità, che non escludono una ragionevole previggenza, ma l'affannosa ansietà delle cose materiali, sono ripetute dalla predicazione degli apostoli, di Paolo in particolare (I Tim., VI, 8; Filipp., IV, 6; Rom., XI, 33, ecc.), e ad esse s'ispira la susseguente tradizione cristiana, sia nella positiva affermazione dei simboli di fede (in Dio creatore e reggitore del mondo, restauratore e redentore del genere umano, ecc.), sia nella rivendicazione della verità cattolica contro le eresie.
Già Ireneo, e altri apologisti dei primi secoli, rivendicano il concetto cattolico della Provvidenza contro le sue deformazioni eretiche; dopo l'era delle persecuzioni, Lattanzio la difende e ne dimostra l'azione nella natura e nella storia, con i suoi libri Divinarum institutionum, De opificio Dei, e De mortibus persecutorum, sicché egli fu ben chiamato "un apologista laico della Provvidenza". Tra gli oratori sacri, invece, primeggiano Cirillo di Gerusalemme nelle sue Catechesi, e, con più larga eloquenza, S. Giovanni Grisostomo, che può ben dirsi il predicatore della Provvidenza, massime nelle sue omilie al popolo, in cui spiega pure diffusamente i molteplici vantaggi delle avversità nella scuola del dolore; Teodoreto di Ciro ha i suoi Dieci discorsi intorno alla Provvidenza, e Basilio Magno ha, fra altro, il discorso Che Dio non è l'autore dei mali, a confutazione degli errori di pagani e manichei.
Tra i latini basti ricordare Salviano di Marsiglia, che scriveva fra le invasioni dei barbari e la rovina del mondo romano De vero iudicio et providentia Dei, e, specialmente dopo il tentativo di Orosio (Historiarum, ecc.), S. Agostino nel De civitate Dei, particolarmente nel primo libro, nella polemica contro i manichei, nei commenti alla Scrittura e nei discorsi al popolo, ribattendo al tempo stesso le obiezioni più comuni contro la Provvidenza; in forma più semplice e popolare, fra altri, i due papi Leone Magno e Gregorio Magno, sostenendo i popoli nelle calamità dei loro tempi.
Dalla schiera dei Padri greci e latini dipende quella dei teologi e dottori scolastici del Medioevo; i quali degli antichi sparsi insegnamenti patristici cercarono la sintesi, riepilogandoli in una più stretta forma di sistema dottrinale, S. Tommaso specialmente (Summa Theol., I, q. XXII segg.) toccando anche il problema connesso della predestinazione e quello della permissione del male sia fisico sia morale.
Questa sintesi dottrinale fu poi raccolta e chiarita dai teologi susseguenti, sia dagli scolastici, qualî Suarez, Vasquez e particolarmente Leonardo Lessio (De providentia numinis), sia dai positivi, nominatamente dal Petau (Dogm. Theol., I, 8), e dal Thomassin (Dogm. Theol., II, 7, e. 9-22), nonché dagli scrittori più moderni, come il Perrone, lo Scheeben, il Pesch, il Billot ed altri, fino ai nostri giorni.
La sostanza della dottrina dei teologi cattolici è definita dal Concilio vaticano nella costituzione Dei Filius (De fide catholica, c. 1): "Dio, mediante la sua provvidenza, conserva e governa le cose tutte che ha creato, giungendo da un'estremità all'altra con forza, e disponendo le cose tutte con soavità. Perché tutte le cose sono scoperte e manifeste al suo riguardo, anche quelle future per la libera azione delle creature".
Con ciò si vollero escluse anche le dubbie o erronee spiegazioni del Günther e di altri teologi cattolici, su cui non è qui il luogo d'insistere, ma questi stessi convengono nella sentenza agostiniana: che "Iddio onnipotente, essendo infinitamente buono, non permetterebbe in alcun modo che vi fosse del male nelle opere sue, se non fosse pure a tal segno onnipotente e buono da trarre del bene anche dal male" (Enchir., 11).
Bibl.: Oltre le opere e le fonti citate nel corso dell'articolo, v. Enchiridion symbolorum et definitionum, a cura di H. Denzinger e C. Bannwart, Friburgo in B. 1928, particolarmente nn. 421, 1784, 1702, 514, 816, 36, 239, 607, ecc.; A. D'Alès, Providence, Parigi 1922; H. Lacordaire, De l'économie de la réparation, in Øuvres, IV, ivi 1857; R. Garrigou-Lagrange, La Providence, ivi 1932; A. De Lapparent, La Provvidenza creatrice, Roma 1907; A. Rosmini, Della Divina Provvidenza, voll. 2, Domodossola 1932; G. Sortais, La Providence et le miracle devant la science moderne, Parigi 1905.