Provvedimenti precautelari. L'udienza di convalida
Rispetto ai provvedimenti precautelari, la principale novità si registra in tema di udienza di convalida dell’arresto in flagranza o del fermo, essendo stato riconosciuto al difensore il diritto all’ostensione degli atti posti a sostegno delle richieste del pubblico ministero.
La progressiva erosione dei confini del concetto di flagranza e la tendenza alla massimizzazione dello strumento precautelare per finalità deterrenti e di accelerazione dei tempi della giustizia, hanno ampliato le occasioni di ricorso all’istituto di cui all’art. 391 c.p.p., ponendo in una sorta di cassa di risonanza la considerevole dequotazione del livello di garanzie che subisce il procedimento di applicazione di una misura cautelare in sede di convalida rispetto all’iter disciplinato dagli artt. 291 ss. c.p.p. I termini della questione sono noti: mentre per l’audizione disciplinata dall’art. 294 c.p.p. la previa ostensione dell’ordinanza applicativa, della richiesta cautelare e degli atti presentati con la stessa (art. 293, co. 3, c.p.p.) consentono all’interessato di affrontare l’interrogatorio con adeguata preparazione, in sede di convalida le premesse cognitive utili all’effettuazione dello stesso incombente vendono predisposte solo contestualmente all’incontro con il giudice, attraverso veicoli informativi mediati dall’illustrazione delle richieste formulate dal p.m. in ordine alla libertà personale o dall’esposizione dei fattori che hanno indotto l’istanza cautelare effettuata dal g.i.p., in sostituzione del pubblico ministero assente (art. 390, co. 3 bis, c.p.p.). A dispetto di queste premesse, la giurisprudenza assolutamente prevalente ha difeso strenuamente l’affermazione normativa dell’equipollenza contenuta nell’art. 294, co. 1, c.p.p.1, con l’unico effetto di rafforzare l’idea che la convalida sia una sede in cui è consentito fare tutto ciò che il procedimento di cui agli artt. 291 ss. c.p.p. inibisce, compresa – oltre la facoltà del pubblico ministero di interrogare il prevenuto prima del giudice2 (art. 388 c.p.p.) – la possibilità di applicare una misura cautelare in condizioni di minorata difesa. La tendenza alla progressiva svalutazione del significato della regola della fungibilità e all’assegnazione di una dimensione autonoma agli ambiti di un contraddittorio che, invece, dovrebbe trovare solo nell’art. 294 c.p.p. il suo autentico spessore, probabilmente si arresterà dopo la pronuncia con cui le Sezioni Unite hanno riconosciuto la sussistenza di un diritto alla conoscenza diretta dell’integralità degli elementi e degli atti posti a sostegno tanto della richiesta di convalida quando della domanda cautelare3.
Come autorevolmente sottolineato, «se si volesse racchiudere in una metafora essenziale il senso complessivo della pronuncia […], si potrebbe dire che le Sezioni Unite rifiutano ogni succedaneo al principio del contraddittorio, di cui affermano la piena valenza solo in quanto «prodotto» processuale originale, non comparabile con approssimative alternative offerte dalla prassi giudiziaria»4. Nondimeno, sembra destinata a restare la sensazione che l’udienza di convalida – pur dopo l’affermazione di una prerogativa certamente capace di potenziare gli ambiti di esercizio del diritto di difesa – sia una sede strutturalmente inidonea ad ospitare un meccanismo dall’efficacia equiparabile all’interrogatorio di garanzia. La questione nasce dalla difficoltà di tradurre sul piano operativo il meccanismo cui le Sezioni Unite hanno assegnato il compito di assicurare lo svolgimento di un contraddittorio effettivo. Il principale dei problemi è solo in parte riconducibile alle incertezze legate alla possibilità che l’accesso agli atti sia preceduto da un avviso di deposito. Nonostante le serrate cadenze del procedimento di convalida rendano assai arduo ritagliare uno spazio sufficiente all’espletamento della comunicazione e, soprattutto, alla concessione di un termine per la consultazione e l’estrazione di copia, si può ritenere sussista comunque un margine per rendere possibile l’espletamento dell’incombente, laddove si accolga l’idea che l’avviso di deposito possa essere dato – magari unitamente a quello della data dell’udienza – attraverso strumenti atipici, diversi da quelli prescritti per le notificazioni.
A fronte di questa apertura si pone, tuttavia, quello che appare l’autentico ostacolo alla effettività del diritto di accesso agli atti: considerando, infatti, la disciplina concernente i tempi ed i modi con cui il pubblico ministero è tenuto a mettere le carte a disposizione del contraddittorio, è ben possibile che rispetto al supporto della domanda cautelare, prima dell’apertura dell’udienza non vi sia stata discovery o vi sia stata solo una discovery parziale. A tal proposito, si consideri il caso in cui il pubblico ministero intenda comparire in udienza; l’asciuttezza della previsione concernente gli atti da trasmettere a sostegno della domanda di convalida (art. 122 disp. att. c.p.p.), seppure faccia propendere per una tassatività solo per il minimum, non consente di qualificare la trasmissione degli atti a sostegno della richiesta cautelare come un obbligo per il pubblico ministero; di conseguenza l’organo dell’accusa risulta legittimato a perseguire itinerari alternativi ad un’ostensione di questi ultimi atti che sia contestuale rispetto a quelli posti a sostegno della richiesta di convalida, magari con l’obbiettivo di calibrare i tempi della caduta del segreto investigativo rispetto ad eventuali coindagati ancora in stato di libertà. Cambia poco laddove il pubblico ministero decida di non presenziare, perché l’art. 390, co. 3 bis, c.p.p., prescrivendo che la trasmissione sia effettuata «per l’udienza», lascia libero il magistrato di completare la trasmissione del corredo cartolare in un momento successivo alla presentazione della domanda cautelare e, comunque, fino all’apertura dell’udienza stessa. Così stando le cose, l’affermazione della sussistenza di un diritto di accesso agli atti non pare aver risolto il problema dei rapporti tra l’interrogatorio di garanzia e l’interrogatorio assunto in sede di convalida, perché in tale ultimo contesto le premesse cognitive per affrontare l’interrogatorio potrebbero ancora precostituirsi – o precostituirsi nella loro interezza – solo in limine al compimento dell’atto. Rispetto agli scenari futuribili vi è, innanzitutto, la speranza che il legislatore colga il significato di censura insito nella sentenza delle Sezioni Unite. Pur se la Suprema Corte ha – forse consapevolmente – rinunciato all’indicazione delle concrete modalità con cui mettere in opera la soluzione prospettata, ha sicuramente dato il segnale della irragionevolezza di una evoluzione normativa che si è preoccupata solo di potenziare l’efficacia garantistica dell’interrogatorio assunto ai sensi dell’art. 294 c.p.p., trascurando quello che avrebbe dovuto rappresentarne l’equipollente. Tuttavia, non è da considerare risolutiva una modifica volta ad introdurre a carico del pubblico ministero un obbligo di preventiva trasmissione di tutti gli atti posti a sostegno della domanda cautelare, perché vi sarebbero comunque atti destinati fisiologicamente a sottrarsi al dovere di ostensione preliminare. Pare irrealistico, infatti, contare sulla possibilità che al pubblico ministero venga preclusa la possibilità di svolgere ulteriori indagini dopo la presentazione delle proprie richieste e la conseguente facoltà di presentare o di far pervenire in udienza i risultati eventualmente acquisiti. Proprio quest’ultimo punto induce a ritenere che lo spessore del diritto di difesa consentito in relazione alla domanda cautelare del pubblico ministero non potrà mai realmente essere equiparabile a quello esercitabile ai sensi dell’art. 294 c.p.p. Così, sempre che si riesca a resistere alla tentazione di mantenere in vita una distorsione perfettamente coerente con gli slanci inquisitori manifestati a più riprese soprattutto da qualche anno a questa parte, l’unica modifica da auspicare sembra quella di un abbandono della regola dell’equipollenza a favore del recupero di uno strumento – l’audizione – decisamente più consono alla struttura di un istituto – l’udienza di convalida – funzionale solo al controllo della legittimità di un intervento operato in sostituzione.
1 Per la prospettiva volta ad offrire piena giustificazione alla diversità di regime normativo e, dunque, ad escludere qualunque disparità di trattamento o violazione del diritto di difesa della persona arrestata o fermata v., tra le più recenti, Cass. pen., sez. III, 7.4.2010, n. 16420, Z., CED Cass. 246772; Cass. pen., sez. II, 5.5.2009, n. 24879, Giuffrida, CED Cass. 244351; in senso difforme, per l’estensione dell’operatività dell’art. 293, co. 3, c.p.p. ai casi in cui il pubblico ministero, decidendo di non comparire, trasmetta al giudice l’istanza cautelare e la documentazione a sostegno della medesima, v. Cass. pen., sez. I, 1.4.2009, n. 19170, Schirripa, CED Cass. 243690.
2 Si ponga mente, invece, al divieto che, nel procedimento «ordinario», impedisce al pubblico ministero di interrogare la persona in stato di custodia cautelare prima del giudice.
3 Cass. pen., S.U., 30.9.2010, n. 36212, Gemeanu, CED Cass. 247939.
4 Così, con la consueta eleganza stilistica, Gaeta, Udienza di convalida del fermo: le Sezioni Unite consolidano la garanzia del contraddittorio, in Guida dir., 2010, n. 44, 88-89.