PROVINCIE ROMANE
Il dominio provinciale di Roma cominciò a formarsi nel corso delle guerre puniche: nel 227 a.C. furono create la Sicilia e la Sardinia et Corsica, nel 179 la Hispania Citerior e la Hispania Ulterior, nel 146 vennero costituite la Macedonia, che includeva l’Illiria e l'Epiro, e, dopo la sconfitta inflitta a Cartagine, la Provincia Africa; nel 133 quello che era stato il regno di Pergamo venne lasciato in eredità da Attalo III allo stato romano, e divenne la provincia Asia, esempio poi seguito da altri sovrani ellenistici: nel 96 a.C. Tolemeo Apione per Cirene e nel 74 Nicomede per la Bitinia. Nel frattempo, dopo i successi conseguiti nel 123-121 a.C. contro i popoli liguri e celti della Gallia meridionale, era stata creata la Narbonensis. Nel 66, dopo la vittoria contro Mitridate, si costituì la provincia del Ponto; nel 62, dopo la vittoria di Pompeo sui pirati, si formarono la Siria e la Cilicia. Cesare aggiunse la Numidia, con il nome di Africa Nova, e le «tre Gallie», la cui conquista è narrata nei celebri Commentarii;, con Augusto, si sarebbero qui formate le provincie di Gallia Belgica, Gallia Lugdunensis, Aquitania.
Augusto stesso aggiunse, attraverso operazioni sia militari sia diplomatiche, Alpes Maritimae, Alpes Cottiae, Raetia, Noricum, Pannonia, Dalmatia, Lusitania, Galatia; con lui inoltre questo impero, che era andato formandosi in tempi diversi e in circostanze disparatissime, conobbe nel 27 a.C. un generale riassetto, un ordinamento che restò poi in gran parte invariato fino all'età di Diocleziano. Anche dal punto di vista dall'estensione territoriale non vi furono successivamente ulteriori annessioni di grande rilevanza: con poche eccezioni, come la Britannia (conquistata da Claudio), la Dacia e le provincie orientali (Traiano). Con Augusto, dopo la battaglia di Azio, si era aggiunto anche l'Egitto, considerato, più che una provincia, «proprietà privata» dell'imperatore.
Siamo dunque in presenza di una sterminata estensione territoriale comprendente al suo interno le situazioni etniche, geografiche, culturali, climatiche più varie e lontane, dai limiti della Scozia ai deserti orientali e africani. Ma l'impero riuscì a sviluppare caratteristiche fortemente unitarie in tutti i campi, dall'amministrazione e dalle strutture giuridiche all'aspetto fisico delle fortezze e delle città.
Malgrado le differenze intercorrenti fra i varî tratti delle frontiere, i castra mantengono a lungo aspetti assai omogenei dal Vallo d'Adriano al Reno all'Africa (v. limes). Lo stesso si può dire per un fenomeno più complesso, quello dello sviluppo delle città. Scriveva Elio Aristide, il rètore proveniente dall'Asia Minore vissuto all'epoca di Antonino Pio, nell'orazione (un po' enfatica) A Roma: «Come adunato a festa, tutto il mondo civile ha deposto il peso delle armi (...) È scomparsa ogni ragione di contesa fra le città: resta per tutte una sola gara, quella di apparire più amabili e accoglienti che possono. Tutto l'impero ribocca di ginnasi, di officine, di scuole (...)».
L'impero costituisce dunque, per così dire, un'unica grande dilatazione dell'Urbe. All'esigenza di aggiornare e ampliare le voci dedicate alle p. r. nella EAA, voll, I-VII (voci che contenevano essenzialmente informazioni sulla storia e sull'assetto politico-amministrativo delle singole unità territoriali), si è pensato così di rispondere, in questo Supplemento, non riprendendo uno per uno quei singoli lemmi, ma componendo, con il contributo di un gran numero di specialisti, una sola e ampia trattazione. Quel mondo sostanzialmente unitario viene quindi presentato in un unico contesto: una sorta di «manuale» sulle p. r. comprendente tutte le ultime novità (che sono, come si sa, numerosissime, non solo nell'ambito dei singoli centri e complessi monumentali, ma anche nelle comunicazioni fra questi ultimi: strade, commerci, ecc.), uno strumento di aggiornamento che potrebbe risultare utile in un'area disciplinare caratterizzata da una bibliografia generale non troppo abbondante.
Per quanto riguarda gli autori, si è fatto ricorso, come si è detto, a un gran numero di collaboratori, in pratica uno per ogni provincia (o quasi), e questo per garantire la qualità e la completezza delle informazioni. Il rischio che ne deriva, e cioè che i capitoli possano presentare diversità formali per criteri espositivi e per stesura, trova una sua giustificazione sostanziale nella volontà di lasciar emergere all'interno di un così vasto complesso unitario le singole variegate realtà.
Si è tentato di rendere più chiara e organica la presentazione di un materiale così ampio (che comprende anche l'Egitto, malgrado la particolare situazione giuridica di cui si è detto) articolando le provincie in raggruppamenti territoriali. Si è proceduto, per comodità (dopo le più vicine p.r. insulari), da O a E, dalle provincie europee a quelle asiatiche, per poi «scendere» a S per trattare quelle africane:
SICILIA.
SARDINIA et CORSICA.
PROVINCIE GALLO-GERMANICHE: Gallia Narbonensis, Belgica, Lugdunensis, Aquitania, Germania Superior et Inferior.
PROVINCIE IBERICHE: Hispania Tarraconensis, Baetica, Lusitania.
BRITANNIA.
PROVINCIE ALPINE: Alpes Maritimae, Alpes Cottiae, Alpes Graiae atque Poeninae.
PROVINCIE BALCANICO-DANUBIANE: Raetia et Vindelicia, Noricum, Pannonia, Dalmatia, Dacia, Moesia Superior et Inferior, Thracia.
PROVINCIE GRECHE: Macedonia, Epirus, Achaia.
CRETA et CYRENAICA.
CYPRUS.
PROVINCIE d'ASIA MINORE: Asia, Bithynia et Pontus, Galatia, Cappadocia, Lycia et Pamphylia, Cilicia.
PROVINCIE d'ORIENTE: Iudaea, Syria et Palaestina, Armenia, Mesopotamia, Assyria, Arabia.
PROVINCIE AFRICANE: Africa Proconsularis, Mauretania.
AEGYPTUS.
Bibl.: Per un'informazione generale, v. vol. VI, p. 519, s.v. Provinciale, arte, ivi bibl. prec. Inoltre: P. Romanelli, Le Provincie e la loro amministrazione, in V. Ussani, G. Arnaldi (ed.), Guida allo studio della civiltà romana antica, I, Roma 1959, pp. 331-377; A. Frova, L'arte di Roma e del mondo romano (Storia universale dell'arte, 2), Torino 1961; R. Bianchi Bandinelli, Roma. La fine dell'arte antica, Milano 1970; G. A. Mansuelli, Roma e il mondo romano. Dalla media repubblica al primo impero, II sec. a.C.-I sec. d.C. Da Traiano all'antichità tarda, I-III sec. d.C., 2 voll., Torino 1981; G. I. Luzzatto, G. A. Mansuelli, Roma e le province (Istituto nazionale di studi romani. Storia di Roma, 17, 1-2), Bologna 1985; P. Gros, M. Torelli, Storia dell'urbanistica. Il mondo romano, Bari 1988; C. Vismara, Il funzionamento dell'impero (Museo della civiltà romana. Le Provincie dell'impero, 1), Roma 1989.
(S. Rinaldi Tufi)
SICILIA (v. vol. VII, p. 257). - Se con la fine della prima guerra punica nasceva in Sicilia la prima provincia romana, è dopo la conquista di Siracusa da parte di Marcello nel 211 a.C. che il suo assetto subisce una riorganizzazione, nel corso del 208 e 207 a.C., a opera del proconsole Levino, e nel 131 a.C. a opera di L. Rupilio, il vincitore della prima guerra servile.
Così come riflesso nelle Verrine ciceroniane, Siracusa (v.) godette della concessione dell'autonomia e della libertas; città quali Messana, Tauromenion e Netum furono foederatae; Centuripe, Halaesa, Segesta, Halikai, Panormus «immunes ac liberae»; la maggior parte delle altre, compresa Agrigento, furono decumanae, pur sempre autonome, ma soggette a versare una quota decimale dei prodotti del territorio. Dalla costa meridionale dell'isola erano scomparse, al tempo della prima guerra punica, Selinunte e la vecchia Gela (quest'ultima già al tempo di Finzia). Nel III sec. a.C. il periodo del regno di Gerone II a Siracusa aveva segnato un momento di particolare livello culturale, diffuso in tutta la Sicilia orientale (e Morgantina, con la monumentalizzazione dell'agorà, ne è un esempio eloquente). Nel II sec. a.C., il livello di vita di alcuni centri diviene modesto, come a Megara Hyblaea, a Morgantina (pur con la costruzione nel nuovo edificio del macellum), a Eraclea Minoa (che prima restringe l'area dell'abitato e quindi si spegne tra il 50 e il 30 a.C.), a Camarina (parziale ricostruzione della parte occidentale della città); ma un buon numero di altri centri, lungi dal mostrare forme di declino, presenta consistenti segni di vitalità.
A Solunto (v.), Lilibeo (v.), Agrigento (v.), Tindari l'abitato viene ripreso secondo modelli tipici della casa tardo-ellenistica, pavimentata in opus signinum e mosaico, come in centri dell'interno, a Centuripe (v.) nella Sicilia orientale e a Monte Iato (v.) in quella occidentale (grande casa con peristilio). Vengono costruiti nuovi edifici pubblici: il bouleutèrion a Solunto, ad Acre, a Monte Iato; a Segesta (v.) il teatro; l'edificio scenico a tre piani a Tindari; un processo di monumentalizzazione ha luogo nell'agorà di Halaesa, con una lunga stoà sul lato N, e a Monte Iato, con il portico O; e inoltre sorgono templi di tipo latino su podio ad Agrigento, nell'area del precedente ekklesiastèrion (il c.d. oratorio di Falaride), e a Monte Iato, sul lato O dell'agorà.
Alla fine del I sec. a.C. Strabone fornisce importanti informazioni, dalle quali si evincono lo spopolamento della regione meridionale e l'abbandono di città come Morgantina (ν. serra orlando), Camarina (v.), Megara Hyblaea (v.), Selinunte (v.), Gela (v.), Imera (v.). I dati archeologici, mentre confermano la notizia straboniana, indicano uno spostamento della vita economica su centri come Catania (v.), Palermo (v.), Termini Imerese, Agrigento, Lilibeo e Siracusa, divenuti questi ultimi i centri amministrativi della provincia.
La fonte principale per la conoscenza della riorganizzazione augustea della Sicilia (Augusto soggiornò nell'isola nel 21 a.C.) è la sezione siciliana del libro terzo di Plinio (Nat. hist., III, 86-94). Cinque città, Taormina, Catania, Siracusa, Termini e Tindari sono dette coloniae; Messina e Lipari oppida civium Romanorum; Centuripe, Noto, Segesta città Latinae condicionis; Lilibeo, Agrigento e Camarina oppida; le restanti città, tra cui diciassette dell'interno non sicuramente identificabili, sono elencate come stipendiariae. Tale situazione giuridica si modifica in parte nel corso dell'età imperiale, e, ancor prima della morte di Augusto, Halaesa, Halentium, Agrigento e Lilibeo devono aver raggiunto lo status municipale. Dal punto di vista urbanistico, la città romana in Sicilia ricalca la situazione del periodo ellenistico, come ad Agrigento, o assume un nuovo assetto monumentale, come avviene nella Neapolis siracusana che fa perno sull'anfiteatro.
L'agorà subisce modifiche e diviene il forum, come ad Halaesa sino al periodo medio-imperiale; come a Taormina (scavi in Via Vittorio Emanuele), con muro di limite della piazza pavimentata e aggiustamenti del bouleutèrion, che scompare nello stesso I sec. d.C., sostituito da una terma; e come a Termini Imerese, dove l'antica agorà assume una nuova configurazione con un edificio ricco di decorazione architettonica e di statue, destinato al culto imperiale.
A Siracusa, se non vi sono dati nuovi nella conoscenza del c.d. Foro Siracusano, una minore piazza triangolare con pròpylon, portico e botteghe si data già nel I sec. d.C.; a Tindari, la grande piazza del foro ripropone la problematicità della c.d. Basilica sul lato NO, consistente in una sala centrale coperta con grandi arcate, e in due passaggi laterali a cielo aperto, probabilmente attraversati dal traffico veicolare; di tale edificio i recenti dati di scavo spostano la datazione dagli inizî dell'età imperiale al IV sec. d.C.
Nelle costruzioni teatrali, alcune modifiche e aggiunte interessano principalmente l'edificio della scena nel periodo augusteo, come a Segesta e Monte Iato, meglio adeguando - come avviene nel grande teatro di Siracusa - scaena e cavea alla forma integrata romana.
Cambiamenti ricorrono nel I-II sec. d.C. nella cavea del teatro di Tindari, nonché nell'orchestra, trasformata in arena nel II-III sec. d.C.; mentre i teatri di Catania e di Taormina, di origine greca, vengono radicalmente ricostruiti in forma totalmente romana. La cavea del teatro di Catania - a seguito di recenti interventi - si presenta oggi libera dalle superfetazioni, con i suoi nove cunei e otto scalette, e, in senso orizzontale, con due praecinctiones che dividono la media e ima cavea in tre sezioni; la scenae frons appare essere del tipo con nicchie laterali rettangolari, riccamente adorna di rilievi architettonici decorativi e di statue in marmo, databili al II sec. d.C., periodo a cui rimanda anche la terza fase di ricostruzione della cavea, di impianto augusteo e giulio-claudio.
Taormina e Catania contano anche due piccoli teatri coperti o odèia, e, per quanto riguarda il primo centro, gli scavi condotti recentemente all'interno della chiesetta di S. Caterina hanno consentito di completare la conoscenza della parte sud-orientale della cavea, precisandone la cronologia in età medio-imperiale.
Delle tre città che presentano ben noti anfiteatri, Siracusa, Catania e Termini Imerese, quest'ultima colonia è stata oggetto di nuovi studi: si è riscontrata la presenza di due corridoi ellittici non contemporanei, relativi a due fasi, l'una augustea o giulio-claudia, l'altra di ampliamento in età flavia o degli inizi del II sec. d.C.
Gli edifici termali occupano un posto rilevante nell'attività edilizia delle città romane in Sicilia, nella prima e media età imperiale, con caratteri che rivelano ancora una volta sul piano culturale una dipendenza dall'architettura metropolitana, nonostante l'isolamento politico e la marginalità dell'isola rispetto all'amministrazione centrale nel corso dei primi secoli dell'impero.
A parte le note terme di Catania, tra il II e IV sec. d.C. edifici termali con strutture in mattoni sono segnalati a Siracusa, a Messina, a Centuripe. A Solunto sono conservati, in successione, le sale dell'apodyterium, del frigidarium, del tepidarium, del calidarium, con pavimenti in signino e mosaico. A Tindari l'edificio termale, costruito a spese di una precedente costruzione di età ellenistica, comprende due apodyteria, due tepidaria, un calidarium e la palestra, con mosaici figurati.
Il rifornimento idrico risulta essere stato ben curato dall'amministrazione romana in Sicilia, già dal I sec. d.C. Esempî di grande livello tecnico si hanno a Taormina, Siracusa, Catania e a Termini Imerese, il cui acquedotto in opus vittatum, a seguito di un recente studio di O. Belvedere, risulta essere il meglio indagato e noto, ed è databile in età adriano-antoniniana.
Mentre le opere pubbliche romane in Sicilia nella struttura e nelle tecniche edilizie (raro il reticulatum, frequente il vittatum), riflettono i sistemi costruttivi e i caratteri decorativi propri del centro urbano (eccetto la c.d. Basilica di Tindari), seguendone l'evoluzione, l'architettura domestica mantiene attraverso tutto l'impero la tradizione ellenistica, e Agrigento e Lilibeo ne sono gli esempî più vistosi, con forme di vitalità in età augustea e soprattutto nel II-III sec. d.C.
La costruzione dei principali edifici pubblici siciliani è certamente da attribuire all'iniziativa imperiale. I programmi edilizî (decisi durante i viaggi imperiali in Sicilia, come quelli di Augusto e Adriano) richiesero certamente un certo tempo per la loro realizzazione; furono attuati secondo una politica finanziaria oculata, per cui le spese solo in parte erano sostenute dal tesoro imperiale, mentre per il resto erano pagate dalla città (cfr. V. Tosi, in RdA, I, 1977, p. 53 ss.; G. Manganaro, in Kokalos, v, 1959, p. 14 ss.) o dal ceto medio-alto della popolazione (come nel caso dei decurioni dell'epigrafe catanese di Iulius Paternus), irrobustito verosimilmente sotto il governatorato di Settimio Severo dallo sviluppo dei rapporti con l'Africa.
Il tardo impero rappresentò per la provincia un mutamento profondo sul piano politico-amministrativo, data l'importanza acquisita dall'isola nell'ordinamento della diocesi italiciana; situazione questa a cui si aggiunge il lungo periodo di pace che, fino alle invasioni vandaliche, fece della Sicilia un'area privilegiata del Mediterraneo.
Il processo di acquisizione di interessi fondiarî nell'isola da parte dell'aristocrazia romana porta a una vitalizzazione del latifondo e a un radicale cambiamento dell'insediamento rurale al quale vengono estese grandi opere pubbliche, quali gli edifici termali.
Bibl.: G. Manganaro, Per una storia della Sicilia romana, in ANRW, I, I, 1972, p. 442 ss.; G. Clemente, La Sicilia nell'età imperiale, in Storia della Sicilia, II, Napoli 1980, p. 465 ss.; id., Considerazioni sulla Sicilia nell'Impero romano, III sec. a.C.-V sec. d.C., in Kokalos, XXVI-XXVII, 1980-1981, p. 192 ss.; O. Belvedere, Opere pubbliche ed edifici per lo spettacolo nella Sicilia di età imperiale, in ANRW, II, 11, 1988, p. 346 ss.; R. J. A. Wilson, Sicily under the Roman Empire, Warminster 1990; G. Fiorentini, Agrigento. Agorà e Ginnasio nei recenti scavi, in Quaderni dell'Istituto di Archeologia dell'Università di Messina, VII, 1992, in corso di stampa.
(E. De Miro)
SARDINIA et CORSICA (v. vol. VII, p. 48). - Occupate definitivamente dai Romani poco dopo la prima guerra punica, le due isole costituirono un'unica provincia.
Sardinia. - La facies della Sardegna romana non è stata interessata da ricerche omogenee e globali; si sono invece avute indagini parziali di siti, monumenti, classi di materiali che hanno contribuito a porre le basi per una futura programmazione dell'attività in questo campo.
Gli scavi si sono concentrati sui grandi centri urbani, sia a seguito di ritrovamenti fortuiti (p.es. a Cagliari), sia con iniziative mirate su specifici problemi o situazioni (p.es. a Nora, Tharros, Porto Torres). Altri contributi di notevole importanza si sono avuti dai ritrovamenti subacquei.
Il periodo repubblicano vede affermarsi nell'isola la presenza dei negotiatores italici. Ne è una spia evidente il santuario parzialmente messo in luce a Sulcis (Sant'Antioco). Nell'ambito di una sistemazione monumentale del pendio del colle, con un muro di terrazzamento in cui sono inseriti due supporti con statue di leone di epoca fenicia, una rampa porta a una struttura templare, assai mal conservata, in cui si riconosce un tempio pseudo-periptero sine postico. Lo scavo consente di datare la sistemazione monumentale entro il II sec. a.C. Questo complesso si affianca così al c.d. teatro-tempio di Via Malta a Cagliari, adesso riconosciuto con sicurezza come afferente all'ambito culturale e cronologico romano, nelle cui immediate vicinanze, all'interno della «Cripta di Santa Restituta» è stata scavata una grande discarica databile dal II a.C. al I d.C. con un'importante presenza di anfore (c.a 400 Dressel I e 200 Maña A) e di ceramica a vernice nera Campana A, Β e di produzione locale (c.a 700 pezzi). Si riferisce ancora al periodo repubblicano il rinvenimento di un relitto presso l'isola di Mal di Ventre (Cabras, OR), con carico di lingotti in piombo, datato al secondo quarto del I sec. a.C.; i lingotti hanno in massima prevalenza il marchio della societas Marci et Cai Pontilienorum, con minori attestazioni di due Pontilieni senza l'indicazione della societas, di Quintus Appius, Lucius Carulius Hispalius, Gnaeus Atelius, Caius Utius, Planius Russinus, Lucius Appuletus Pilon, Marcus (?) Apinarius.
Altre indicazioni sull'isola in età repubblicana sono pervenute dallo scavo di necropoli, fra le quali si segnalano Bithia (Domus de Maria, CA) e Gesico (CA), nelle quali si individuano merci provenienti dalla penisola italiana (anfore Dressel 1 e 2/4, ceramica a vernice nera e vasi a pareti sottili) e dalla Spagna (anfore 2/4, sombreros de copa). Estremamente diffuse risultano anche le officine locali di ceramica a vernice nera, specialmente a pasta grigia, che operano in sostanziale continuità dal periodo tardo punico, e i cui prodotti, particolarmente fiorenti nel I sec. a.C., rimangono in uso anche nel secolo successivo, ispirandosi, in taluni casi, a forme della sigillata italica.
Per la prima età imperiale le novità principali provengono dallo scavo di Sulcis, dove è stata individuata e parzialmente scavata una porzione dell'abitato comprendente parte di due edifici privati, separati da una piccola strada, e un'area pubblica. L'urbanizzazione di tutta la zona sembra essere unitaria e databile verso la metà del I sec. d.C. Le case avevano pavimenti in cocciopesto e muri a zoccolo in pietre e mattoni di fango; erano dotate di un secondo piano, e nel crollo si sono individuati resti della decorazione in modanature di stucco, talora dipinte. Le case furono abbandonate entro i primi decenni del secolo successivo. L'area pubblica mostra tabernae che si affacciano su uno spiazzo lastricato, cui è adiacente un settore pavimentato a mosaico di tesserine bianche con almeno due file di colonne o pilastri. Sono stati individuati anche spazi per basi di statue. In epoca dioclezianea altre basi per statue vengono poste tagliando precedenti pavimentazioni o sovrapponendosi a esse.
La maggior parte delle scoperte e delle ricerche si riferisce al periodo imperiale.
Dagli scavi della necropoli di Bithia (v.), dove tombe a cassone puniche nel primo periodo imperiale sono riadoperate per la deposizione di incinerati in urne, provengono corredi composti da ceramiche a pareti sottili dì provenienza italica e ispanica; un ustrinum, databile in età tiberiana, ha restituito parti della decorazione in osso di un letto raffigurante sfingi, eroti e gruppi di Eros e Psyche. La necropoli romana di Sulcis, invece, copre prevalentemente i secoli dal II al IV d.C., con tombe a fossa, alla cappuccina e a enchytrismòs, entro anfore prevalentemente del tipo Africana I e II. I corredi sono poveri, con materiale ceramico e lucerne provenienti dall'Africa settentrionale (sigillata chiara e lucerne con bolli agri e pullaeni). Dalla stessa area geografica giungevano in Sardegna le anfore Tripolitane, Africana I e II e cilindriche del tardo impero.
I rapporti della Sardegna con le provincie nord-africane sono stati individuati anche dall'Angiolillo (1981) nel suo studio dei mosaici: maestranze africane hanno operato p.es. a Nora, dando origine a una scuola di mosaicisti locali, attivi anche a Cagliari e Sulcis. L'indagine nei centri urbani ha confermato la vistosa attività edilizia di età severiana. A Nora in questo periodo sono edificate le «Terme a Mare» e viene eseguita la lastricatura del sistema viario; a Tharros è costruito l'edificio termale di «Convento Vecchio».
Sia le ricerche di superficie che parziali indagini di scavo in centri minori hanno iniziato a far luce sull'assetto dell'isola in età imperiale.
Nell'entroterra delle grandi città costiere, nelle zone di pianura o bassa collina, il territorio era punteggiato da una serie di insediamenti: piccoli centri urbani (di solito collegati con il sistema viario), villae, villaggi, nei quali, di norma, l'unico elemento architettonicamente rilevante è dato da un edificio termale. Le villae non sono in gran numero e si dispongono sia lungo le vie principali sia in zone deputate allo sfruttamento del suolo e alla commercializzazione dei prodotti, come p.es. a S. Pietro di Tului/Giba (CA). Scavi recenti hanno messo in luce nella località Muru de Bangius presso Marrubiu (OR) una grande struttura, identificata, grazie a un'iscrizione, come un praetorium cui era connesso un balneum con mosaici, edificato nel II sec. d.C. e rimasto in uso sino al VI sec., con restauri e rifacimenti; l'autore dello scavo ritiene che l'edificio, più che una funzione militare, avesse quella di residenza del governatore provinciale.
Diverse indagini hanno consentito di constatare la riutilizzazione dei nuraghi, sia come abitazione, sia come luogo di conservazione di derrate (in connessione con altre strutture), sia, soprattutto, come sede di piccoli sacelli. In tale funzione rivelano una sostanziale continuità con il periodo punico, in cui era attestato il culto di Demetra; in genere la divinità venerata è Cerere, come viene rivelato dalle numerosissime lucerne e dai piccoli busti fittili della Sarda Ceres, databili fra il I e il II sec. d.C.
Due scavi hanno fornito uno spaccato di vita in due zone diametralmente opposte della Sardegna, interessando due monumenti edificati in media età imperiale e vissuti sino a età bizantina. Le «Terme a Mare» di Nora, costruite alla fine del II-inizî III sec. d.C., furono ristrutturate nel V, perdendo la loro funzione originaria e assumendo probabilmente quella di fortezza a difesa del porto: rimasero in uso sino all'VIII sec. d.C., quando crollarono per un incendio. Le indagini negli isolati adiacenti le terme e presso il teatro hanno evidenziato una buona attività edilizia, con utilizzo di materiali di recupero, durante il V sec. d.C., cui segue un progressivo degrado durante il VI, quando si attestano attività produttive nel pieno centro urbano e le strade vengono in parte occupate da modestissime strutture di carattere rurale.
A Porto Torres gli horrea di II sec. d.C. mostrano un simile cambiamento di uso nel V, sempre in relazione alle invasioni vandaliche; cessano di esistere verso la metà del VI secolo.
Per questa fase più tarda sono notevoli i risultati dello scavo del complesso cimiteriale e basilicale di Cornus (nei pressi di S. Caterina di Pittinuri, OR), dove è stato possibile individuare i rituali funerarî, che comprendevano mensae comuni a più tombe, e mettere in luce porzioni del complesso sinora ignote.
Ancora afferenti alla Sardegna cristiana sono le recenti scoperte nei pressi della chiesa di S. Lussorio (Fordongianus, OR), dove lo scavo del martyrium-cripta ha evidenziato, fra l'altro, la sepoltura del vescovo Stephanus, sinora ignoto, databile nel VI sec.; da una tomba, posta nel secolo successivo nell'abside dell'ecclesia, proviene una coppia di orecchini aurei a globo mammellato, appartenenti a un tipo assai diffuso nell'isola e sino a pochi anni or sono assegnato a diverso periodo cronologico e culturale (età punica).
Una notevole testimonianza della riutilizzazione dei nuraghi in epoca altomedievale come luoghi per sepolture è stata individuata, p.es., negli scavi del nuraghe Candala (Sorradile, OR: fibbia di tipo Corinto e pugnale della seconda metà del VII sec.) e Su Nuraxi (Siurgus Donigala, CA: deposizioni di almeno quindici individui, con fibbie a placca a U, del medesimo arco cronologico).
Infine i recentissimi scavi nel sagrato della cattedrale di Oristano hanno consentito di ricostruire una stratigrafia con forbice dal V-VI sec. d.C. (discarica proveniente dall'abitato) sino alla costruzione della chiesa romanica del XII, passando attraverso due fasi di necropoli del VI e VII.
Bibl.: La raccolta completa della bibliografia sulla Sardegna romana e tardo-antica si trova in C. Vismara, Gli studi degli ultimi anni sulla Sardegna romana (1977-1987), in JRomA, II, 1989, p. 70 ss.; ead., Gli ultimi studi sulla Sardegna romana (1987-1990), in AA.VV., Sardinia antiqua. Studi in onore di Piero Meloni in occasione del suo settantesimo compleanno, Cagliari 1992, p. 529 ss.
In generale per la parte romana: E. Equini Schneider, Catalogo delle sculture romane del Museo Nazionale G. A. Sanna di Sassari e del Comune di Porto Torres, Sassari 1979; C. Vismara, Sarda Ceres, Sassari 1980; R. J. Rowland, I ritrovamenti romani in Sardegna, Roma 1981; S. Angiolillo, Mosaici antichi in Italia. Sardinia, Roma 1981; C. Tronchetti, The Cities of Roman Sardinia, in M. S. Balmuth (ed.), Studies in Sardinian Archaeology, Ann Arbor 1984, p. 237 ss.; R. J. Rowland, The Countryside of Roman Sardinia, ibid., p. 285 ss.; M. Pinna, La ceramica a pareti sottili del Museo di Cagliari, in Studi Sardi, XXVI, 1981-1985, p. 239 ss.; S. Angiolillo, L'arte della Sardegna romana, Milano 1987; R. J. Rowland, The Archaeology of Roman Sardinia: a Selected Typical Inventory, in ANRW, II, 11,1, 1988, p. 740 ss.; P. Meloni, La Sardegna romana, Sassari 1990; G. Nieddu, La decorazione architettonica della Sardegna romana, Oristano 1992; D. Stiaffini, G. Broghetti, I vetri romani del Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, Oristano 1994. - Per la parte epigrafica: G. Sotgiu, L'epigrafia latina in Sardegna dopo il C.I.L. X e l'E.E. VIII, in ANRW, II, 11,1, 1988, pp. 552-739.
In generale per la parte tardoantica: P. Serra, Reperti tardoantichi e altomedievali dalla Nurra (Quaderni della Soprintendenza Archeologica di Sassari e Nuoro, 3), Sassari 1976; L. Pani Ermini, M. Marinone, Museo Archeologico Nazionale di Cagliari. Catalogo dei materiali paleocristiani e altomedievali, Roma 1981; L. Pani Ermini, La Sardegna del periodo vandalico, in AA.VV. Storia dei Sardi e della Sardegna, I. Dalle origini alla fine dell'età bizantina, Milano 1988, p. 297 ss., con bibl.; L. Porru, R. Serra, R. Coroneo, Sant'Antioco. Le catacombe. La chiesa martyrium. I frammenti scultorei, Cagliari 1989; D. Salvi, P. B. Serra, Corredi tombali e oreficerie nella Sardegna altomedievale (Soprintendenza Archeologica di Cagliari e Oristano. Quaderni didattici, 3), Cagliari 1990; AA.VV., Le sepolture in Sardegna dal IV al VII secolo, Oristano 1990.
Aggiornamenti sulle ultime scoperte vengono edite negli Atti dei Convegni L'Africa Romana (I-IX, Sassari 1984-1992), in QuadACagl (I-IX, 1986-1992), nel Nuovo Bullettino Archeologico Sardo (I-III, 1984-1986).
Singoli siti: Bithia: C. Tronchetti, Bithia, I: la tomba 49 della necropoli romana, in QuadACagl, IV, 1987, 2, p. 15 ss.; id., Bithia, 2: la ceramica a vernice nera a pasta grigia, ibid., V, 1988, p. 141 ss. - Cagliari: AA.VV., S. Igia, Pisa 1986; AA.VV., Domus et career Sanctae Restitutae, Cagliari 1988; AA.VV., Lo scavo di Brenta a Cagliari. I livelli fenicio-punici e romani (QuadACagl, IX, Suppl.), Cagliari 1993. - Cornus: A. Mastino, Cornus nella storia degli studi, Cagliari 1979; L. Pani Ermini, A. M. Giuntella, Cornus. Indagini nell'area paleocristiana. Relazione preliminare della campagna 1978, in NSc, 1981, p. 541 ss.; A. M. Giuntella, G. Borghetti, D. Stiaffini, Mensae e riti funerari in Sardegna, Taranto 1985; AA.VV., L'archeologia romana e altomedievale nell'Oristanese. Atti del Convegno di Cuglieri, 1984, Taranto 1986; L. Pani Ermini, Note sulle recenti indagini nel complesso episcopale di Cornus, in AA.VV., Ampsicora e il territorio di Cornus. Atti del II Convegno sull'archeologia romana e altomedievale nell'Oristanese, Cuglieri 1985, Taranto 1988, p. 59 ss. - Fordongianus: R. Zucca, Le iscrizioni latine del Martyrium di Luxurius (Forum Traiani-Sardinia), Oristano 1988. - Nora: C. Tronchetti, Nora, Sassari 1984; AA.VV., Nora. Recenti studi e scoperte, Cagliari 1985; AA.VV., Nora I, in QuadACagl, IX, 1992, pp. 77-137; AA.VV., Nora II, ibid., X, 1993, pp. 101-189. - Oristano: S. Sebis, R. Zucca, Aristiane, in QuadACagl, IV, 1987, 2, p. 125 ss. - Porto Torres: F. Villedieu, Turris Libisonis. Fouille d'un site romain tardif à Porto Torres, Sardaigne (BAR, Int. S., 224), Oxford 1984; A. Boninu, M. L. Le Glay, A. Mastino, Turris Libisonis colonia Iulia, Sassari 1984; AA.VV., Turris Libisonis. La necropoli meridionale o di San Gavino (Quaderni della Soprintendenza Archeologica di Sassari e Nuoro, 16), Sassari 1987. - S. Antioco: S. Angiolillo, Una galleria di ritratti giulio-claudi da Sulci, in Studi Sardi, 24, 1975-1977, p. 157 ss.; C. Tronchetti, S. Antioco: area del Cronicario (Campagne di scavo 1983-86). La fase romana, in RStFen, XVI, 1988, p. in ss.; id., S. Antioco, Sassari 1989; id., La necropoli romana di Sulci-Scavi 1978: relazione preliminare, in QuadACagl, VII, 1990, p.173 ss.
(C. Tronchetti)
Corsica. - Mancano ancora testimonianze riguardanti il periodo repubblicano dalla prima vittoria di L. Cornelio Scipione nel 259 a.C. al momento dell'istituzione della provincia Sardinia et Corsica nel 227. Anche nelle due colonie di Mariana (fondata da Mario, forse su un sito ancora vergine, v. la voce) e di Aleria (opera di Siila, che si sovrappose alla città precedente, v. la voce) rimane molto da scavare, così come è ancora da chiarire la natura dell'eventuale centuriazione nelle due pianure annesse alle città (per Aleria, secondo una proposta di M. Gras, vi sarebbe forse stata anche una precedente spartizione del territorio a opera dei Focesi).
Negli ultimi anni si sono verificati nell'isola diversi ritrovamenti, per lo più dovuti a scoperte casuali e a indagini archeologiche rimaste inedite o pubblicate solo parzialmente, che riguardano quasi esclusivamente l'età imperiale. Rimangono da individuare con certezza i maggiori centri di età romana. Dai dati finora disponibili si può dedurre che la Corsica in età imperiale era profondamente romanizzata, come dimostrano non solo i materiali importati, presenti in tutti i siti dell'interno sinora scavati, ma anche la natura degli insediamenti e l'economia delle comunità rurali. Tali rinvenimenti sono per lo più relativi a insediamenti costieri di entità modesta, abitati non delimitati con precisione, della dimensione presumibilmente di piccole ville; in molti casi vi sono annesse terme di esigue dimensioni. varî ritrovamenti a Sagona, sede di una diocesi alto-medievale, sulla costa sud-occidentale dell'isola, fanno presupporre l'esistenza di un piccolo centro con il rango di civitas per lo meno già in età tardoantica. Una recente ripresa delle indagini sul sito di Piantarella, presso Bonifacio, lascia anche lì supporre un habitat abbastanza esteso, in relazione a una piccola struttura portuale.
Di recente sono stati pubblicati i risultati dello scavo di un abitato dell'interno dell'isola (Castellu, nell'attuale comune di Corte) di età tardoantica (V-VII sec. d.C.), nel quale sono stati evidenziati stretti rapporti tra la Corsica e il mondo mediterraneo (in particolare l'Africa vandala) e un livello agro-pastorale condizionato da razze domestiche e da tecniche di allevamento e di macellazione tipicamente «romane», che si differenziano dalle tradizioni locali di età pre- e protostorica. Nella stessa zona di Corte, che nell'isola costituisce l'unica pianura interna di una qualche importanza, prospezioni tuttora in corso hanno evidenziato in diversi punti presenze di età romana imperiale che fanno pensare a un'occupazione sistematica del territorio; sono state di recente scoperte, proprio a Corte, piccole terme di età tardoantica, probabilmente annesse a una modesta domus, non identificata. Mancano tuttora indagini sistematiche e pubblicazioni sintetiche nel campo dell'archeologia subacquea; lungo le coste della Corsica (specie nelle Bocche di Bonifacio) sono stati individuati numerosi relitti - soprattutto di età imperiale - che sono stati oggetto di scavi parziali e di pubblicazioni preliminari.
Per l'età tardoantica e altomedievale, alcuni scavi degli ultimi trent'anni hanno consentito di avviare lo studio dei primordi della cristianizzazione dell'isola, a partire da alcune delle maggiori civitates antiche (come nel caso di Mariana o di Sagona), o da monumenti rurali isolati, a volte sul sito delle pievi medievali. Tali scoperte, insieme ad altre quali il già citato scavo di Castellu, nell'interno dell'isola, permettono di individuare - in parallelo con recenti scoperte effettuate in Sardegna - nella fase dell'occupazione vandala, stretti legami con l'Africa, sia dal punto di vista politico ed economico sia da quello religioso, in quanto i vescovi ortodossi in esilio evangelizzarono la Corsica, costruendovi probabilmente le prime cattedrali e le prime chiese rurali. Tali affermazioni si possono ricavare sia rileggendo le poche fonti letterarie a nostra disposizione, sia dall'architettura religiosa e dalla decorazione degli edifici che ci è pervenuta (soprattutto i pavimenti a mosaico della cattedrale e del battistero di Mariana). Sono tuttora da chiarire archeologicamente, con dati esaurienti, le fasi legate alle presenze bizantina e longobarda nell'isola tra gli inizî del VI sec. e la metà del IX.
Bibl.: C. Vismara, Prima miscellanea sulla Corsica romana, in MEFRA, XCII, 1980, pp. 303-328; ead., Funzionari civili e militari nella Corsica romana, in Studi per Laura Breglia (BNumRoma, Suppl. 4, 3), III, Roma 1987, pp. 57-68.
Per l'età tardo antica, oltre alla bibl. prec.: Ph. Pergola, L'administration vandale: de la domination romaine à la protection pontificale, in F. Pomponi (ed.), Le Mémorial des Corses, Ajaccio 1981, pp. 226-255; id., Corse, in Topographie chrétienne des cités de la Gaule des origines au milieu du VIle siècle, Parigi 1986, pp. 93-105; Ph. Pergola, C. Vismara (ed.), Castellu (Haute-Corse) - Un établissement rural de l'Antiquité Tardive: fouilles récentes (1981-1985) (Documents d'Archéologie Française, 18), Parigi 1989; Ph. Pergola, Les origines de la Corse chrétienne. Etude des sources historiques, archéologiques et monumentales du Ve au IXe siècle (in preparazione).
In generale per aggiornamenti sugli scavi si rimanda alla Informations archéologiques della rivista Gallia, 1950 ss., a opera di F. Benoît, M. Euzennat, Ch. Goudineau, J. Jehasse.
Sugli scavi recenti compiuti a Piantarella (Bonifacio): P. Agostini, Le site romain de Piantarella, in ACors, X-XI, 1985-1986, pp. 3-34.
Fra le riviste locali si segnalano: Bulletin de la Société des Sciences Historiques et Naturelles de la Corse, Corse Historique, Revue d'Etudes Corses, Etudes Corses, Cahiers Corsica.
(Ph. Pergola)
PROVINCIE GALLO-GERMANICHE. - La parte nord-occidentale del continente europeo è articolata, in età imperiale, in sei unità territoriali: la Gallia Narbonensis (v. vol. V, p. 348); le tre provincie della Gallia Cornata, e cioè Belgica (v. vol. Il, p. 41), Lugdunensis (v. vol. IV, p. 726), Aquitania (v. vol. I, p. 522); e infine la Germania Superior e la Germania Inferior (ν. vol. III, p. 846).
Con Silla, era stata fatta provincia anche la Gallia Cisalpina, cioè l'Italia settentrionale al di là della Magra e del Rubicone; più tardi, con Cesare, questo territorio venne a far parte dell'Italia, e con Augusto fu diviso fra le regioni IX, o Liguria (v.), X, o Venetia et Histria (v.), XI, o Transpadana (v.), e anche, in parte, VIII, o Aemilia (v.).
Gallia Narbonensis. - L'ampiezza delle ricerche in corso, e quindi delle novità e delle scoperte che si susseguono, è veramente straordinaria, sia nel campo protostorico (come attestano p.es. gli studi comparsi sulla rivista Documents d'archéologie méridionale, I, 1978-xv, 1992), sia nel campo dell'archeologia «classica», oggetto principale della presente trattazione, la quale può avere un suo punto di partenza nell'articolo di R. Chevallier, Gallia Narbonensis. Bilan de 25 ans de recherches historiques et archéologiques, in ANRW, II, 3, 1975, pp. 686-828 e nel libro di P. Gros, La France gallo-romaine, Parigi 1992. Si darà brevemente conto anche degli aspetti storico-giuridici, premessa di quella intensa romanizzazione che si riscontra nel campo urbanistico e figurativo.
Il quadro istituzionale e giuridico. Modalità della creazione e dell'organizzazione della provincia. - Le ricerche degli ultimi anni si sforzano di operare una distinzione più netta tra il periodo in cui Roma si limitò a esercitare un semplice controllo sui territori situati tra le Alpi e i Pirenei e la vera e propria istituzione della provincia. Per quanto riguarda il primo punto ci si trova concordi nell'ammettere che la necessità di sorvegliare la zona celtica nel tratto terrestre compreso tra il Rodano e Ampurias aveva costretto Roma a una presenza attiva nel Roussillon e in Linguadoca a partire dalla prima metà del II sec. a.C. Nello stesso tempo la data della creazione della provincia è stata abbassata, con valide argomentazioni, quasi di mezzo secolo rispetto alla data tradizionale: è soltanto per impulso di Pompeo, nel corso delle guerre contro Sertorio, che si sarebbe definita una provincia Gallia, di cui Fonteio sarebbe stato il primo governatore. Tale ipotesi, che non risolve però tutti i problemi ancora aperti, è allo stato attuale considerata la più probabile.
Urbanizzazione e colonizzazione. Status municipalis. - La tendenza, in continuità con i lavori di F. Vittinghoff e di A. N. Sherwin-White e sulla base di un sistematico riesame dei dati testuali ed epigrafici, è quella di ritenere che gli oppida Latina di cui parla Plinio il Vecchio fossero colonie di diritto latino. La presenza di IV viri al governo di tali oppida, nonostante l'ipotesi espressa non molto tempo fa da A. Degrassi, non consente di assimilarli ai municipi, la cui presenza agli inizî dell'età imperiale non è attestata nella Gallia Narbonensis. Le uniche colonie di diritto romano della provincia sarebbero Arles, Narbona e forse Béziers (a partire da Cesare), Orange (nell'età triumvirale), Fréjus (poco dopo Azio), Valence e Aix (sotto Augusto). Il caso di Nîmes, a lungo erroneamente considerata una colonia di diritto romano, è stato finalmente risolto: si tratta anche in questa circostanza di una colonia di diritto latino che ottenne sotto Augusto - come Riez e altri centri - privilegi e una titolatura onorifica. Vaison e Lue sembrano essere rimaste civitates foederatae di diritto latino. Per ciò che concerne Vienne, la datazione e i motivi del suo accesso al diritto romano restano oggetto di un dibattito ancora aperto. Le ultime ricerche relative agli inizî della romanizzazione tendono a escludere che Narbona sia stata una colonia di diritto romano sin dalla sua fondazione nel 118 a.C. Lo ius Latii sembrerebbe adattarsi meglio alla situazione e alle consuetudini del periodo post-graccano.
Per quanto riguarda l'urbanizzazione, il risultato più importante delle ricerche degli ultimi venti anni relative agli insediamenti d'altura, gli oppida protostorici, sta nell'aver evidenziato che un gran numero di essi sopravvisse alla violenza della conquista. Contrariamente a quanto si riteneva in precedenza, gli eventi del 125-122 a.C. non hanno portato alla distruzione o al sistematico abbandono degli oppida da parte delle popolazioni autoctone: molti di essi conoscono il momento di maggiore espansione nel I sec. a.C.; altri ancora vengono fondati in questo periodo.
Epigrafia. - Fra i nuovi contributi dovuti agli studî epigrafici, ricordiamo soprattutto quelli riguardanti Nîmes e in particolare la dedica ai Caesares della «Maison Carrée» (ν. infra) e il quadro della società di questa città nel II sec. d.C. così come emerge dal recupero di iscrizioni reimpiegate in mura tardoantiche. Notevoli anche le indicazioni offerte da un gruppo di dediche a membri della famiglia imperiale (8-50 d.C.) circa la datazione del foro e della basilica di Ruscino, oppure quelle riguardanti religioni e culti (individuazione di un dio celtico delle acque, Craro; collegio dei dendrophoroi Aquenses ad Aix), nonché l'uso del latino nella provincia (la testimonianza, più antica è su una coppa di terra sigillata di Balaruc-le-Vieux, 15-30 d.C.). Altri contributi, infine, riguardano il mondo «gallo-greco» della regione, soprattutto per quanto concerne Marsiglia, oppure le carriere di magistrati, militari, notabili, soprattutto ad Arles.
Studî architettonici dei monumenti. - Un particolare impegno nel corso degli ultimi anni è stato riposto nello studio analitico dei singoli monumenti. Sono state pubblicate numerose monografie, volte sia alla presentazione di edifici ancora inediti, sia all'approfondimento di varî aspetti (cronologia, funzione, e così via) di realtà già parzialmente edite, sia all'esame stilitisco di elementi della struttura e della decorazione.
In seguito a questi studî le cronologie relative e assolute di numerosi edifici pubblici e di monumenti funerarî della fine dell'età repubblicana e degli inizî di quella imperiale sono state precisate e la provincia ha assunto la posizione che le spetta tra la Gallia Cisalpina e i paesi iberici. In particolare, per quanto riguarda lo studio degli elementi architettonici, si può dire che (anche sulla base di confronti con i monumenti di Roma stessa) siamo ora in grado di classificare e di datare gli esemplari di ordine corinzio, anche quelli con caratteri regionali. Sul piano, invece, dei complessi legami fra architettura, politica e ideologia, nuove ricerche sulla diffusione del culto imperiale consentono di comprendere meglio il significato di taluni programmi urbanistici.
Cave, materiali e tecniche edilizie. - Un'attenzione crescente è stata rivolta alle tecniche del taglio e della messa in opera, oltre che alla provenienza dei materiali. In particolare, l'attenzione si è anche soffermata sul «petit appareil», opera muraria a piccoli blocchi tipica delle costruzioni pubbliche della prima età imperiale.
Le abitazioni in ambito urbano. - Molti problemi restano aperti in questo campo. Le scoperte di Saint-Romain-en-Gal, di Vaison-la-Romaine, di Fréjus, di Aix, di Ambrussum, di Narbonne, di Lione e di Orange permettono in ogni caso di avere un'idea dell'estrema varietà delle applicazioni dello schema classico della domus; le singole unità abitative possono coprire un'area inferiore ai 200 m2 o superiore ai 3000. D'altra parte, l'affinamento delle tecniche di scavo, che consente di formulare osservazioni sulle tracce lasciate dai resti di legno, di mattoni crudi o di malta, fa conoscere meglio tipi di strutture di cui sino a ora non si aveva altro che un'idea imprecisa. La sintesi di Ch. Goudineau sulla «casa del Delfino» costituisce il principale punto di riferimento per lo studio della domus urbana della Gallia Narbonensis.
Studî sui singoli centri; urbanistica e programmi monumentali. - Malgrado il carattere spesso prematuro di qualunque forma di riflessione globale e nonostante che il moltiplicarsi delle scoperte archeologiche modifichi continuamente i dati già acquisiti, nel corso degli ultimi anni sono stati pubblicati i risultati di numerose ricerche che costituiscono importanti punti di riferimento per la storia delle città romane della provincia.
È giunto a una svolta decisiva il dibattito sulla pianificazione urbanistica. Da un lato l'analisi dei catasti superstiti incomincia a definirsi nei suoi metodi (si veda il fondamentale studio di J. Benoit sui catasti di Nîmes, in Bulletin de l'École antique de Nîmes, XVI, 1981, pp. 69-90); dall'altro il progredire degli scavi in area urbana suscita dubbi sempre più motivati sul carattere geometrico degli impianti (si vedano a tale proposito le considerazioni di Ch. Goudineau, in Histoire de la France urbaine, ι, Parigi 1980, p. 261 ss.): la pianta di Orange, p. es., nella ricostruzione divulgata nel 1962, nel volume sull'arco di Orange (AA.VV., L'arc d'Orange, Gallia, Suppl. 15, Parigi 1962), attualmente non può più essere considerata accettabile. In realtà è necessario superare l'aspetto puramente topografico del fenomeno per cogliere il carattere organico dei centri monumentali, i soli settori che siano stati oggetto di particolare attenzione da parte dei fondatori.
Monumenti funerarî. - Le scoperte effettuate in ambito urbano o suburbano sono state altrettanto e, forse, più numerose di quelle realizzate nel territorio. Una serie di studi condotti a partire dall'inizio degli anni Settanta, nell'analizzare situazioni numerose e disparate conferma la notevole varietà tipologica presente nella provincia (tenendo conto anche della precedente realtà gallo-greca).
Centuriazione e catasti. - Sensibili sono stati i progressi registrati nel campo della prospezione e dell'analisi delle antiche centuriazioni. Per la Gallia Narbonensis lo studio del fenomeno è tanto più fruttuoso in quanto può fondarsi su un documento unico nel suo genere, vale a dire i frammenti della pianta catastale del territorio della civitas di Orange. Pubblicati, in una nota monografia, da A. Piganiol (Les documents cadastraux de la colonie romaine d'Orange, Gallia, Suppl. 16, Parigi 1962), essi sono stati oggetto di nuove osservazioni, sia per quanto riguarda la loro collocazione e il loro orientamento originario nella basilica di Arausio, sia per il contenuto delle indicazioni geografiche e socio-economiche da essi offerte. I lavori più recenti hanno dimostrato che, delle tre piante incise ed esposte a Orange, solo il catasto Β riguardava la pertica di questa città; il catasto A riproduce la centuriazione del territorio della colonia di Arles; il C quella della colonia di Valence. Ma si conoscono anche altri catasti. L'Università di Besançon e il Centre Camille Jullian di Aix stanno proseguendo l'analisi di numerosi esempî noti della Gallia Narbonensis, in relazione anche al reticolo viario e in particolare alla Via Domitia.
Viabilità e sistemazione del territorio. - Uno dei temi più interessanti del convegno di Strasburgo (Thèmes de recherches sur les villes antiques d'Occident, Parigi 1977) era stato lo studio del ruolo sostenuto dalle vie di terra e fluviali nello sviluppo della città antica: due articoli del volume riguardano la Narbonense. A partire dal 1984, inoltre, un gruppo di ricerca interdisciplinare sta studiando in tutti i suoi aspetti (archeologico, tecnico e geologico) l'acquedotto di Nîmes per l'intero percorso, con il suo più importante manufatto, il «Pont du Gard». Ma va anche segnalato lo sviluppo ormai raggiunto anche da questo filone di studî, volto fra l'altro a cogliere i nessi fra sistema viario e presenza dei fenomeni architettonici e artistici.
Proprietà e ville. - Per quanto le prospezioni aeree non siano state sfruttate in ambito regionale come in altre zone (p.es. in Piccardia), sappiamo che nella Narbonense si trovano tipi molto diversi di villae e che la loro densità è più alta di quanto la scarsezza delle pubblicazioni non lasci pensare.
Al confine occidentale della provincia, le grandi ville di Martres-Tolosane (Chiragan) e di Montmaurin sono state oggetto di studî ormai datati.
Artigianato e produzione. - Non è possibile ricordare qui tutti i numerosi lavori relativi a gruppi di ceramiche presenti all'interno di contesti o studiati dal punto di vista tipologico. Occorre invece sottolineare come siano state inquadrate da un punto di vista globale alcune produzioni tipiche della regione: le anfore, e in particolare le anfore massaliote, per le quali si è anche tentata l'individuazione di officine strettamente connesse con la produzione di anfore e con quella di olio. Rientra infine a buon diritto nella serie di indagini relative alle tecniche produttive la ripresa delle ricerche sul mulino di Barbegal.
Arti figurative: rilievo e statuaria. - Numerosi studî hanno tentato di definire i caratteri specifici delle botteghe della Narbonense e i loro rapporti con l'iconografia di tradizione ellenistica. Nel frattempo, altre ricerche condotte sulla ritrattistica imperiale nella regione (soprattutto da F. Salviat e D. Terrer) hanno condotto a nuove, stimolanti identificazioni.
Mosaico. - I ritrovamenti, recenti e di vecchia data, che maggiormente hanno attirato l'attenzione degli specialisti, sono quelli di Vienne e di Vaison; novità si segnalano anche nella città di Loupian. Ma è importante soprattutto ricordare la pubblicazione sistematica dei mosaici di tutta la Gallia.
Pittura. - In questa regione le ricerche sono state condotte da A. Barbet e dal suo gruppo di lavoro. Dopo l'importante articolo sul secondo stile «schematico» (.Peintures de second style «schématique» en Gaule et dans l'empire romain, in Gallia, XXVI, 1968, pp. 145-176) che analizzava soprattutto le decorazione di Glanum e di Ensérune, l'autrice ha pubblicato nel 1974 il primo volume di Recueil général des peintures murales de la Gaule dedicato a Glanum (I, Province de Narbonnaise, Gallia, Suppl. 27, Parigi 1974, in due tomi), che contiene il primo studio sistematico degli intonaci parietali delle case tardo-ellenistiche di tale centro e ne propone una sequenza molto importante per la datazione delle strutture che a essi si sono sovrapposte, nell'area del foro. Più di recente la Barbet ha presentato una rapida sintesi sulla diffusione del II stile in Transalpina in Études languedociennes. Actes du 110ème Congrès national des Sociétés Savantes, Montpellier 1985, Parigi 1985, pp. 181-204. Per la sua partecipazione alla pubblicazione di numerosi scavi, in particolare ad Aix e a Narbona, si veda (più avanti) la bibliografìa relativa a tali centri. Per Vaison si veda infine C. Allag, A. Barbet, F. Galliou, L. Krougly, Peintures romaines. Musées de Vaison-la Romaine. Guide-catalogue, Vaison 1986.
Bibl.: Creazione e organizzazione della provincia: Ch. Goudineau, La romanisation des institutions en Transalpine, in Cahiers ligures de préhistoire et d'archéologie, XXIV, 1975, pp. 26-34; Ch. Ebel, Pompey's Organization of Transalpina, in PhoenixToronto, XXIX, 1975, pp. 358-373; id., Transalpine Gaul. The Emergence of a Roman Province, Leida 1976; Ch. Goudineau, La Gaule Transalpine, in Rome et la conquête du monde méditerranéen, II, Parigi 1978, pp. 679-699; M. Christel, Réflexions sur le provincialisme gallo-romain, in Centralismo y descentralización. Modelos y procesos históricos en Francia y en España, Madrid 1985, pp. 75-99.
Urbanizzazione e colonizzazione: B. Galsterer-Kröll, Zum ius Latii in den keltischen Provinzen des Imperium Romanum, in Chiron, III, 1973, pp. 277-306; P. A. Février, The Origin and Growth of the Cities of Southern Gaul to the Third Century A.D., in JRS, LXIII, 1973, pp. 1-28; Ch. Goudineau, Le statut de Nîmes et les Volques Arécomiques, in RANarb, IX, 1976, pp. 105-144; id., Les fouilles de la Maison au dauphin. Recherches sur la romanisation de Vaison- La-Romaine (Gallia, Suppl. 37), Parigi 1979, p. 249 ss.; id., in Histoire de la France urbaine, I. La ville antique, Parigi 1980, p. 70 ss.; D. van Berchem, Le droit latin et la formation du gentilice des nouveaux citoyens, in Les routes et l'histoire, Ginevra 1982, pp. 155-164; J. Gascou, Quand la colonie de Fréjus fut-elle fondée?, in Latomus, XLI, 1982, pp. 132-145; P. Gros, Le Mausolée des Julii et le statut de Glanum, in RA, 1986, pp. 65-80; D. Roman, Dès Volques Arécomiques à la colonie de Nîmes. Contribution à l'étude de la politique coloniale de Rome en Gaule méridionale (Ilème s. av. J.-C.-Ier s. apr. J.-C.), tesi sostenuta nel gennaio 1987 (Università di Parigi IV). Si vedano inoltre le monografie sulle singole città.
Per quanto riguarda la sorte degli oppida in età romana: B. Dedet, M. Py, Introduction à l'étude de la protohistoire en Languedoc oriental, Caveirac 1976; id., L'oppidum du castel à Nages (Gallia, Suppl. 35), Parigi 1978; Ch. Goudineau, in Histoire de la France urbaine ..., cit., pp. 139-193; M. Py, Recherches sur Nîmes préromaine. Habitats et sépultures (Gallia, Suppl. 41), Parigi 1981; AA.VV., Les enceintes protohistoriques de Gaule méridionale, Caveirac 1985; M. Py, Culture économie et société protohistoriques dans la région nimoise, 2 voll., Roma 1990; AA.VV., Espaces et monuments publics protohistoriques de Gaule méridionale (DocAMérid, XV, 1992, Le dossier), Lattes 1993.
Epigrafia: R. Amy, L'inscription de la Maison Carrée de Nîmes, in CRAI, 1970, pp. 670-686; M. Passelac, Le Vicus Eburomagus. Eléments de topographie, in RANarb, III, 1970, pp. 71-101; M. Gayraud, L'inscription de Bram (Aude) et les toponymes Euburomagus, Hebromagus, Cobiomagus en Gaule méridionale, ibid., pp. 103-114; H. G. Pflaum, Une famille arlésienne à la fin du 1er siècle et au début du Ilème siècle de notre ère, in BAntFr, 1970, pp. 265-271; R. Turcan, Les religions de l'Asie dans la vallée du Rhône, Leida 1972; E. Demougeot, Stèles funéraires d'une nécropole de Lattes, in RANarb, V, 1972, pp. 49-116; M. Christol, L'origine de quelques familles arlésiennes, in BAntFr, 1973, p. 117 ss.; id., Notes d'épigraphie narbonnaise 2. L'origine de quelques familles arlésiennes, in Etudes sur Pézenas et l'Hérault, VI, 1975, 2, pp. 3-8; A. Blanc, H. Desaye, Inscriptions nouvelles de la Drôme et de l'Ardèche, in Gallia, XXXIII, 1975, pp. 229-256; Y. Burnand, Les Domitii Aquenses: une famille de chevaliers romains de la région d'Aix-en-Provence (RANarb, Suppl. 5), Parigi 1975; id., Sénateurs et chevaliers romains originaires de la cité de Nîmes sous le Haut Empire, in MEFRA, LXXXVII, 1975, pp. 681-791; H. G. Pflaum, Les Fastes de la province de Narbonnaise (Gallia, Suppl. 30), Parigi 1978; P. Gros, R. Amy, La Maison Carrée de Nîmes (Gallia, Suppl. 38), Parigi 1979, pp. 176-194; P. Finocchi, A proposito di una divinità indigena della Gallia meridionale, in MEFRA, XCI, 1979, pp. 71-84; J. L. Fiches, A. Cablat, A. Freises, M. Lejeune, Formule latine sur un vase sigillé, in RANarb, XII, 1979, pp. 255-264; M. Gayraud, Inscriptions de Ruscino, in G. Barruol (ed.), Ruscino, I. Actes du colloque archéologique (RANarb, Suppl. 7), Parigi 1980, pp. 67-98; G. Barruol, J. Cascou, J.-C. Bessac, Nouvelles inscriptions exhumées d'une enceinte du Bas-Empire à Nîmes, in RANarb, XV, 1982, pp. 273-318; I. Piso, Carrières sénatoriales, 3, in ActaMusNapoca, XIX, 1982, pp. 39-49; Y. Burnand, Senatores Romani ex provinciis Galliarum orti, in Epigrafia e ordine Senatorio (Tituli, V), II, Roma 1982, pp. 387-437; J. Gascou, Les dendrophores d'Aix-en-Provence, in RANarb, XVI, 1983, pp. 161-169; M. Jamon, M. Christol, Révision d'inscriptions de Nîmes, I. = CIL, XII, 3005, ibid., XVII, 1984, pp. 249-255; R. Sablayrolles, Les praefecti fabrum de Narbonnaise, ibid., pp. 239-248; M. Lejeune, Recueil des inscriptions gauloises, I. Textes gallo-grecs (Gallia, Suppl. 45), Parigi 1985; J. Gascou, M. Janon, Inscriptions latines de Narbonnaise. Fréjus (Gallia, Suppl. 44), Parigi 1985 (primo fascicolo di una serie, che propone nello stesso tempo un aggiornamento di CIL, XII e monografie sulle diverse civitates); M. Janon, M. Christol, Révision d'inscriptions de Nîmes, 2. = CIL, XII, 5890, in RANarb, XIX, 1986, pp. 259-268; A. Chastagnol, Inscriptions latines de Narbonnaise, II. Antibes Riez, Digne (Gallia, Suppl. 44), Parigi 1992; M.-F. Giacobbi- Lequément, Cinq incriptions impériales à Glanum, in Latomus, LII, 1993, p. 281-293.
Edificî e monumenti: H. Rolland, J. Bruchet, Le Mausolée de Glanum (Gallia, Suppl. 21), Parigi 1969; H. Rolland, L'Arc de Glanum (Gallia, Suppl. 31), Parigi 1977; P. Varène, Notice sommaire sur la Tour Magne, Nîmes 1978; R. Amy, P. Gros, La Maison Carrée de Nîmes (Gallia, Suppl. 38), 2 voll., Parigi 1979; P. Gros, Les temples géminés de Glanum, in RANarb, XIV, 1981, pp. 125-158; P. Varène, Un exemple de structures imbriquées: la tour préromaine et la Tour Magne de Nîmes, in Le service d'architecture antique (Le Courrier du CNRS, 51, Suppl.), Parigi 1983, pp. 16-21; id., L'enceinte gallo-romaine de Nîmes. Les murs et les tours (Gallia, Suppl. 53), Parigi 1992. - Riesame di monumenti già editi: A. von Gladiss, Der «Arc du Rhône» in Arles, in RM, LXXIX, 1972, p. 17 ss.; C. Saletti, Un aspetto del problema dell'arte provinciale nei rapporti tra Cisalpina e Narbonense. Gli archi onorari, in RendlstLomb, CVIII, 1974, pp. 223-235; P. Gros, Pour une chronologie des arcs de triomphe de Gaule Narbonnaise, in Gallia, XXXVII, 1979, pp. 55-83 ; I. Paar, Der Bogen von Orange und der gallische Aufstand unter der Führung des Julius Sacrovir, in Chiron, IX, 1979, pp. 215-236; Α. Roth-Congès, P. Gros, Le sanctuaire des eaux à Nîmes, in Revue archéologique du Centre de la France, XXII, 1983, pp. 131-145, 163-172; P. Gros, L'Augusteum de Nîmes, in RANarb, XVII, 1984, pp. 123-134; R. Turcan, L'arc de Carpentras. Problèmes de datation et d'histoire, in H. Walter (ed.), Hommages à L. Lerat, Parigi 1984, pp. 809-819; P. Gros, Une hypothèse sur l'arc d'Orange, in Gallia, XLIV, 1986, pp. 191-201; P. Varène, La Tour Magne et l'Augusteum de Nîmes, in RA, 1987, pp. 91-96; A. Böhm, Die römischen Bogenmonumente der Gallia Narbonensis in ihrens Urbanen Kontext (diss.), Colonia 1992. - Analisi e osservazioni stilistiche: W. D. Heilmeyer, Korintische Normalkapitelle, Heidelberg 1970, pp. 106-115 (sull'ordine corinzio in Provenza); P. Gros, Traditions hellénistiques d'Orient dans le décor architectonique des temples romains de Gaule Narbonnaise, in Atti del colloquio sul tema «La Gallia romana», Roma 1973, pp. 167-180; id., Hellénisme et romanisation en Gaule Narbonnaise, in Hellenismus in Mittelitalien. Kolloquium in Göttingen 1974, Gottinga 1976, pp. 300-314; G. Sauron, Les cippes funéraires gallo-romains à décor de rinceaux de Nîmes et de sa région, in Gallia, XLI, 1983, pp. 59-110; A. Roth-Congès, L'acanthe dans le décor architectonique protoaugustéen en Provence, in RANarb, XVI, 1983, pp. 83-102; M. Janon, Le décor architectonique de Narbonne. Les rinceaux (RANarb, Suppl. 13), Parigi 1986.
Materiali e tecniche edilizie: Ch. Goudineau, Les fouilles le la Maison au Dauphin (Gallia, Suppl. 37), Parigi 1979, in part. p. 190 ss.; J.-C. Bessac, L'outillage traditionnel du tailleur de pierre (RANarb, Suppl. 14), Parigi 1986; id., Le rempart hellénistique de Saint-Biaise. Techniques de construction, in DocAMérid, III, 1980, pp. 137-157; P. Varène, Sur la taille de la pierre antique, médiévale et moderne, Digione 19823; R. Guéry, G. Hallier, P. Trousset, Des carrières de la Couronne aux vestiges de la Bourse: techniques d'extraction et de construction, in Histoire des techniques et sources documentaires (Publications de la Maison de la Méditerranée, Cahiers du G.I.S., 7), Aix-en-Provence 1985, in part. pp. 25-52 sull'uso del «petit appareil»; A. Olivier, Dalles de toiture en pierre sciée à Glanum: opus pavonaceum?, in RANarb, XV, 1982, pp. 69-102; J.-C. Bessac, Matériaux et construction de l'enceinte augustéenne de Nîmes, in Les enceintes augustéennes dans l'Occident romain (Bulletin de l'Ecole antique de Nîmes, 18, n. speciale), Nîmes 1987, pp. 25-38.
Abitazioni in ambito urbano: P. A. Février, L'habitat dans la Gaule méridionale (Ilème-Ier s. av. notre ère) d'après les recherches récentes, in Cahiers ligures de préhistoire et d'archéologie, XXIV, 1975, pp. 7-25; A. Nickels, Les maisons à abside d'époque grecque archaïque de la Monédière à Bessan (Hérault), in Gallia, XXXIV, 1976, pp. 95-128; R. Martin, Formation et développement de l'habitat urbain en Gaule romaine, in Thèmes de recherches sur les villes antiques d'Occident, Strasbourg 1971, Parigi 1977, pp. 173-182; G. Baccalere, Habitat gallo-romain dans le Toulousain, Tolosa 1983; J. Lasfargues (ed.), Architecture de terre et de bois. L'habitat privé des provinces occidentales du monde romain. Actes du 2e Congrès archéologique de la Gaule Méridionale, Lyon 1983 (Documents d'archéologie française, 2), Parigi 1985; M. e R. Sabrié, Y. Salier, La maison à portiques du Clos de la Lombarde à Narbonne (RANarb, Suppl. 16), Parigi 1987. - Sull'abitato preromano: D. Garcia (ed.), Lattara, VII. Exploration de la ville portuaire de Lattes, Lattes 1994.
Urbanistica: M. Labrousse, Toulouse antique, Parigi 1968; M. Clavel, Béziers et son territoire dans l'Antiquité, Parigi 1970; ead., Marseille grecque, Marsiglia 1977; M. Gayraud, Narbonne antique des origines à la fin du IIIème s. (RANarb Suppl. 8), Parigi 1981; A. Pelletier, Vienne antique, Roanne 1982 (fa il punto sulle conoscenze sino al 1972); P. Gros, in P. Gros, M. Torelli, Storia dell'urbanistica. Il mondo romano, Roma-Bari 19943, pp. 265-283.
Programmi monumentali: J. B. Ward Perkins, From Republic to Empire. Reflections on the Early Provincial Architecture of the Roman West, in JRS, LX, 1970, p. I ss.; P. Gros, Remarques sur les fondations urbaines de Narbonnaise et de Cisalpine au début de l'Empire, in QuadStLun, X-XII, 1985-1987, pp. 73-95; id., Un programme augustéen. Le centre monumental de la colonie d'Arles, in Jdl, CII, 1987, pp. 341-363.
Monumenti funerarî. - Sepolture isolate, pozzi sepolcrali o necropoli: S. Gagnière, J. Granier, La nécropole gallo-romaine et barbare de la Font-du-Buis à Saze (Gard), in RANarb, V, 1972, pp. 117-144; M. Py, La sépulture de Boissières (Gard), in Cahiers ligures de préhistoire et d'archéologie, XXI, 1972, pp. 75-88; M. Vidal, Th. Poulain, Nécropole toulousaine de Saint-Roch, in RANarb, VI, 1973, pp. 73-90; B. Dedet, A. Michelozzi, M. Py, La nécropole des Colombes à Beaucaire, ibid., VII, 1974, pp. 99-118; G. Manière, Une sépulture à incinération du Illème s. apr. J.-C. et son environnement aux Aquae Siccae (Haute Garonne), in Pallas, XXIII, 1976, pp. 91-102; A. Robert, A propos de la nécropole du boulevard de 1848 à Narbonne, in RANarb, X, 1977, pp. 263-272. - Elementi architettonici e mausolei: P. Varène, Blocs d'architecture funéraire découverts à Nîmes, in Gallia, XXVII, 1970, pp. 91-126; M. Euzennat, Le monument à rotonde de la nécropole du cirque à Arles, in CRAI, 1972, pp. 404-423; J. C. Joulia, Ensemble monumental de Lanuéjols, in RANarb, VIII, 1975, pp. 275- 294; Y. Burnand, Le mausolée de Cornillon (B. du R.), in Annales du Midi, LXXXIX, 1977, pp. 79-91; id., Le monument gallo-romain dit «La Sarrasinière» à Andance (Ardèche), in Gallia, XXXVII, 1979, pp. 119-140; J.-C. Bessac, Y. Gaseo, A. Michelozzi, M. Lejeune, Un nouveau monument funéraire gallo-grec à Beaucaire (Ugernum), ibid., XLIV, 1986, pp. 55-64 (con epigrafe dedicatoria); M. Janon, Le décor architectonique de Narbonne. Les rinceaux (RANarb, Suppl. 13), Parigi 1986; J. C. Joulia, Les frises doriques de Narbonne, Bruxelles 1986; M. Euzennat, G. Hallier, La necropole du cirque, in Revue d'Arles, I, 1987, pp. 112-117; A. Roth-Congès, Le Mausolée de l'île du Comte, in AA.VV., Ugernum. Beaucaire et le Beaucairois â l'époque romaine, Caveirac 1987. - Per il mausoleo di Cucuron, v. Gallia, XXX, 1972, p. 536 ss.
Catasto di Orange: F. Salviat, Orientation, extension et chronologie des plans cadastraux d'Orange, in RANarb, Χ, 1977, pp. 109-118; G. Chouquer, Localisation et extension géographique des cadastres affichés à Orange, in Cadastres et espace rural, Parigi 1983, pp. 275-295; F. Salviat, J. Benoit, Le cadastre B d'Orange, la route antique au Sud de Montélimar, le problème du Dourion et le cours inférieur de la Berre, in RANarb, XVIII, .1985, pp. 277-288; V. Bel, J. Benoit, Les limites du cadastre B d'Orange. Etudes sur les régions de Montélimar et de Saint-Paul-Trots-Châteaux, ibid., XIX, 1986, pp. 79-100; F. Salviat, Quinte Curce, les insulae Furianae, la Fossa Augusta et la localisation du cadastre C d'Orange, ibid., pp. 101-116; F. Favory, J.-L. Fiches (ed.), Les campagnes de la France méditerranéenne dans l'Antiquité et le Haut Mayen Age, Parigi 1994.
Altri catasti noti nella Narbonense: J. Soyer, Les centuriations en Provence, in RANarb, VI, 1973, pp. 197-232 e VII, 1974, pp. 179-199; M. Clavel Levêque, Un cadastre en Gaule: la chora d'Agde (Hérault), in Klio, LXIV, 1982, pp. 21-28; ead., Cadastres, centuriations et problèmes d'occupation du sol dans le Biterrois, in Cadastres et espace rural, Parigi 1983, pp. 207-258; G. Chouquer e altri, Cadastres et Voie Domitienne, in DialHistAnc, IX, 1983, pp. 87-112; J. Benoit, L'étude des cadastres antiques. A propos d'Olbia de Provence, in DocAMérid, VIII, 1985, pp. 25-48. - V. inoltre gli articoli di varî Autori in RANarb, XXVI, 1993, pp. 11-178 (con bibl.).
Sulle agglomerazioni secondarie e sull'occupazione del territorio v. gli articoli di varî Autori in RANarb, XXVI, 1993, pp. 181-337. - Sulle vie fluviali della Gallia Narbonensis: Y. Burnand, Le rôle des communications fluviales dans la genèse et le développement des villes antiques du Sud-Est de la Gaule, in Thèmes de recherches sur les villes antiques d'Occident..., cit., pp. 279-305; M. Le Glay, Le Rhône dans la genèse et le développement de Vienne, ibid., pp. 307-317. - Sulle vie terrestri e le opere d'arte: J. König, Die Meilensteine der Gallia Narbonensis. Studien zum Strassenwesen der Provincia Narbonensis (Itineraria romana, III), Berna 1970; J.-L. Fiches, Un ouvrage d'art sur la voie domitienne: le pont d'Ambrussum (Istituto Internazionale di Studi Liguri, IV), Bordighera 1972; K. Monkewitz, Der Pont-Julien. Ein römisches Bauwerk im Herzen der Provence, in AW, IV, 1982, pp. 29-36; G. Barruol, Ouvrages routiers antiques à Sainte-Croix-du-Verdon et à Riez (Alpes-de-Haute-Provence), in RANarb, XIX, 1986, pp. 133-158; G. Fabre, J.-L. Fiches, J.-L Paillet, L'aqueduct de Nîmes et le Pont du Gard. Archéologie, géosystème, histoire, Nîmes 1991; G. Fabre, J.-L. Fiches, Ph. Leveau, J.-L. Paillet, Le Pont du Gard. L'eau dans la ville antique, Parigi 1992.
Sulle ville. - Villa di Montmaurin: G. Fouet, La villa gallo-romaine de Montmaurin (Gallia, Suppl. 20), Parigi 1969. - V. inoltre: F. P. Bacou, La villa gallo-romaine de la Condoumine â Puissalicon (civitas de Béziers), in RANarb, IV, 1971, pp. 93-147; M. Le Glay, in Histoire de la France rurale, I, Parigi 1975, p. 218 ss.; H. Lavagne, R. Prudhomme, D. Rouquette, La villa gallo-romaine des Prés-bas à Loupian, in Gallia, XXXIV, 1976, pp. 215-235; P. A. Février, Villes et campagnes des Gaules sous l'Empire, in Ktema, VI, 1981, pp. 359-372; AA.VV., Autour d'Heraclea Caccabaria (cat.), Tolosa 1988.
Artigianato e produzione: J. Ch. Echallier, Données pétrographiques nouvelles sur la provenance des amphores dites massaliètes, in CRAI, 1982, pp. 679-680; id., La provenance des amphores massaliètes, données nouvelles sur un problème d'histoire économique, in DocAMérid, V, 1982, pp. 139-144; M. Picon, A propos de l'origine des amphores massaliètes. Méthodes et résultats, ibid., VIII, 1985, pp. 119-131; F. Laubenheimer, La production des amphores en Gaule Narbonnaise, Parigi 1985 (si veda inoltre Gallia, XLI, 1983, p. 507 ss.); P. Roos, For the Fifthieth Anniversary of the Excavation of the Water-Mill at Barbegal: a Correction of a Long Lived Mistake, in RA, 1986, pp. 327-334; J. P. Brun, L'oléiculture antique en Provence. Les huileries du département du Var (RANarb, Suppl. 15), Parigi 1986.
Sui rilievi: F. Kleiner, Gallia Graeca, Gallia Romana and the Introduction of Classical Sculpture in Gaul, in AJA, LXXVII, 1973, pp. 379-390; id., Artists in the Roman World. An Itinerant Workshop in Augustan Gaul, in MEFRA, LXXXIX, 1977, pp. 661-696; id., The Glanum Cenotaph Reliefs, in BJb, CLXXX, 1980, pp. 105-126. - Rilievi del mausoleo di Glanum: E. S. Woodruff, The Pictorial Traditions of the Battle Scenes on the Monument of the Julii at St Remy (diss. Univ. North Carolina, 1977), Ann Arbor 1980; P. Gros, Note sur deux reliefs des «Antiques» de Glanum: le problème de la romanisation, in RANarb, XIV, 1981, pp. 159-172.
Ritrattistica e statuaria: F. Salviat, D. Terrer, Un portrait officiel à Narbonne. Agrippa Postumus?, in RANarb, XIII, 1980, pp. 65-72; iid., Les portraits d'Agrippa Postumus et les monnaies de Corinthe, ibid., XV, 1982, pp. 237-241; iid., Portrait d'Auguste à Vienne, de Tibère au Musée de Lyon: un relief «dynastique» en Gaule, ibid., XVI, 1983, pp. 135-144; iid., Portraits officiels sévériens en Narbonnaise, ibid., XVII, 1984, pp. 273-287. - Si veda inoltre D. Terrer, Tibère à Fréjus, ibid., XIV, 1981, pp. 207-214. - Il ciclo statuario di Béziers è stato pubblicato da M. Clavel nella sua monografia Béziers et son territoire..., cit. Sulla questione è in preparazione un nuovo studio di J.-Ch. Balty.
Per gli altri frammenti statuarî della regione: J.-Ch. Balty, Un portrait romain d'époque républicaine trouvé en Narbonnaise à Murviel-lès-Montpellier (Hérault), in RANarb, XIV, 1981, pp. 89-98; A. Kolling, La statue masculine assise sur la route de Beaucaire à Nîmes, in RAE, XXXIII, 1982, pp. 21-26.
Mosaici: In generale si vedano i fascicoli del Recueil général des mosaïques de la Gaule (Gallia, Suppl. 10); in part. per la Narbonense: H. Lavagne, ΙΙΙ,ι. Partie centrale, Parigi 1979; J. Lancha, 111,2. Vienne, Parigi 1981. - Vienne: H. Stern, Deux mosaïques de Vienne (Isère), in MonPiot, LVI, 1969, pp. 13-43; id., Mosaïques de la region de Vienne (Isère), in Gallia, XXIX, 1971, pp. 123- 150; J. Lancha, Mosaïques géométriques. Les ateliers de Vienne (Isère), Roma 1977; H. Lavagne, Dessin inédit d'une mosaïque de Vienne (Isère), ibid., XXXVII, 1979, pp. 101-118. - Vaison: J. Lassus, Remarques sur les mosaïques de Vaison- la-Romaine, in Gallia, XXVIII, 1970, pp. 35-66 e ibid., XXIX, 1971, pp. 45-72; H. Lavagne, Trois mosaïques inédites de Vaison-la-Romaine et de Saint-Paul- Trois-Châteaux, in RANarb, X, 1977, pp. 171-188; H. Lavagne, Mosaïques de la ville de Loupian, ibid., XIV, 1981, pp. 173-203; id., Mosaïques tardives en Provence, in Gallia, XXXVI, 1978, pp. 143-162.
le scoperte nei centri urbani. - Come in altre aree dall'Europa occidentale, anche nelle città della Francia sud-orientale, sviluppatesi su siti che figurano tra i più ricchi del mondo romano, l'intensificarsi degli scavi urbani ha assunto dimensioni particolarmente rilevanti. I risultati acquisiti, a onta dell'urgenza degli interventi e delle difficoltà di pubblicazione, restano comunque importanti. Qui ci si limita a segnalare le scoperte principali, ricordando che, sia pure succintamente, cronache e notizie riguardanti le scoperte sono pubblicate con regolarità nel secondo fascicolo annuale di Gallia (insieme con quelle relative alla varie altre circoscrizioni francesi). Si potrà inoltre fare riferimento al Livret-Guide de l'Union internationale des sciences préhistoriques et protohistoriques, pubblicato a Nizza nel 1976, oltre che agli Actes du Colloque de Tours, intitolati Archéologie urbaine (Parigi 1982).
Aix (v. vol. I, p. 180). - La pavimentazione del decumanus maximus (privo di marciapiedi all'esterno del circuito urbano) e del cardo maximus è stata rinvenuta in diversi tratti a partire dal 1970. Alla periferia della città antica sono state scavate, a seguito di operazioni di carattere immobiliare, case e ville che presentano importanti trasformazioni in corrispondenza della fine del I e del II sec. d.C. e che di frequente comprendono un peristilio di dimensioni notevoli (cantiere del parcheggio Pasteur, dell'Enclos Laugier, dell'Ecole des Beaux-Arts, del convento dei Francescani, dell'Enclos des Chartreux). Lo scavo dei livelli medievali e antichi del chiostro di Saint- Sauveur e della cattedrale ha consentito di precisare l'organizzazione e l'estensione del foro, che contemplava la presenza della basilica sul lato corto NO. Nel 1984-86 il cantiere del palazzo dell'arcivescovado ha portato alla luce un'insula, situata nelle immediate vicinanze del foro, e ha permesso di formulare importanti osservazioni relativamente ai moduli e all'orientamento delle costruzioni del centro urbano.
Bibl.: R. Ambard, G. Bertucchi, J.-M. Gassend, Fouilles d'urgence et découverte du decumanus à Aix-en-Provence, in RANarb, V, 1972, pp. 31-47; R. Guild, J. Guyon, L. Rivet, Recherches archéologiques dans le cloître Saint Sauveur d'Aix- en-Provence, ibid., XIII, 1980, pp. 115-164; iid., Les origines du baptistère de la cathédrale Saint Sauveur, ibid., XVI, 1983, pp. 171-232; A. Kaufimann, Cardo et place dallée à Aix-en-Provence, ibid., pp. 233-246; R. Boiron, C. Landure, N. Nin, Les fouilles de l'aire du Chapitre, Aix 1986; M. Fixot, J. Guyon, J.-P. Pelletier, L. Rivet, Des abords du forum au palais archiépiscopal. Etude du centre monumental d'Aix-en-Provence, in Bulletin Monumental, CXLIV, 1986, pp. 195- 290; AA.VV., Les fouilles de l'enclos des Chartreux. De l'Antiquité au XVIIe siècle, Aix-en-Provence 1991.
Ambrussum. - La ripresa dei lavori a partire dal 1968 ha consentito di effettuare una migliore distinzione delle diverse fasi di occupazione del sito, di sgomberare la via lastricata che lo attraversa e di scavare l'area adiacente, di calcolare l'estensione dell'insediamento nella città bassa e i lavori di trasformazione che essa subì nel I e nel II sec. d.C. Lo studio del muro di cinta dell'oppidum e di quindici delle sue torri autorizza a datare la costruzione di questa imponente opera tra il 250 e il 175 a.C.; vicino alle mura, un isolato dell'alta età imperiale conteneva case con cortile e vestibolo databili al I sec. d.C.
Bibl.: J.-L. Fiches, M. Fenouillet, Découverte de la ville basse d'Ambrussum, in Bulletin de l'Ecole Antique de Nimes,V, 1970, pp. 63-74; J-L. Fisches, M. Fenouillet, Ch. Wujek, Sept ans de recherches à Ambrussum, oppidum-relais de la voie domitienne (1968-74), Caveirac 1976; J.-L. Fisches, Les maisons gallo-romaines d'Ambrussum. La fouille du secteur IV, 1976-1980, Parigi 1986.
Arles (v. vol. I, p. 663). - Dal 1975 al 1979 gli scavi imposti dalla costruzione di un parcheggio hanno portato a scoperte decisive per la storia della città, dapprima nella località chiamata Jardin d'Hiver (un quartiere preromano che risale nel suo impianto al VI sec. a.C. e sistemazione di una villa della fine del I a.C.), e successivamente nell'Esplanade (scavo di un tratto del cardo maximus e del muro di cinta; livelli di un quartiere suburbano che vanno dall'età greca sino agli inizî del V sec. d.C.: degna di nota la scoperta di un pregevole mosaico raffigurante Leda col cigno, del I sec. d.C.). Nel 1985 una serie di sondaggi effettuati nel cortile e nello stabile dell'ospedale Van Gogh, nel quartiere SE della città antica, ha portato alla scoperta di una superficie pavimentata, affiancata da una strada con un'inclinazione di 45° rispetto al reticolo del centro monumentale; il complesso si data all'età flavia e si sovrappone a uno strato anteriore, forse augusteo. In periferia, sotto l'immobile del Crédit Agricole, è stato possibile assicurare la conservazione dei resti di una lussuosa villa del II sec., con un importante ciclo di mosaici policromi. A Trinquetaille, sulla riva destra del Rodano Grande, è stata scoperta un'altra villa, con pavimentazione in marmo e mosaici (tra cui quello, già divenuto celebre, del Genius Anni nel triclinio). La recente ripresa degli scavi del circo ha portato inoltre a una migliore conoscenza della sua planimetria e della sua cronologia: la pista e le sostruzioni della cavea erano già in opera tra il 90 e il 100: le tribune furono costruite agli inizî del II secolo. Le segnalazioni e la bibliografia relativa a tutti questi interventi sono state raccolte nel lavoro collettivo Du nouveau sur Arles antique (Revue d'Arles, ι), Arles 1987.
Avignone (Avennio). - Sulla terrazza alluvionale sita ai piedi della rocca des Doms, è stato identificato il foro della città, parzialmente scavato tra il 1974 e il 1977. La piazza, che venne realizzata in età augustea mediante uno spianamento artificiale del terreno, si stendeva nell'area sottostante i moderni edifici del teatro e del municipio. Limitata a O da un porticato poggiante su sostruzioni a volta, era fiancheggiata a Ν da un ampio edificio, e comprendeva la Curia, i cui resti, in ottimo stato di conservazione al momento della scoperta, effettuata nel 1977, vennero però immediatamente distrutti dal Comune.
Bibl.: S. Gagnière, J. Granier, Avignon de la préhistoire à la papauté, Avignone 1970; AA.VV., Histoire d'Avignon, Aix-en-Provence 1979. - V. inoltre Gallia, XLII, 1984, pp. 408-409 (sistemazione augustea del foro). - Contro l'identificazione di una curia v. J.-Ch. Balty, Cuna ordinis. Recherches d'architecture et d'urbanisme antiques sur les curies provinciales du monde romain, Bruxelles 1991, p. 202.
Fréjus. - Nel punto d'incrocio del cardo e del decumanus maximus, immediatamente a O del teatro, si sono scavati a partire dal 1969 numerosi isolati, con case costruite agli inizî del I sec. d.C.; i resti più importanti (soprattutto mosaici) si datano al II secolo. In un giardino circondato da porticati dell'isolato NE è stata ritrovata un'erma di marmo raffigurante da un lato la testa di un fauno, dall'altro quella di Bacco. Nel cantiere detto degli Acquamanili (Aiguières), agli inizi degli anni '80 sono stati individuati i resti di un Castrum militare, senza dubbio in rapporto con la flotta trasferita a Fréjus dopo la battaglia di Azio. La scoperta deve essere messa in relazione con le recenti ipotesi relative alla creazione della colonia. V. anche la voce.
Glanum. - Nel 1974 un'indagine topografica e stratigrafica aveva consentito di abbozzare a grandi linee la più antica fase del foro. I lavori, ripresi nel 1983, si sono concentrati sul periodo ellenistico, con un perfezionamento della periodizzazione cronologica e la scoperta di un grande pozzo che sembra essere in relazione con il tempio (edificio XVIIa); sulla fine dell'età repubblicana (analisi più precisa dell'evoluzione della «Casa delle alcove» e dell'organizzazione urbanistica delle case nell'area del futuro foro); sull'inizio dell'età imperiale (ricostruzione planimetrica delle due fasi del foro, con l'evidenziazione degli elementi datanti che fanno postulare una sequenza nelle costruzioni che dal 30-20 a.C. giunge all'età flavia).
Bibl.: A. Roth-Congès, Nouvelles fouilles à Glanum, in JRomA, 5, 1992, p. 39-55; M.-F. Giacobbi-Lequément, Cinq inscriptions impériales à Glanum, in Latomus, 52, 1993, p. 281-293; P. Gros, Hercule à Glanum. Sanctuaires de transhumance et développement «urbain», in Gallia, LII, 1995, corso di stampa. V. anche la voce.
Marsiglia. - Le ricerche condotte a partire dal 1967 a N della «Canebière» e del palazzo della Borsa hanno consentito di riportare alla luce l'estremità dell'antico porto e un tratto della fronte fortificata della città verso E. Nel corso del III e del II sec. a.C. la zona, ancora acquitrinosa e consolidata alla meglio con banchi di anfore coperti da una gettata di terreno, venne bonificata e fatta oggetto di una sistemazione organica: una banchina a blocchi squadrati, un vasto magazzino con pilastri interni e un grande bacino in pietra, utilizzato come riserva di acqua dolce, furono costruiti secondo le tecniche più raffinate dell'architettura ellenistica. Nella seconda metà del III sec. a.C., sull'asse della strada che correva tra il porto e la laguna, venne eretto un bastione con una porta centrale fiancheggiata da due torri quadrate. Nel 1974, in corrispondenza della curvatura del porto, si effettuò il recupero del relitto di una nave oneraria del II o del III sec. d.C. Questo importante reperto, del quale si è riusciti a garantire la conservazione, documenta il precoce interramento della darsena per la cui difesa si rivelò insufficiente persino la costruzione, effettuata nel II sec. d.C., di un bacino di depurazione della capacità di 650 m3. Tali scavi hanno contribuito in particolar modo a rendere più precisa l'immagine tradizionale della Marsiglia greca: Massilia si estendeva sino alla fine del Porto Vecchio e la sua cinta inglobava la collina dei Carmelitani, raggiungendo un'estensione di 50 ha. Per I'Età tardo-antica v. la voce.
Bibl.: M. Euzennat, F. Salviat, Les fouilles de Marseille, in CRAI, 1968, pp. 144-159; M. Euzennat, Les fouilles de la Bourse à Marseille, ibid., 1976, pp. 529-552; id., Les fouilles de la Bourse à Marseille, in RANarb, X, 1977, pp. 235-246; M. Morel Deledalle, in Naissance d'une ville, Marseille, Aix-en- Provence 1979, pp. 57-91; M. Euzennat, Ancient Marseille in the Light of Recent Excavations, in AJA, LXXXIV, 1980, pp. 132-140; AA.VV., Marseille grecque et la Gaule. Actes du Colloque 1990, Aix-en-Provence 1992.
Martigues. - Le operazioni immobiliari interessanti il quartiere dell'isola hanno determinato lo scavo sistematico di tale area. Vi è stato portato alla luce un insediamento di tipo urbano, che risaliva forse alla fine del V sec. e che continua sino al II sec. a.C.
Bibl.: J. Chausserie Laprée, L. Damallain, N. Nin, Le quartier de l'île â Martigues. Six années de recherches archéologiques, Martigues 1984.
Narbona (v. vol. V, p. 347). - Il definitivo completamento dello scavo delle gallerie Ν ed E dell'horreum, effettuato nel 1966-67, ha dimostrato che l'edificio era più grande di quanto non si pensasse; la sua messa in opera potrebbe risalire alla fine dell'età repubblicana. Numerosi sondaggi, effettuati al limite SE del foro, hanno confermato che la prima occupazione del sito corrisponde alla fine del II sec. a.C. Lo scavo sistematico di una domus nel Clos de la Lombarde, condotto dal 1975, e le successive pubblicazioni costituiscono il contributo più importante in area regionale per la conoscenza dell'insediamento urbano nell'alto impero. Il livello qualitativo della casa e delle abitazioni circostanti conferma l'esistenza di quartieri residenziali a Ν e a E della città.
Bibl.: Y. Solier, Note sur les galeries souterraines de Narbonne, in Les cryptoportiques dans l'architecture romaine, Roma 1973, pp. 315-324; M. e R. Sabrié, Y. Solier, La maison à portiques du Clos de la Lombarde à Narbonne (RANarb, Suppl. XVI), Parigi 1987.
Nîmes (v. vol. V, p. 497). - Numerose ricerche specifiche hanno arricchito la conoscenza del tracciato e delle modalità di impianto della cerchia muraria di età augustea. Lo scavo in due quartieri della periferia («Solignac» e «Bénédictines») ha portato alla luce resti di un abitato gallo-romano. La cronologia dell'anfiteatro e il tipo di struttura delle sue fondazioni sono stati precisati grazie a uno scavo stratigrafico. La scoperta più importante resta quella, non lontano dal «Jardin de la Fontaine», di un vasto complesso che si estende per più di 300 m2 sotto l'immobile delle Assicurazioni Generali di Francia: senza dubbio si trattava della sede di un collegium o di un sinodo; la presenza di mosaici, una doppia fila di sedili e una dedica ad Adriano confermano il carattere pubblico o collettivo dell'edificio. A O della «Maison Carrée», le operazioni preliminari di sterro per la costruzione di una «Mediateca» hanno portato al rinvenimento dei resti di un complesso monumentale di difficile identificazione. Uno scavo estensivo intorno alla «Maison Carrée» ha precisato la cronologia e l'impostazione dell'abitato anteriore alla costruzione del centro monumentale augusteo.
Bibl.: AA.VV. (sotto la direzione di M. Nonteil), Les fouilles de la Z.A.C, des Halles a Nîmes (Gard) (Bulletin de l'Ecole antique de Nîmes. Suppl. I), Nîmes 1993; D. Darde, V. Lassalle, Nîmes antique (Guides archéologiques de la France), Parigi 1993; M. Célié, P. Garny, M. Monteil, Enceintes et développement urbain: Nîmes antique des origines au Ier s. apr. J.-C., in JRomA, VII, 1994, pp. 383-396. V. anche la voce.
Orange. - Gli scavi condotti da P. Thollard a fianco della Rue des Sept-Cantons e successivamente al «Mas des Thermes» e al Corso Pourtoules hanno consentito per la prima volta l'esplorazione stratigrafica dell'antica zona urbana. La data di costruzione della cinta muraria può essere stabilita al 10 a.C. circa; per quanto riguarda gli isolati, sembrano coesistere tre orientamenti diversi, uno dei quali segue la mappa catastale Β della centuriazione agraria. Gli edifici presentano fasi diverse che si distribuiscono dal I sec. a.C. alla seconda metà del II sec. d.C. V. anche la voce.
Ruscino. - Grazie alle ricerche di cui è fatto oggetto il sito a partire dal 1972, sta divenendo più chiaramente leggibile il centro monumentale degli inizî dell'età imperiale. Il foro, circondato da porticati che si aprono a E su una fila di botteghe, è fiancheggiato a O da una basilica con deambulatorio periferico, dominata sul lato Ν dal complesso curia-tribunale. Delle trentatré iscrizioni ritrovate, circa venti riguardano la famiglia imperiale. V. anche la voce.
Saint-Romain-en-Gal (v. S 1970, p. 909, s.v. Vienne - Saint- Romain-en-Gal). - A partire dal 1969 gli scavi hanno riportato alla luce un quartiere di Vienne, sulla riva destra del Reno, all'imboccatura di un ponte. Tre vie principali e due secondarie dividono l'area in cinque isolati, con spazî adibiti ad abitazioni, a botteghe artigianali, a terme e magazzini di deposito. Il quartiere, di cui non si è ancora completato lo scavo, è chiuso a S da un grande porticato. La «Casa degli dèi Oceano», che occupa la maggior parte dell'isolato occidentale, ha una superficie di 2500 m2, paragonabile a quella delle più ricche abitazioni di Pompei. Vi sono state individuate quattro fasi, dalla fine del I sec. a.C. sino al II d.C. In tutta l'area sono stati scoperti una ventina di mosaici. I quartieri artigianali e commerciali, molto fitti, hanno restituito strutture architettoniche e materiali.
Bibl.: M. Le Glay, Découvertes archéologiques à Saint-Romain-en-Gal, in RA, 1970, pp. 172-183; id., Saint-Romain-en-Gal, quartier urbain de Vienne gallo-romaine, Lione 1970; id., L'originalité de l'architecture domestique à Vienne, d'après les découvertes récentes de Saint-Romain-en-Gal, in CRAI, 1971, pp. 764-774; C. Laroche e altri, Saint-Romain-en-Gal (Guides archéologiques de la France, 2), Parigi 1984; H. Savay-Guerraz, I. L. Prisset, Le portique de Saint-Romain-en-Gal (Rhône) et son contexte, in RANarb, XXV, 1992, p. 105-124; AA.VV., La maison des dieux Océan à Saint-Romain-en-Gal (Gallia, Suppl. 55), Parigi 1994.
Tolosa. - Nel 1971 i lavori di costruzione di un parcheggio sotto la Place du Capitole hanno portato allo scavo di un tratto del muro di cinta e della porta N, oltre che di una fogna di età tarda. Nel 1973 la demolizione di alcuni stabili in Piazza Saint-Jacques ha riportato alla luce una delle torri circolari della cinta e una parte della cortina orientale. A partire dal 1984 l'anfiteatro di Purpan (comune di Tolosa) è oggetto di uno studio globale. V. anche la voce.
Vaison-la-Romaine. - I lavori condotti a partire dal 1965 si prefiggono di precisare le conoscenze già acquisite mediante sondaggi stratigrafici; pertanto, se si eccettua lo scavo estensivo di un settore di botteghe (terreno «Thes»), la ricerca si è concentrata soprattutto sulla «Casa del Delfino» e sulla «Villa del Pavone». Per quanto riguarda la prima, se ne sono minuziosamente analizzate, datate e ricostruite le varie fasi di vita; a proposito della seconda, in realtà anch'essa una domus, lo scavo ha permesso di comprenderne meglio l'organizzazione. V. anche vasio.
Vienne (v. vol. VII, p. 1166 e s 1970, p. 909). - I due cantieri principali sono stati quelli del Santuario di Cibele (scavo sotto il Teatro dei Misteri, che ha potuto di conseguenza essere datato agli inizî del I d.C.) e dell'Odeon (le ricerche hanno consentito di completare la conoscenza della struttura del monumento, dei suoi ambulacri e degli accessi dell'esterno). I lavori urbanistici hanno portato a numerose scoperte: in Rue des Célestes, elementi forse appartenenti a un Tempio di Marte; un tratto della cinta muraria sul monte Salomon; un quartiere di ricche domus abitate dal I sec. a.C. al IV sec. d.C. nell'area di Rue des Colonnes; infine a S della città, la costruzione dell'area lottizzata delle «Nymphéas» ha riportato alla luce una domus a peristilio, con pavimenti a mosaico, pitture e ambienti adibiti a magazzino.
Bibl.: A. Pelletier, Construction augustéenne et dépotoir tibérien dans le sanctuaire métroaque de Vienne, in RANarb, IX, 1976, pp. 115-142; id., Le sanctuaire métroaque de Vienne fEPRO, 83), Leida 1980; id., Fouilles de l'Odèon de Vienne (1973-1976), in Gallia, XXXIX, 1981, pp. 149-169; A. Pelletier, Découvertes archéologiques récentes à Vienne, in MonPiot, LXIV, 1981, pp. 17-140; A. Roth.-Congès, Le forum de Vienne, in C. Goudineau, J. Guilaine (ed.), De Lascaux au Grand Louvre. Archéologie et histoire en France, Parigi 1989.
(P. Gros)
Belgica. - La formazione della provincia Belgica trova il suo fondamento etnico e geografico nell'installazione tra Senna e Reno, nel III e nel II sec. a.C., dei Belgae, popolazione di cultura celtica originaria dal medio bacino renano. Cesare (Bell, gall., II, 4) distingue fra i Belgae numerose popolazioni e riserva il nome Belgium a una regione limitata tra la Senna e l'Escaut. La conquista del Nord della Gallia ebbe inizio nel 57 a.C. e fu costellata di episodi sanguinosi: la resistenza indigena non si indebolì che dopo la battaglia di Alesia del 52 a.C. e la sottomissione dei Bellovaci. Il Nord della Gallia Cornata, pacificato intorno al 50, venne costituito da Augusto in un'unica provincia, la Gallia Belgica, nel quadro dell'organizzazione delle Tres Galliae. Contrariamente a quel che si ipotizzava in base a una iscrizione di Bulla Regia (AE, 1962, 183) è molto probabile che la civitas Tungrorum (forse una federazione dei resti delle tribù decimate dalla conquista oppure di popolazioni transrenane immigrate) appartenesse alla Germania Inferior come testimonia la recente scoperta di un altare attestante per Tongres lo statuto di municipio. Nel basso impero la città è posta sotto la tutela amministrativa della Germania Secunda. Le Tres Galliae (Belgica, Lugdunensis, Aquitania) avevano diritto a un'assemblea particolare a carattere religioso e amministrativo, il concilium Galliarum con sede a Lione, alla confluenza tra la Saona e il Rodano, presso un altare monumentale. Provincia imperiale inerme, la Belgica venne governata da un legatus Augusti pro praetore di ordine senatorio, con sede a Reims. La Belgica era suddivisa in civitates peregrinae che probabilmente col tempo acquisivano il diritto latino, riprendevano approssimativamente i limiti territoriali delle antiche tribù celtiche e talvolta erano ripartite in pagi. L'amministrazione ricalcava quella delle città romane con un senato locale e le magistrature nelle mani di membri dei ceti superiori della comunità indigena. È difficile valutare il numero delle concessioni della cittadinanza romana (sia individuale, sia collettiva) prima dell'editto di Caracalla. Gli schiavi, che erano numerosi nelle regioni caratterizzate dal latifondo, sembra che fossero piuttosto rari nella Gallia Cornata. Nella Belgica non esistevano colonie di diritto romano (le più vicine erano a Colonia e a Xanten, nella Germania Inferior); lo statuto di colonia latina venne attribuito a Treviri, senza dubbio da parte di Claudio. Anche se la Belgica, una volta separata dalle due Germanie, non conobbe stanziamenti legionari permanenti, debbono registrarsi sul piano militare: la presenza a Boulogne di un accampamento e del porto della Classis Britannica, i piccoli accampamenti di Arlaines o di Mauchamps, forse da mettere in rapporto con le rivolte galliche, l'attestazione di beneficiarii (cfr. CIL, V, 6785), soprattutto a Treviri (CIL, XIII, 3645), a Naix (CIL, XIII, 4630) e ad Arlon (ILB, 84).
Numerose furono le sollevazioni contro l'autorità romana: la rivolta degli Edui e degli abitanti di Treviri nel 21, repressa dalle legioni romane, quella del 69-70 guidata dal batavo Civilis alleato con il treviro Classicus, mirante a instaurare un imperium Galliarum, e infine le incursioni dei pirati e dei Chauci provenienti dal Baltico, sotto Marco Aurelio. Nel 260 le difficoltà nell'esercizio del potere da parte romana, determinate dalle invasioni franche in Renania, portarono alla proclamazione di Postumo che installò la sua base a Colonia, quindi a Treviri, e batté moneta. I successori di Postumo, Mario, Vittorino e Tetrico, dedicandosi essenzialmente alla difesa della Gallia, esercitarono le loro prerogative sino al 274.
La viabilità di base delle Tre Gallie venne messa a punto da Augusto e da Agrippa. D'importanza strategica primaria, gli assi principali della Belgica conducevano dall'Italia ai porti della Manica e ai campi renani, a supporto dei progetti britannici e germanici degli imperatori. Sui tracciati primarî di grande comunicazione, si innesta una serie di ramificazioni a vocazione tanto amministrativa quanto militare, che collegava tra loro le capitali delle provincie e delle civitates. I collegamenti viarî più importanti verso Ν partivano dalle Alpi e soprattutto dal Rodano, diretti, da un lato, verso il Reno, attraverso la Saona, l'altipiano di Langres e il bacino della Mosella, dall'altro lato verso la Manica e in particolare verso Boulogne attraverso i bacini della Senna e della Marna. Questi due assi erano collegati tra loro mediante vie trasversali, le più importanti delle quali passavano per Cassel e Tongres, Bavay, Liberchies, Tongres e Maastricht, oppure ancora per Amiens, Soissons, Reims e Metz.
La messa a punto delle infrastrutture viarie portò con sé la prima fase di urbanizzazione della Belgica, in rapporto con l'organizzazione amministrativa del territorio conquistato. Campi di sosta per gli eserciti in marcia e stazioni costituiscono dunque il nucleo da cui hanno origine numerosi agglomerati, così come la necessità di installare insediamenti di carattere amministrativo e tappe fluviali. Sembra che nuclei abitativi dotati di un piano regolatore siano stati messi a punto già in età augustea p.es. a Bavay (v.), Reims (v.), Treviri (v.), Metz e Amiens. Appartengono a questa prima fase di urbanizzazione i capoluoghi delle civitates (Tongres, Bavay, Cassel, Thérouanne, Arras, Amiens, Saint-Quentin, Beauvais, Senlis, Soissons, Reims, Treviri, Metz e Toul), così come numerose tappe stradali intermedie (p.es. Braives, Liberchies, Maastricht, Asse, Velzeke, Elewijt, Courtrai, Saint-Maximin/Thiverny, Wederath, Dalheim, Arlon, Virton, Sarrebourg, Schwarzenacker, Saarbrücken, Naix, ecc.). Gli effetti materiali e profondi di questo sistema di infrastrutture si fanno sentire soprattutto a partire appunto da Claudio, i cui progetti di conquista della Britannia erano fondati sulle risorse economiche della Belgica. Le città già esistenti si sviluppano e vengono dotate in questo periodo di monumenti costruiti in muratura: foro, terme, teatro e anfiteatro, templi, talvolta una cinta muraria. I nuclei abitativi si moltiplicano di pari passo con l'intensificarsi della rete viaria regionale. La denominazione di vicus, attestata soltanto per alcune borgate, come Arlon-Orolaunum, Liberchies-Geminiacum, Carignan-Epoissum (?), definiva forse lo statuto della maggioranza degli agglomerati (da 5 a 20 ha) che polarizzano e attirano l'attività economica di campagne sempre più produttive. I 14 capita civitatis sono da considerare, a partire da tale momento, tanto punti di scambio commerciale quanto centri di gestione amministrativa.
La civitas Tungrorum ha come capoluogo Atuatuca (v. vol. VII, p. 917, s.v. Tongres), insediata forse sul luogo di una postazione militare, che occupava una posizione chiave nel collegamento viario tra Manica e Reno. Importanti scavi attualmente in corso stanno dimostrando la presenza di un'attività economica di una certa importanza, fin dall'età augustea, nell'ambito di un abitato a impianto ortogonale. Le realizzazioni monumentali vengono attuate a partire da Claudio. Un grande complesso cultuale fu edificato intorno al 100, con un tempio a cella quadrata su podio entro il quale fu scoperta una scultura di grande interesse, raffigurante un gigante anguipede. Nella civitas, lungo la strada Bavay-Colonia, sono stati scavati i centri viarî di Braives-Perniciacum (?), che conobbe un'interessante attività di produzione ceramica nel corso del I sec., di Taviers-Tabernae (?) e di Liberchies in direzione O; in direzione E Maastricht (v. vol. VII, p. 966, s.v. Traiectum ad Mosam), punto di incrocio tra la strada e la Mosa, nonché punto di partenza di un'importante via in direzione di Xanten e di Nimega, svolge funzione insieme di centro viario e di porto fluviale. Il sito di Liberchies sembra essere uno dei più importanti centri tra Bavay e Tongres. Tappa (militare?) a partire da Augusto, il viens raggiungerà un'estensione di circa 36 ha nel II sec., quando la sua funzione di statio si integrerà con quella di mercato regionale e di centro artigianale (con fonderie, botteghe di ceramica e di lavorazione del cuoio). La sua prosperità economica, documentata tra l'altro dalla scoperta di un importante ripostiglio di aurei nascosto all'epoca di Marco Aurelio, è caratteristica del generale sviluppo dei centri della Gallia settentrionale da Claudio ai Severi. L'esistenza a partire dall'età augustea di un nucleo d'insediamento alla confluenza della Sambre con la Mosa, a Namur, laddove probabilmente era stata impiantata una fortificazione all'epoca della spedizione di Druso, dimostra che le grandi vie di comunicazione a fine strategico non costituiscono gli unici presupposti della prima urbanizzazione della Belgica e che anche il sistema di comunicazioni via fiume sostiene un ruolo non trascurabile. Zona di frontiera tra Tungri e Treveri, la foresta delle Ardenne è stata talvolta considerata come un saltus dipendente dall'amministrazione imperiale. La curia Arduennae (CIL, ΧΙΙΙ, 3631 = ILB, 61), di cui era stata fatta sede, deve piuttosto essere considerata un'organizzazione a finalità religiose. Nodo stradale di primaria importanza che convogliava il traffico proveniente da S verso la Manica, la Zelandia e il Reno, Bavay-Bagacum, creazione augustea, era capoluogo della civitas Nerviorum (v. bavay). Il territorio della civitas è attraversato da E a O dalla strada che da Cassel conduceva a Colonia, toccando i centri di Velzeke, Asse ed Elewijt. Altri vici dei Nervi erano Blicquy, Nimy, Givry, Waudrez e Famars (Fanum Martis), presso il confine con gli Atrebati, che ha restituito pitture parietali di età alto-imperiale di notevole esecuzione. Cassel (Castellum Menapiorum), capoluogo della civitas Menapiorum, costituiva un importante nodo stradale tra Boulogne, Arras e Thérouanne a O e Tongres attraverso Courtrai e Tirlemont a E, oltre che un mercato agricolo (allevamento) e artigianale (saline e salatura) non trascurabile. Tappa dei battelli sull'Escaut, Tournai- Turnacum deve il suo sviluppo soprattutto alle vicine cave di pietra (v. vol. VII, p. 954). L'importanza di Boulogne (Gesoriacum- Bononia, v. boulogne-sur-mer), principale base portuale per la conquista della Britannia e, successivamente, per le relazioni con l'isola, sorpassa nel territorio della civitas Morinorum quella del capoluogo, Thérouanne-Tarvenna. Punto di convergenza dell'intera rete di comunicazioni del territorio degli Atrebati, Arras-Nemetacum conosce a partire dall'età augustea un primo insediamento e una significativa attività artigianale (con cave di gesso, fornaci di bronzisti e ceramisti). Nella seconda metà del II sec. subisce pesanti distruzioni che hanno come conseguenza l'abbandono di alcuni quartieri e che si possono riconoscere anche in altre città della fascia occidentale della provincia. Amiens-Samarobriva (v. vol. I, p. 319, s.v. Amiens), capoluogo della civitas Ambianorum, trae la sua origine da un acquartieramento militare; punto chiave della rete stradale di Agrippa, porto fluviale sulla Somme, il suo sviluppo, assai precoce, subisce un'accelerazione al momento della conquista della Britannia. Nella civitas Bellovacorum si ricordano, oltre al capoluogo Beauvais- Caesaromagus (v. vol. IV, p. 33, s.v. Beauvais), i vici di Rouvroy e di Thiverny/Saint-Maximin (Litanobriga), dove gli scavi hanno portato alla luce un agglomerato a carattere portuale sull'Oise, nel punto di guado della strada Beauvais-Senlis, attivo dagli inizî del I sec. sino al 275 circa. Anche Senlis-Augustodunum (v. vol. VII, p. 198, s.v. Senlis), capoluogo dei Sublacenses, mal conosciuta se si accettua l'anfiteatro, sembra esistesse fin dagli inizî del I sec. d.C. Accanto a Saint-Quentin (Augusta Viroman- duorum), capoluogo della civitas di creazione augustea, ma sviluppatasi in età Claudia, si mantiene ai piedi dell'antico oppidum Vermand, altro punto di convergenza di più strade. Importante a partire dall'età giulio-claudia, Soissons, capoluogo dei Suessiones (v. vol. VII, p. 396, s.v. Soissons), ha restituito tracce del cardine e del decumano, di un luogo di culto e di un quartiere artigianale suburbani, oltre ai resti di decorazioni figurate, dipinte nel III o nel IV stile. Nella civitas si registra la precoce installazione di due piccoli vici sulla strada Senlis-Soissons al Mont Berny e alla Carrière-du-Roi. Già dotata di un impianto protourbano nella seconda metà del I sec. a.C., Reims-Durocortorum è fondata da Augusto come capitale dei Remi e allo stesso tempo della provincia e viene munita in tale circostanza di una grande cinta muraria e di un impianto ortogonale che ricopre una superficie dai 500 ai 600 ha. Gli assi urbani sembrano innestarsi sulle vie per Saint-Quentin e per Treviri, ma lo sviluppo urbanistico e architettonico (foro su criptoportico, anfiteatro, ecc.) resta ancora assai mal definito, eccezion fatta per i quattro archi monumentali del II sec., il meglio conservato dei quali è la «Porta di Marte» con una decorazione a rilievo che illustra il calendario romano. Ricordiamo ancora gli agglomerati di Versigny, di Damery e di Châlons-sur-Marne, Château-Porcien sull'Aisne, di Novion-Porcien, di Mouzon sulla Mosa. Treviri (Colonia Augusta Treverorum), capoluogo dei Treveri, punto di passaggio privilegiato sulla Mosella di numerose vie, tra cui quelle che uniscono Reims e Langres al Reno, conosce un notevole sviluppo che la rende già nell'alto impero la città più vasta e più ricca della Gallia Belgica, dotata di una cinta monumentale di cui la Porta Nigra, costruita intorno al 160, rappresenta la testimonianza meglio conservata (v. vol. VII, p. 974, s.v. Treviri). Un certo numero di vici sorge e prospera, talora già in età augustea, ma soprattutto nel II e nel III sec., in relazione con la rete stradale e fluviale. Da ricordare Carignan, sulle due rive della Chiers; Arlon (v. vol. I, p. 665, s.v.) all'incrocio delle strade da Reims a Magonza e da Tongres a Metz; Virton-Vertunum; l’oppidum del Titelberg dove rimane un agglomerato distrutto nel 275; Mamer; Neumagen-Noviomagus, porto sulla Mosella; Tholey presso il confine con i Mediomatrici; Dalheim-Ricciacus; Bitburg-Beda, sulla strada di Colonia. Al confine con la Germania Superiore, nell'agglomerato di Wedeiath-Belginum, degni di nota sono la grande necropoli in uso dall'Età del Ferro al IV sec. d.C. e un importante santuario (fanum con doppio tempio e teatro cultuale). A Pachten-Contiomagus sulla Sarre e sulla strada Tongres-Strasburgo, è stato scoperto un santuario di Pritona, dotato di un teatro cultuale con sedili iscritti, entro un borgo commerciale e artigianale. Mexz-Divodurum viene fondata alla fine del I sec. a.C. come capoluogo dei Mediomatrici con un impianto urbanistico a scacchiera, i cui assi principali sono costituiti dai tratti urbani delle strade Reims-Strasburgo e Lione-Langres-Treviri, i quali si incrociano ai piedi dell’oppidum gallico sulla sponda della Mosella. Il perimetro urbano, delimitato da una cinta muraria che supera i tre chilometri, racchiude un foro con basilica e criptoportico, varî edificî cultuali, due anfiteatri, numerosi complessi termali serviti da un acquedotto. Nel punto in cui la strada Metz-Saverne- Strasburgo passa la Sarre, si sviluppò già in epoca augustea il borgo di Sarrebourg-Pons Saravi. A Schwarzenacker, a S dell'incrocio tra le strade Metz-Magonza e Treviri-Strasburgo, un vicus di notevole importanza stradale e commerciale è stato oggetto di scavi interessanti sul piano dell'architettura domestica. Da ricordare, inoltre, l'agglomerato di Tarquimpol-Decempagi, con tempio e teatro, quello di Bliesbruck con la sua importante zona cultuale caratterizzata da pozzi e fosse, quello di Saarbrücken ( Vicus Saravi) e quello di Schwarzerden. Nella civitas Leucorum, relativamente poco conosciuto è il capoluogo Toul-Tullum. Il sito di Grand, al confine con i Lingoni, è sede di un importante santuario di Apollo e di un vicus con basilica, teatro-anfiteatro, terme entro una cinta monumentale. Nell'agglomerato di Naix-Nasium, sulla via Reims-Toul, di rilievo un tempio su podio con peribolo ornato di pitture, e in quello di Deneuvre un santuario delle acque dedicato a Ercole.
L'economia rurale costituisce la principale risorsa della Belgica. Fondata su solide tradizioni indigene, l'agricoltura conosce un considerevole sviluppo dalla metà del I alla metà del III sec. e commercializza le proprie eccedenze soprattutto in direzione del limes renano e della Britannia. La cellula base della produzione è costituita dalla villa. Tanto la tipologia quanto l'estensione dei fundi possono variare. Accanto a una minima parte di insediamenti giganteschi (che arrivano sino a 5.000 m2 di superficie edificata), con architetture talora suntuose, la valorizzazione del territorio si effettua soprattutto mediante fattorie di medie dimensioni (superficie 100/400 ha), la cui pianta è spesso il risultato di numerose fasi edilizie e di ingrandimenti che hanno come punto di partenza una struttura assai semplice (grande sala quadrangolare di abitazione, al centro di ali aggettanti collegate esternamente da una galleria), in alcuni casi fondata su un insediamento indigeno in legno e graticcio. Molte di esse saranno distrutte totalmente o parzialmente nel corso delle invasioni della seconda metà del III sec., ma in numero considerevole vengono ricostruite sia pure con dimensioni minori.
In alcune regioni, nelle vicinanze di Reims, di Mouzon, di Cassel e nel territorio dei Tungri sembrano esistere tracce di una centuriazione. Nelle regioni collinari e boscose (p.es. nell'Eiffel, nel Vorderwald, in territorio trevero) si riscontrano anche forme di abitato raggruppato di tradizione locale, a vocazione rurale con terreni a striscia. L'attrezzatura tecnica, comune nel Nord della Gallia, è interessante e originale: si sono rinvenuti dispositivi e macchine utensili per l'aratura, per il trasporto (veicoli trainati da un solo animale), per la mietitura, per la concimazione, e così via. La policoltura e l'agricoltura mista sembrano prevalere, ma la monocultura cerealicola domina, come oggi, nelle estese zone limose della Picardie e dell'Hesbaye. L'allevamento era rinomato, ed equini, ovini, oche erano destinati anche all'esportazione. Di grande rilievo era anche lo sfruttamento delle foreste (p.es. nelle Ardenne e nell'Eifel) e del sottosuolo: cave di pietre e di marmo (marmo nero di Theux, calcare di Tournai, arenaria della Moselle, arkose di Salm), creta per la fabbricazione delle ceramiche, saline (soprattutto nelle civitates litoranee della Manica e del Mare del Nord), salgemma (vicus di Marsal dei Mediomatrici), il carbone della Sarre, i giacimenti metalliferi (ferro, piombo, zinco per l'elaborazione dell'ottone nell'Eifel).
La Gallia Belgica si distingue anche per la realizzazione di prodotti artigianali destinati a soddisfare le esigenze dell'esercito e i nuovi gusti di una clientela sempre più romanizzata. Dopo le prime ceramiche gallo-belgiche (terra nigra e terra rubra), le officine di sigillata dell'Argonne (Lavoye, Avocourt, ecc.), della Mosella e della Sarre (Chémery, Mittelbronn, Boucheporn, La Madeleine, Blickwelier, Treviri) saranno tra le più dinamiche del II e del III sec., con una larga esportazione nelle provincie settentrionali e occidentali dell'impero. Come i ceramisti, anche i fonditori sono attestati nei quartieri artigianali degli agglomerati urbani, e raggiungono nell'esecuzione dei piccoli bronzi un'apprezzabile qualità (Bavay e Treviri). Egualmente ben documentata è l'arte della smaltatura delle fibule, forse talvolta realizzata in botteghe rurali (villa di Anthée). Un discorso a parte meriterebbe la grande scultura di Treviri: fortemente dipendente agli inizî dalle botteghe renane sia nei temi che nell'esecuzione, in seguito si sviluppa in una vera e propria «scuola» di Treviri (o mosellana) che si distingue per originalità tanto nella decorazione architettonica ufficiale, spesso tributaria del repertorio classico, quanto nei monumenti privati, in cui sono frequenti scene di vita quotidiana trattate con realismo (musei di Treviri, Metz, Arlons, Buzenol, ecc.; mausoleo di Igel). Sono attestate inoltre attività tessili e nell'ambito della produzione alimentare.
Prodotti grezzi e prodotti finiti sono oggetto di commercio anche al di là dei confini della provincia da parte di negotiatores di ceppo indigeno.
La Zelandia si può considerare un crocevia nell'ambito delle esportazioni dalle provincie della Belgica e della Germania verso il limes reno-danubiano da un lato e dall'altro verso la Britannia. Oltre alla rete viaria viene largamente utilizzata anche la rete fluviale, grazie all'efficienza della flotta.
Come nelle altre provincie, nel campo religioso (sia pubblico, sia privato) le tradizioni indigene si adattarono agli usi e ai riti romani: il culto imperiale si diffuse nei capita civitatis, nei pagi, nei vici. Sono anche attestati culti orientali: Cibele e Attis ad Arras, Metz, Treviri, Mithra a Theux, Sarrebourg e Saarbrücken. Per quanto riguarda gli edificî di culto, accanto al fanum gallo-romano (edificio a cella il più delle volte quadrata, sopraelevata, circondata da un ambulacro), che domina l'architettura religiosa, non mancano templi assai peculiari, come quelli di Epona presso i Nervi e i Mediomatrici, di Viradecthis presso i Condrusi (pagus dei Tungri), di Nehalennia in Zelandia, di Entarabus o Lenus-Mars presso i Treveri. Di rilievo inoltre il culto riservato al dio-cavaliere gigante anguipede venerato anche nella regione renana, e la permanenza di luoghi di culto protostorici, come quello di Gournay-sur-Aronde, oltre all'esistenza di grandi complessi rurali, con templi, teatro, foro, basilica, terme e abitato (Ribemont, Champlieu). Anche nel campo degli usi funerarî si registrano realtà molto interessanti: l'incinerazione con lussuoso corredo sotto enormi tumuli nei paesi dei Nervi e dei Tungri, o la costruzione, nell'area dei Treveri (Igei, Treviri, Arlon), di alti pilastri funerarî riccamente ornati.
La crisi del III sec. determina profondi mutamenti, soprattutto nelle zone di confine che vivono sotto la minaccia di incursioni germaniche e sassoni. Con la riforma dioclezianea la provincia viene divisa in Belgica Prima e Belgica Secunda; il numero delle civitates aumenta, e vengono introdotti nuovi capoluoghi, come Tournai per la Civitas Turnacensium e Cambrai (che prende il posto di Bavay) per la Civitas Camaracensium. La dislocazione delle fortificazioni per la difesa del territorio non è più «lineare» lungo il limes, ma «scaglionata in profondità» verso l'interno.
Le testimonianze archeologiche di questi cambiamenti sono assai numerose e varie: le città vengono circondate da cinte murarie, destinate soprattutto a proteggere il centro urbano; la loro superficie si riduce a una media oscillante tra i 12 e i 6 ha (p.es. Senlis, Soissons, Beauvais, Toul, Tournai). Vi sono tuttavia eccezioni, come quella di Amiens (20 ha), di Reims (35 ha), di Tongres (44 ha), di Metz (70 ha), per non parlare di Treveri, capitale imperiale (285 ha). I vici, soprattutto quelli sorti sugli assi viarî, assumono le medesime caratteristiche; le cinte murarie in questo caso racchiudono superfici più modeste, comprese tra ι e 3 ha: Bitburg, Pachten, Neumagen, Arlon, Saarbrücken, Maastricht. Da notare che Bavay, perduto il suo status di capoluogo, copre a malapena una superficie di 2 ha. Nella maggior parte di queste cinte murarie vengono riutilizzate pietre squadrate prese da monumenti funerarî; se ne reimpiegano anche molte dotate di una ricca decorazione scultorea.
Sui grandi assi viarî, il traffico viene controllato non soltanto dalle città e dai vici, ma anche da una serie di posti di blocco militare collocati talvolta all'interno dei precedenti agglomerati che hanno con ciò perduto ogni carattere civile. La via Bavay-Tongres, in particolare, è difesa dal castellum di Liberchies e da una sequenza di burgi e di torri di guardia, inizialmente costruite in legno, successivamente in pietra (IV sec.). In alcuni vici sono insediati i prefetti dei laeti, soldati-contadini destinati a territori parzialmente abbandonati: è il caso, tra l'altro, di Famars e di Carignan (Epuso). Le coste del Mare del Nord e della Manica, che subiscono tanto il fenomeno della trasgressione marina quanto le invasioni sassoni, vengono parimenti fortificate, con la base della classis Britannica a Boulogne, e con campi militari, p.es. a Oudenburg.
Nelle campagne, moltissime ville sono abbandonate, privando le truppe romane sul limes di una consolidata fonte di approvvigionamento. Alcuni piccoli agricoltori e alcuni immigrati, però, si insediano nelle strutture abbandonate (spesso usandole solo in parte), sostituendo gli antichi proprietarî.
Numerose borgate rurali, qualora non vengano trasformate in fortezze, diventano inutili e vengono abbandonate. Tale fenomeno è maggiormente riscontrabile nella parte Ν della provincia che non a S, dove la valle della Mosella gode di una situazione privilegiata grazie alla presenza della città imperiale di Treviri. In quest'ultima regione si mantengono alcune grandi proprietà e ricche ville, come quelle di Konz e di Welschbillig; le decorazioni a mosaico, le pitture e le sculture di questi insediamenti ne documentano lo splendore. Per il resto, l'insediamento rurale è povero ed eterogeneo, e le sue uniche risorse risiedono nell'approvvigionamento delle città e delle guarnigioni militari insediate nel territorio: anche quest'ultimo infatti è posto in stato di difesa mediante l'impianto di fortificazioni, il più delle volte di altura: queste fortificazioni sono spesso costruite da truppe locali federate con Roma, e alcune (Furfooz, Eprave) sono realizzate con una tecnica edilizia tipicamente romana. Alcuni proprietarî terrieri proteggono i loro possedimenti con piccole postazioni fortificate (p.es. a Buzenol, Mont-Sommerain, Echternach).
Con la seconda metà del IV sec. si accentua nel Nord della Belgica il processo di germanizzazione; tribù franche sono autorizzate dall'imperatore romano (357 d.C.) a insediarsi in Toxandria, regione corrispondente al Brabante settentrionale. A S l'immigrazione è meno forte: sussistono attorno a Soissons e a Treviri alcuni latifondi di tipo gallo-romano. Il sistema difensivo viene in parte rinnovato (p.es. a Chateau-Renaud, a Virton); alcune cinte urbane (p.es. quella di Bavay) e alcune fortificazioni costiere sono rafforzate (tra le altre Oudenburg e Boulogne). Alcuni santuari rurali sono ancora oggetto di interventi di rinnovamento: Matagne, Clavier-Vervoz. Un certo benessere è testimoniato dalla perdurante circolazione monetaria e da ricchi corredi tombali, come quelli di Treviri, Vermand, Abbeville-Homblières, Oudenburg. Ma il trasferimento della corte imperiale da Treviri a Milano (395 d.C.) segna la fine di un'epoca: con il V sec. tutte le fortificazioni romane vengono abbandonate, e i territori settentrionali della Belgica sono lasciati, fino al 476 d.C., agli elementi germanici dell'esercito e ai loro capi, cui è affidato quindi il compito di rappresentare la declinante autorità di Roma. Il processo di cristianizzazione è ancora limitato ai centri urbani ed è più sensibile nel Sud che non al Nord: alle prime sedi episcopali di Treviri, Metz, Verdun e Châlons subentrano quelle di Amiens, Cambrai, forse Tournai.
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(M.-Th. Raepsaet-Charlier - G. Raepsaet - J. Mertens)
Lugdunensis. - Nell'ambito delle Tres Galliae conquistate da Cesare, la Lugdunensis, che da Lugdunum si estende fino alla Manica, costituisce il nucleo maggiore e più omogeneo di tribù celtiche, mentre nell'Aquitania e nella Belgica non mancano, rispettivamente, forti presenze iberiche e germaniche.
A seguito dell'organizzazione territoriale operata da Augusto nel 27 a.C., la provincia risulta costituita da una stretta fascia di territorio compreso tra due grandi fiumi, la Senna a NE e la Loira a SO. Al suo interno scorrono numerosi altri fiumi, lungo i quali sorsero la maggior parte dei nuovi insediamenti creati dai conquistatori, tra i quali anche la capitale, Lugdunum (v. lione), fondata nel 43 a.C., su due altipiani ai lati della Saona. La creazione delle città, infatti, fu uno dei primi effetti della romanizzazione; esse in genere furono impiantate in territori dove, in precedenza, esistevano solamente borgate rurali più o meno grandi. In questa operazione sul territorio furono favoriti i luoghi aperti meglio controllabili militarmente; nel caso di Bibracte, la popolazione che abitava in altura fu spostata dal suo oppidum nella valle sottostante, a 20 km di distanza, a formare la città di Augustodunum (Autun). Nel tempo, alcune città divennero colonie romane, come Lugdunum o Forum Segusiavorum (Feurs) nel periodo dei Flavi, mentre i popoli stanziati nel territorio ebbero sia il titolo di foederati, come gli Edui e i Carnuti nel I sec., sia di liberi, tra i quali i Turoni sotto Claudio e i Viducassi nel 238 d.C. Sotto Diocleziano la provincia viene divisa amministrativamente in due diocesi: la Lugdunense I, con capitale Lugdunum, e la II, con capitale Rotomagus (Rouen), ma prima della fine del IV sec. una nuova divisione istituisce quattro diocesi, e perciò si avranno altre due capitali, Caesarodunum (Tours) e Agendicum (Sens).
Le popolazioni che vivevano all'interno di questa provincia erano venticinque, alle quali fu successivamente aggiunta in una data non precisata (155 o 226 d.C.?), quella dei Lingoni, originariamente stanziati a ridosso del confine orientale della provincia, nella Germania Superior.
Una precisa forma di aggregazione era costituita dalle tradizioni religiose. Da un noto passo di Cesare (Bell. gall., VI, 13,10) sappiamo che ogni anno nel territorio dei Carnutes (in una località peraltro non precisata) si svolgeva un'assemblea dei Druidi, e che a questa confluivano fedeli da ogni parte della Gallia. In epoca romana, queste tendenze aggregative legate alle pratiche di culto vengono ancora valorizzate. Importantissimo da questo punto di vista è il santuario confederale dedicato a Roma e Augusto, eretto appena fuori dalla città di Lugdunum, in cui le prime cerimonie religiose si svolsero nel mese di agosto del 12 a.C. Vi si riunivano per eleggere un sacerdote i delegati delle sessanta civitates delle Tres Galliae, mentre i popoli erano rappresentati da statue e bassorilievi sparsi nel bosco sacro che circondava l'altare monumentale. I santuari costituirono un importante veicolo di romanizzazione (cfr. quello di Bolards, presso Nuits-Saint-Georges, che da luogo di pellegrinaggio isolato si trasformò in un vero e proprio agglomerato urbano) e, sviluppatisi in relazione a tali strutture spesso sorte in zone decentrate e remote, sono stati ritrovati nella provincia complessi comprendenti un teatro, un foro, una basilica. Soprattutto il teatro mostra un tipo di costruzione al di fuori delle norme classiche, che può essere definito come un teatro-anfiteatro, un adattamento locale del modello romano che non è fissato in una tipologia costante, ma varia nei suoi elementi. I caratteri essenziali, e cioè l'edificio scenico molto ridotto in larghezza e la cavea ovale o ellittica che quasi racchiude la scena stessa, rendono questi edifici idonei a ospitare sia spettacoli come la danza o il mimo (teatro), sia combattimenti gladiatori e di animali (anfiteatro).
Gli agglomerati secondari sviluppano forme architettoniche e urbanistiche proprie e si distinguono dai capoluoghi (che rivestono un ruolo soprattutto politico) costituendo centri di scambio e ricoprendo una funzione essenzialmente produttiva, come Alesia e Mediolanum (Melain) dove si sviluppa un artigianato locale legato alla lavorazione del metallo. L'economia, infatti, è differenziata a seconda della posizione geografica e delle risorse naturali dei varî siti. Nella zona della Bretagna (a E), che si affaccia sull'Oceano Atlantico, furono creati porti di notevoli dimensioni, con Condevicnum Portus Namnentum (Nantes) e Brest, ma anche più piccoli, come Morlaix e Saint-Briec, collegati all'interno del paese.
La rete stradale più importante, creata da Agrippa, era incentrata sulla città di Lugdunum, capitale ideale di tutte le Gallie, dove si trovava il «miliario aureo» dal quale si contavano le distanze. Essa si forma su quattro grandi assi: l'asse N-S, due strade parallele da una parte e dall'altra del Rodano che portano alle regioni del Reno; l'asse E-O, che verso E passa per la valle del Rodano, l'Aar, il lago di Costanza fino ai paesi danubiani, mentre verso O si divide in due, dirigendosi verso Saintes e verso Bordeaux, entrambe in Aquitania. Da queste si diramano vie secondarie che sfruttano i fiumi e i loro affluenti, la Senna, la Saona, la Loira, presso i quali erano sorte associazioni (corpora) di battellieri (nautae) che si occupavano della navigazione fluviale e di cui rimangono testimonianze epigrafiche (cfr. CIL, XIII, 1968, 1972). In Bretagna l'associazione era preposta alla produzione e al commercio del garum che insieme ai cereali costituiva la base di scambi marittimi, mentre un'altra risorsa era data dall'allevamento di bovini, suini e ovini. In Borgogna (centro-occidentale), la coltura della vite importata dai Romani sviluppa una fiorente produzione vinaria, per la quale fu localmente inventato un nuovo contenitore, la botte, mentre la lavorazione artigianale del bronzo costituiva per alcuni piccoli agglomerati rurali (Vertault, Vertillum e Bolards, Vidubia?) un motivo di richiesta da parte dell'esercito romano. Il generale stato di agiatezza, testimoniato dalle lussuose ville di tipo greco-romano ritrovate (p.es. di Selongey), entra in crisi nel III sec. d.C., in seguito a una serie di invasioni che si succedono intorno alla metà del secolo: nel 258 i paesi della Loira subiscono le scorrerie dei pirati franchi e sassoni che provengono dal Mare del Nord e in pochi anni arrivano fino a Noviodunum (Jublains) e a Caesarodunum (Tours). Dal 275 gli Alamanni, i Franchi e i Sassoni sono ormai dappertutto, alcune città vengono incendiate e molte altre cominciano a dotarsi di fortificazioni, mentre nella parte occidentale della provincia esplodono rivolte sociali. È in questo periodo, verso la fine del secolo, che i capoluoghi delle civitates modificano il loro nome, adottando quello delle popolazioni per cui avevano costituito un punto di riferimento: Lutetia Parisiorum, Condate Riedones, Caesarodunum Turones. Inoltre il cristianesimo, che già nel II sec. era penetrato nelle maggiori città (ad Autun e a Lione, dove nel 177 avvenne una nota persecuzione di fedeli), trova ora larga diffusione in tutta la provincia.
Le scoperte nei centri urbani. - Scavi e ricerche nei varî centri dell'antica provincia si sono fatti via via più intensi, non solo nelle città più importanti, come Lugdunum, Augustodunum, Lutetia (ν. Lione, autun, Parigi), ma anche in altri siti: tentiamo di darne un quadro d'insieme.
Alise-Sainte-Reine (Alesia). - Oppidum gallico, situato nel territorio dei Mandubii, nel 52 a.C. vi ebbe luogo la nota battaglia che pose fine all'indipendenza gallica. Le costruzioni più antiche (60 - 30 a.C.), occupavano lo stesso luogo dove, in seguito, sorse il quartiere monumentale della città gallo-romana, che assunse il suo aspetto definitivo in età antoniniana. Un tempio con pali di legno e muri in argilla precede un tempio in pietra, probabilmente dedicato a Taranis, a E del quale sono state ritrovate costruzioni anch'esse lignee e a graticci, circondate da cortili, che hanno restituito materiale ceramico. Nei primi anni della romanizzazione, a NE del tempio fu edificata una vasta piazza (incendiata due volte), presso la quale si sono rinvenuti i resti di un gruppo in pietra comprendente frammenti di statue di guerrieri, teste dagli occhi chiusi raffiguranti soldati uccisi, che testimoniano un'influenza artistica celto-ligure. Sotto Augusto o Tiberio, la piazza fu delimitata a S da un edificio al quale si appoggiavano, perpendicolarmente, sette cellae che si aprivano sotto un portico, dando luogo a un vero e proprio foro. Nella seconda metà del I sec. d.C. il tempio venne circondato su tre lati da un portico; nella piazza sono stati ritrovati molti vasi di offerenti. In seguito, all'interno dello spazio libero fu edificata una basilica a tre absidi, preceduta da una corte con portici. A Ν del foro, un edificio era dedicato a Ucuetis e Bergusia, divinità galliche protettrici dei bronzisti, che avevano qui una sede per la propria corporazione oltre che un luogo di culto; nel I sec. d.C., infatti, nella città era fiorente l'artigianato dei metalli. Di un santuario dedicato ad Apollo Moritasgus, nella parte NE, scavato prima del 1914, rimane soltanto un'iscrizione (CIL, XIII, 2873) che nomina il dio stesso, ma sappiamo che era di forma ottagonale e aveva delle canalizzazioni per l'acqua, utilizzata per i riti cultuali. Non si sa quando Alesia divenne Alise-Sainte- Reine, ma la basilica di Sainte-Reine è una chiesa merovingia del VII sec., dove sono stati ritrovati i più antichi documenti cristiani di Francia, ossia recipienti in piombo usati per l'Eucarestia.
Angers (Iuliomagus). - Mercato con funzione commerciale della civitas degli Andecavi. Fondata nei primi anni dell'era cristiana, conobbe un certo sviluppo per la sua posizione sul fiume Maine, poco a monte della confluenza di quest'ultimo con la Loira. Nella città, dotata di un porto fluviale, non esistono edificî in pietra anteriori all'età di Claudio, al tempo del quale risale il teatro-anfiteatro e, probabilmente, la prima fase costruttiva delle terme del quartiere de la Republique. Gli altri tre edificî termali, in Rue Delaage, Place du Ralliement, Rue de l'Esvière, sono datati al II sec.; sempre allo stesso periodo risalgono alcune ricche dimore con peristilio e mosaici. Nel IV sec. la città viene cinta di mura, dotate di tre porte principali e due minori, con quattordici torri semicircolari. Una necropoli è stata trovata lungo la via di Ponts-de-Cèe, attiva dal I al IV sec., quando ne sorge una nuova, cristiana, in Place du Ralliement.
Auxerre (Autessiodurum). - Situata sulla riva sinistra del fiume Yonne, non se ne conosce la data di fondazione; vi sono testimonianze archeologiche di un abitato celtico. Essa si trova all'incrocio di strade importanti, della via che porta ad Autun e della via che da Entrains conduce a Troyes. Nella città, cinta di mura nel basso impero, doveva esistere un anfiteatro situato, forse, presso l'attuale Boulevard Vaulabelle, mentre nei pressi della Fontaine Ronde sono state ritrovate alcune strutture pertinenti a un tempio, probabilmente dedicato ad Apollo.
Avranches (Avaricum). - Domina la baia di Mont-Saint-Michel, al di sopra dell'estuario del fiume Lée. La città, capitale degli Abricantui, venne fondata sul sito oggi occupato dal quartiere Saint-Gervais, e la sua stratigrafia copre un arco di tempo che va dall'alto impero fino all'XI secolo. Le abitazioni del II sec. d.C. si trovano nel settore di Saint André e nel quartiere de l'Hyvernière. Un vasto edificio poligonale, sul sito dove poi è sorta l'antica cattedrale di quest'ultimo quartiere, è stato interpretato come tempio. Un acquedotto sotterraneo alimentava le terme, tra la Rue de Tripot e la Rue de Fossés. Probabilmente il foro occupava la vasta area presso la chiesa di Saint-Gervais, proprio all'incrocio del cardo e del decumanus (NE). Dopo le invasioni del III sec. d.C. che distrussero, in parte, la città, la popolazione si ritirò nella parte più alta (a E di Saint André), costruendovi intorno mura difensive. Più a S, nella zona della chiesa di Saint Saturnin, si sviluppò un quartiere cristiano nel quale sorse una nuova necropoli, mentre quella precedente è situata lungo la via per Rennes.
Βayeux (Augustodurum). - Capitale dei Baiocassi, è attraversata dal fiume Aure, lungo la via che porta all'interno del paese, verso Vieux e Chartres, detta Chemin Haussé. La città, fondata forse in età augustea, conosce il suo massimo splendore durante il III-IV sec. d.C., quando sostituisce Vieux come capitale dei Viducassi. Essa fu distrutta in parte nell'860 d.C. dai Normanni. Del periodo romano rimangono le terme pubbliche, sotto la chiesa e il cimitero Saint-Laurent n. 7, in uso dal I alla fine del III sec. e poi incendiate, dalle quali provengono alcuni marmi scolpiti. Terme private, invece, sono state scoperte nel 1892 in Rue Laitiers, sotto l'Hotel des Postes, anche se non si conosce la casa alla quale erano annesse. Il teatro forse era situato sulla riva destra del fiume, nel quartiere limitato da due vie, Rue Saint-Jean e Rue des Teinturiers. Un tempio del I sec. d.C., probabilmente dedicato a Beleno, che è ricordato da Ausonio, si troverebbe sotto la cattedrale, dalla quale provengono venticinque blocchi scolpiti con decorazioni floreali, forse spogliate da una porta monumentale. A E della città, sul Mont Phaunus, un santuario indigeno a Saint-Vigor ha restituito numerose statuette in terracotta. Esso fu trasformato in chiesa cristiana nel VI secolo. Le mura che circondavano la città, probabilmente posteriori al 275 d.C., sono state ricoperte dalle fortificazioni medievali, ma un tratto di esse è visibile in Rue Bourbesneur. Un castellum romano doveva ospitare un contingente di militari che verso la fine del IV sec. fu inviato qui per difendere la costa dai pirati sassoni. Le necropoli sono due: a E, in Rue Saint Floxel, e a O, in Rue des Terres e de la Poterie.
Carhaix (Vorgium). - Capoluogo degli Osismi. Situata su un altopiano dominante il fiume Here, fu fondata probabilmente in età augustea e conobbe un declino negli ultimi anni del III sec. d.C. quando il potere politico passò alla vicina città di Brest. La città era divisa in insulae che coprivano un'area di c.a 150 ha e non era circondata da mura. Tracce di una piazza pavimentata si trovano tra Rue Poincaré e Rue Clemenceau; forse un tempio indigeno era nel quartiere de Poulpry. Un acquedotto sotterraneo di c.a 20 km alimentava le terme pubbliche e private, queste ultime riconosciute in Rue de l'Aqueduc. Alcune necropoli sono sparse lungo le vie che portano verso Quimper, Lamion, Douarnenez.
Chartres (Autricum). - Capoluogo dei Carnuti, è posta sulle pendici di un colle che sovrasta il fiume Eure. Rimangono livelli di vita risalenti al La Tene III, mentre del periodo gallo-romano si hanno tracce monumentali del foro, probabilmente situato nella parte Ν della città. Sotto la chiesa di Saint-André si trova l'anfiteatro, a S del quale, in Place des Halles e Place Pasteur, rimangono alcune ricche abitazioni dotate di cantine. Inoltre è attestata la presenza di due acquedotti, a S e a SO della città. Autricum fu devastata nel 275.
Corseul (Fanum Martis?). - Capoluogo dei Coriosoliti. Il nome antico è collegato con il tempio rurale di Marte, scoperto in località Haut-Becherel, di cui rimane parte della cella. Gli scavi sul sito si susseguono dal 1965, uniti alla prospezione aerea che ha rivelato, dopo il 1976, la planimetria della città antica che copriva circa 100 ha. La città gallo-romana nasce negli ultimi anni del I sec. a.C., divisa in insulae di varia grandezza, con abitazioni dotate di bacini e piscine nelle quali l'acqua era distribuita singolarmente. In località Clos Mulon è stata trovata (1965-1971) un'abitazione di età Claudia, distrutta nel III sec. e sostituita da terme, di cui rimangono una vasta corte porticata (palestra?) e un piccolo edificio absidato, frequentato fino al IV sec. d.C. Sempre dallo stesso quartiere provengono frammenti di colonne e capitelli che hanno suggerito la presenza di un centro amministrativo. Una fila di botteghe si trova a Clos Julio, dove la fotografia aerea ha individuato la pianta di un fanum. Gli scavi più recenti, degli anni 1983-84, hanno messo in evidenza i primi livelli di occupazione del luogo, datati agli anni 20-10 a.C., e una strada, orientata in senso E-O, datata al 40 d.C. circa, periodo in cui si verifica la massima espansione della città.
Eνreux (Mediolanum). - Conosce il suo massimo splendore nell'età dei Flavi e degli Antonini. Sul fiume Iton, che le scorre accanto, si trovano un piccolo porto con un mercato agricolo e alcune botteghe di ceramisti. Situata in una fertile regione agricola, la città è posta all'incrocio di due vie importanti, che si dirigono rispettivamente verso Lillebonne e verso Rouen. Nel corso delle invasioni del III sec. viene dotata di un castrum, con mura consolidate da un terrapieno interno, ma viene comunque distrutta nel 406 d.C. All'età gallo-romana risalgono i resti di un'abitazione, in uso fino alla metà del III sec. e poi incendiata, che ha restituito ceramica comune insieme a una moneta di Gordiano III (238-244). Tali resti si trovano all'interno della corte dell'antico palazzo episcopale, odierna sede del museo. Il foro, forse, deve essere individuato nella grande piazza pavimentata, scoperta in Rue de la Petite Cité, costruita e in uso durante il III sec. d.C.; sotto la pavimentazione restano avanzi di tubature in legno.
Feurs (Forum Segusiavorum). - Fu creata verso la fine del I sec. a.C.-inizî del I d.C., nella pianura di Forez, a 50 km da Lione. I Segusiavi, di cui era il capoluogo, erano uno dei popoli liberi della provincia che conservarono il titolo almeno fino al II sec.; la città ha uno sviluppo economico ed edilizio nell'età di Claudio, grazie al commercio di ceramica sigillata che dal Sud della Gallia (La Graufesenque) passa per Feurs per raggiungere la parte settentrionale del paese. Più tardi, nel II sec., la ceramica verrà prodotta nel territorio dell'Allier (parte centro-orientale della provincia), e il commercio interesserà un'altra città, Lione. Sotto Claudio viene costruito, a poca distanza da quello ligneo, un nuovo teatro in muratura, di cui rimane un'iscrizione (CIL, XIII, 1642). Nel lato S della città è attestato un quartiere artigianale del I-II sec. con forni di ceramisti e tracce della lavorazione del ferro. Un acquedotto alimentava tre terme, quelle di Font-qui-Pleut, i c.d. Bagni di Cesare (con teatro e tempio annessi?), e le terme di Palais. Con questo nome viene definito un sito sul promontorio che sovrasta la riva destra della Loira dove, in età antoniniana, viene inoltre eretto un complesso di costruzioni lussuose, con rivestimenti in marmo e colonne, forse con funzioni cultuali. Interessante è il caso del foro, posto al centro dell'agglomerato, che, grazie a scavi recenti, ha riacquistato per intero la sua forma, in parte già intravista in saggi eseguiti alla fine dell'800. Si tratta di un foro tripartito, costituito da tre elementi associati, una piazza, un'area sacra e una basilica-curia, circondati da mura e delimitati da portici all'interno. Anche se il tipo è già conosciuto nelle provincie occidentali (Bavay, nella Belgica; Saint-Bertrand de Comminges, in Aquitania), questo di Feurs si rivela importante in senso cronologico, in quanto viene datato negli anni 15-20 d.C., cioè in un periodo anteriore a quello in cui si credeva che lo schema topografico cominciasse a diffondersi, ossia la seconda metà del I sec. d.C. Vicino al foro si trova una necropoli del I sec., in Place de la Boaterie, mentre un'altra, del II, si trova più a N, lungo la strada verso Palais. Un complesso sacro forse va individuato in tre edifici vicini e con le facciate allineate.
Jublains (Noviodunum). - Capoluogo dei Diablinti. Gli scavi e i sondaggi effettuati dal 1842 in poi hanno messo in evidenza un complesso fortificato che presenta più fasi costruttive. Al centro sono stati rinvenuti un edificio chiamato «impluvium» e una piazza a cielo aperto fiancheggiata da quattro torri, databile all'incirca agli inizi del III sec. d.C. Nelle vicinanze si trovano due edifici termali, le grandi e le piccole terme, entrambe di modeste dimensioni, le prime contemporanee all'edificio e dotate di sale tipicamente romane, le altre, invece, più tarde e dotate di una sala soltanto. Sotto Diocleziano furono costruite mura esterne, con torri molto ravvicinate, e cinque porte, due maggiori e tre minori.
Le Mans (Vindinum o Subdinum). - Venne probabilmente fondata in età augustea, ma la tradizione parla dell'esistenza di un oppidum celtico sullo stesso sito della città in cui si erano stabiliti, in un tempo indeterminato, gli Aulerci Cenomani. Alcuni menhir e dolmen di età preistorica confermano l'antichissima frequentazione del luogo.
La città gallo-romana si sviluppa sulla riva sinistra del fiume Sarthe, su un'area di c.a 30 ha, con uno schema urbano a insulae, di cui l'attuale Grand Rue sembrerebbe costituire il cardo maximus. In Rue des Poules ci sono tracce di abitazioni in terra e legno, mentre in Rue des Fossés-St Pierre sono state individuate le terme, probabilmente alimentate da uno dei due acquedotti, quello des Fontanelles e quello d'Isaac. È stato individuato un anfiteatro, mentre non si conosce l'ubicazione del foro. Gli Atti dei Vescovi segnalano, in Place du Marché, una fonte sacra di nome Centoniomos, sulla quale fu poi costruita l'attuale cattedrale di Saint Julien; la stessa fonte indica un tempio sotto Saint Benoit. Durante il III sec. la città viene attaccata dai briganti (bagaudae), e a seguito di ciò vengono costruite le mura difensive, dotate di almeno 10 torri (quelle conservate). Nella seconda parte del IV sec. diviene sede di un vescovado e verso la fine ospita una guarnigione di Leti Luevi. Dal V sec. in poi la città si unisce a quelle degli Aulerci Diablinti per costituire, nel Medio Evo, la contea di Marne.
Lillebοnne (Iuliobona). - Capoluogo dei Caleti, si estendeva sulla riva destra della Senna: la città antica era, rispetto all'attuale, più prossima al fiume. Fondata in età augustea, si trovava all'incrocio di due vie, quella che unisce la bassa all'alta Normandia e quella che si dirige verso l'Italia. Alcune installazioni portuali la legavano alle rotte commerciali per le isole britanniche. Nella parte S della città rimane un teatro-anfiteatro, mentre un altro teatro antico fu in parte utilizzato per costruire la cinta muraria, probabilmente nel III sec. d.C. Il foro si trova sotto la Place Sadi Carnot, nelle cui vicinanze sono state ritrovate botteghe e un edificio colonnato, con tracce di incendio. La città, infatti, subisce una parziale distruzione alla fine del II e del III sec. d.C. Grandi terme sono situate in Place Felix Faure, e altre probabilmente sul sito del castello di Alincourt. In periferia sono attestati due fana indigeni, mentre il mitreo, forse, era dedicato a un'altra divinità orientale, peraltro non facilmente individuabile, la cui statua è stata rinvenuta all'interno. Le necropoli sono situate lungo la via per Caudebec-en-Caux e per Harfleur.
Lisieux (Noviomagus Lexoviorum). - La città gallo-romana si installa su un abitato celtico, all'incrocio delle vie che provengono da Evreux e dalla Senna. Alcune strutture in Place Thiers indicano l'esistenza di un porto di epoca gallica, poi romano. Città aperta in origine, si dota di una cinta muraria poco prima del 275 d.C., anno in cui subisce un incendio che la distrugge quasi completamente. Rimangono, comunque, molte tracce di età romana. Di rilievo gli scavi che hanno interessato, dal 1978 al 1986, il Centre Hospitalier, dove sono state individuate abitazioni con annesse terme pubbliche. Tra i varî ambienti, la Salle aux Poissons, con decorazione policroma in situ, costruita sotto Nerone, con rimaneggiamenti di età flavia, e abbandonata nel III sec.; a Ν dell'abitato era un edificio termale con portico a L che divideva la parte riservata agli uomini (a O) da quella riservata alle donne (a N). Importante la presenza di pitture di tipo mitologico, nel tepidarium delle terme maschili, risalenti al II sec. d.C. Dello stesso periodo sono l'acquedotto che costeggia le terme e il teatro-anfiteatro, a O della città. Due necropoli si trovano sotto alcune case in Place Thiers e a Grand Jardin. Alcuni blocchi di marmo ritrovati sono stati messi in relazione con una ipotetica colonna votiva.
Meaux (Iatinum o Fixtuinnum). - Emporio commerciale della Gallia nord-occidentale, situato in un'ansa della Marna. Capoluogo dei Meldi (che avevano il titolo di liberi), la città divenne nel Basso Impero un castrum fortificato: resti delle mura sono stati ritrovati in Boulevard Jean Rose. Il teatro, conosciuto attraverso attestazioni epigrafiche (CIL, XIII, 3024), era posto probabilmente nella parte Ν della città, ai piedi della collina Saint Faron.
Nantes (Condevicnum Portus Namnetum). - Si sovrappone all'antico porto di Corbilo, di cui rimangono pochissime tracce. Lo schema urbano della città romana, estesa su c.a 20 ha, comprendeva insulae quadrate (90 X 90 m) disposte a scacchiera, parallele ai fiumi che si incrociano presso la città, la Loira e l'Erdre. Il cardo maximus è stato individuato in Rue Port, Maillard-Saint-Vincent, il decumanus in Rue du Chateau. L'esistenza di numerosi edificî è confermata da frammenti sparsi e dai testi epigrafici che menzionano un portico, un tribunal e un tempio con statue. Inoltre, un'iscrizione dedicatoria parla di una corporazione di battellieri di Nantes, i Nautae Ligerici, a conferma del suo ruolo di porto commerciale. Dopo la massima fioritura negli anni 150-200 d.C., inizia un periodo di declino economico che coincide con la cristianizzazione avvenuta alla fine del III sec., mentre nel IV sec. vi viene stanziata la guarnigione Superuentores Iuniores.
Rennes (Condate). - Sappiamo che fu abitata prima dell'età romana, grazie ai ritrovamenti di ceramica (locale e di importazione) nella zona artigianale e residenziale di Castel-Saint-Martin. Il suo sviluppo fu dovuto alla favorevole posizione geografica, alla confluenza di importanti assi viarî che la univano ai capoluoghi di altre civitates (Condevicnum, Vorgium, Noviodunum), e al ricco bacino in cui sorgeva, all'incrocio di due fiumi, l'Ille e la Vilaine.
Le testimonianze antiche sono molte, sia nella zona del castrum (costruito nel 275-276 d.C. e abitato fino al XV sec.), sia nella zona dei sobborghi della città. Nella parte E è stata messa in luce, dalla fine dell'800 in poi una serie di edifici comprendenti magazzini e abitazioni, una delle quali ha restituito frammenti di ceramica sigillata (databile al periodo tra Nerone e Domiziano). La costruzione più lussuosa è quella in Rue d'Echange, una casa privata decorata da colonne (basi), capitelli corinzî, con tracce di pittura. Nella stessa zona, in Rue de Dinan, si trova un impianto termale del II sec. e un quartiere artigianale di ceramisti (forni), unito a un quartiere residenziale che ospita ville suburbane occupate dalla fine dell'età di Claudio alla seconda metà del III sec.; l'acquedotto, risalente all'epoca dei Severi o degli Antonini, si trova nei dintorni di Moulin-Saint-Martin. All'interno del castrum dovevano collocarsi alcuni templi che si conoscono solo attraverso l'epigrafia ed erano dedicati a Mars Mullo, a Mars Vicinnus, a Roma e ad Augusto. Il Tempio di Mars Mullo aveva (secondo l'iscrizione CIL, XIII, 3151) una particolarità, in quanto gli era associata una basilica all'interno della quale erano esposte alcune statue elevate in onore di FI. Postuminus, primo flamen perpetuus del dio. Forse tale tempio era situato nel foro che è stato individuato presso Saint Sauveur, o sotto l'attuale cattedrale. Le necropoli furono scoperte verso la fine dell'800 sulla collina del Thabor e a Castel-Saint-Martin.
Rouen (Rotomagus). - Posta tra Parigi e il mare, in un punto in cui è facile il passaggio della Senna, costituiva un luogo di transito tra il centro della Gallia e la Bretagna e dal II sec. d.C., quando diminuì l'importanza del vicino porto di Lillebonne, divenne un porto fluviale, luogo di scambi commerciali di cui rimangono tracce in Place de la Haute Vieille Tour. La città, che si estendeva su c.a 100 ha, era divisa in numerosi quartieri, con ville lussuose accanto a zone popolari. A N, nella parte più antica, rimane l'anfiteatro, mentre a E e a NE restano tracce di una zona artigianale del 140-150 d.C. (produzione di ceramica, vetro). Le terme romane si trovano sotto l'ala E del Palace de Justice e in Rue Socrate; tracce del teatro, invece, sono state individuate nella zona di Place Saint-Amand. All'angolo di Rue des Fossés Leonis Vili con Rue des Carmes si trovavano alcuni mercati coperti, di tipo monumentale, divisi in tre sale. Un edificio pubblico è stato identificato in Place de l'Hotel de Ville; non è stato ancora individuato, invece, il sito del foro. Del periodo cristiano rimangono una cattedrale del IV sec. e una basilica. Nella Vita del Santo Mellon, il primo vescovo della città, è scritto che egli distrusse molti templi pagani ma di ciò non si è avuta ancora alcuna conferma archeologica: p.es. non è stato provato che sotto la chiesa di Saint Herbland vi sia un tempio di Venere. Intorno alla città le necropoli sono numerose; tra queste la più antica, del I sec. d.C., si trova a Ν di Place General de Gaulle.
Saint-Servan-sur-Mer (Aleto). - Situata sulla riva destra del fiume Rauce, dista 1 km circa da Saint-Malo e si trova all'incrocio di due grandi vie commerciali, Manche e Rauche-Vilaine. Gli scavi condotti negli anni 1973-1974 hanno evidenziato un'occupazione del sito preromana, risalente all'incirca all'80-70 a.C., mentre la pianta regolare, di tipo geometrico, della città risale al 25 a.C. Numerose distruzioni sono datate all'epoca di Tiberio; quando il nome Aleto venne sostituito da Reginca, che probabilmente fu un'importante stazione portuale nel golfo normanno-bretone per il traffico commerciale oltre la Manica, dal I fino al IV sec. d.C. Nel 350 d.C. fu costruito un castellum, che doveva ospitare una guarnigione, e da questo momento la città diventa capitale dei Coriosoliti, a danno di Corseul, Civitas Coriosolitum, distante solo 20 km a SO.
Sens (Agedincum). - Centro dei Galli Senoni, è ubicata alla confluenza di due grandi fiumi (lo Yonne e la Vanne). Fondata in età augustea, fu preceduta da un oppidum celtico che è stato localizzato a NO della città, lungo la scogliera du Gatinais, sulla riva sinistra dello Yonne. Ai primi anni dopo la conquista si data un santuario gallo-romano, situato nella zona suburbana di Motte du Ciar, costituito da un'area con una doppia galleria sul lato E, un portico sul lato O e una piscina lunga 81 metri. Si hanno molti resti di abitazioni (alcune di età severiana) che hanno restituito marmi e mosaici. Dalla fine del II sec. d.C. la città subisce alternativamente distruzioni e ricostruzioni fino alla seconda metà del III sec. d.C. Dal secolo seguente Sens diviene capoluogo della Lugdunense IV.
Tours (Caesarodunum). - Antico capoluogo della piccola tribù dei Turoni, si estende su un leggero pendio a S della Loira, all'incrocio tra la via che da Lione raggiunge l'oceano e la via che da Poitiers porta a Le Mans. Fondata tra il 10 a.C. e il 10 d.C. circa, presentava uno schema ortogonale con insulae di m 150 x 100 di cui restano due grandi abitazioni del I sec. d.C. Nel settore NE della città, sul limite E, si trova l'anfiteatro di età adrianea, che doveva essere di notevoli dimensioni (m 20 di altezza c.a) e di cui rimangono i quattro grandi accessi e una serie di gradinate scavate nella roccia nella parte N. Esso è in gran parte inglobato nelle mura fortificate che cinsero Tours dopo la distruzione avvenuta nel 275: mura che formavano un grande rettangolo di 9,23 ha, e che erano fiancheggiate da torri rotonde, ancora oggi visibili in Rue des Ursulines e nei pressi della cattedrale. Resti di un tempio a pianta circolare sono visibili in Rue de Lucè. Quando nel 374 la città divenne capoluogo della Lugdunense III, già esisteva da tempo un vicus cristiano. Le prime predicazioni, infatti, risalgono agli inizi del IV sec. a opera di Saint Gatien. Con il vescovo Litorius (337-397) fu costruita una basilica e sulla tomba del suo successore, S. Martino (372-397), ne fu edificata un'altra dal vescovo Perpetuus nel 470. Le necropoli individuate sono due: una a E della città E e l'altra a S, lungo la via che conduce a Bourges.
Τroyes (Augustobona). - Capoluogo dei Tricassi, la sua occupazione risale all'epoca di La Tène, anche se non se ne conosce l'antica estensione. Nei primi secoli della dominazione romana la città si estendeva per circa 80 ha e ne sono state messe in luce le terme del I sec. d.C., tracce di un acquedotto e di alcune vie che la attraversavano. Il cardo maximus doveva corrispondere al tratto urbano della via che unisce Lione e Boulogne. Nel quartiere Chaillouet, in particolare, sono state ritrovate tracce di edificî residenziali, mentre nessun monumento pubblico è stato ancora individuato. Nel basso impero la città diminuì il suo territorio di c.a 1/5 e si dotò di mura difensive, munite di quattro porte. Il cristianesimo fu introdotto sotto Aureliano e Troyes divenne sede episcopale dopo il regno di Costantino.
Vannes (Darioritum). - Situato nel territorio dei Veneti, probabilmente si sviluppò su un abitato celtico, occupando una serie di colline all'interno del golfo di Morbihan. Gli anni tra il 15 e il 20 d.C. vedono lo sviluppo della città che subì, come molte altre, una crisi verso la fine del III sec., periodo al quale risalgono le mura difensive, in parte ritrovate nel sottosuolo del centro moderno. I resti di epoca romana sono pochi e incerti, forse un teatro in Rue Fontaine, un porto nel quartiere Saint Nicolas, un probabile edificio pubblico in Boulevard de la Paix, terme private. Con il cristianesimo, la prima chiesa costruita si impiantò su un fanum celtico. Durante il IV sec., nel castrum si stanziò una guarnigione.
Vieux (Araegenua). - Posta a E di Bayeux, si sviluppa dal I al III sec. d.C., prima di essere invasa dai Sassoni che la distruggono in parte; nel IV sec. verrà ricostruita ma avrà dimensioni minori. L'impianto urbanistico era di tipo ortogonale ed era attraversato da alcune vie che portavano a Jublains. Gli scavi della metà dell'800 hanno messo in evidenza, vicino al Jardin Poulain, il teatro, che era stato trasformato in anfiteatro con gradinate lignee. Sempre nello stesso periodo, durante i lavori nella chiesa di Notre-Dame sono stati ritrovati alcuni bassorilievi ed elementi scolpiti che, però, non si sa a quale edificio appartenessero.
Di incerta identificazione (forse una basilica?) è anche un edificio con mosaici e iscrizioni ritrovato nel giardino dello Chateau de la Palue. Nel 1982, le indagini archeologiche hanno interessato il quartiere di Bas de Vieux, mettendo in evidenza una domus del secondo quarto del I sec. d.C., decorata da pitture e sculture e provvista di ipocausti. Inoltre, nello stesso quartiere, è stato ritrovato l'angolo colonnato di un edificio, forse un tempio anteriore al II sec., a Ν di Chemin Haussi. Altre ville sono presenti nella zona di Gran Champ, Pièce de Moulin e di Champ des Cretes, nella quale si trovavano terme doppie (per uomini e donne), probabilmente databili al III secolo. Il sito dove si elevava il teatro è incerto, forse un luogo chiamato Bourg nel quale era situata anche la casa di un commerciante di grano. Botteghe di artigiani, invece, con forni di vasaio e vetraio, erano a NE della Residence du Moulin.
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(M. Renzetti)
Aquitania. - Al momento della conquista romana il nome di Aquitania, di origine indigena, definiva il territorio della Gallia, situato tra la Garonna e i Pirenei, in cui vivevano una trentina di popolazioni «piccole e oscure» (Strab., IV, 2, 1). Intorno al 16-13 a.C., la riforma augustea diede vita a una grande Provincia Aquitanica composta di 21 città, che si estendeva dai Pirenei alla Loira, nella quale gli antichi popoli «aquitani» vennero riuniti in sette civitates: quelle dei Boiates, degli Aquenses, Bigerri, Elusates, Auscii, Lactorates e Aturenses (o Iluronenses?), cui si aggiunsero i Convenae e i Consoranni, staccati dalla Narbonense. Nacquero in tal modo i Novem Populi, espressione mediante la quale nel corso di tutta l'età imperiale venne designato il complesso delle comunità a S della Garonna. A Ν di quest'ultima, sino alla Loira, erano insediate quattordici popolazioni galliche (Strab., IV, 2, 1) che vennero riunite in undici distretti, definiti sin dall'origine Undecim Populi: Bituriges Cubi, Pidones, Santones, Lemovices, Arverni, Vellavi, Gabali, Ruteni, Cadurci, Ni- tiobroges e Petrucorii. I Bituriges Vivisci di Burdigala costituivano l'ultimo distretto della provincia.
Saintes, caput viarum di Agrippa, fu la prima capitale dell'Aquitania, sostituita in tale funzione, a partire dal II sec. (?), da Poitiers o forse già da Bordeaux.
Con Diocleziano, questo immenso territorio dipendeva dal vicario della diocesi Viennensis (divenuta in seguito diocesi delle Cinque Provincie o di Aquitania - quando Bordeaux ne divenne la capitale - e quindi diocesi delle Sette Provincie). Dall'antica Aquitanica furono ricavate tre nuove circoscrizioni: l'Aquitanica Prima (con capitale Civitas Bituricum, Bourges), l'Aquitanica Secunda (capitale Burdigala, Bordeaux), e, a S della Garonna, i Novem Populi (Laterculus Veronensis), divenuti più tardi la Provincia Novempopulana (Not. Dign., occ., I,110 , 111, 112; Not. Gall., ΧΙΙ-ΧΙΙΙ-ΧΙV).
L'amministrazione dell'Aquitania costituiva, in età alto imperiale, una responsabilità di alto rango. Da Tacito sappiamo (Agr., 9,1) che il suo governo costituiva una tappa per l'accesso al consolato dei legati senatori. Esisteva probabilmente un distretto amministrativo specifico a Ν della Garonna, mentre a S i Novem Populi godevano a loro volta di uno statuto speciale. È probabile che quest'ultimo si esprimesse attraverso un concilium, la cui esistenza può essere postulata proprio in base ai termini usati nell'iscrizione di Hasparren (CIL, XIII, 412).
La costituzione di Onorio, che invitava i delegati della diocesi delle Sette Provincie a riunirsi ad Arles, attesta che le due Aquitanie e la Novempopulana esistevano ancora nel 418, a conferma delle testimonianze, all'incirca contemporanee, della Notitia Dignitatum e della Notitia Galliarum. Dopo tale data non si può far altro che supporre la rovina progressiva delle strutture imperiali sotto i colpi delle migrazioni visigote.
Gli abitanti dell'Aquitania indipendente bevevano comunemente una birra fatta con orzo e non gustavano altro vino che quello importato da mercanti mediterranei, che qui realizzavano guadagni considerevoli, al punto da arrivare a scambiare un'anfora di vino italico con uno schiavo. Tale commercio, di tradizione plurisecolare, era passato dalle mani dei mercanti greci a quelle dei trafficanti italici, soprattutto a partire dalla fondazione di Narbona del 118 a.C. e dalla creazione della provincia della Narbonensis. Qui il paesaggio agrario aveva subìto una totale trasformazione con l'impianto di vigne e di olivi che appartenevano ai Romani e non agli indigeni, così come tutte le transazioni commerciali e finanziarie erano nelle mani dei conquistatori. Grazie ai ritrovamenti archeologici si può pertanto tracciare una via del vino che da Narbona partiva in direzione di Bordeaux, ramificandosi lungo le vallate per raggiungere le capitali delle tribù celtiche. Per questa via le anfore leetaniensi (Dressel I Β d'imitazione e anfore Pascual), giunte dalla vicina Tarraconense, trasportavano tanto vino italiano, arrivato sfuso, quanto vino ispanico. Già prima di essere conquistati, dunque, gli Aquitani apprezzavano le bevande dei loro futuri vincitori.
Una volta sottomessi, i notabili gallo-romani di Burdigala, che già da tempo avevano preso a riesportare il vino italico sino alla Gran Bretagna, decisero di dotarsi di propri vigneti. Tra Claudio e Nerone, la creazione di una varietà di vite detta biturica, sorella della cocolobis ispanica, entrambe a loro volta figlie della balisca di Dyrrachium (Durazzo), fu l'inizio di una rivoluzione allo stesso tempo agraria e commerciale. Venne creato un nuovo contenitore - l'anfora burdigalense - che ben presto però fu definitivamente soppiantato dalla botte di legno gallica. Con il vino l'Aquitania veniva così a disporre di un'arma economica di grande avvenire sui mercati mediterranei.
L'Aquitania era ricca non solo di vino, di grano, dei giacimenti di ferro del Perigord, di quelli d'oro e di altre miniere del Limousin, nonché delle sabbie aurifere che si trovano nei torrenti di montagna, ma anche di altri prodotti che la rendevano a un tempo «il midollo delle Gallie» (Salviano, De gubernatione Dei, VII, 2, 8) e la dolce terra evocata da Ammiano (XVI, 8,8) a proposito di un banchetto sotto il regno di Costanzo II. Il salmone di fiume, le ostriche del Medoc, i formaggi del Gévaudan rappresentavano alcune tra le sue pietanze più prelibate; mentre una specialità dei Cadurchi, in una regione già celebre per le acque e i fanghi salutari di innumerevoli stazioni termali, da Néris a Dax e Luchon, era costituita dai materassi. Di fronte a tanta prosperità non ci si deve stupire se la statua gigantesca di Mercurio eretta dagli Arverni fosse costata - a detta di Plinio - quaranta milioni di sesterzi e ben dieci anni di lavoro. Gli Aquitani seppero inoltre sfruttare con rara abilità altre risorse naturali, nel momento in cui le grandi fabbriche di ceramica sigillata portarono in ogni direzione, sino ai limiti dell'impero e ben oltre le sue frontiere, la rinomanza dei prodotti di La Graufesenque. In questa località di fronte a Millau, alla confluenza del Tarn e della Dourbie, diverse centinaia di ceramisti fabbricarono, nel corso di più di un secolo, tra la fine del regno di Augusto e quello di Traiano, milioni di vasi: il combustibile necessario per la cottura era fornito dalle foreste vicine. I forni riportati progressivamente alla luce, spesso enormi e capaci di contenere sino a 40.000 pezzi per volta, e i conti d'infornata ritrovati, circa 170 per un totale di quasi un milione esemplari, lasciano facilmente immaginare quale sia stata l'intensa attività di questa fabbrica, la più celebre dei suoi tempi. Altre officine, come Montane, che riforniva soprattutto l'Aquitania meridionale, o Banassac, con artigiani assai abili nel farsi pubblicità, o Lezoux, il grande centro produttore del II sec., tutte circondate da officine satelliti, se pur conobbero una minor fama, confermano lo straordinario sviluppo raggiunto dalla produzione delle sigillate aquitane. L'evoluzione della moda e del gusto, la concorrenza dei prodotti africani e, forse, anche il disboscamento troppo intenso effettuato intorno ai luoghi di fabbricazione determinarono, a partire dal II sec., il declino di tali fabbriche, che da questo momento in poi ebbero solo una diffusione limitata.
Per le città dell'Aquitania romana, si vedano le voci: ARGENTOMAGUS e BORDEAUX.
Per quanto riguarda le campagne, è da sottolineare che la vita che le caratterizzava, sinora nota soltanto attraverso ritrovamenti occasionali di ipocausti o di mosaici, è oggi meglio conosciuta grazie alla fotografia aerea e all'uso di moderne tecniche di prospezione e di individuazione. Alle produzioni agricole, fondate sui cereali, alla coltivazione della vite e all'allevamento erano destinate le grandi vallate e i valloni, dove si trova l'acqua e dove le terre leggere si lavoravano con più facilità, mentre venivano lasciati a foresta i terreni difficili da coltivare. Quanto agli utensili agricoli, si limitavano ovunque ad attrezzi da giardino e non vi si incontrano gli strumenti più o meno perfezionati da aratura e da mietitura utilizzati nella Gallia settentrionale; solo la falce sembra venisse usata in forma abbastanza diffusa.
Le ville sono fittamente distribuite in numerose regioni (Berry, Centro-Ovest, valli della Garonna e della Dordogna, e in particolare Chalosse e Guascogna). Nella maggior parte dei casi di queste proprietà non si conoscono altro che le case padronali da cui dipendevano, talvolta consistenti in dimore abbastanza modeste, ma spesso invece ampie e ricche, lussuosamente decorate con materiali d'importazione. Le planimetrie di queste residenze, dotate di peristilio o di galleria di facciata, a volte di entrambe queste strutture (Plassac), in determinati casi mostrano, sia nella loro fase più antica di I e di II sec., sia nelle imponenti ricostruzioni più tarde, di IV e V, straordinarie capacità d'inventiva sul piano architettonico (Plassac, Castelculier). Le numerose ricostruzioni, e quindi la continuità nell'uso dei vari insediamenti, testimoniano la relativa stabilità delle strutture fondiarie nel corso di tutta l'epoca imperiale.
Questo paesaggio di fattorie isolate e di campi è interrotto da numerose borgate (vici), da fiere e mercati rurali, luoghi di pellegrinaggio, stazioni termali o viarie. L'Aquitania, tra la Loira e la Garonna, e in particolare nel territorio dei Bituriges Cubi, dei Lemovici, dei Pictoni e dei Santoni, ha assistito alla fioritura, sin dagli inizi dell'età imperiale, di una grande quantità di tali agglomerati, spesso sparsi su una superficie di decine di ettari. Tra essi, soltanto un piccolo numero - e solamente nel caso di stazioni stradali - ha conservato ancor oggi traccia del nome antico, come Argenton-sur-Creuse (Argentomagus), Rom (Rauranum), Aulnay (Aunedonnacum), Chassenon (Cassinomagus) o Eysses (Excisum). Quasi tutti gli altri rimangono anonimi: ma tali centri, spesso assai imponenti, con il loro foro, i loro santuari di pianta indigena, il mercato, le terme e gli edifici per spettacoli (in genere di forma mista, con scena e podio) costituirono, nel profondo delle aree rurali, importanti agenti di romanizzazione. La loro scomparsa, verificatasi in concomitanza con la crisi del III sec., non lasciò sussistere altro che i templi, ancora oggetto di frequentazione agli inizî del Medio Evo.
Insieme con i santuarî restarono in attività le maggiori stazioni stradali, soprattutto quelle che si trovavano in prossimità dei grandi itinerari. Il programma di Agrippa, completato nel corso del I sec. d.C., mirava a stabilire in via prioritaria collegamenti tra i capoluoghi delle diverse civitates, e a privilegiare i più importanti itinerari, spesso riutilizzando le precedenti piste di età gallica. Vennero in tal modo definiti i principali assi trasversali (via da Lione a Saintes attraverso Clermont e Limoges, via da Bordeaux a Tolosa attraverso Auch) e alcune maggiori meridiane, come la «Peyrigne», vera e propria dorsale dell'Aquitania, la quale congiungeva Lugdunum Convenarum a S (Saint-Bertrand-de-Comminges) con Bourges, nel territorio dei Bituriges Cubi, a N, toccando ben sette capoluoghi. In età tardo-imperiale, con la creazione della provincia della Novempopulania, un importante ruolo sembra essere stato sostenuto dal tracciato più occidentale della «Ténarèze», sul percorso della quale, nel punto di incrocio delle principali strade della Guascogna, si trovava Elusa (Eauze), cui furono conferiti il titolo e le funzioni di caput provinciae. La medesima situazione si verifica anche per quanto riguarda il grande itinerario interdiocesano che univa Mérida a Treviri, dove, intorno alla metà del IV sec., a mezza strada tra le due città, Bordeaux prevalse su Vienne come sede del vicario della diocesi meridionale della Gallia. Elemento fondamentale dell'apparato amministrativo, la viabilità sosteneva nella vita economica un ruolo importante, benché difficile da valutare in quanto si hanno poche informazioni sulle vie acquatiche. Il ritrovamento nella Garonna, non lontano da Bordeaux, di un ripostiglio di 4.000 sesterzi della prima età imperiale, così come le dichiarazioni di Ausonio, fanno pensare all'esistenza di una navigazione fluviale di cui mancano testimonianze epigrafiche, contrariamente a quanto si verifica nel caso della navigazione marittima a S di Burdigala, ben attestata dalle iscrizioni. In ogni caso è chiaro che la viabilità era legata alla romanizzazione.
Con la creazione artificiale di una grande Aquitania, estesa dai Pirenei alla Loira, Augusto portava a termine un preciso disegno politico, mirante a equilibrare l'Aquitania delle piccole popolazioni a S della Garonna con l'Aquitania celtica, formata dalle grandi tribù trasformate in unità territoriali, a Ν del fiume, forse con l'intento di unificarle, cancellando le radici del loro passato, per organizzare una nuova società. Roma non impose la propria lingua e i propri mezzi d'espressione religiosa e artistica, bensì offrì l'occasione al sostrato ibero-aquitano e celtico delle due Aquitanie di confrontarsi e, nello stesso tempo, di perpetuare, arricchendole, le proprie diversità.
Nelle città l'elemento trainante della romanizzazione era costituito dalle agiate classi dirigenti delle vecchie tribù e dagli immigrati italici, mentre l'esercito non svolse in ciò che un ruolo assai modesto. Furono soprattutto queste élites indigene urbane che ricevettero la cittadinanza romana, in accordo con la tendenza di Roma a rafforzare la gerarchia sociale precedente la conquista. I notabili, che attraverso una politica matrimoniale tra gentes del medesimo livello giuridico e sociale tendono a formare una casta chiusa, affermano la loro preminenza con la sontuosità dei proprî monumenti funerarî, quali i sarcofagi di Saint-Médard-d'Eyrans (nella Gironda), con casse importate dalle isole greche e scolpite a Roma. Si moltiplicano gli atti di evergetismo.
Il pantheon romano sembra essere stato accolto in tutta l'Aquitania, soprattutto nelle città più intensamente romanizzate, come Bordeaux, Saintes e Périgueux. Neppure le campagne però, né la zona dei Pirenei, si dimostrarono ostili alle divinità di Roma. Sia la triade capitolina sia ciascuna delle divinità che la costituivano, singolarmente o in associazione con altri dèi romani, attirarono il favore della popolazione. Silvano risulta adorato soltanto nel Comminges, mentre i culti a carattere protettivo dei Genî e di Tutela sono ampiamente diffusi.
Il culto imperiale attesta una pari fedeltà e un pari entusiasmo nei confronti dei padroni dell'impero. Tutte le regioni vi partecipano in egual modo. Imperatori e imperatrici, membri della domus divina, il numen imperiale, divinità auguste e virtù imperiali si spartiscono le dediche, senza che sia possibile individuare un particolare centro d'irradiazione del culto, a eccezione di Saint-Bertrand-de- Comminges, che costituiva la sede di un particolare concilium per le popolazioni dell'Aquitania. L'impulso viene dal santuario federale di Lione, dove le sole comunità dell'Aquitania celtica potevano mandare i propri delegati per partecipare all'elezione del sacerdote provinciale delle Tre Gallie.
Interpretatio Romana da un lato e interpretatio Celtica e Aquitanica dall'altro si coniugano per dare vita alle divinità gallo-romane. Nel Comminges, e in forma più ampia nelle regioni pirenaiche e sub-pirenaiche, l'appellativo aquitano si aggiunge al nome della divinità romana, p.es. nella serie dei Mars Arixo, Sutugius, Lehlunnus, Dahus, mentre a Ν del fiume predomina l'appellativo celtico. In questo caso l'autentica divinità indigena viene rivestita di una forma latina. In altri casi vengono effettuate delle associazioni, come, p.es., quella tra il dio cornigero e Apollo. Ad alcune divinità romane, infine, vengono accostati attributi indigeni, come per il Mercurio cornuto o per il Mercurio quadricefalo di Bordeaux. Si viene così a costituire un nuovo pantheon gallo-romano che dà vita inoltre a un nuovo tipo di architettura religiosa, fortemente ispirata alle tradizioni indigene. Di forma rotonda oppure quadrata, il tempio si compone di una cella e, attorno a questa, di un'ampia galleria in cui i fedeli possono compiere una processione completa. Accanto ai fana (Les Bouchauds, Charente), esistono grandi templi, come il complesso di Sanxay (Vienne), in cui la cella ha forma ottagonale, come la torre di Vesona a Périgueux o come il Moulin du Fâ, nei pressi di Talmont (Charente-Maritime).
Sono attestate infine (soprattutto nelle valli dei Pirenei), alcune divinità puramente indigene, latinizzate in maniera assai superficiale, essenzialmente di origine aquitana. Semplici divinità locali così come personalità divine più complesse vengono venerate in santuari modesti (p.es. il fanum di Herrauscoritsé a Tardets, nei Pirenei atlantici) o più importanti (templum di Erge a Montserié, negli alti Pirenei). Altre divinità del pantheon vengono venerate negli stessi santuari: se la gran massa dei devoti è costituita dall'elemento indigeno, è attestata però anche la devozione dei grandi proprietari terrieri delle valli del Comminges. La medesima libertà in campo religioso si riscontra anche a Ν della Garonna con i culti celtici: si tratta di culti tipici come quello di Divona a Bordeaux, e di culti di divinità più note, come Sirona, Epona e le dee madri di Saintonge, che stanno a rappresentare tanto la maternità umana quanto la forza creatrice della natura. Anche il dio tricefalo gallico, rappresentato seduto in una posa da Buddha e caratterizzato dall'ornamento celtico per eccellenza, il torques, che è venerato nel Périgord, nel Saintonge, in Rouerge e nel Limousin, attesta la speranza celtica nella fecondità della terra e degli esseri umani. Tra i devoti di queste divinità indigene si ritrovano tutte le categorie sociali.
L'Aquitania non sfuggì alla moda dei culti orientali: intensi erano infatti i rapporti con i mercanti provenienti appunto dall'Oriente, e i contatti, attraverso i Treveri, con genti provenienti da zone di frontiera, dove tali credenze erano assai diffuse. Il più praticato fu il culto di Cibele, attestato a Bordeaux, a Périgueux, nel Comminges e in particolare a Lectoure, dove la decorazione degli altari taurobolici consente di seguire tutte le tappe della cerimonia rituale. La cronologia delle dediche dimostra che il culto di Cibele costituiva parte integrante del culto imperiale; tra i suoi devoti si trovano schiavi affrancati, liberi e persino un sacerdote provinciale del culto imperiale. Non mancano neppure le divinità egizie, mentre costituisce una recentissima novità la scoperta a Bordeaux di un mitreo con le relative statue culturali.
Neppure nel campo artistico viene meno la netta distinzione tra le due parti della provincia, l'una aquitana e l'altra celtica: si perpetuano, anche sotto questo aspetto, le influenze indigene, pur se, a seconda delle varie regioni, tale conservatorismo artistico assume sfumature diverse. Esso è particolarmente evidente nell'ambito della scultura, dal momento che l'Aquitania per quanto concerne urbanistica e architettura ha recepito i canoni romani. Soltanto i templi di tradizione celtica valgono a sfumare questa immagine complessiva. Le stele a nicchia col busto del defunto sono un riflesso dell'influenza romana, così come l'adozione della moda delle varie acconciature ispirate dalla capitale, con la predominanza di un verismo che definisce una società provinciale. Alcuni ateliers più raffinati, peraltro, adottano l'idealizzazione dei modelli greci, cui si contrappongono le influenze nordiche e il realismo celtico. Nei distretti dei Pirenei i personaggi e gli animali stilizzati, disegnati rozzamente, ricordano i temi della pre-protostoria iberica sulle stele-casa e sulle stele discoidali. La vera originalità dell'arte aquitana risiede proprio in questa mescolanza di influssi giunti dal Mediterraneo e di fedeltà all'eredità celtica, che continua a perpetuarsi nella tradizione dei piloni funerarî.
Il trionfo del cristianesimo nei territori compresi tra la Loira e i Pirenei non è anteriore al IV secolo. Anche se in precedenza non mancano attestazioni della presenza di missionari o di conversioni isolate che hanno contribuito a creare piccole comunità, tutti gli elementi inducono a collocare in un momento abbastanza avanzato i primi successi della nuova religione. Gregorio di Tours data al regno di Decio l'invio da parte della sede romana dei primi vescovi evangelizzatori tra i quali Marziale a Limoges, Austromonacus tra gli Arverni, Ursino a Bourges ed Eutropio a Saintes. È stato peraltro spesso osservato che l'Aquitania non ha prodotto martiri durante le varie persecuzioni, in particolare durante quella di Diocleziano. La mancanza di martiri così come di persecutori, al punto che l'agiografia più tarda dovette ricorrere a quelli della vicina Spagna, è certamente dovuta alla mancanza di un adeguato numero di fedeli. Anche se si può riconoscere una cristiana in una giovane abitante di Treviri,
Domizia, nota da un'epigrafe di Bordeaux (CIL, XII, 633), e se ammettiamo che la sua inumazione nel 261 sia un documento dell'esistenza delle prime comunità cristiane a S della Loira, resta il fatto che gli unici tre nomi di vescovi sottoscrittori del concilio di Arles (dei Gabali, di Bordeaux e degli Elusati) dimostrano chiaramente che intorno al 314 i gruppi organizzati dotati di un pastore erano quanto meno rari.
Si deve dunque riferire al regno di Costantino l'organizzazione delle comunità cristiane e il loro sviluppo, da tale momento in poi assai rapido, a giudicare dal fatto che sotto Costanzo II si arrivò già a deporre il vescovo di Périgueux, Paternus, sospetto di professare l'eresia ariana. In questo periodo furono probabilmente erette le prime cattedrali, la cui antichità è comprovata dalla dediche, a S. Stefano a Bourges, Cahors, Limoges, Périgueux, a S. Giovanni Battista a Bazas, ecc. Le attestazioni di una diffusione in profondità della nuova religione sono peraltro ancora scarse, soprattutto tra le classi dominanti. Ai rari ritrovamenti di sarcofagi decorati (Aire-sur-l'Adour, Lucq-de-Béarn) corrisponde la devozione un po' forzata di Ausonio, che doveva essere comune a numerosi intellettuali, ancora sensibili alle attrattive del politeismo. Il progresso delle fede si accelera invece sensibilmente nella seconda metà del IV secolo. L'azione di grandi vescovi come S. Ilario di Poitiers, quella di S. Martino, la fondazione di Ligugé, sono altrettanti indizi del nuovo slancio impresso all'evangelizzazione e all'approfondimento dottrinale. Nello stesso tempo si moltiplicano le conversioni e i casi di impegno radicale, i cui esempi più illustri sono rappresentati da Sulpicio Severo e Paolino di Nola, mentre, d'altro lato, si registrano eccessi, quali l'eresia priscillianista che si diffonde persino nell'ambiente culturale di Bordeaux. Si tratta di esempi che attestano in maniera inconfutabile quanto il cristianesimo aquitano fosse divenuto ormai vigoroso alla vigilia delle invasioni germaniche, inserendosi perfettamente nella fioritura intellettuale, tipica del periodo. Il IV sec., grazie a tutta una rete di auditoria, il più celebre dei quali è, a partire da Costantino, quello di Burdigala, rappresenta un'epoca assai importante per l'unificazione della cultura e della religione in Aquitania. Il migliore esempio di questa evoluzione è costituito proprio da Ausonio, professore e grande proprietario.
A tale fioritura intellettuale corrisponde uno splendore artistico non meno alto, attestato dall'attività di artigiani e artisti. Se pur indubbiamente meno celebri dei grandi retori e degli studiosi di chiara fama, nondimeno anche essi diedero il loro contributo allo splendore della cultura aquitana: inventori della ceramica «à l'éponge» dell'area centro occidentale o della ceramica impressa «atlantica», creatori dei mosaici policromi nei quali si è riconosciuta una vera e propria «scuola di Aquitania», essi precedono, dal punto di vista cronologico, gli ultimi grandi marmorari che decoreranno i sarcofagi usciti dalle cave pirenaiche di Saint-Béat con i motivi vegetali e floreali che, spesso imitati dai mosaici o dalla ceramica decorata, hanno conferito intramontabile celebrità ai «sarcofagi di Aquitania».
Questa corrente letteraria e artistica, che diede grande lustro alla provincia, si prolungò per un secolo e oltre, in quanto al tempo di Fortunato e delle invasioni guascone, cioè alla fine del VI sec., ebbe inizio il declino lento, ma irrimediabile della cultura antica, che sino ad allora si era conservata immutata nel suo splendore.
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(J-P. Bost)
Germania Superior et Inferior. - Le provincie di Germania Superior e Germania Inferior si estendevano su un territorio oggi suddiviso tra Olanda, Germania, Francia e Svizzera. Fatta eccezione per la Svizzera, rimasta neutrale, gran parte delle regioni interessate ha subito le conseguenze della Seconda Guerra Mondiale e la ricerca archeologica è stata direttamente influenzata da tale circostanza. La ricostruzione, p.es., di quelle che furono le capitali provinciali romane, Magonza e Colonia, iniziata immediatamente dopo la fine del conflitto e intensificatasi nel corso degli anni '50 e '60, ha notevolmente limitato il campo di indagine degli archeologi in virtù della rapida attività edilizia. Tuttavia, una volta rimarginate le più gravi ferite provocate dalla guerra, è sorto un nuovo e crescente interesse nei confronti dell'antichità, consolidato dall'allestimento di mostre che hanno riscosso notevole successo: si può menzionare quella dedicata a I Romani sul Reno (Colonia 1967).
Lo studio delle provincie romane della Germania Superior e Inferior è ormai strettamente connesso alle attività di scavo condotte da parte della Archäologische Bodendenkmalpflege (Cura Archeologica dei Monumenti), la cui organizzazione peraltro riflette, a seconda del Land di pertinenza, punti di vista particolari, talvolta assai diversi.
I progressi compiuti dalla ricerca archeologica in entrambe queste provincie settentrionali dell'Impero Romano interessano una molteplicità di aspetti. Per gran parte delle tematiche oggetto di studio è impossibile operare una separazione tra archeologia, epigrafia e storia antica. In altri ambiti, p.es. gli scavi di insediamenti militari o di villae rusticae, si impone la necessità di una complessa collaborazione tra archeologi, paleobotanici, paleopatologi e altri specialisti.
Per quanto concerne la geografia di entrambe le provincie, si è ormai chiarito che la Germania Inferior non includeva il bacino della Schelda, né l'alto e medio corso della Mosa, e che è dunque da circoscrivere all'immediato entroterra del basso Reno. La fisionomia della Germania Superior dal canto suo risulta singolare, in quanto al bacino superiore del Reno, controllato dalle legioni di Magonza e di Strasburgo, venne aggiunta più a E la c.d. regione degli Agri Decumates; alla stessa provincia sono stati inoltre attribuiti territori situati più a S, quali la regione abitata dagli Helvetii celtici e il distretto gallico orientale di Besançon (Vesontio) e Langres.
La densità degli insediamenti nella vasta area compresa tra il Mare del Nord e le Alpi era già nell'antichità molto diversificata; va inoltre tenuto conto dei diversi livelli delle moderne ricerche nei vari paesi interessati.
Da un confronto tra l'attuale stato delle ricerche sugli insediamenti - p.es. le indagini olandesi sul territorio dei Caninefati e dei Baiavi o quelle tedesche su Arae Flaviae (Rottweil) - e la situazione del periodo precedente la guerra, emergono le complesse esigenze che si sono nel frattempo imposte alla ricerca archeologica sul terreno. Le idee della «Nuova Archeologia» (New Archaeology), formatesi in ambiente preistorico anglossassone, hanno avuto ben presto risonanza in Olanda più che in Germania e in Svizzera. Gran parte dei risultati conseguiti dalla ricerca archeologica negli insediamenti è ancora inedita: un quadro delle novità e dei problemi è dato tuttavia da trattazioni di carattere generale, comparse in una serie di aggiornate ed esaurienti pubblicazioni dedicate alla presenza romana nei territorî corrispondenti a varî Länder (Hessen, Baden-Württemberg, Nord Renania e Westfalia, Renania Palatinato) o all'odierna Svizzera.
Per quanto concerne la capitale della Germania Inferior, Colonia, si è potuto far luce su gran parte degli aspetti economici. A Magonza si è dato via via maggiore peso alla ricerca storica e topografica nella città della prima età imperiale, cioè della fase compresa tra Druso il Vecchio e i Flavii. L'unica colonia romana in territorio tedesco non obliterata da sovrastrutture moderne, salvata così per l'archeologia e per il pubblico, è Colonia Ulpia Traiana (Xanten); all'interno del Parco Archeologico di Xanten, la ricostruzione di alcuni edifici antichi (eseguita con tecniche anch'esse antiche, e avviata a conclusione di accurati scavi) illustra ai visitatori il compito dell'archeologia sul campo e dell'«archeologia sperimentale», nonché il loro ruolo sociale.
Relativamente alla fase iniziale dell'epoca romana, un ruolo centrale assume la problematica concernente il ruolo delle popolazioni indigene, in massima parte di origine celtica, in misura minore germanica. In merito a tale questione si possono trarre informazioni dall'onomastica, testimoniata nell'epigrafia, dalle usanze funerarie e dagli elementi dell'abbigliamento. D'altra parte, la fine dell'antichità (l'epoca tardo-antica e gli inizî del Medio Evo), in quanto periodo di crisi e fase di transizione, ha attratto negli ultimi anni un crescente interesse. All'epoca tardo-imperiale sono state dedicate alcune grandi esposizioni realizzate a Magonza, a Treviri e a Monaco.
Un altro importante campo di studio è rappresentato dai monumenti funerarî di epoca romana, includendo in tale categoria sia le grandi sepolture, sia singoli rilievi e sarcofagi. Negli ultimi anni, grazie alla pubblicazione di numerosi fascicoli del CSIR (Corpus Signorum Imperii Romani, v. bibliografia), ma anche grazie ad altri contributi, questo campo di indagine ha conosciuto notevoli progressi: si pensi soprattutto agli studi di H. Gabelmann. Di inestimabile importanza sono inoltre le numerose necropoli riportate alla luce da nuovi scavi che in gran parte attendono ancora di essere pubblicate, come invece è già stato fatto, in maniera esemplare, per la necropoli di Krefeld-Gellep da parte di R. Pirling; un lavoro analogo è in corso di completamento per le necropoli di Luxemburger Strasse, St. Severin e Jakobstrasse, Colonia. Le esportazioni romane e le necropoli germaniche costituiscono il principale obiettivo della ricerca nel territorio della Germania libera (riva destra del Reno). Si è riusciti nel frattempo a identificare con maggiore precisione una produzione originale germanica in campo metallurgico (armi, vasellame e altri oggetti) e a isolarla dalle copiose merci di importazione romana.
Gli studi dedicati agli aspetti militari proseguono con notevole intensità: sono anzi, possiamo dire, quelli portati avanti in maniera più costante e organica. Tre congressi internazionali sul limes hanno avuto luogo negli anni 1967, 1974 e 1984 in Germania e in Olanda. Come i colleghi inglesi, austriaci e ungheresi, gli studiosi di problematiche militari tedeschi, svizzeri e olandesi palesano orientamenti moderni, sia nelle dettagliate pubblicazioni di materiali che nelle interpretazioni di problemi di carattere generale (p.es. il sostentamento economico delle basi militari). La sequenza cronologica dei castra situati lungo i confini della Germania Inferior e Superior è chiaramente definita. Con la scoperta di due nuovi accampamenti legionari a Dangstetten e a Marktbreit, entrambi in Germania, si sono rapidamente accresciute le conoscenze sulla fase di occupazione all'epoca di Augusto e di Tiberio. Un ruolo di primaria importanza è svolto a tal riguardo anche dalla fotografia aerea. Il settore meglio indagato resta quello della ricerca sul limes.
Anche la realizzazione di corpora e cataloghi prosegue intensamente: si pensi alle statuette di bronzo (Kaufmann- Heinimann, Leibundgut, Menzel), o al CSIR la cui redazione è stata avviata negli anni '70. Anche in questo campo, oltre a questioni storico-artistiche, non si sono trascurati aspetti concernenti le scienze naturali: uno studio petrográfico è stato necessario alla soluzione del problema concernente la provenienza da Magonza stessa o dalla Lorena del tipo di pietra calcarea in cui sono realizzate le sculture del capoluogo (Stribrny, CSIR, Deutschland, 11, 8).
I numerosi gruppi di materiali e le analisi effettuate hanno consentito di considerare la questione della c.d. arte provinciale in maniera più articolata. È preferibile a tal proposito rinunciare a valutazioni estetiche, poiché tutte le manifestazioni della cultura materiale vanno interpretate alla luce di un insieme di aspetti stilistici, religiosi, economici, sociali e politici. Le notevoli differenze esistenti tra alcuni ritratti imperiali dalla Germania si spiegano alla luce non tanto di uno «stile provinciale» della Germania Superior, quanto delle particolari circostanze in cui queste immagini furono eseguite. La testa di bronzo del giovane Gordiano III riflette l'imbarazzo con cui un ritrattista, nell'anno 238 (probabilmente ispirandosi alle sole monete), dovette realizzare questa scultura per il piccolo castellum di Niederbieber, presso Coblenza; nella colossale testa di imperatore (Settimio Severo?), lavorata a rilievo e proveniente da Oberspay, a S di Coblenza, è evidente l'ingenua coscienza di sé e la mediocrità tecnica tipiche della plastica della Mosella dell'epoca del medio principato; la scultura in arenaria dell'imperatore Commodo, raffigurato come Ercole, proveniente dal castellum di Grinario (Köngen), presso Stoccarda, manifesta il latente sostrato celtico accompagnato da una caratteristica espressione decadente, che è invece da attribuire al modello ispiratore dell'immagine. Pertinente alla tematica in esame, infine, è una falera d'argento che raffigura Tiberio non ancora come princeps, ma come legatus in armi. Questa falera si era conservata per 250 anni: faceva parte infatti di un'insegna sepolta insieme con il signifer, morto nel 260 d.C. nel castello di Niederbieber in occasione dell'assalto dei Franchi.
Notevoli progressi hanno registrato le analisi riguardanti globalmente alcuni gruppi di materiali: è il caso, p.es., delle terrecotte raffiguranti la Dea Madre (Schauerte, 1985) 0, in campo militare, delle armi da parata e degli elmi. Per quanto concerne la scultura, è stato pubblicato lo studio sulle colonne di Giove (Bauchhenss e Noelke), mentre nel campo della ceramica il metodo dell'esame «globale» viene praticato da molto tempo e con buoni risultati, come testimoniano le pubblicazioni sulla Sigillata (p.es. Pferdehirt; Schnurbein) o sulla produzione di Wetterau (Rupp).
Nel lungo periodo di crisi compreso tra il tardo II sec. e gli inizî del Medioevo, le provincie settentrionali divennero una riserva di depositi monetari. Lungo tutto quest'arco di tempo, e soprattutto nel III sec., alla terra furono affidati tesori che successivamente non fu più possibile recuperare. I tesori monetari di epoca tardo-antica sono ormai divenuti un campo di studio specifico; tra quelli in argento, il deposito di Kaiseraugst ha assunto un ruolo preminente (Cahn e Kaufmann-Heinimann), ma bisogna ricordare che fa parte di una serie assai nutrita. Particolarmente interessanti sono i circa mille pezzi in bronzo e ferro rinvenuti nella valle del Reno, presso Neupotz, nel Palatinato, bottino di un saccheggio effettuato dai Germani in Gallia nel 275-277.
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(E. Künzl)
PROVINCIE IBERICHE. - Le p. r. comprese nel territorio della penisola iberica sono la Hispania Citerior o Tarraconensis (v. vol. VII, p. 623), che nella riforma dioclezianea fu divisa in due provincie minori; la Hispania Ulterior o Baetica (v. vol. I, p. 958); e la Lusitania (v. vol. IV, p. 739). Nel III sec. d.C., la Asturia et Callaecia si costituì in provincia autonoma.
Hispania Tarraconensis. - L'estensione della provincia - dal Cantabrico fino alle sorgenti del Guadalquivir e dall'Oceano fino al Mediterraneo - e la varietà di popoli e tradizioni socio-culturali ne rendono difficile una visione d'insieme. Per quanto riguarda le culture preromane, si può operare una distinzione tra popoli iberici che si affacciano sul mare e popoli celtiberici dell'interno. I primi, che avevano avuto rapporti con gli insediamenti greci, fenici e punici (Ibiza, Carthago Nova, ecc.), svilupparono una ricca cultura figurativa, specie per quanto riguarda la scultura. I popoli celtiberici e i popoli celti della zona occidentale e settentrionale della penisola iberica sono caratterizzati da una cultura artistica prevalentemente non figurativa, priva di spunti narrativi e volta principalmente ai prodotti di lusso con uno spiccato gusto ornamentale. Lo sviluppo delle ricerche nell'ultimo ventennio ha confermato questa diversa impostazione, e ha meglio chiarito le lontane origini della scultura iberica che si era voluta riportare (García y Bellido) a età romana. Ritrovamenti come il monumento di «Pozo Moro» consentono di far risalire i più antichi monumenti della scultura iberica all'inizio del V sec. a.C.
L'aspetto politico e amministrativo della provincia venne definito sotto Augusto. Il territorio fu diviso in conventus (Tarraconensis, Carthaginensis, Caesaraugustanus, Cluniensis, Lucensis, Bracarensis e Asturum) denominati secondo i capoluoghi, senza riferimento alle precedenti divisioni etniche o tribali.
Nell'ultimo ventennio hanno avuto notevole impulso gli studi sull'età repubblicana, non soltanto dal punto di vista della «romanizzazione» giuridica, ma anche per quanto concerne le opere pubbliche, lo sfruttamento agrario e la produzione artistica, con particolare riferimento alla scultura.
Alla fine del II sec. a.C. esistevano una via, attestata anche dal ritrovamento di alcuni miliari, che univa Ausae Aquae Calidae (Caldes de Montbul, Barcellona) con la Via Domizia, e un'altra tra Tarraco e Ilerda (con il ponte in muratura) che probabilmente giungeva fino a Osca. Vicino alla prima, a Malia (Barcellona), sono stati riconosciuti resti di un monumento funerario e altre sculture, non soltanto ritratti, che hanno il loro equivalente nelle zone mediterranee della Citerior. Una prima fase consisterebbe, secondo il termine proposto da Bianchi Bandinelli, in una scultura ibero-romana opera di scalpellini indigeni che aggiungono dettagli romani, come i nomi dei dedicanti e la veste del palliatus nel Cerro de los Santos: per il resto questa produzione è assolutamente iberica. Corrispondono a questo momento anche lo sviluppo architettonico del foro di Emporiae-Emporion e l'urbanistica ippodamea sia di questa città sia della piccola Baetulo, l'urbanistica a terrazze di Tarraco, l'organizzazione del foro di Sagunto o, nelle Baleari, il foro di Pollentia. Si aggiungano monumenti funerarî come quello di Malia, e la comparsa di una scultura in pietra locale vicina - nelle caratteristiche e nelle tendenze - alla scultura municipale dell'area medio-italica.
Le differenze che caratterizzano in età repubblicana le varie parti della provincia diventano in età imperiale ancora più spiccate. Malgrado lo sviluppo dell'urbanizzazione, e malgrado la concessione del diritto latino a numerose città, in genere, tramite la formula del Latium minus, queste particolarità persistono.
In età augustea la viabilità della provincia si sviluppa, per così dire, a ventaglio, con la vecchia strada dai Pirenei a Cadice e con raggi irregolari che uniscono le città dell'interno coi diversi capoluoghi dei conventus e questi con Tarraco e Carthago Nova. Contemporaneamente si svilupparono attrezzature portuali come quelle di Ampurias, fari come quello notevole e ben conservato di La Coruña, la Torre de Hercules. Probabilmente risale a età augustea l'acquedotto di Tarragona noto con il nome di Les Ferreras e, forse, quello di Sadaba (Saragozza). All'età di Nerva si data l'acquedotto di Segovia, senza dubbio uno dei capolavori dell'architettura romana in Spagna.
Lungo la Via Augusta si conservano l'arco sul ponte di Martorell, sul fiume Llobregat, opera augustea che sostituì un ponte più antico; l'arco di Bará, eseguito nella prima età imperiale e riadattato all'inizio del II sec. d.C.; l'arco di Cabanes (Castellón). Altre volte gli archi segnano il confine tra città e conventus, come probabilmente avviene nel caso di Medinaceli.
L'urbanistica di età imperiale sviluppò grandi complessi. A Tarragona (ν.) se ne conosce uno importantissimo, comprendente teatro, anfiteatro, terme, circo, foro (il c.d. foro provinciale), basilica, ma soprattutto il Tempio di Giove, in posizione dominante sull'altura centrale della città, paragonabile per rilevanza e per impianto al Tempio della Fortuna a Palestrina (un secondo foro, il «foro municipale», è nella città bassa); le stesse tendenze, per certi aspetti, sono da riconoscersi nella città di Bilbilis (v.).
Alcuni dei fori di età imperiale costituiscono lo sviluppo di impianti di età repubblicana ma altri, p.es. quello di Clunia, sorsero per la prima volta in età imperiale. In rapporto con i fori si trovano alcuni templi come quello di cui si è detto a Tarragona e il tempio imperiale di Barcellona. Si conosce un piccolo teatro giulio-claudio, a giudicare dalla decorazione della scena, a Tarragona; uno dei più notevoli della provincia si trova a Sagunto; pure notevole, per la sua posizione isolata nella Celtiberia, è quello di Clunia; un altro interessante teatro è a Saragozza. L'anfiteatro di maggiore capacità, benché molto rovinato, è quello di Tarragona. Del circo di Sagunto rimane solo il ricordo, mentre offre buone possibilità di studio quello esistente a Toledo. È possibile invece riconoscere solo il sito nel caso del circo di Calahorra, dove tuttavia si può ipotizzare un impianto urbanistico della città simile all'impianto di Tarragona.
Modesti i numerosi impianti termali finora noti, come quelli delle cittadine di Aquae Voconis (Caldes de Mala- velia), Aquae Calidae (Caldes de Montbui), ecc. Molti appartengono a terme private (Ampurias) o a piccole terme cittadine (Badalona); altri, però, mostrano un notevole sviluppo, come quello di Lugo, non ancora adeguatamente indagato.
Si conoscono molti monumenti funerari nelle vicinanze delle città; in genere sono turriformi, qualcuno di pianta circolare («Torrerodona»), altri in forma di ara monumentale (Barcellona), ancora nella vecchia tradizione repubblicana con fregio dorico.
Nell'architettura domestica sono presenti sia il tipo di casa ad atrio e peristilio (Ampurias, Badalona), sia la casa a cortile porticato, ma è incerta l'esistenza di grandi insulae, benché si riconoscano file di tabernae, come a Tarragona nelle vicinanze del foro municipale. La stessa varietà si avverte nell'architettura rurale, quantunque, nell'ambito dei casi finora noti, prevalgano le ville-palazzo di campagna del Basso Impero, munite di ricchi mosaici (Pedrosa de la Vega, Carranque, Cuevas de Soria, ecc.).
Per quanto riguarda la scultura, si conosce l'esistenza di una bottega produttrice di ritratti a Barcellona, ma ne dovevano esistere altre in città come Tarragona, da dove provengono numerose e notevoli opere. I ritratti di Barcellona sono caratterizzati da iconografie, nonché da un certo compiacimento per i il «non finito», che riportano al gusto romano della metà del I sec. a.C. Il periodo giulio-claudio offre ritratti imperiali di notevole finezza, come la Livia di Tarragona o l'Agrippina Minore di Barcellona. Quanto ai ritratti di privati di età imperiale, essi sono piuttosto frequenti in età giulio-claudia, mentre il loro numero diminuisce progressivamente fino quasi a scomparire nel III sec. d.C., quando sono sostituiti forse dai ritratti sui sarcofagi. Nei ritratti giulio-claudî si mantengono elementi di tradizione repubblicana.
Per quanto riguarda le statue di culto, quelle conosciute sono in genere relative al culto domestico. Le grandi statue scarseggiano; un esempio notevole è la testa di Atena trovata a Tarragona insieme con altre appartenenti a un collegio. Frammenti bronzei di statue di imperatori sono stati trovati a Tiermes, resti di una statua equestre di Tiberio a Huesca (Osca) e nell'accampamento di auxilia a Rosinos de Vidriales. Altre volte si tratta di copie di statue greche, e rimane il dubbio se fossero oggetto di culto o di collezionismo d'arte. Questo è il caso della variante del Satiro versante prassitelico trovata a Tarragona, dell'Eros di Thespies a Pollentia (sulla costa settentrionale di Maiorca), delle varie statue di Muse a Cartagena, Sagunto, ecc. Si riscontra nella Citerior uno speciale interesse per la scultura ellenistica, mentre mancano le opere arcaistiche. Il piccolo Ercole in lotta con le anatre di Tarragona è inquadrabile nell'ambito del c.d. Rococò. Un pezzo di particolare interesse è il fanciullo etiope in bronzo di Tarragona, che rientra in quel particolare tipo (usato nei grandi pranzi) di statue raffiguranti servi mescolate tra la folla dei servi vivi.
La scultura funeraria offre un panorama variegato. Scarseggiano le stele con ritratto, che però a volte sembrano riecheggiate in certe raffigurazioni nell'interno della provincia; delle stele «a edicola», invece, resta qualche eco nella scultura del Nord- Ovest della penisola iberica. Questo mondo delle stele funerarie nelle aree di tradizione celtica costituisce talvolta il riflesso provinciale dell'arte colta. Una stele di Vigo sembra in qualche modo collegabile con il ben noto gruppo di Lara de los Infantes: essa mostra una scena di banchetto eseguita (come è frequente nelle stele di calcare) con una tecnica di lavorazione che ricorda quella del legno; il rilievo è appiattito, eseguito in maniera quasi disegnativa; lo scalpellino mostra la sua perizia nell'ornamentazione vegetale o geometrica.
I sarcofagi, tranne un paio di pezzi eseguiti da bottega attica rinvenuti a Tarragona, sono importati da officine romane: si datano in genere fra metà del II e fine del III sec. d.C. Molti vennero riadoperati nel Medioevo come tombe di famiglie regali, o comunque di personaggi ragguardevoli. Per ragioni di trasporto i sarcofagi (quando non si tratta di riutilizzazioni medioevali) sono testimoniati nelle vicinanze delle città costiere o non lontano dai fiumi navigabili.
Non si hanno resti particolarmente significativi della pittura parietale. Benché i modelli di riferimento debbano cercarsi in tutti e quattro gli stili pompeiani, i reperti più abbondanti sono imitazioni di crustae marmoree. Esempî di candelabri compaiono ad Ampurias e ad Astorga. Tra le scene figurate merita di essere ricordata la pittura del sacello di Nemesi nell'anfiteatro di Tarragona. Un all-over pattern si trova nella decorazione pittorica di Santa Eulalia de Bóveda (Lugo).
Per quanto riguarda le decorazioni pavimentali, sono numerosi gli esempî di opus signinum si trovano, con iscrizioni che recano formule di saluto in greco, ad Ampurias in età repubblicana. In genere si riconoscono in diverse località della valle dell'Ebro fino a Navarra. A Baetulo compaiono pavimenti di tessellato in bianco e nero; sono abbondanti anche nella città e contea di Cartagena. Pavimenti in opus sectile si ritrovano ad Ampurias, Badalona, Barcellona, Tarragona e Sagunto e sono databili tra il I sec. d.C. e il Basso Impero. Sono noti anche emblèmata in pietra o su tegoloni. I più antichi sono quelli di Ampurias, con un repertorio (pesci, gazza ladra, maschere) simile a quello di Pompei, ma anche con pezzi unici come il mosaico del sacrificio d'Ifigenia. Sono di età severiana quelli di Tarragona con la Medusa e Ulisse nella grotta di Polifemo.
Al contrario dell'Africa del Nord, la Citerior mostra una certa abbondanza di mosaici figurati, in bianco e nero: frequente è il tema del thìasos marino. Alla fine del II e nel III sec. troviamo mosaici eseguiti da artigiani provenienti dall'Oriente romano, ma il mosaico policromo è avvicinabile, per lo più, a quello africano, benché la scelta dei soggetti sia alle volte ben diversa. I soggetti preferiti sono quelli mitologici, scene di caccia e di circo, rappresentazioni delle stagioni o episodi del ciclo troiano (Caranche, Pedrosa de la Vega).
La tradizione pre-romana di oreficeria probabilmente permane e anzi si rivela alla base di alcuni modelli e ornamenti, come forse nel caso di una patera con dedica a una divinità delle sorgenti rinvenuta in un piccolo sito della Cantabria, la Salus Umeritana, anche se non è escluso che si tratti di un pezzo importato.
Riguardo alla ceramica, oltre alla presenza di vasi estrusco-campani a vernice nera, durante l'impero troviamo fabbriche in diversi centri: il più notevole sembra essere nei dintorni dell'odierna Tricio (Rioja), con una produzione di terra sigillata che si prolunga fino al Basso Impero. È testimoniata in alcune regioni mediterranee l'imitazione della terra sigillata africana. Per la produzione minore vanno ricordate le officine di lucerne, di vasi invetriati, nonché di anfore per vino, olio e garum.
I sarcofagi cristiani cominciano a diffondersi in età tetrarchica e in gran parte provengono da officine romane; soprattutto nella seconda metà del IV sec., però, si hanno numerosi esemplari prodotti da botteghe locali come a Tarragona. I primi edifici di culto compaiono a Elche; da ricordare anche i martyria di Marialba (Leon), La Alberca (Murica) e mausolei come quelli di Puebalnueva (Toledo) e «Centcelles» (Tarragona).
Bibl.: In generale: F. Jordâ, J. M. Blázquez, A. Blanco, Historia del arte hispánico, I, 1-2. La antigüedad, Madrid 1981; M. Bendala (ed.), Historia de España y America, I-II, Madrid 1987.
Arte greca: J. Barberà, E. Samarti, Arte griego en España, Barcellona 1987. Cultura e arte iberica, G. Nicolini, Les Ibères. Art et dvilisation, Parigi 1973; A. García y Bellido, Arte ibèrico en España, Madrid 1980; AA.VV., La baja época de la cultura ibèrica. Madrid 1979, Madrid 1981; M. T. Chapa, La escultura zoomorfa ibèrica, Madrid 1985; E. Cuadrado, La necrópolis de El Cigarralejo, Madrid 1986; G. A. González-Navarrete, Escultura ibèrica, Madrid 1987; AA.VV., Escultura ibèrica del Cerrillo Blanco, Porcuna, Jaén, Jaén 1987.
Età romana: A. García y Bellido, Esculturas romanas de España y Portugal, Madrid 1949; A. Balil, Casa y urbanismo en la España antigua, I-IV, Santiago de Compostela 1972-1974; C. Fernández-Casado, Puentes romanos de España, Madrid 1973; J. A. Abásolo, Epigrafía romana de la región de Lara de los Infantes, Burgos 1974; A. Balil, Esculturas romanas de la Península Ibérica, I-VII, Val- ladolid 1978-1986; M. C. Fernández-Castro, Villas romanas en España, Madrid 1982; L. Abad Casal, La pintura romana en España, Alicante 1982; D. Fernández- Galiano Ruiz, Mosáicos romanos del Convento Cesaragustano, Saragozza 1987.
Monumenti cristiani P. de Palol, Arquelogía cristiana de la España romana y visigoda, Valladolid 1967; M. de Sotomayor, Sarcófagos romano-cristianos de España. Estudio iconográfico, Granada 1975; H. Schlunk, Th. Hauschild, Híspanla antiqua. Die Denkmäler der frühchristlichen und westgotischen Zeit, Ma gonzaI978.
(A. Balil)
Baetica . - I limiti della provincia possono precisarsi, nelle loro oscillazioni, grazie alle notizie di Plinio, di Strabone e di vari altri autori. Non mancano, però, problemi di dettaglio. Anche la fonte antica più precisa, e cioè un passo di Plinio (Nat. hist.,III, 17), tradisce qualche insicurezza nel riferire i mutamenti subiti dalle linee di confine: uno, comunque, consiste nel passaggio alla Tarraconensis delle città di Urei e di Castulo, e si data tra il 7 e il 2 a.C., e cioè poco dopo il riassetto delle provincie attuato da Augusto. Certamente quest'ultimo aveva intenzione di tenere sotto il suo diretto controllo, in una provincia «imperiale» com'era appunto la Tarraconensis, i ricchi bacini minerari del settore trasferito.
Non a caso, la provincia prende il nome da quella che era la sua «colonna vertebrale», il fiume Baetis (Guadalquivir); del resto, il nome più antico dello stesso fiume, Tartessos, è stato utilizzato per indicare la celebre civiltà protostorica andalusa. Nell'ambiente geografico dominato dal Baetis si sviluppò una fiorente vita urbana, favorita dalla combinazione di varie circostanze fortunate, vivamente sottolineate da Strabone (III, 2, 3-4): notevole era soprattutto la portata del traffico fluviale, con possibilità di risalita su grandi battelli fino a Hispalis (Siviglia), su imbarcazioni più piccole fino a Ilipia (Alcalá del Rio) e su barche di sponda fino a Corduba; da questo punto - benché si possa proseguire un poco più a monte - fino a Castulo il fiume cessa di essere navigabile.
Fra le risorse del territorio possiamo ricordare, p.es. l'argento della regione di Castulo stessa, il minio di Sisapo, il piombo argentifero di La Loba presso Fuenteovejuna (Cordova); o - per quanto riguarda l'agricoltura - il grano, il vino e soprattutto l'olio, esportato in notevolissime quantità a Roma e in altre aree del mondo romano. Sulle rive settentrionali gli insediamenti sorgono presso il fiume stesso, sulle alture che costituiscono le ultime propaggini della Sierra Morena (Corduba, Italica, Arva, ecc.); su quelle meridionali, piatte e soggette a piene, gli abitati si trovano più lontani (Carmo, Astigi), con l'eccezione di Hispalis (Siviglia) - posta peraltro su un modesto rilievo - che era l'ultimo approdo a cui si poteva giungere con grandi imbarcazioni.
Collegata al fiume è la Via Augusta, arteria principale di comunicazione della Spagna antica. Erede della Heraklea, nel suo tratto betico passa a fianco del Guadalquivir, con andamento parallelo al suo corso, per collegare alcune delle città situate a S di questo, come le già ricordate Carmo e Astigi, o anche scavalcandolo in alami punti. Documentata in maniera particolareggiata nei vasi di Vicarello (CIL, ΧΙ, 3281-3284), la Via Augusta parte da Gades, segue la linea del Baetis e, successivamente, il percorso che, costeggiando il Mediterraneo, conduceva fino a Roma. Era l'itinerario dell'organizzazione ufficiale romana che attraversava tutti i centri amministrativi della Baetica: Corduba, capitale nonché sede centrale di uno dei quattro conventus della provincia, e i capoluoghi degli altri tre (Gades, Hispalis e Astigi). Nel punto in cui la via incrociava la linea di confine con la Tarraconensis venne eretto un arco - lo Ianus Augustus - menzionato in numerosi miliari (p.es. CIL, II, 4721: ab arcu unde incipit Baetica). L'arco, costruito in età augustea ed espressione, insieme con altre testimonianze, dell'interesse che il primo imperatore manifestò per l'apprestamento della via, doveva ergersi all'ingresso o su una rampa di un ponte sopra il Baetis (ab Iano Augusto qui est ad Baetem, CIL, II, 4717), sicuramente non lontano da Mengibar (Jaén).
Gades, punto terminale della Via Augusta, si trova sulla costa: ne costituisce anzi un punto focale. L'insediamento portuale dove era stata in precedenza impiantata l'antica colonia fenicia Gadir diverrà in epoca romana, secondo Strabone (III, 4,5), una delle principali città dell'impero. Rispetto all'antichità, la linea di costa ha subito notevoli trasformazioni dovute, tra l'altro, all'intensivo disboscamento dell'interno, causa di grandi alluvioni. Attualmente si sta procedendo alla ricostruzione del tracciato antico della costa stessa, attraverso studi geoarcheologici dai risultati molto interessanti: si è ricostruita almeno in parte la paleotopografia di questa zona, così mutata nel tempo, alle foci del Guadalquivir, individuando l'assetto del Lacus Ligustinus e, in particolare, quello che era il paesaggio insulare di Gadir con la localizzazione della città fenicia e di quella romana di Balbo; si è stabilito che buona parte degli insediamenti fenici della costa mediterranea non era situata su fiumi, ma piuttosto su lagune o invasi marini che ne facilitavano l'impianto e il contatto con il mare e l'entroterra. Questo studio permetterà di approfondire le conoscenze di un'attività che costituì un altro dei principali supporti economici della Baetica: lo sviluppo delle pescherie e la preparazione di salamoie e di altri derivati della pesca.
Il livello di urbanizzazione della Baetica era molto avanzato quando questa passò nelle mani dei Romani, ai quali furono sufficienti solo poche iniziative per adattare alle proprie esigenze la struttura ereditata: a Gadir, a Carmo, a Hispalis e in altri siti l'impronta della civiltà punica perdurerà a lungo. La colonizzazione romana si sovrappose, in generale, ai nuclei preromani, sia quella del periodo più antico (Italica, nel 206 a.C.; Carteia, nel 171 a.C.; Corduba tra il 169 e il 152 a.C.), sia quella, di maggior peso, promossa da Cesare e da Augusto; non risulta dunque strano che, significativamente, i toponimi antichi prevalgano su quelli romani. Sono cesariane le seguenti colonie: Genitiva Iulia Urbanorum Urso (Osuna, Siviglia), Iulia Romula Hispal (Siviglia), Ituci Virtus Iulia (presso Baena, Cordova), Ucubi Claritas Iulia (Espejo, Cordova), Hasta Regia (presso Jerez, Cadice) e Iulia Gemella Acci (Guadix, Granada); augustee: Augusta Firma Astigi (Écija, Siviglia), Caesarina Augusta Asido (Medina Sidonia, Cadice), Onoba Aestuaria (Huelva), Iulia Traducta (Tarifa, Cadice), Nabrissa (Lebrija, Siviglia), Iptuci (presso Arcos de la Frontera, Cadice), Tucci Augusta Gemella (Martos, Jaén) e Ugia (Torres Alocaz, Siviglia). Secondo Plinio nella Baetica si trovavano 175 città (la più alta concentrazione delle provincie iberiche), delle quali 9 erano colonie, 10 municipi di diritto romano, 27 di diritto latino antico, 6 libere, 3 federate e 120 stipendiane (Nat. hist., III, 7). L'ultima colonia, per concessione di Adriano, fu Italica, destinata peraltro ad assumere grande rilevanza in quanto città natale dell'imperatore e del suo precedessore Traiano.
Per la conoscenza dell'organizzazione delle città della Baetica (e di tutto l'impero) si può contare sulla precisa documentazione che offrono le tavole bronzee con le leggi di Urso, Salpensa e Malaca, e frammenti minori di altre. A queste si può aggiungere il recente rinvenimento di nuove tavole del massimo interesse che contengono le leggi municipali di una città finora sconosciuta, il Municipium Flavium Irnitanum (Irni), situata sulla collina denominata Molino del Postero, nel circondario di Algámitas, in provincia di Siviglia. Benché di carattere diverso vanno anche ricordati, per il loro interesse, i frammenti della Tabula Siarensis (del municipium di Siarum) con i provvedimenti per le onoranze funebri di Germanico, parzialmente noti finora da documenti come la Tabula Hebana.
Bibl.: R. Thouvenot, Essai sur la province romaine de Bétique, Parigi 1940 (nuova ed., con aggiunta di un'appendice, 1973); A. García y Bellido, Las colonias romanas de Hispania, in Anuario de Historia del Derecho Español, XXIX, 1959, pp. 447-515; L. García Iglesias, La Beturia, un problema geográfico de la Hispania antigua, in AEsp, XLIV, 1971, p. 86 ss.; id., El Guadiana y los límites comunes de la Bética y Lusitania, in HispAnt, II, 1972, p. 165 ss.; A. Tovar, Iberische Landeskunde, I. Baetica, Baden Baden 1974; L. Abad Casal, El Guadalquivir, via fluvial romana, Siviglia 1975; J. M. Roldân Hervâs, Itineraria Hispana, Valladolid-Granada 1975; A. Blanco Freijeiro, R. Corso Sánchez, El urbanismo romano de la Bética, in Ciudades augusteas de Hispania, I, Saragozza 1976, p. 137 ss.; P. Sillières, La Via Augusta de Cordove à Cadix, in MélCasaVelazquez, XII, 1976, p. 27 ss.; R. Menéndez Pidal (ed.), Historia de España, II, 1-2. España romana, Madrid 1982; M. Bendala, La Antigüedad, in Historia de Andalucía, I, Barcellona 1980, p. 79 ss.; J. Gonzàles, The Lex Irnitana: a New Flavian Municipal Law, in JRS, LXXXVI, 1986, p. 147 ss.; M. Bendala, C. Fernández Ochoa, A. Fuentes, L. Abad, Aproximación al urbanismo prerromano y a los fenómenos de transición y de potenciación tras la conquista, in Los asentamientos ibéricos ante la romanización, Madrid 1987, p. 121 ss.; J. González, J. Arce (ed.), Estudios sobre la Tabula Siarensis (AEsp, Suppl. 9), Madrid 1988.
(M. Bendala Galán)
Lusitania. - Negli ultimi anni sono stati approntati nuovi strumenti per lo studio delle fonti epigrafiche: l'opera di J. de Encarnação raccoglie tutta l'epigrafia romana del Sud del Portogallo; si è iniziata nel 1982 la pubblicazione del Ficheiro Epigráfico, rivista che ha già presentato numerose iscrizioni inedite. Contemporaneamente sono proseguiti (per la parte portoghese) i lavori preparatori della riedizione del CIL, II. Fra le iscrizioni recentemente scoperte, una delle più importanti è la lapide funeraria di L. Cornelius Mitulus, databile alla prima metà del I sec. a.C.; è l'iscrizione più antica ritrovata finora in Portogallo.
Nella zona di Castro Verde, negli ultimi anni sono state riconosciute e parzialmente scavate varie ville fortificate, il cui insediamento sembra datarsi al secondo quarto del I sec. a.C. Corrispondono, probabilmente, a una colonizzazione sistematica del Sud del Portogallo promossa da Cesare: di dimensioni ridotte con aspetto di piccole fortezze, queste ville furono considerate da alcuni studiosi insediamenti militari romani, anche se per la verità niente giustificava la permanenza di cospicui contingenti militari in quest'area, che si poteva considerare pacificata dagli inizi del I sec. a.C. È stato J. Wahl, riesaminando il problema, a ritrovare parallelismi nell'Egeo e a interpretare questi insediamenti come villae. Queste sono insediate in terreni di scisto non particolarmente fertili, ed è probabile che fossero finalizzate non tanto all'agricoltura, quanto allo sfruttamento di piccoli filoni argentiferi.
In quest'epoca ancora non era stata fondata la città di Pax Iulia (attuale Beja), l'unica colonia della zona meridionale. La città più importante dell'area era Myrtilis Iulia (attuale Mértola), che ricevette il diritto latino probabilmente da Giulio Cesare. Negli ultimi anni - benché, per la verità, l'interesse degli archeologi si sia concentrato soprattutto sulle fasi islamiche - vi sono state anche notevoli scoperte relative all'epoca romana: fra queste, un criptoportico. I risultati di questi scavi sono ancora inediti.
Il periodo augusteo fu segnato da riforme amministrative e da un notevole sforzo di urbanizzazione. Definite le frontiere della provincia, forse tra il 16 e il 13 a.C., l'imperatore promosse la costituzione e la delimitazione di civitates. Ai tre termini augustales già conosciuti, tutti dell'epoca di Augusto, se ne aggiunge ora un altro scoperto in Peroviseu (Fundão), che delimita il territorio degli Igaeditani e dei Lancienses, nell'anno 4/5 d.C. Un'altra iscrizione di Augusto (23/21 a.C.), recentemente ritrovata ad Argomil (Pinhel), potrà ugualmente interpretarsi come terminus augustalis, anche se il formulario non è quello abituale. Nella maggior parte dei casi, antichi oppida sono stati scelti come città capitali e urbanisticamente rinnovati. L'unica città, però, in cui finora questo tipo di intervento urbanistico di Augusto è stato chiaramente testimoniato dall'evidenza archeologica è Conimbriga (v.), dove sono stati completamente riportati alla luce foro e terme, e dove sono stati compiuti studi stratigrafici e cronologici.
Non sempre però le città capitali furono insediate su antichi oppida: Pax lulia, Egitania (Idanha-a-Velha), Bobadela e Viseu sembra siano state fondate in luoghi fino ad allora disabitati o dove, perlomeno, non esistevano insediamenti importanti. Il nome di Pax lulia si può attribuire sia a Cesare sia ad Augusto: è possibile che la fondazione si debba a quest'ultimo, o almeno gli si deve attribuire (in base al recente recupero e alla reinterpretazione di un'iscrizione) la costruzione delle mura, con porte a mezzaluna, delle quali rimangono vestigia.
Di Egitania si sta studiando la notevole collezione epigrafica: la frequenza dei Norbani e Flacci nell'onomastica locale suggerisce una fondazione da parte di C. Norbanus Flaccus nel 35 o 34 a.C.
La città di Bobadela, il cui nome latino è sconosciuto, ma che un'iscrizione denomina splendidissima civitas, è attualmente in fase di scavo. È stato localizzato e parzialmente riportato alla luce l'anfiteatro, contiguo al foro, ma non si è ancora determinata la sua cronologia. È il primo anfiteatro romano scoperto in Portogallo; quello di Conimbriga è stato identificato, ma non ancora scavato. L'attività urbanistica promossa da Augusto non si è interrotta con i suoi successori. Il foro di Sellium (Tomar), anch'esso scoperto negli ultimi anni, attribuibile al primo quarto del I sec. d.C. (anche se non si può datare con maggiore precisione), presenta una basilica con corridoio di deambulazione interno e la faccia rivolta verso il foro completamente aperta. Da esso proviene una testa di Augusto, databile forse all'età di Tiberio, periodo al quale, probabilmente, risale la costruzione del monumento stesso.
Lo sforzo urbanistico del primo periodo dell'impero deve aver incontrato difficoltà finanziarie e tecniche, perché, anche se l'acculturazione degli indigeni è documentata dall'onomastica, la formazione di una borghesia locale sufficientemente ricca per poter pagare opere pubbliche deve essere stata lenta. La concessione a indigeni della cittadinanza romana da parte di Claudio, testimoniata dai Tiberii Claudii conosciuti in diverse sedi, potrà forse interpretarsi (almeno in qualche caso) come ricompensa a elementi di origine locale per il loro contributo, con propri fondi, alla monumentalizzazione delle città. È possibile che lo stesso Claudio abbia esteso ad alcune civitates lo statuto municipale: è questo il caso della città di Ammaia (S. Salvador de Aramenha). Il conferimento del diritto latino da parte di Vespasiano determinò un'altra considerevole riforma urbanistica della quale Conimbriga è ancora esempio: vi venne infatti eretto un nuovo foro e furono progettate nuove terme. Nell'epoca dei Flavi vennero creati i conventus. Probabilmente l'assegnazione del diritto latino portò a una riorganizzazione amministrativa, con la creazione di nuove civitates o concessione del diritto municipale a città che precedentemente non ne godevano, riorganizzazione che probabilmente proseguì anche con i successori dei Flavi: così si spiegherebbe un terminus Augustalis di Nerva, recentemente ritrovato a Goujoim (Armamar), che divideva il territorio dei Coilarni da quello degli Arabrigenses.
Tutte le civitates della Lusitania (almeno quelle comprese entro il territorio dell'attuale Portogallo) risulterebbero costituite entro la fine del I sec. d.C.-inizio del II: se ne conoscono almeno trenta, ed è probabile che ne esistessero altre tre o quattro, non ancora identificate.
A parte i casi già citati di Conimbriga, Myrtilis, Sellium e Bobadela, nell'ambito di tali civitates non si è finora scavato molto. A Ossonoba (Faro), uno dei porti principali della Lusitania, è stato scoperto nel 1976 un mosaico con la rappresentazione dell'Oceano: dedicato da quattro individui che potrebbero essere i quattuorviri della città o membri di un collegio religioso o professionale, pavimentava un edificio pubblico, la cui pianta però non si è potuta recuperare. Un altro porto è stato protagonista - almeno nel sec. I d.C. - di intensi traffici, e probabilmente è stato anche punto di sbarco di sigillata italica e sud-gallica: Salada (Alcácer do Sal). Ma le indagini recenti si sono concentrate più sulle fasi protostoriche che non su quelle romane. Meritano particolare attenzione gli scavi di Mirobriga (Santiago do Cacém) che hanno posto in luce fasi risalenti ai secc. IX-VIII a.C., ma hanno anche fornito importanti dati sulle origini di una città romana che nel Medioevo rimase deserta, e costituisce oggi uno dei principali siti archeologici del Portogallo. In particolare, è stato individuato un tempio attribuibile al IV sec. a.C., sono state definite l'urbanistica della città e la pianta del foro, e sono stati scoperti due impianti termali pubblici, il primo datato al I sec. d.C., l'altro al II.
Sono da segnalare anche alcune novità relative agli agglomerati urbani secondarî, vici e castella. Il ritrovamento dei livelli preromani e romani di Setùbal ha contribuito alla risoluzione dei dubbi sulla localizzazione di Caetobriga: l'ipotesi della sua collocazione a Setúbal stessa ne è uscita rinforzata. Si è trovato a Troia il più importante centro lusitano di preparazione di garum e di conserva di pesce, insediato nella prima metà del I sec. d.C. forse da ricchi possidenti della vicina città di Salacia; si è pure scoperta una necropoli con sepolture del tipo «a mensa», che testimonia contatti con l'Africa del Nord.
Numerosi gli scavi di villae, peraltro quasi sempre parziali: integrale si può considerare solo quello di S. Cucufate (Vidigueira). Situata nell'area di Pax lulia, questa villa fu insediata nel I sec. d.C. e ristrutturata nel II. In queste due prime fasi, la pianta adottata fu quella normale a peristilio. Durante il IV sec. la villa fu totalmente ricostruita, secondo uno schema «aulico», sopprimendo cioè il peristilio e sviluppando l'edificio in due piani, con il «piano nobile» superiore e il piano terra riservato a magazzini. Grazie all'insediamento di un monastero nei secc. XIII e XIV, la pars urbana si è conservata in magnifiche condizioni, costituendo uno dei migliori esempî, in tutto il mondo romano, di un tipo di sontuosa villa tardoantica, raffigurato, fra l'altro, in noti mosaici africani. Si devono anche ricordare gli scavi di Milreu (Faro), non lontano dalla già citata Ossonoba, dove d'altronde si riscontrano analogie con S. Cucufate: a Milreu, però, le trasformazioni del sec. IV non hanno alterato la pianta iniziale della villa, mantenendo il modello a peristilio.
Busti di Agrippina e Adriano, che sono venuti ad aggiungersi a un già noto ritratto di Gallieno, suggeriscono che quella di Milreu potesse essere la residenza di un ricchissimo proprietario di Ossonoba, o forse addirittura una villa di proprietà statale. A Villa Moura (Quarteira) e Villa Cardílio (Torres Novas) proseguono gli scavi di altre villae che attestano, come S. Cucufate e Milreu, l'opulenza delle residenze rurali lusitane del IV sec. d.C.
Per quanto riguarda le attività economiche e produttive, si devono evidenziare le scoperte di fornaci di anfore nel corso inferiore dei fiumi Tago e Sado. La produzione di anfore sembra sia servita particolarmente all'industria del garum, molto attiva in quest'area.
Numerose iscrizioni ultimamente scoperte hanno rivelato nuove divinità, o fornito ulteriori indicazioni su divinità già note. Alcune iscrizioni del II e III sec. d.C. recano dediche a divinità indigene. Ciò significa che i culti indigeni, accettati come al solito fin dall'inizio dai Romani, hanno assunto nel II e III sec. rituali classici, soprattutto nell'adozione di templi e are. Fra i culti classici, il più frequente è quello di Iuppiter Optimus Maximus, nettamente concentrato nelle civitates, dove il culto imperiale non venne introdotto.
Per quanto riguarda la porzione di Lusitania compresa nell'attuale Spagna (le situazioni fin qui passate in rassegna, infatti, sono pertinenti al territorio compreso nell'attuale Portogallo), v. soprattutto merida.
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(J. De Alarcão)
BRITANNIA (v. vol. II, p. 176). - Successivamente alle spedizioni di Cesare del 55 e 54 a.C., la Gran Bretagna meridionale (nel territorio precedentemente detto Albion, abitato allora dai Britanni o Brittones) fu occupata nel 43 d.C. con la vittoria riportata sugli eredi del re Cunobelinus (10-40 d.C. circa) da A. Plauzio. L'imperatore Claudio trascorse in Britannia 16 giorni e assistette alla resa di 11 re britannici a Camulodunum (Colchester), celebrata nell'arco di trionfo eretto a Roma (ILS, 216), ma oggi non più visibile.
La vittoria di Claudio su una personificazione femminile della Britannia è rappresentata in un rilievo del Sebastèion di Afrodisiade in Asia. Quando fu organizzata per la prima volta, nel 47 d.C., la provincia comprendeva l'area a S e a E dei fiumi Sabrina (Severn) e Trisantona (Trent), con l'eccezione, probabilmente, del regno cliente di Ti. Claudius Cogidubnus, rex magnus Brit(anniae), che sopravvisse fino in epoca flavia (RIB, 91 e Britannia, X, 1979, p. 243). Estorsioni e cattiva amministrazione da parte romana provocarono la rivolta scoppiata nel 60 d.C. sotto la guida di Boudicca, regina degli Iceni, che portò alla distruzione della colonia romana a Camulodunum, del municipio di Verulamium e del centro commerciale di Londinium (Tac., Ann., XIV, 29-38). Nonostante ciò si assistette a una rapida espansione del controllo romano sul Galles e, verso N, fino in Scozia, culminante nella vittoria di Giulio Agricola a mons Graupius, corrispondente forse all'attuale Bennachie nell'Aberdeenshire (Britannia, IX, 1978, p. 271), nell'83 o nell'84 d.C. (Tac., Agr., 29-38). Il piano della conquista totale della Britannia appare ormai superato e abbandonato (Tac., Hist., 1, 2: «perdomita Britannia et statim missa») all'epoca della visita di Adriano nel 122 d.C., quando si decise di far passare la linea di frontiera segnata dal Vallo (v. vallo di adriano) attraverso la Britannia settentrionale, tra gli estuari dei fiumi Tyne e Solway, con l'intento di separare il territorio romano da quello barbarico (SHA, Hadr., XI). Nei primi anni del regno di Antonino Pio, essa fu sostituita da una frontiera che correva più a N, tra il Forth e il Clyde, nella Scozia centrale: il Vallo di Antonino. Sembra ora si possa affermare che all'inizio del governo di Marco Aurelio le guarnigioni furono ritirate dalla Scozia e che il Vallo di Adriano fu ripristinato quale linea di frontiera settentrionale della provincia per il resto del periodo romano. Le difese settentrionali della provincia furono rinforzate durante e dopo le campagne di Settimio Severo contro i Maeatae e i Caledonii tra il 208 e il 211, anno della sua morte a Eboracum. Dopo aver debellato gli «imperatori usurpatori» Carausio e Alletto, nel 296 il Cesare Costanzo sconfisse i Picti e ripristinò le difese settentrionali della provincia (RIB, 1912). Nel 360 vi furono ulteriori agitazioni, mentre nel 367 ancora più disastrosi furono gli effetti causati da una barbarica conspiratio (Amm. Marc., XXVII, 8) cui presero parte i Picti da N, gli Atacotti e gli Scoti dall'Irlanda e probabilmente i Sassoni, provenienti dalle terre al di là del Mar del Nord. Gli invasori furono sconfitti e la provincia restaurata dal comes Teodosio, padre del futuro imperatore. Non si è certi se la frontiera settentrionale sia sopravvissuta in seguito al ritiro delle forze di Magnus Maximus nel 383. In effetti la Britannia fu tagliata dal resto dell'impero in conseguenza dell'invasione germanica della Gallia, verificatasi agli inizî del V sec. d.C.: a partire dal 410 l'isola era ormai fuori dall'effettivo controllo romano e la Britannia romana aveva ormai cessato di esistere.
Per quasi due secoli la provincia fu governata da un legatus Augusti pro praetore provinciae Britanniae di rango consolare, la cui residenza principale fu Londinium. Durante il regno di Settimio Severo la provincia fu divisa in Britannia Superior e Britannia Inferior con una linea di confine che faceva ricadere Deva (V. CHESTER) nella prima e Lindum (Lincoln) nella seconda. Nel corso degli ultimi decenni del III sec. i legati di rango senatorio furono sostituiti da praesides di rango equestre. In seguito alle riforme di Diocleziano, la Britannia fu suddivisa in quattro provincie, ognuna amministrata da un praeses, raggruppate in una diócesis controllata da un rappresentante (vicarius) di uno dei prefetti del pretorio, residente probabilmente a Londinium (v. Londra). A partire dal 312-314, le provincie furono Britannia Prima (capitale Corinium) e Maxima Caesariensis (capitale Londinium, allora denominata Caesarea e più tardi Augusta), ricavate dalla Britannia Superior, e Britannia Secunda (con capitale a Eboracum) e Flavia Caesariensis (capitale Lindum), ricavate dalla Britannia Inferior. Nel 369 il comes Teodosio fondò inoltre Valentia in una nuova provincia così denominata in onore degli imperatori, con capitale forse a Luguvalium (v. Carlisle).
La prima zecca fu fondata a Londra da Carausio (286- 293 d.C.) e continuò a funzionare fino al 325-326 d.C.
L'esercito della Britannia fu costituito da quattro legioni fino all'86 d.C. circa, epoca in cui esse furono ridotte a tre. In occasione dell'invasione Claudia del 43 d.C., giunsero in Britannia la Legio II Augusta, la IX Hispana, la XIV Gemina Martia victrix e la XX Valeria victrix. La XIV lasciò la provincia nel 70, per essere sostituita dalla II Adiutrix, a sua volta trasferita sul Danubio intorno all'86 d.C.; la IX Hispana fu sostituita nel 122 dalla VI Victrix.
Nella Gran Bretagna meridionale sono stati identificati numerosi castra legionari di epoca claudio-neroniana, tra i quali Camulodunum (v. colchester: Legio XX, 43-48 d.C.), Isca (v. exeter: Legio II Augusta? c.a 55-66), Glevum (v. Gloucester: Legio XX, 48-66 d.C.; Legio II, c.a 66-75 d.C.?), Burrium (Usk: Legio XX, 56-66 d.C.?), Viroconium (Wroxeter: Legio XIV, c.a 56-65 d.C.; Legio XX, ca 66-88 d.C.) e Lindum (Lincoln: Legio IX, c.a 66-71 d.C., Legio II Adiutrix, 71-78 d.C.). Altre basi che sembrano aver ospitato intere legioni o parti di esse sono Rutupiae (Richborough) e anche Noviomagus (v. chichester), Lake Farm (Dorset), Lactodurum (Towcester), Kinvaston, Manduessedum (Mancetter), Letocetum (Wall), Rhyn Park e Longthorpe. In epoca flavia, stanziamenti legionari furono impiantati temporaneamente a Inchtuthil, sul fiume Tay, in Scozia (83-86 d.C.) e forse a Luguvalium (v. carlisle); castra permanenti invece furono collocati a Isca (v. caerleon: Legio II Augusta, c.a 75 d.C.), Deva (Chester: Legio II Adiutrix, c.a 78-86 d.C.; Legio XX Valeria Victrix, c.a 86 d.C.) e Eboracum (v. york: Legio IX, c.a 71- 120 d.C.; Legio VI Vitrix, c.a 122 d.C.). Recenti scoperte hanno inoltre indicato che alcuni oppida indigeni furono occupati da truppe romane in epoca giulio-claudia: p.es. Hod Hill (Dorset), Hembury (Devon), Brandon Camp (Hereford e Worcester), Waddon Hill e Maiden Castle (Dorset).
Le tre legioni rimasero le fondamenta del potere romano in Britannia; tuttavia esse erano eguagliate per forza numerica da unità di ausiliari, alae di cavalleria e cohortes di fanteria, forti di 500 o 1.000 elementi. Esse stazionavano come guarnigioni nel Galles e nei distretti settentrionali all'interno di castella collegati da una rete di strade militari, ma anche lungo le frontiere definite dal Vallo di Adriano (17 castella) e dal Vallo di Antonino (probabilmente 19 castella). La guarnigione di frontiera del Vallo di Adriano occupava anche piccoli forti miliari (milecastles), con due torri di avvistamento (turrets) poste tra ogni coppia di forti. Il sistema di milecastles e di torrette si estese oltre l'estremità occidentale del Vallo fino a St. Bees Head (Cumbria). Recenti rinvenimenti fanno ipotizzare l'esistenza di un sistema di fortini simile a quello dei milecastles, sebbene non a intervalli regolari, lungo il Vallo di Antonino. Con un totale di 15.000 legionari e 40.000 ausiliari, l'esercito romano in Britannia era tra i più forti di tutte le provincie dell'impero. In aggiunta a queste forze di terra vi era la flotta britannica (Classis Britannica), istituita nel II sec., le cui basi principali erano a Gesoriacum (Boulogne) in Gallia e a Dubris (v. dover) e Lemanis (Lympne) in Gran Bretagna. In un primo momento la sua funzione principale era probabilmente quella di proteggere le vie marittime locali tra la Britannia e la Gallia, ma nel III sec., a causa dell'aumento degli assalti dal mare, essa dovette essere notevolmente rinforzata. La flotta era in strette relazioni con la lavorazione del ferro nello Weald del Kent e del Sussex.
Alla fine del ΙΙΙ-inizî del IV sec. lungo la costa sud-orientale fu istituito un sistema difensivo noto come il Lido Sassone (litus Saxonicum). Era costituito da almeno dieci forti, preesistenti o di nuova fondazione, con impianti difensivi rinforzati. Essi erano parte di un sistema più complesso finalizzato alla difesa di entrambe le coste della Manica, organizzato forse per la prima volta durante il regno di Probo (276-282 d.C.), anche se nuovi forti continuarono a sorgere fino alla metà del IV secolo. Un minor numero di simili fortificazioni è stato identificato sulla costa occidentale. Verso la fine del IV sec. sulla costa nord-orientale, tra i fiumi Humber e Tees, fu organizzata una catena di torri di avvistamento e di posti di segnalazione. Agli inizî del IV sec. vigeva una separazione tra l'amministrazione civile e quella militare nella provincia: la seconda consisteva in tre comandi separati, posti sotto la guida del dux Britanniarum, del comes litoris Saxonici e del comes Britanniarum; tuttavia la data della loro istituzione ci è ignota.
Molto laborioso è il processo di formazione e di sviluppo delle città. Intorno alla fine del I sec. d.C. nella provincia furono create tre coloniae civium Romanorum: Claudia victricensis a Camulodunum nel 47-48 d.C., Lindum sotto Domiziano e Nervia Glevensis (Gloucester) nel 96- 98 d.C. La promozione di Eboracum allo status di colonia nel 237 d.C. probabilmente coincise con l'istituzione della Britannia Inferior, durante il regno di Settimio Severo. Nel 60 d.C. Verulamium divenne un municipium. La restante popolazione della provincia - a eccezione delle aree che rimasero sotto amministrazione militare - fu assegnata alle civitates peregrinae, le cui costituzioni tendevano a imitare il modello romano, e che erano responsabili della riscossione delle tasse e della giustizia locale. Le località appartenenti a questa categoria erano: Isurium (Aldborough) dei Brigantes, Viroconium (Wroxeter) dei Cornovii, Ratae (v. Leicester) dei Coritani, Moridunum (Carmarthen) forse dei Demetae, Corinium (Cirencester) dei Dobunni, Venta (v. caerwent) dei Silures, Venta (Winchester) dei Belgae, Calleva (Silchester) degli Atrebates, Noviomagus (Chichester) dei Regni, Isca (Exeter) dei Dumnonii, Durnovaria (Dorchester) dei Durotriges, Venta (Caistor St. Edmund) degli Iceni, Verulamium (St. Albans) dei Catuvellauni e Durovernum (v. canterbury) dei Cannaci. Oltre a quelli elencati, due più grandi insediamenti sorsero nelle vicinanze di sorgenti calde, Aquae Sulis (Bath) e Aquae Arnemetiae (Buxton).
Gli insediamenti britannici pre-romani, anche i più estesi, non raggiunsero mai un livello «urbano» nel pieno senso della parola, non solo per quanto riguarda strade ed edificî pubblici, ma anche per quanto riguarda i livelli di qualità della vita e di autonomia. È noto che nel I sec. d.C. l'amministrazione romana incoraggiò le classi elevate indigene a creare città proprie e ad adottare uno stile di vita urbano. (Tac., Agr., 21: «hortari privatim, audiuvare publice, ut templa fora domos extruerent, laudando promptos, castigando segnis»). Dai primi decennî del II sec., la maggior parte delle città sembra sia stata dotata di edificî pubblici in pietra e mattoni, anche se le strutture degli altri edificî erano ancora per metà in legno. Gli insediamenti principali delle civitates erano caratterizzati da un impianto viario ortogonale, un forum con basilica, thermae, templi e, in alcuni casi, teatri e anfiteatri. Fino alla fine del II sec. d.C. tali insediamenti erano, diversamente dalle coloniae, privi di fortificazioni, ma nell'epoca in questione furono dotati di strutture difensive in crudo, gradualmente sostituite da muri in pietra. La superficie racchiusa dalle mura di queste città si aggirava intorno a 40- 50 ha, con una popolazione stimata intorno ai 5.000 abitanti, benché alcuni centri, come Londinium, Verulamium, Corinium e Viroconium, fossero notevolmente più vasti. Scavi recenti hanno confermato che numerose città nacquero come piccoli insediamenti civili posti nelle vicinanze di antiche basi militari presso i maggiori nodi viari o attraversamenti di fiumi. Nella maggioranza dei casi le città svolgevano la funzione di centri commerciali e manufatturieri o di mercati per le popolazioni del territorio rurale. Nelle aree militari, alcuni degli insediamenti civili probabilmente raggiunsero una certa autonomia e, in qualche caso (p.es. Corbridge), anche dimensioni notevoli.
Più di settecento edifici in aree rurali sono stati identificati come villae rusticae secondo il modello romano. Sebbene soltanto una piccola parte di essi sia stata scavata, sembra che le ville per lo più abbiano avuto origini modeste; in alcuni casi si tratta di fattorie di epoca pre-romana. Tuttavia è stato dimostrato che agli inizi del periodo romano, prima della fine del I sec., nella Gran Bretagna meridionale furono costruite, seppure in numero esiguo, ville palaziali di tipo italico: l'unica finora scavata è quella di Fishbourne (v.), presso Chichester, decorata da numerosi mosaici e marmi di importazione, considerata in via ipotetica la residenza del re cliente Cogidubnus. Sono state localizzate altre ville dello stesso tipo, p.es. a Woodchester, nelle vicinanze di Stroud (Gloucestershire). A partire dal II sec. un certo numero di ville più modeste ricevette pavimentazioni a mosaico, ma non fu prima del IV sec. che alcune di esse si svilupparono in residenze palaziali caratterizzate da decine di ambienti raggruppati intorno a una o più corti, con pavimenti a mosaico, pareti affrescate e bagni privati. La ragione di tale sviluppo è di carattere essenzialmente economico (v. infra). Sebbene nella Gran Bretagna meridionale siano state identificate molte residenze di campagna piuttosto lussuose, si sa ancora poco degli edifici, connessi con l'agricoltura e con altre attività lavorative, che sicuramente le circondavano: un esempio è quello di recente identificato nel corso delle numerose campagne di scavo condotte a Winterton (Humberside). Circa la popolazione totale della Britannia sono state emesse stime assai variabili; in genere esse hanno mostrato la tendenza ad aumentare via via che la reale densità demografica degli insediamenti in zone rurali si è resa evidente grazie agli scavi e alle ricognizioni territoriali. Mentre trent'anni fa si proponeva una cifra di 2 milioni circa, attualmente si è propensi a ipotizzare un totale di 4-6 milioni di abitanti.
All'epoca della conquista claudia, i Romani erano di certo a conoscenza delle risorse naturali, della Britannia. Strabone registra l'esportazione di oro, argento, ferro, cuoio, schiavi e cani da caccia, oltre a quella di cereali; è tuttavia probabile che la reale disponibilità di tali beni abbia deluso le aspettative. L'oro era estratto in modeste quantità a Doloaucothi, nel Galles; il ferro era prodotto in numerosi distretti, ma solo per il fabbisogno locale. La produzione dell'argento, ricavato dal piombo, raggiunse invece quantità significative. L'economia rimase basata essenzialmente sull'agricoltura, stimolata dalle imposte e dai bisogni dell'esercito romano. Il frumento veniva obbligatoriamente acquistato a prezzo fisso e la forte richiesta di pelle da parte dell'esercito (necessaria per tende, vestiario, scudi e stivali) era probabilmente soddisfatta nelle zone in cui l'allevamento del bestiame costituiva la principale attività. A Cataractonium (Catterick), a Ν di Eboracum, esisteva una conceria posta sotto controllo militare. Quanto al sistema agricolo, c'è da credere che esso fosse originariamente basato su un gran numero di piccoli proprietari indipendenti, sebbene lo sviluppo di ville di cospicue dimensioni (v. supra) lasci ipotizzare l'esistenza di vaste tenute in cui la terra era lavorata da affittuari (coloni). L'aratura dei terreni più difficili era consentita da nuove attrezzature, mentre la richiesta di combustibile per i bagni e per il riscaldamento domestico, nonché di legna da costruzione, fece sì che il disboscamento divenisse un'attività di sicuro lucro. Si ha la generale impressione che a partire dagli inizî del IV sec. alcune aree della provincia godessero di una particolare opulenza. L'Edictum de pretiis del 301 d.C. include due prodotti in lana britannica, evidentemente di indubbia popolarità.
I decenni che seguirono la conquista testimoniano una rapida estensione dell'economia interna romana fondata sia sull'esercito, sia su associazioni di civili e coloni, nella Britannia meridionale. È documentata l'importazione di molti prodotti di lusso, quali vino, ceramica fine, ornamenti e vasellame di metallo, in gran parte tramite Londinium, mentre i profitti dei commercianti erano presumibilmente in natura. L'argento e il piombo cominciarono a essere estratti poco dopo la conquista, a partire dal 49 d.C., nel Somerset e all'epoca di Nerone nel Flintshire (Galles settentrionale). La lavorazione del piombo del Derbyshire avveniva in un primo momento sotto la supervisione di liberti, ma a partire dall'epoca di Vespasiano venne affidata a compagnie (societates). Nel I sec. la produzione della ceramica era controllata da liberti, e si ha l'impressione che la Britannia ricavasse profitti sufficienti che consentivano l'importazione di ceramica pregiata dalla Gallia e dal Reno, vetri e vasellame in metallo dall'Italia e vino e olio in anfore dalla Spagna meridionale. Probabilmente in un primo tempo i principali consumatori furono l'esercito e i Romani insediati nell'isola: tuttavia si sviluppò gradualmente un mercato indigeno. È stato ipotizzato che l'evidente prosperità conosciuta dalla Britannia nel IV sec. fosse dovuta a un'autonomia produttiva e di risorse naturali che evitava l'esportazione dei beni prodotti in patria. Il ruolo svolto dall'esercito romano professionale nello stimolare l'economia nell'ambito delle aree militari non deve essere sopravvalutato; in termini numerici esso rappresentava una forza sproporzionatamente grande, i cui bisogni sicuramente costituirono un considerevole fardello per la provincia. La coltivazione di cereali probabilmente si diffuse in nuove aree, mentre nei maggiori insediamenti in un modo o nell'altro legati economicamente all'esercito vi fu di certo un incremento del commercio e della produzione locale.
Nella Britannia erano professati molti culti di diverso tipo. Numerose divinità di origine celtica (alcune locali, altre di più vasta popolarità) sono menzionate in iscrizioni dedicatorie. Gli dei del pantheon romano erano diffusamente venerati e molti di essi furono associati (nel tipico tentativo di assimilazione detto interpretatio) alle divinità indigene corrispondenti. Gli dei ufficiali romani godevano del rispetto dell'esercito e dell'amministrazione provinciale; anche il culto imperiale vi fu ben presto istituito, con centro a Colchester, successivamente alla dedica di un tempio al divus Claudius. Fra le scoperte più notevoli degli ultimi anni bisogna ricordare quelle effettuate nei santuari di Sulis Minerva a Bath e di Mercurio a Uley, sulla sommità delle Cotswold Hills, nel Gloucestershire. Si tratta di suppliche indirizzate da numerosi fedeli alle divinità, iscritte in caratteri corsivi, su piccoli fogli di piombo arrotolati e inchiodati alle pareti del santuario (defixiones). Nella maggior parte dei casi si chiede aiuto al dio per recuperare proprietà perdute o rubate con la promessa di donare alla divinità tutto o parte del bene in caso di successo. I culti orientali, compresi quelli indirizzati agli egizî Serapide e Iside e al persiano Mithra, raggiunsero una certa popolarità in ambiente mercantile e militare, mentre suscitarono scarso interesse nelle masse. Il cristianesimo conobbe notevole diffusione non prima della fine del IV sec.: una probabile basilica cristiana è stata scavata a Silchester, oltre che in una o due altre località; il monogramma Chi-Rho si incontra con una certa frequenza. Nell'ambito delle ville, le credenze cristiane sono testimoniate negli affreschi di Lullingstone (Kent) e nell'interessante mosaico di Hinton St. Mary (Dorset), il cui medaglione centrale presenta una figura nella quale è stato identificato il Cristo. In alcune città sono attestati templi appartenenti al tipo greco-romano classico; tuttavia era più comune il tipo «romano-celtico», ossia un piccolo santuario a pianta quadrata circondato da un portico all'interno di un tèmenos simmetrico. Tra i più recenti e interessanti reperti di oggetti sacri si possono menzionare un deposito di vasi d'argento cristiani a Water Newton (Huntingdonshire) e un tesoro tardo-romano di gioielli in oro, cucchiai d'argento e altri oggetti a Thetford (Norfolk), appartenenti probabilmente a un tempio locale dedicato al dio Faunus.
Per quanto riguarda, infine, gli aspetti complessi della romanizzazione, si può dire che la provincia ha restituito soltanto un esiguo numero di iscrizioni da porre in relazione con la popolazione indigena. Si è in grado di affermare che la lingua celtica continuò a essere parlata nei distretti rurali, tuttavia essa non ha lasciato testimonianze scritte. I graffiti dimostrano che il latino era diffuso anche nelle classi artigianali, sebbene sia diffìcile stabilire la misura e la natura della loro istruzione. D'altra parte, le defixiones religiose da Bath e da Uley (v. supra) contengono passaggi scritti in un latino comprensibile; tuttavia, esse potrebbero essere state composte dagli scribi templari. Il rinvenimento di centinaia di tavolette di legno con scritte latine a inchiostro, risalenti alla fine I-inizio II sec. d.C., nei forti antichi di Vindolanda (Northumberland), non lontano da quello che sarebbe stato, successivamente, il tracciato del Vallo di Adriano, ha fornito un'eccezionale testimonianza sulla vita quotidiana, sia ufficiale che privata, sia d'ambiente militare, che civile, nella remota provincia. Esse sono regolarmente decifrate e pubblicate; esempî di particolare interesse sono rappresentati da un rapporto sulle forze effettive della coorte in guarnigione, da una lettera privata in cui si fa menzione del dono di vestiti a un soldato, da una spedizione di merci e di articoli da bagno, da un invito a partecipare a una celebrazione di compleanno da parte della moglie dell'ufficiale comandante, con una nota aggiunta di persona dalla medesima donna. Un altro documento riporta una citazione dall'Eneide virgiliana, mentre episodî tratti dalla stessa opera sono rappresentati nei mosaici pavimentali di alcune ville, benché sia difficile accertare il grado di conoscenza della mitologia classica di questi proprietari terrieri del IV secolo.
La scultura in pietra e la pittura murale erano ignote alla Britannia pre-romana. La maggior parte delle statue o busti in marmo o bronzo era importata da laboratori gallici o mediterranei; la provincia ne ha restituito un esiguo numero. La produzione locale, sia di artigiani immigrati che indigeni, potrebbe essere stata stimolata dall'esercito e da esigenze di carattere pubblico legate allo sviluppo dei centri urbani; tuttavia il numero delle sculture di pregio provenienti dalla provincia è decisamente scarso. Nelle zone in cui vi era maggiore disponibilità di pietra, il Galles e il Nord, esiste una cospicua produzione di sculture, per la maggior parte di qualità mediocre, che non di meno testimonia un'ampia conoscenza della tradizione decorativa classica; lo stesso discorso vale per i mosaici pavimentali. I più antichi esemplari di mosaico, spesso combinato con rivestimenti parietali in marmo, sono opera di artigiani immigrati, come nel caso di Fishbourne. Intorno alla metà del II sec., officine locali di mosaico furono impiantate a Colchester e a Verulamium, mentre nel IV sec. è attestato un importante centro artigianale a Cirencester, caratterizzato da una produzione di alta qualità.
L'influenza romana si avverte maggiormente nelle città e, secondo modalità diverse, nelle zone militari. Per quanto tale giudizio, condizionato dai reperti archeologici, possa essere soggetto a revisioni, sembra si possa affermare che, a eccezione di pochi centri, la romanizzazione non ebbe un grosso impatto sulla Britannia.
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Romanizzazione: Κ. Jackson, Language and History in Early Britain, Edimburgo 1953; J. Toynbee, Art in Roman Britain, Londra 1962; id., Art in Britain under the Romans, Oxford 1964; D. Smith, The Mosaic Pavements, in A. L. F. Rivet (ed.), The Roman Villa in Britain, Londra 1969, p. 71 ss.; J. C. Mann, Spoken Latin in Britain as Evidenced in the Inscriptions, in Britannia, II, 1971, pp. 218-224; E. P. Hamp, Social Gradience in British Spoken Latin, ibid., VI, 1975) Ρ· 150-162; CSIR, Great Britain, 1-5, Londra 1977-1987; A. A. Barrett, Knowledge of the Literary Classics in Roman Britain, in Britannia, IX, 1978, pp. 307-313; D. S. Neal, Roman Mosaics in Britain. An Introduction to Their Schemes and a Catalogue of Paintings, Gloucester 1981; N. Davey, R. Ling, Wall-Painting in Roman Britain, Gloucester 1982; C. Smith, Volgar Latin in Roman Britain: Epigraphic and Other Evidence, in ANR W, II, 29, 2, 1983, pp. 893-948 (il latino volgare in Britannia); A. K. Bowmann, J. D. Thomas, Vin- dolanda: the Latin Writing-Tablets, I-II, Londra 1983, 1994; M. Millett, The Romanization of Britain, Cambridge 1990.
(J. Wilkes)
PROVINCIE ALPINE. – Si considerano provincie alpine, nell’ambito dell’imperoromano,quelle delle Alpes Maritimae (v. vol. IV, p. 858) e delle Alpes Cottiae (v. vol. II, p. 924), cui si aggiunsero nel II sec. d.C. le Alpes Atrectianae et Poeninae, che con Diocleziano assunsero la denominazione di Graiae atque Poeninae (v. vol. III, p. 997).
Alpes Maritimae. - Di particolare rilevanza sono state, negli ultimi anni, le ricerche sulla pre- e protostoria (v. vallate alpine). Meno numerose le ricerche relative alla fase romana: a Vence sono stati individuati resti di strutture riferibili a un insediamento agricolo di età imperiale, probabilmente una villa rustica, con tombe.
A valle di La Turbie, saggi compiuti in occasione dei lavori per la costruzione dell'autostrada hanno consentito di portare in luce un cospicuo tratto (c.a 600 m) della Via Iulia Augusta, nei pressi dei miliari DCVI dei quali sono state ritrovate in situ le basi. Le parti iscritte, che testimoniano restauri di Adriano e di Caracalla, erano state rinvenute più a valle e sono conservate rispettivamente nei musei di Ci- miez e di La Turbie. I sondaggi hanno consentito di compiere una serie di osservazioni sulla tecnica di costruzione della strada - in questo tratto non basolata - e, forse, di localizzare il punto in cui si trovava il miliario di Augusto.
Bibl.: In generale: Rome's Alpine Frontier. Proceedings of the Conference Held at the Brown University. Providence, Rhode Island 1986, in RAArtLouvain, XXI, 1988, pp. 1-50.
Età storica: AA.VV., Atti del Convegno Internazionale sulla comunità alpina nell'antichità. Gargnano del Garda, 1974 (AttiCItRom, VII 1975-76), Milano 1976, passim; J. Prieur, L'histoire des regiones alpestres, Alpes Maritimes, Cottiennes, Graies et Pennines, sous le Haut Empire romain, Ier-IIIe siècle après J.C., in ANRW, II, 5, 2, 1976, pp. 630-656.
Villa di Vence: M. Gauthier, in Gallia, XLIII, 1985, p. 533. - Via Iulia Augusta: D. Mouchot, Les fouilles de Cimiez, in ArcheologiaParis, 57, 1981, p· 61.
(C. Vismara)
Alpes Cottiae. - I limiti della provincia romana di cui si tiene conto sono quelli fissati dal Prieur; per la fase preistorica e protostorica, v. (anche in questo caso) vallate alpine.
Le testimonianze romane nel versante francese sono piuttosto limitate; si segnalano tombe a inumazione alla periferia di Lanslevillard, con corredi che mostrano attardamenti di tipologie protostoriche.
Per quanto riguarda il versante italiano, nel 1980 sono iniziati gli scavi della villa romana in località Grange di Rivera presso Milanere (comune di Almese, TO), prossima all'antica statio Ad Fines. Il complesso, edificato in età augustea, sorge su una terrazza di m 22 x 30 c.a, con muri di contenimento assai spessi. La fronte dell'edificio, in corrispondenza del muro di terrazzamento, è rivolta a S e si articola su due piani: a un portico inferiore a pilastri fa riscontro un colonnato laterizio con basi - e probabilmente anche capitelli - in pietra. Il portico è interrotto al centro da due muri trasversali che contraffortano quello di contenimento, definendo i limiti di una fontana. Sembra che i varî ambienti si dispongano attorno a un'area scoperta; il perimetro della terrazza è articolato: un settore centrale aggettante è scandito dal portico inferiore e, sul lato occidentale, lo sviluppo laterale è arretrato.
Lo strato relativo al crollo, che fu immediatamente preceduto o seguito da un incendio, ha restituito materiali riferibili a un lasso di tempo piuttosto limitato, nel corso del III secolo. I muri sono in ciottoli spezzati e pietre, legati da malta; i tramezzi sono costituiti da un'intelaiatura lignea riempita di argilla. Gli intonaci dipinti si rifanno a modelli di III stile; la pavimentazione di varí ambienti è a mosaico, o in cocciopesto con tessere inserite. Il tipo dell'edificio e la sua decorazione, del tutto inusuali per la regione, hanno condotto a ipotizzare l'esistenza di connessioni centro-italiche.
Bibl.: Età storica: J. Prieur, La province romaine des Alpes Cottiennes, Villeurbanne 1968; AA.VV., Atti del Convegno Internazionale sulla comunità alpina nell'antichità. Gargnano del Garda 1974 (AttiCItRom, VII, 1975-76), Milano 1976, passim·, J. Prieur, L'histoire des régions alpestres, Alpes Maritimes, Cottiennes, Graies et Pennines, sous le Haut Empire romain, Ier-IIIe siècle après J.C., in ANRW, II, 5, 2, 1976, pp. 630-656; A. Crosetto, G. Donzelli, G. Wataghin Cantino, Per una carta archeologica della Valle di Susa, in Bollettino storico- bibliografico subalpino, 1981, pp. 355-412. - Grange di Rivera: G. Wataghin Cantino, Almese (TO), loc. Grange di Milanera. Villa romana, in QuadAPiem, IV, 1985-86, p. 41 s. (con bibl.)
(C. Vismara)
Alpes Graiae atque Poeninae. - Alpes Poeninae. - Per quanto concerne il periodo romano (per la fase preistorica e protostorica, v. vallate alpine), le ricerche sinora compiute non hanno consentito di individuare i resti dell’oppidum gallico di Octodurus menzionato da Cesare (Bell, gall, III, 1-6), ma hanno portato alla luce considerevoli porzioni del centro monumentale della città romana di Forum Claudii Vallensium, la città principale della Vallis Poenina, al quale si sovrappone l'attuale Martigny.
L'edificio più antico è il tempio celtico, di pianta quadrangolare (podio, m 16 x 12,85; cella, m 7,60x6,60), compreso poi in un ampio tèmenos edificato intorno alla metà del I sec. a.C. e rimasto in uso sino alla fine del IV. Le monete rinvenute nel corso dei recenti scavi sembrano indicare una frequentazione solo locale di esso. Quanto alla o alle divinità titolari, una stele dedicata a Mercurio rinvenuta nel 1976 non sembra elemento probante. Il tempio e il santuario furono rimaneggiati a più riprese in età imperiale; negli ultimi anni del II sec. o agli inizî del III venne edificata una nuova cella, di identiche dimensioni, ma spostata verso SO. Presso l'angolo SE dell'edificio era un'edicola, forse un piccolo oratorio, che condizionò la planimetria della corte porticata antistante il tempio. L'edificio, scavato negli anni 1976-77, è ora al centro di una struttura museale.
Nel grande tèmenos (85 x 136 m c.a) edificato sotto il regno di Claudio, le indagini si sono succedute dal 1908 al 1984; esso comprendeva a NO l'area sacra e a SE una serie di costruzioni di vario genere: magazzini, terme (di età flavia) e verosimilmente un isolato di abitazioni.
Il foro fu scavato in gran parte alla fine del secolo scorso: la piazza (m 65 x 94) era porticata su tre lati: sui due maggiori si aprivano botteghe e altri ambienti; il quarto era occupato dalla basilica. Lungo l'arteria principale della città, il foro era chiuso da un muro con un ingresso monumentale. La basilica, orientata perpendicolarmente all'asse della piazza, presenta due fasi edilizie: la prima databile all'età di Claudio, l'altra, che consiste in un ingrandimento dell'edificio ai danni della strada su cui prospettava, è databile verosimilmente all'età di Vespasiano.
Ricerche e restauri hanno interessato negli ultimi anni l'anfiteatro (m 118x 106; arena, m 74x62); a S dell'abitato, non lontani dal tempio celtico, sono stati portati in luce il muro del podio e l'arena, parte delle sostruzioni della cavea, una porzione dei carceres e l'ingresso SO. Un corridoio voltato consentiva l'accesso dall'esterno al pulvinar, posto al di sopra di uno dei carceres che si aprivano direttamente sull'arena. Il pubblico accedeva alla cavea mediante rampe esterne all'edificio: ne sono state individuate due; ve ne dovevano essere delle altre, probabilmente in legno.
Indagini sono tuttora in corso nelle insulae del settore occidentale dell'abitato (località Les Morasses). Sono stati sinora scavati due complessi termali a carattere pubblico: nell’insula 2 e a SO del tempio gallo-romano.
Tra i rinvenimenti epigrafici si segnala un'iscrizione frammentaria menzionante Gallieno, relativa a una fontana pubblica (AE, 1977, n. 527).
Alpes Graiae. - Scavi recenti hanno interessato la città di Aime-en-Tarantaise, l’Axima capitale dei Ceutrones, il territorio dei quali venne appunto a costituire la provincia delle Alpes Graiae (corrispondente all'attuale Tarantaise). Il nome della città, riportato nella Tabula Peutingeriana, è in relazione con quello della divinità topica Aximus. Divenuta sotto Claudio Forum Claudii Ceutronum, la città rappresentò una tappa importante nella direttrice viaria che collegava l'Italia al centro delle Gallie: l'arteria principale proveniva dal Piccolo San Bernardo, inoltre una via secondaria univa il centro al Valiese mediante il Col du Bonhomme e infine un'altra strada di minore importanza raggiungeva il Faucigny dal Cormet d'Arêche. Sotto la chiesa di Saint Martin, scavi compiuti nel secolo scorso avevano rivelato l'esistenza di un tempio romano, che è stato datato al I sec. sulla base dei materiali. L'edificio aveva muri molto spessi intonacati in rosso-ocra; il pavimento era costituito di lastre di marmo di La Villette (presso Aime); basi e capitelli erano di ordine tuscanico «locale» e le antefisse presentavano maschere teatrali o teste di Venere. La chiesa a una navata, che si sovrappose al tempio, sarebbe di età franca.
Dal 1968 sono ripresi gli scavi sulla collina di Saint-Sigismond, ove all’ oppidum indigeno si sovrappose il castrum romano. Le ricerche hanno interessato principalmente la chiesa omonima, ricostruita alla metà del XVII sec. - che è stata trasformata dopo la fine dei lavori in museo - e l'area limitrofa. Presso la porta dell'edificio è stata rinvenuta una dedica ad Augusto, con menzione del pontificato massimo e della XXV potestà tribunizia, da mettere forse in relazione con i lavori per la strada del Piccolo San Bernardo, e nell'abside è stato trovato, reimpiegato, un frammento di marmo con un chrismòn databile intorno al V-VI secolo. Al di sotto di una vasta area sepolcrale e della chiesa più antica, con abside e transetto, datata al V sec., gli scavi hanno portato alla luce i resti di una costruzione romana, con colonne di ordine tuscanico «locale», di dimensioni simili all'altra, che è stata interpretata anch'essa come un tempio.
Nell'area circostante sono stati scavati resti di fortificazioni di età romana (il castrum) che delimitano il pianoro e un tratto di muro, forse gallico. Sono stati infine individuati due focolari, il più antico dei quali con materiali del Calcolitico, l'altro collocabile nella cultura di La Tène.
Studiosi locali del secolo scorso menzionano una strada interna alla città (che avrebbe raggiunto la grande arteria proveniente dal Piccolo San Bernardo alla Croix-d'Aime), il foro (Pré de Foire), le terme, un mercato e un circo. Ricerche compiute in vari periodi hanno messo in luce due necropoli di età romana (nelle località La Fortune e Le Replat). A Gilly (Savoie), scavi compiuti dal 1975 al 1984 hanno interessato una villa con mosaici bianconeri degli inizi del II sec. d.C.; indagini parziali hanno consentito di individuare un'altra villa, un complesso monumentale e altri edifici pubblici, alla periferia del centro moderno. Il vicus sarebbe in relazione con il grande itinerario alpino per la Val d'Isère e sarebbe prossimo al portorium ad Publicanos, localizzato, sinora, ad Albertville.
Bibl.: AA.VV., Atti del Convegno Internazionale sulla comunità alpina nell'antichità, Gargnano del Garda, 1974 (AttiCItRom, VIÏ, 1975-76), Milano 1976, passim; H. J. Kellner, Zur Geschichte der Alpes Graiae et Poeninae, ibid., pp. 379-389; J. Prieur, L'histoire des régions alpestres, Alpes Maritimes, Cottiennes, Graies et Pénines sous le Haut-Empire romain, Hile siècle ap. J.C., in ANRW II, 5, 2, 1976, pp. 630-656. - Martigny: F. Wiblé, Forum Claudii Vallensium. La ville romaine de Martigny (Guides archéologiques de la Suisse, 17), Martigny 19862. - Aime-en-Tarantaise: M. Leglay, in Gallia, XXXI, 1973, p. 542; S. Lancel, ibid., XXXIII, 1975, pp. 554-555; J.-P. Boucher, ibid., XXXV, 1977, pp. 490-491; G. Gimard, Aime, capitale des Ceutrons, in ArcheologiaParis, 103, 1977, pp. 41-48. - Gilly: H. Barthélémy, Un site gallo-romain alpin. Gilly (Savoie), in RANarb, XIX, 1986, pp. 211-244; H. Lavagne, Les mosaïques de Gilly (Savoie), ibid., pp. 245-258.
Si segnalano infine: G. Walser, Summus Poeninus. Beiträge zur Geschichte des Grossen St. Bernhard-Passes in römischer Zeit (Historia, Suppl. 46), Wiesbaden 1984; id., Via per Alpes Gratas. Beiträge zur Geschichte des Kleinen St. Bernhard-Passes in römischer Zeit (Historia, Suppl. 48), Stoccarda 1986.
(C. Vismara)
PROVINCIE BALCANICO-DANUBIANE. - Si possono comprendere in questa definizione le p. r. situate nel cuore del continente europeo, venute a far parte dell'impero romano in fasi e circostanze diverse: la Raetia et Vindelicia (v. vol. VI, p. 596), il Noricum (v. vol. V, p. 557), la Pannonia (v. vol. V, p. 934), la Dalmatia (v. vol. II, p. 992), la Dacia (v. vol. II, p. 983), la Moesia (v. vol. V, p. 139), la Thracia (v. vol. VII, p. 837).
Raetia et Vindelicia. - I risultati delle ricerche fin qui condotte (con particolare riferimento a quelle degli ultimi decenni) riguardano soprattutto il periodo dei primi imperatori e dell'apogeo dell'impero. Un'intensa attività di scavo è stata condotta nelle città di Augusta (Augsburg), Kempten, Ratisbona (Regensburg), Coira (Chur), Bregenz, quindi soprattutto nell'ambito dell'antica Vindelicia·, nuove indicazioni vengono inoltre dallo studio delle fortificazioni - dei castella di diverse epoche e del limes - così come da studi in corso su insediamenti nell'altopiano bavarese e su ritrovamenti sporadici in alte valli alpine. A questo si aggiungono nuove interpretazioni di iscrizioni già da tempo conosciute, soprattutto per quanto riguarda l'organizzazione amministrativa. Appare con sempre maggiore chiarezza come questa provincia sia stata importante per Roma soprattutto per le sue vie e per il sistema di comunicazioni; la romanizzazione vera e propria ha investito la zona prealpina e alcune vallate più ampie, ma non le regioni alpine più alte.
L'epoca pre-romana in quest'area presenta in verità un aspetto poco uniforme. Da mettere in rilievo sono soprattutto gli scavi di Manching (ν.) (probabilmente il maggiore oppidum celtico dell'Europa preistorica, la cui vita però forse si era già estinta prima della conquista romana), poi gli studi sull’èthnos dei Raeti, ai quali si aggiungono singole ricerche concernenti la zona alpina. I risultati delle ricerche archeologiche in Svizzera (in relazione al periodo qui trattato: Basilea- Münsterhügel; insediamenti militari augustei a Windisch e al Lindenhof di Zurigo), e le scoperte relative a siti connessi con la successiva guerra germanica (accampamenti militari augustei a Dangstetten e a Marktbreit) colmano le lacune lasciate dalle fonti letterarie per quanto concerne le fasi della conquista. È in corso una discussione sulla fondamentale questione riguardante le ragioni per cui Roma si volse verso quest'area; ci si chiede se la conquista delle Alpi fu motivata da esigenze di sicurezza, o se vi si debba riconoscere un più ampio piano di espansione e preparazione alla conquista della Germania. Tale conquista, comunque, ebbe ampia risonanza: viene ricordata anche nei rilievi del Sebastèion di Afrodisiade (v.) Inoltre si indaga sulle realtà archeologiche che possono contribuire alla ricostruzione delle strategie poste in atto, soprattutto per quanto riguarda la campagna di P. Silius nel 16 a.C.: i resti della «Via di Tiberio»; le prime fortificazioni militari, p.es. le torri quadrate lungo il Walensee, sul territorio dell'attuale Svizzera. Si è anche discusso sul ruolo dell'accampamento militare di Augsburg-Oberhausen, che era stato considerato un campo di due legioni dell'epoca augustea e della prima età tiberiana, mentre viene oggi ritenuto un campo di un'unità mista composta di legionari e truppe ausiliarie. Gli scavi sull'Auerberg, infine, hanno rivelato un insediamento dell'epoca tardo-augustea rimasto in funzione fino agli anni 40 d.C. Le retrovie erano difese da fortificazioni di dimensioni minori (come quella, scoperta già da tempo, sul Lorenzberg presso Epfach), che talvolta si configuravano come vere e proprie piccole fortezze: è il caso di quelle (risalenti all'ultimo periodo augusteo-media epoca tiberiana) da poco ritrovate a E del Lech, la cui funzione non è tuttavia ancora chiara.
Sulla prima organizzazione data dai Romani all'area alpina Vallese-Rezia-Vindelicia, la discussione è ancora aperta: U. Laffi ha potuto dare una lettura sicura dell'iscrizione di C. Vibius Pansa (CIL, V, 4910 = A. Garzetti, ed., Inscriptiones Italiae, 10. Regio X, 5, 3, Roma 1986, n. 1133), mentre invece è ancora discussa la sfera di competenza (governatore o comandante militare) del senatore. Q. Octavius Sagitta deve essere invece inteso come procuratore finanziario di epoca augustea; di poco posteriore è da considerare l'iscrizione di Sex. Pedius Lusianus Hirrutus, a sua volta pra[ef.] Raetis Vindolicis Valli [s P]oeninae et levis armatur(ae) (CIL, IX, 3044). Mentre prima si supponeva un'amministrazione comune della grande zona Vallese-Rezia-Vindelicia fino all'epoca di Marco Aurelio, oggi l'iscrizione di Q. Caecilius Cisiacus Septicius Pica Caecilianus (CIL, V, 3936), datata all'epoca di Claudio, costituisce al tempo stesso l'ultima documentazione di una circoscrizione comune e la prima prova dell'esistenza di una nuova provincia procuratoria. Viene infatti con essa attestata la separazione del Valiese: un fatto che deve essere messo in relazione con la sistemazione del passo sul Gran San Bernardo e del passo di Resia. Il Valiese fu poi (immediatamente o più tardi) unito alle Alpes Graiae per formare una provincia procuratoria. Il materiale relativo ai fasti di quest'ultima, incluse le testimonianze riguardanti i governatori dopo la trasformazione della Rezia in provincia senatoria, è stato ristudiato e elaborato da G. Winkler; recentemente si sono aggiunti nuovi contributi (B. E. Thomasson, H. Wolff).
La capitale della provincia fu Augsburg, anche se si potrebbe supporre che in un primo tempo sia stata Cambodunum (Kempten). Per quanto riguarda le frontiere G. Ulbert ha potuto apportare una correzione alla precedente ipotesi sulla regione dell'Inn, mentre alcune ricerche sono dedicate alla questione dei posti di dogana.
La storia di questa provincia di confine, nel prosieguo nell'età imperiale, è caratterizzata in primo luogo dal potenziamento delle fortificazioni di vario tipo, nelle quali è possibile distinguere le diverse fasi dell'epoca augusteo-tiberiana, Claudia, flavia e domiziano-traianea, e dalla creazione del limes retico nel II sec., in corrispondenza dell'espansione verso Ν dello stato romano. Molti ritrovamenti, oggi favoriti dall'intensa attività archeologica con l'aiuto della fotografia aerea, sono da situare in questa fase di potenziamento.
Viene alla luce con sempre maggiore chiarezza la catena delle fortificazioni di epoca tiberiana per la difesa della strada da Bregenz a Gauting, la quale fu sostituita in epoca claudia da un'ulteriore catena di fortezze da Huefingen a Oberstimm. Quest'ultima circostanza (unita ad altre, già ricordate, come la costruzione della Via Claudia e la trasformazione del distretto militare in regolare provincia procuratoria) chiarisce come il regno di Claudio debba aver segnato una fase assai importante nella storia della provincia, a cui poi fece seguito in epoca flavia l'avanzata di Roma nella regione transdanubiana fra Regensburg e le alte colline del Württemberg. La situazione militare di questa provincia di confine è stata esaminata anche da altri punti di vista: in primo luogo il contributo dei suoi abitanti all'esercito, dove sono da menzionare non solo le coorti retiche, ma anche gli equites singulares. La storia dell'exercitus Raeticus è importante anche perché i numerosi ritrovamenti di diplomi militari hanno fornito nuovi dati riguardanti il numero e la durata dello stanziamento delle truppe ausiliarie.
Altre ricerche sono state dedicate ai soggiorni qui compiuti da varî imperatori: p.es. all'epoca di Caracalla risalgono due miliari che sono stati ritrovati a Gundelfingen, e soprattutto una statua colossale che era posta sulla porta principale del castellum di Dalkingen, sul limes.
Il problema dell'ordinamento del territorio e della municipalizzazione, problema che interessa prevalentemente la zona prealpina, è stato discusso a fondo, per quanto però molte domande restino senza risposta. Rimangono infatti aperte alcune questioni: anzitutto quella della continuità di insediamento delle tribù indigene e del loro rapporto con gli abitati romani finora noti, poiché le tribù possono essere localizzate solo con difficoltà. Nuove ricerche riguardano i Rucinates, poi i Licates (sull'alto Lech), la cui esistenza è documentata su un diploma militare del II sec.; è probabile che i Licates possedessero un centro, forse l'Auerberg (la Damasia citata da Strabone?). Curia, Brigantium e Cambodunum possono essere identificate come centri delle civitates dei Calucones, dei Brigantioi e degli Estiones (questi ultimi documentati ancora da Strabone), mentre non è provata la funzione centrale di Regensburg, l'insediamento presso il campo della Legio III Italica, e di Passau. Per il momento è ancora sconosciuto lo stato giuridico dei centri nominati, poiché solo per Augsburg si può dire con certezza che acquisì diritto municipale, con cui ben si accorda la sua denominazione di caput viae. L'interpretazione del materiale epigrafico sembra mostrare che la Rezia, così come le Provincie germaniche, non ha dato nessun senatore e solo pochi equites, fatto piuttosto singolare dato che in genere l'accesso a tali ordines da parte dei ceti provinciali superiori costituisce uno dei tratti caratteristici della romanizzazione. Le rimanenti iscrizioni accennano a stretti contatti della Raetia con le provincie delle Gallie e in un caso anche con Trento. Infine si deve richiamare l'attenzione su un'iscrizione di Bregenz, la cui importanza supera i confini della provincia: è possibile che in CIL, III, 13542 si debba leggere cives L[a]t(ini) negot(iatores) Brig[a]ntiens(es), lettura questa importante per la comprensione della situazione giuridica degli abitanti dell'impero.
Nuovi scavi hanno arricchito il quadro della religione nella provincia, in special modo nella Vindelicia: in primo luogo si deve nominare il grande Santuario di Apollo Grannus a Faimingen (distretto Dillingen sul Danubio), che Caracalla visitò e fece oggetto di donazioni. Altri ritrovamenti hanno fatto conoscere un Santuario di Mithra sull'Inn (Mühlthal, distretto Rosenheim) e un santuario dedicato a una divinità orientale a Regensburg. Come per le provincie germaniche, così anche per la Raetia sono conosciute le «Colonne di Giove e dei Giganti» («Iupitergigantensäulen»); ai rilievi della Rezia è dedicato un fascicolo del Corpus Signorum Imperii Romani; sono state nuovamente esaminate le relazioni artistiche con la zona del Reno.
Per quanto riguarda le strade, mentre l'edizione dei miliari per il CIL XVII è ancora in fase di preparazione, G. Walser ha presentato un breve catalogo dei miliari retici, al quale si aggiunge una ricerca sull'attività dell'imperatore Claudio nell'allestimento della rete viaria. Oltre a ciò sono apparsi sia una dettagliata esposizione dei luoghi di sosta in questa zona, sia numerosi lavori topografici su singoli tratti di strada, per i quali è adesso necessaria un'elaborazione generale.
Sono stati esaminati (v. limes) i problemi relativi alla costruzione di una serie di fortezze sulla linea Reno-Iller- Danubio, conseguenza delle nuove esigenze strategiche che si presentano alla metà del III sec. d.C.; devono poi essere messi in rilievo, in questo contesto, gli spettacolari ritrovamenti di tesori (che furono sepolti in quei tempi incerti) effettuati a Eining e a Weissenburg.
Il passaggio all'Alto Medioevo costituisce un ulteriore punto qualificante della ricerca. Mentre negli studi precedenti la fine del dominio romano sulla Raetia Secunda veniva posta al 401/2, con il ritiro delle truppe disposto da Stilicone, oggi si data l'abbandono della provincia al 476. Vi sono infatti elementi convincenti: una nuova valutazione degli elenchi retici e norici compresi nella Notitia dignitatum, altre fonti letterarie e nuovi ritrovamenti archeologici, specialmente la localizzazione precisa della fortezza di Batavis e la scoperta a Passau-Innstadt del castellum tardo romano di Boiotro, nominato nella Vita S. Severini. Sulla figura stessa di Severino, inoltre, si è sviluppato un intenso dibattito, tuttora in corso.
Anche le testimonianze archeologiche del primo cristianesimo si sono moltiplicate; scavi in St. Ulrich e S. Afra ad Augsburg; per la Raetia /, ricerche archeologiche sul passaggio all'Alto Medioevo sulla base dei ritrovamenti funerari da Bonaduz; scavi nella chiesa di S. Stefano a Coirà.
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(R. Frei-Stolba)
Noricum. - Gli eventi tramandati da Livio (XXXIX, 22; 45,6; 54,1; 55; XL, 26 e 53; XLi, 1 ss.; XLIII, 1 e 5; XLIV, 14), relativi al periodo compreso tra il 186 e il 169 a.C., contemporanei o immediatamente successivi al tentativo di insediamento di circa 12.000 Celti (Galli transalpini), in grado di combattere e provenienti dal territorio interno delle Alpi Orientali, nell'Italia settentrionale (presumibilmente presso l'odierna Medea), non lontano da Aquileia, fondata un po' più tardi (nel 181 a.C.) - costituiscono i primi cenni al popolamento e all'assetto della zona interna delle Alpi Orientali. Dal comportamento piuttosto riguardoso adottato dai Romani nei confronti dei nuovi arrivati, nel 186 a.C., si intuisce il desiderio di mantenere buoni rapporti con la popolazione della zona alpina, sulla base certamente di interessi economici, riconducibili, p.es., alla ricchezza metallurgica dell'area alpina: si tratta di rapporti che, in una forma o nell'altra, è possibile si fossero già instaurati in un periodo precedente gli eventi sopra ricordati. Del resto, a quel che risulta, all'interno del territorio alpino esisteva una repubblica aristocratica, governata da seniores - una specie di consiglio di nobili - che, ancor prima del 170 a.C., in seguito all'affermazione egemonica di una tribù e dei suoi capi, si era trasformata in un regno che riuniva le tribù celtiche dell'area delle Alpi Orientali, a cui si associarono anche alcune tribù che risiedevano più a S. Strabone (IV, 6, 12), riprendendo Polibio (XXXIV, 10, 10), tramanda per la prima volta il nome dei Norici con riferimento al 150 a.C., in un contesto che permette di designare l'assetto politico delle tribù sopra menzionate come Regnum Noricum, vale a dire come un'entità territoriale, formatasi sotto l'egemonia della tribù dei Norici, che determinò, per tutta l'epoca successiva fino all'occupazione romana, lo sviluppo dell'area meridionale delle Alpi Orientali. Uno hospitium publicum concesso nel 170 a.C. favorì lo sviluppo di rapporti economici tra Roma e il Regno Norico che assunsero tratti precisi in occasione dello sfruttamento, dapprima comune, d'un vasto giacimento aurifero alluvionale, nella zona dei Taurisci (nella Slovenia settentrionale), associati ai Norici. Questo patto d'amicizia è menzionato anche da Appiano (Gall., 13), in rapporto all'incursione dei Cimbri nel territorio dei Norici e alla battaglia che si svolse presso Noreia, nel 113 a.C., nella quale il console Cn. Papirio Carbone fu sconfitto dai Germani. L'intervento del console tuttavia dovette basarsi non tanto sulle disposizioni dello hospitium publicum, poiché quest'ultimo addirittura escludeva un simile aiuto armato, ma piuttosto su motivi personali o sulla difesa degli interessi economici romani nell'area alpina. Il luogo effettivo della battaglia, come anche l'ubicazione precisa di Noreia, sono problemi tuttora irrisolti. Va ricordato che la tradizione antica non dice se Noreia fosse effettivamente la capitale del Regnum Noricum.
Nel corso del I sec. a.C. si ebbe, allo stesso tempo, il consolidamento dei rapporti politici all'interno del regno e il rafforzamento della posizione economica dei Norici nell'area delle Alpi Orientali, posizione che si basava sulla lavorazione dei metalli e principalmente del ferro norico, utilizzato anche per produrre manufatti in una lega simile all'acciaio che venivano immessi sul mercato. Un risultato parziale di questo sviluppo fu l'inizio, attorno al 70 a.C., della coniazione, da parte del regno norico stesso, di proprie monete d'argento, piccole e grandi (tetradrammi).
Alla stessa epoca risale anche l'insediamento di mercanti romani nei centri delle tribù noriche o nelle immediate vicinanze, e la fondazione in queste località di colonie mercantili, sempre favorite e protette da patti d'amicizia. A questo proposito vanno citati in particolare Nauportus, centro dei Taurisci norici, e la colonia mercantile romana sul Magdalensberg (v.), nel perimetro del capoluogo degli stessi Norici, centri fondati entrambi prima della metà del I sec. a.C. La prima fase costruttiva dell'insediamento sul Magdalensberg è appunto espressione di questo sviluppo, con l'ampio forum circondato da tabernae e con una basilica, particolarmente grande, nella parte orientale del forum. Abbondanti reperti permettono di attribuire a questo insediamento - che si può ritenere si chiamasse Virunum - il carattere di luogo di smistamento e di commercio all'ingrosso nell'ambito dei traffici, nei due sensi, fra area mediterranea e zona delle Alpi Orientali; contemporaneamente si deve sottolineare l'importanza del sito come tramite della cultura italica nell'area alpina: un ruolo che fu fra le cause della romanizzazione precoce delle zone meridionali del territorio.
Risale a quest'epoca una statua votiva in bronzo, a grandezza naturale, di un giovane in atteggiamento di preghiera, opera eclettica di un'officina italica degli inizî del I sec. a.C., offerta da due liberti dell'Italia settentrionale, con molta probabilità due mercanti. La statua era destinata al santuario di una divinità indigena, collocato presumibilmente in cima al monte; essa getta una luce particolare sull'importanza dell'insediamento di cui si parla per il commercio italico e sui conseguenti rapporti tra la tarda repubblica romana e il regno dei Norici. Il fatto, dimostrato recentemente, che la statua, conservata nella collezione di antichità del Kunsthistorisches Museum di Vienna, non rappresenta l'originale antico, rinvenuto nel 1502 sul Magdalensberg, ma una copia dello stesso eseguita verso la metà del XVI sec., non ne sminuisce affatto l'importanza nel contesto ora descritto. Un argomento importante a favore della precoce romanizzazione dell'area è offerto anche dai ricchi reperti di pitture murali, consfervatisi nelle case del primo periodo romano, sul Magdalensberg: tra questi, in particolare, è da menzionare il ciclo di affreschi, dipinto nel tardo II stile pompeiano, che comprende una serie di figure di eroine - forse illustrazioni delle Baccanti di Euripide - e due dipinti scenici con motivi mitologici e bucolici.
La riprova della consolidata autonomia e della capacità di affermazione dello stato norico è data dal fatto che esso fu in grado, a quanto pare, di respingere con le proprie forze l'invasione dei Boi, così come un altro assedio di Noreia avvenuto un po' prima del 58 a.C. (Caes., Bell. Gall, I, 5, 4), mentre il prestigio e la grande rilevanza del regno sono testimoniati anche dal fatto che, in epoca poco più tarda, il re Voccio - l'unico re norico di cui ci è stato tramandato il nome - diede sua sorella in moglie al re dei Germani Ariovisto, che risiedeva in Gallia (ibid., I, 53, 4). La politica filoromana del regno si manifestò nuovamente in occasione, tra l'altro, dell'invio di trecento cavalieri nobili a Cesare, per prestargli aiuto durante la guerra civile in Italia (ibid., I, 18, 5): a questo proposito c'è anche da osservare che un fattore essenziale dell'espansione economica dello stato norico, verso la metà del I sec. a.C., è forse da ricercare nell'approvvigionamento delle truppe di Cesare nell'Italia settentrionale e nelle ulteriori operazioni militari da quest'ultimo intraprese dopo la fine della guerra in Gallia.
Il Regnum Noricum raggiunse la massima espansione territoriale con l'estensione del proprio dominio oltre il bacino di Vienna, sulle pianure dell'odierna Ungheria, dopo che questi territori, in seguito alla morte del re dei Daci Burebista e al conseguente, rapido sfacelo del suo stato, dopo il 44 a.C., erano rimasti, in un certo senso, senza padrone. Non vi è dubbio che queste imprese portarono il regno norico all'apice del suo potere politico ed economico, caratterizzandolo come l'ultima espressione politica della tarda celticità sul continente europeo. Attraverso il territorio del regno passavano le più importanti strade commerciali che collegavano il Nord e il Sud dell'Europa; la produzione metallurgica del paese aveva raggiunto la massima fioritura ed era apprezzata ovunque; la politica dello stato era lungimirante e ponderata, pur conservandosi indipendente. Le fortificazioni, costruite un po' più tardi, negli anni attorno al 20 a.C. sulla cima del Magdalensberg, con intenti che si potrebbero definire non solo strategici, ma propagandistici e «di rappresentanza», rispecchiano questa posizione di forza: ciò dimostra che in quest'ultima fase del Regnum Noricum indipendente, il Magdalensberg va considerato come il capoluogo del regno.
Dal punto di vista di Roma si può capire come un simile assetto di potere all'interno dell'area delle Alpi Orientali e delle zone limitrofe diventasse un ostacolo agli interessi politici e strategici del primo periodo imperiale e come, di conseguenza, si mirasse a eliminarlo, al momento opportuno.
Verso la fine del I sec. a.C. si produsse un mutamento decisivo nei rapporti tra Roma e il regno norico, la cui causa dovette risiedere essenzialmente nelle più vaste mire strategiche della politica augustea nei confronti della Germania libera: queste mire presupponevano l'assoggettamento delle popolazioni dell'area alpina, in parte ostile a Roma. I Norici, sebbene avessero seguito da sempre una politica sostanzialmente filoromana, furono d'allora in poi (specialmente dopo la sottomissione dei popoli alpini limitrofi a O, nel 15 a.C.) anch'essi inclusi nei progetti di espansione della potenza egemone. Vennero prese a pretesto, per l'occasione, le scorrerie delle tribù noriche periferiche e delle tribù associate in zone che per i Romani rivestivano interesse strategico: ma ciò non cambia il fatto che l'occupazione avvenne sostanzialmente in modo pacifico. La maturità politica dei Norici da una parte e la loro ormai avanzata romanizzazione dall'altra li indussero a valutare realisticamente la situazione e a evitare una guerra, che per loro sarebbe stata senza speranza, con la grande potenza meridionale, anche a costo di rinunciare alla propria indipendenza politica. Essi si sottomisero volontariamente all'autorità romana - aggregandosi, in certo qual modo, a un insieme più grande - cosa che Roma in seguito ripagò lasciando immutate le loro tradizioni, la loro struttura interna tribale e persino una parvenza della loro identità politica. Non è stato ancora definitivamente chiarito quale forma giuridica assunse l'annessione del Norico: all'ipotesi d'uno stato vassallo sembra da preferirsi l'opinione secondo cui si avviò un processo di transizione, di durata piuttosto lunga, verso forme di governo romane. Quest'opinione può essere confermata anche alla luce di alcune opere architettoniche rinvenute all'interno dell'insediamento sul Magdalensberg, che restò per qualche tempo il centro più importante. Gli edifici governativi e religiosi, databili al periodo dell'occupazione romana, ricevettero la loro forma definitiva solo dopo alcune fasi di trasformazione, che in parecchi casi si prolungarono per l'intero arco di vita dell'insediamento, mentre in altri casi rimasero addirittura incompiuti.
L'accresciuta immigrazione dei Romani e l'intensificarsi dei commerci e della lavorazione dei metalli favorirono, insieme alla progressiva romanizzazione della popolazione indigena, l'ulteriore diffusione della cultura romana nell'area delle Alpi Orientali: nel corso di questo processo furono creati fin dal principio, inglobando anche le tradizioni culturali indigene, i presupposti per il successivo sviluppo della fiorente cultura romana provinciale del Norico. Questi processi sono percepibili dapprima nel Sud, da dove poi si propagarono lentamente verso il Nord. Già nel tardo periodo augusteo e nel primo periodo tiberiano, sorsero in gran numero, non lontano dai vecchi insediamenti indigeni e più sicuri, piccoli insediamenti di mercanti da cui spesso, in epoca successiva, si svilupparono nuclei di città autonome, come p.es. Aguntum (v.), Iuvavum (v.), Flavia Solva (v. solva Flavia) e forse anche Virunum (v.), che determinarono anche l'aspetto topografico del paese. Il centro politico e culturale, in questo periodo iniziale, rimase tuttavia sul Magdalensberg: gli edifici pubblici e privati della seconda e della terza grande fase costruttiva di quell'insediamento, simile a una città, e i reperti che risalgono a queste fasi, non solo indicano la presenza di strutture amministrative romane e autorizzano a pensare che qui si trovasse il conventus Noricorum, ma offrono anche gli esempì più notevoli della prima architettura, della scultura e dell'artigianato artistico romani, nonché della diffusione dello stile abitativo italico.
Circa sessant'anni dopo l'occupazione romana, sotto l'imperatore Claudio, il Norico fu trasformato in una provincia, amministrata da un procuratore: si ebbe quindi l'incorporazione definitiva nell'impero dell'area delle Alpi Orientali, mentre alcune zone orientali dell'antico Regnum Noricum furono staccate e annesse alla Pannonia. La data esatta di questo passaggio allo status di provincia non ci è nota, tuttavia si può ritenere che tale passaggio si sia verificato negli anni tra il 45 e il 48 d.C. I rinvenimenti effettuati negli scavi all'interno degli insediamenti su alture, sia preromani sia risalenti ai primi tempi dell'occupazione, tra cui in particolare quelli sul Magdalensberg, dimostrano che gli insediamenti stessi risalgono più o meno a quell'epoca. Essi furono relativamente presto abbandonati dalla popolazione a profitto delle città romane di recente fondazione, sviluppatesi soprattutto nella parte S della provincia (al tempo ancora dell'imperatore Claudio), non lontano dai centri d'insediamento precedenti: città alle quali fu conferito il diritto latino. Fra queste si annoverano i municipia di Claudia Virunum, Celeia, Teurnia, Aguntum e Iuvavum (Plin., Nat. hist., III, 146): a Virunum fu attribuito il rango di capitale della provincia, in quanto sede del procuratore e dell'amministrazione provinciale. Nella provincia venne posto a disposizione del procuratore un certo numero di auxilia, per salvaguardare gli interessi militari e di pubblica sicurezza. Se ne fa menzione per la prima volta, sia pure soltanto per indicarne il numero, in connessione con i provvedimenti adottati dai procuratori del Norico durante le guerre civili che fecero seguito alla morte di Nerone avvenuta nel 69 d.C. La fondazione di Flavia Solva in epoca appena più tarda, a opera di Vespasiano, e quelle di Aelium Cetium e Aelium Ovilava, nella zona prealpina settentrionale, durante la prima metà del II sec. d.C., a opera di Adriano, attestano il progredire della romanizzazione anche nelle zone orientali e settentrionali della provincia. Sono soprattutto gli scavi condotti a Virunum, Teurnia, Aguntum e Flavia Solva a darci informazioni sulla struttura urbana e sulla decorazione architettonica degli edificî nei municipia norici: da quasi tutte le piante urbane emerge la tendenza delle piccole città di provincia a configurarsi come riproduzioni in piccolo di Roma, con analoghi complessi centrali, quali il forum, il Capitolium, la basilica e le tabernae. A questi si aggiungono gli edificî termali, nonché a Flavia Solva un anfiteatro e a Virunum, oltre a un possibile secondo anfiteatro, l'unico teatro completo di edificio scenico finora rinvenuto nella provincia.
I blocchi di case, ampiamente ideati e talvolta contraddistinti da cortili interni a peristilio, indicano l'assuefazione al gusto per lo stile abitativo italico, a cui bisogna aggiungere ad Aguntum la più antica testimonianza (in quest'area) del tipo della casa ad atrio, costruita secondo il modello italico.
I reperti archeologici sono molto abbondanti non solo nelle città, centri veri e propri della romanizzazione, ma anche nei dintorni delle città stesse, in piena campagna e lungo le strade di transito, dove i numerosi luoghi di rinvenimento stanno a dimostrare un'assai densa colonizzazione romana della provincia. Alcuni di questi piccoli insediamenti, a cui vanno aggiunti, oltre a quelli già noti, quelli studiati di recente, come Iummurium (Moosham nella regione di Salisburgo) e Tutatio (Georgenberg presso Micheldorf, nell'Austria settentrionale), sono attestati nominalmente come mansiones e mutationes dagli itinerari o dalla Tabula Peutingeriana e sono quindi identificabili anche dal punto di vista archeologico-topografico. Numerose tenute e villae rusticae nelle zone fertili della provincia, come quelle nei dintorni di Thalerhof, Katsch sulla Mur (in Stiria) o Loig (nella regione di Salisburgo), mostrano nella pianta evidenti influssi dell'architettura dell'Italia, come nel caso delle ville con portico, o persino presentano, come l'edificio a Löffelbach (Stiria), paralleli con la Villa di Piazza Armerina, eretta all'epoca della tetrarchia. Queste tenute erano importanti per l'economia della provincia, così come lo era l'industria mineraria che durante l'epoca imperiale ebbe una nuova e più adeguata regolamentazione, come confermano le numerose iscrizioni che menzionano conductores e procuratores delle ferrariae Noricae e il loro personale: tuttavia è piuttosto improbabile che le zone minerarie fossero sottratte all'amministrazione provinciale e appartenessero al Patrimonium personale dell'imperatore.
Gli edificî brevemente descritti, e i reperti che ne provengono, mostrano che la romanizzazione penetrò anche nel retroterra delle città, ma con intensità diversa da caso a caso che variava, in ultima analisi, in rapporto alla posizione sociale, alla professione e al grado di istruzione degli abitanti, come è confermato molto efficacemente anche dai numerosi rinvenimenti epigrafici. Anche le arti figurative vanno considerate come un indice importante dello sviluppo culturale della popolazione della provincia. In questo campo si formarono officine di scultori, sviluppatesi fin dagli inizî dell'occupazione romana, che sfruttavano i molti giacimenti di marmo disponibili: queste officine, attive inizialmente nel Sud del paese, a Virunum e guidate da maestri italici, da principio spedivano i loro prodotti in varie zone della provincia, fino alla regione danubiana; in seguito si formarono altre officine in alcune città noriche, come a Flavia Solva e a Celeia, o, nel III sec. d.C., a Lauriacum. Il centro di questa tendenza artistica rimase tuttavia Virunum dove, verso la metà del II sec. d.C., con la produzione dell'officina detta appunto del «Maestro di Virunum» la scultura norica raggiunse il suo culmine. Gran parte delle sculture tramandateci, sia di carattere religioso che profano, e soprattutto i rilievi e le sculture dell'architettura funeraria, prendono per lo più a modello esempî di sculture classiche, anche se vi compaiono trasformazioni interessanti e talvolta seducenti indotte dal gusto provinciale. Così l'evidente influsso dell'Italia settentrionale rende possibile un confronto di qualità tra le creazioni noriche e quelle italiche. Tipi di monumento funerario caratteristici del Norico, e che ivi raggiunsero grande diffusione e perfezione, sono quelli con ritratti racchiusi in nicchie e medaglioni, nonché le edicole funerarie, tra cui rimarrà probabilmente senza confronti, nell'ambito della provincia, un vasto e straordinario complesso, conservatosi a Sempeter presso Celeia.
In prevalenza la popolazione della provincia si era quindi appropriata delle concezioni dell'aldilà e dei costumi funerarî romani, anche se, come nel caso dei tumuli norico- pannonici, alcune forme indigene più antiche lasciarono la loro impronta su tale produzione. Allo stesso modo le concezioni indigene dell'aldilà trovarono accesso nel mondo immaginativo dei rilievi romani, dove si tentò di dar loro espressione attraverso nuove forme di raffigurazione.
Le cose andarono in modo analogo nel campo del culto e della religione. Il culto di stato romano trovò accoglienza e seguito tra la popolazione della provincia, ma, anche con il consenso di Roma, si tentò di ricondurre - nel senso della interpretatio romana - le divinità indigene noriche, a seconda della loro natura, a quelle romane. Ovviamente, erano anche diffuse le religioni misteriche orientali, come il culto di Mithra e di Giove Dolicheno: a proposito di quest'ultimo va segnalato in particolare, tra gli altri rinvenimenti degli scavi, l'inventario cultuale del Santuario di Iuppiter Dolichenus a Mauer sull'Url.
Gli scavi nelle diverse città noriche hanno anche portato alla scoperta di eccellenti mosaici pavimentali, a contenuto prevalentemente mitologico, p.es. a Iuvavum e nella villa che faceva parte del suo territorio, a Loig; notevole anche il grande mosaico con Dioniso di Virunum: tuttavia è significativo che queste testimonianze di grande qualità risalgano a un'epoca non anteriore al III sec. d.C. Numerosi edificî nelle città, come anche alcune ville in campagna, erano decorati con pitture murali, spesso con affreschi figurati. Nuovi esempi di questo genere di decorazione si hanno a Lauriacum e Teurnia, come anche in una villa, in gran parte ristrutturata, a Thalerhof presso Graz, nel territorio di Flavia Solva. Anche un gran numero di oggetti di artigianato artistico, come statuette di bronzo, vasi di ceramica e di vetro e altri oggetti d'uso corrente, in parte importati, in parte prodotti nelle officine locali noriche, dimostrano la grande importanza che raggiunse la cultura del Norico romano, quale si affermò soprattutto verso la metà del II sec. d.C. nelle zone centrali della provincia. I primi due secoli d.C. furono per la provincia un'epoca di continua e tranquilla ascesa culturale, appena toccata da eventi esterni negativi. Solo l'incursione dei Marcomanni e dei Quadi, nell'ultimo quarto del II sec. d.C., e le conseguenze che ne derivarono, portarono a un primo arresto di questo sviluppo. L'invasione dei barbari provocò nelle aree sud-orientali e settentrionali notevoli danni e causò distruzioni a Flavia Solva e Iuvavum: tuttavia, a quanto risulta dall'esame dei siti finora scavati, le città, colpite dalle incursioni nemiche, si ripresero e spesso conobbero una seconda fioritura, benché, per effetto della nuova situazione creatasi soprattutto nella zona lungo il limes sul confine danubiano, le necessità della difesa militare avessero ormai preso il sopravvento rispetto allo sviluppo culturale.
Sebbene nei due secoli precedenti si fosse attribuita solo scarsa importanza alla protezione militare del confine dell'impero sul corso norico del Danubio (fino ad allora è attestata solo a Lentia-Linz l'esistenza d'un Castrum, presumibilmente di epoca claudia, mentre le poche fortificazioni, costruite in legno e terra, risalgono all'epoca dei Flavi), dopo le guerre con i Germani le opere di difesa del limes danubiano assunsero maggiore importanza.
Com'è noto, una delle più importanti misure adottate per rafforzare il confine sul Danubio fu il trasferimento in questa zona, attorno al 170 d.C., della Legio II Italica: essa allestì un primo castrum presso Ločica, facente parte del sistema difensivo della praetentura Italiae et Alpium, e un secondo presso Albing, che venne però abbandonato un po' più tardi, per stabilire un definitivo stanziamento, tra il 201 e il 205 d.C., nell'accampamento urbano di Lauriacum. A questo fatto si ricollega la fondazione, a opera dell'imperatore Caracalla, della città civile di Lauriacum, quale ultimo municipium sul suolo del Norico (si conservano frammenti dell'epigrafe attestante il conferimento di tale status), sul posto d'un piccolo insediamento che esisteva già dal I sec. d.C. Sotto il profilo amministrativo, il Norico non fu più retto da un procuratore, ma da un legato: il legato della Legio II Italica deteneva contemporaneamente anche la carica di governatore. Questo mutamento determinò anche lo spostamento dell'amministrazione provinciale da Virunum a Ovilava o, più probabilmente, a Lauriacum: la prima di queste due città fu elevata da Caracalla al rango di colonia. Malgrado quest'attenzione militare per il confine settentrionale dell'impero, nel corso del III sec. d.C. popolazione barbariche, come gli Alamanni e gli Iutungi, fecero irruzione a più riprese nelle parti nord-occidentali e nord-orientali della provincia e danneggiarono seriamente le zone attorno a Iuvavum e le città di Aguntum e di Lauriacum. Verso la fine del III sec. d.C., nel quadro della riforma dioclezianea, si ebbe la divisione del Norico in due provincie distinte, cioè il Noricum Ripense a Nord tra le Alpi e il Danubio, con capitale Ovilava o Lauriacum, e il Noricum Mediterraneum, corrispondente alla zona alpina del Sud, con centro a Virunum, a cui fu aggiunta a SE la colonia di Poetovio, fino ad allora appartenente alla Pannonia. Ciascuna provincia ebbe come governatore un praeses, mentre il potere militare spettava al dux Pannoniae Primae et Norici Ripensis, la cui autorità si estendeva a tutte e due le provincie. Al di sopra delle due provincie vi era la diocesi di Illyricum, situata nella praefectura Italia. In seguito a queste misure, le due provincie noriche ebbero, nel IV sec. d.C., un'ulteriore fioritura modesta, ma relativamente tranquilla.
Nella tarda antichità, cioè durante il V e il VI sec. d.C., i paesi delle Alpi Orientali, a causa della loro posizione geo-strategica, costituirono per varie popolazioni barbariche, come i Visigoti, le schiere di Radagaiso o, più tardi, gli Unni, il punto di partenza nell'avanzata verso S e verso O: già dopo la metà del V sec. d.C., il confine settentrionale lungo il Danubio divenne indifendibile. Questo fatto da una parte portò all'abbandono della provincia del Noricum Ripense e all'esodo, nel 488 d.C., della popolazione romana verso l'Italia; dall'altra parte, le medesime circostanze indussero gli abitanti del Norico interno ad abbandonare le città e gli insediamenti di pianura, divenuti insicuri, per ritirarsi in insediamenti fortificati sulle alture, costruiti in fretta, non lontano dai centri più antichi e vicino ai valichi stradali per il Sud: anche il trasferimento, avvenuto prima del 511 d.C., probabilmente nella prima metà del V sec., del centro politico del Noricum Mediterraneum da Virunum a Teurnia è da porre in relazione con questi eventi. Dopo la caduta dell'impero romano d'Occidente, all'epoca degli stati germanici succeduti al regno di Odoacre e degli Ostrogoti in Italia, il Noricum Mediterraneum divenne una sorta di provincia di confine a NE di questi stati. Peraltro né le rivendicazioni territoriali dei Franchi durante la riconquista dell'Italia da parte dell'impero romano d'Oriente, né l'annessione - anch'essa di breve durata - della regione a Bisanzio, fino alla calata dei Longobardi in Italia, nel 568 d.C., ostacolarono l'appartenenza, quanto meno culturale, della provincia all'Italia. Soltanto in seguito all'ultimo evento testé menzionato si costituì nelle Alpi Orientali una sorta di terra di nessuno, la cui popolazione si vide costretta, d'allora in avanti, a contare esclusivamente su sé stessa. Alla fine del VI sec. d.C., nella zona irruppero le tribù slave - a loro volta spinte dagli Avari - e vi si insediarono tra il 591 e il 610 d.C., provocando così la fine della tradizione romana tardoantica nell'area delle Alpi Orientali.
Vari indizî fanno pensare a una cristianizzazione relativamente intensa dell'area delle Alpi Orientali. Il primo accenno sicuro ai cristiani, nel Norico, è dato dal martirio di San Floriano a Lauriacum nel 304 d.C., e del vescovo e scrittore cristiano Vittorino di Petovio (Ptuj) nello stesso anno. Dagli atti del sinodo di Serdica, del 343 d.C., e dei sinodi successivi, ci sono tramandati in parte i nomi dei vescovi norici e sono note le loro diocesi nell'ambito dei singoli municipia, soggette al metropolita di Aquileia. A questo riguardo, un apporto fondamentale offre, soprattutto per il Noricum Ripense, la Vita, redatta nel 511 d.C. da Eugippio, di San Severino (che qualcuno ha voluto identificare con Flavio Severino, console nel 461 d.C.): questa Vita rappresenta un contributo essenziale alla conoscenza del cristianesimo primitivo e delle condizioni di vita della popolazione nell'area danubiana del Norico durante la tarda epoca romana. Scavi recenti hanno fornito, per entrambe le provincie noriche, nuovi dati e informazioni relativi a tale periodo. A Lauriacum è stata scoperta una chiesa cemeteriale, che testimonia una notevole continuità dell'insediamento; sul Georgenberg presso Micheldorf (Tutatio) è stata attestata l'esistenza d'una fortezza-rifugio tardoantica con una chiesa paleocristiana; nell'area di Celeia sono stati studiati due castra tardoantichi sulle colline di Rifnik e Vranje e al loro interno sono state portate alla luce chiese coeve e necropoli. Nel territorio di Virunum, scavi successivi effettuati sullo Hemmaberg hanno permesso il rinvenimento di un complesso di chiese tardoantiche, il più vasto finora tra quelli dell'area alpina norica, con i più estesi resti finora rinvenuti in Austria di mosaici pavimentali riconducibili a quest'epoca. Solo di recente si è scoperta a Teurnia, dopo gli scavi di una vasta necropoli del V e del VI sec. e proseguendo quelli nel Castrum tardoantico, la chiesa vescovile paleocristiana, all'interno della fortificata metropolis Norici. Un'altra chiesa, appartenente all'antica Aguntum, è attestata a Lienz (St. Andreas). I risultati di queste recenti indagini confermano sostanzialmente le definizioni temporali finora prevalenti circa la fine dell'epoca tardoantica nell'area delle Alpi Orientali: la svolta si può collocare negli anni attorno al 600 d.C. La frattura religiosa e culturale che allora si produsse, soprattutto nella zona alpina interna, è evidente specialmente nell'architettura delle chiese paleocristiane, che furono tutte distrutte in quel periodo, sicché non è possibile in alcun caso individuare forme di continuità tra la tarda antichità e il medioevo. Per approfondimenti sulla produzione artistica, v. norico-pannonica, arte.
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Età tardoantica e diffusione del cristianesimo: H. Vetters, Das Problem der Kontinuität von der Antike zum Mittelalter in Osterreich, in Gymnasium, LXXVII, 1969, p. 481 ss.; G. Piccottini, Frühes Christentum in Kärnten, in Carinthia I, 161, 1971, p. 3 ss.; M. Pavan, Stato romano e continuità cristiana nel Noricum, in Clio, IX, 1973, p. 453 ss.; I. Zemmer-Plank, Die Ausgrabungen in der Pfarrkirche St. Andreas in Lienz, in Veröffentlichungen des Tiroler Landesmuseum Ferdinandeum, LIV, 1974, p. 251 ss.; R. Noll, Neuere Funde und Forschungen zum frühen Christentum in Osteneich (1954-1974), in Mitteilungen der ur- und frühgeschichtlichen Arbeitsgemeinschaft, 25, 1974-75, p. 195 ss.; G. Cuscito, La diffusione del cristianesimo nelle regioni alpine orientali, in Aquileia e l'arco alpino orientale..., cit., p. 299 s.; F. Lotter, Severinus von Noricum (Monographien zur Geschichte des Mittelalters, 12), Stoccarda 1976; H. Vetters, Tutatio. Die Ausgrabungen auf dem Georgenberg und in Micheldorf (Der römische Limes im Osterreich, 28), Vienna 1976, in part. p. 18 ss.; H. Zabehlicky, Die spätantiken und völkerwanderungszeitlichen Körpergräber aus dem norischen Teil Niederösterreichs (diss.), Vienna 1976; F. Lotter, Die historischen Daten zur Endphase römischer Präsenz in Ufernoricum, in J. Werner (ed.), Von der Spätantike zum frühen Mittelalter, Sigmaringen 1979; J. Sasel, Antiqui Barbari. Zur Besiedlungsgeschichte Ostnorikums und Pannoniens im 5. und 6. Jahrhundert nach den Schriftquellen, ibid., !p. 125 ss.; L. Eckhart, Die Stadtpfarrkirche und Friedhofskirche St. Laurentius von Enns-Lorch-Lauriacum in Oberösterreich. Die archäologischen Ausgrabungen 1960-1966 (Forschungen in Lauriacum, XIII, 1-3), Linz 1981; F. Glaser, Die römische Siedlung Iuenna und die frühchristlichen Kirchen am Hemmaberg, Klagenfurt 1982; id., Die römische Stadt Teurnia, Klagenfurt 1983; R. Bratož, Severinus von Noricum und seine Zeit. Geschichtliche Anmerkungen (DenkschrWien, 165), Vienna 1983; G. Piccottini, Attestazioni classico-cristiane nel Noricum mediterraneum austriaco, in F. Rovigatti (ed.), Il crinale d'Europa. L'area illirico-danubiana nei suoi rapporti con il mondo classico, Roma 1984, p. 125 ss.; F. Glaser, Hemmaberg. Nuovi scavi, in G. Bandeiii (ed.), Problemi storia e archeologici dell'Italia nord-orientale e delle regioni limitrofe dalla preistoria al Medioevo, Trieste 1982, Trieste 1983-84, p. 49 ss.; W. Alzinger, Aguntum und Lavant, Vienna 19854; F. Glaser, Entdeckung der frühchristlichen Bischofskirche in Teurnia, in Carinthia I, 175, 1985, p. 77 ss.; id., Das spätantike Gräberfeld auf dem Hemmaberg, ibid., p. 85 ss.; F. Glaser, Die Erforschung der frühchristlichen Bischofskirche in Teurnia, ibid., 177, 1987, p. 63 ss.; S. Ciglenečki, Höhenbefestigungen aus der Zeit vom 3. bis 6. Jh. im Ostalpenraum (Slovenska Akademija, Classis I, 31), Lubiana 1987; M. Pollak, Spätantike Grabfunde aus Favianis/Mautem (Mitteilungen der Prähistorischen Kommission, 28), Vienna 1993; H. Wolff, E. Boshof (ed.), Das Christentum im bairischen Raum (Passauer Historische Forschungen, 8), Colonia- Weimar-Vienna 1994. - Su S. Severino ν. anche Provincie romane, Raetia et Vindelicia. "
(G. Piccottini)
Pannonia. - Le ricerche più recenti hanno modificato, sotto alcuni aspetti fondamentali, le nostre conoscenze riguardanti la storia della regione. È stata messa in discussione l'opinione secondo la quale la completa conquista della Pannonia sarebbe legata al nome di Tiberio e si collocherebbe fra il 12 e il 9 a.C.: forse in tale epoca i confini dell'Illirico furono allargati soltanto fino al tratto della Drava e del Danubio vicino a Sirmium (il territorio situato a Ν della Drava, abitato soprattutto da popolazioni celtiche, era stato assoggettato a Roma già prima, nel a.C., al tempo dell'annessione del regno del Norico). È discutibile anche se la suddivisione dell'Illirico in Dalmazia e Pannonia sia avvenuta subito dopo la repressione dell'insurrezione pannonico-dalmata intorno al 9 a.C.: probabilmente ebbe luogo solo alcuni anni dopo, non prima del soggiorno di Druso nell'Illirico, circa nel 20 d.C.
Il confine tra la Pannonia Superiore e quella Inferiore nel 214 non si modificò solo nelle immediate vicinanze di Brigetio, quando Caracalla aggiunse la Legio I Adiutrix alle forze militari della Pannonia Inferiore: anche il più esteso retroterra del campo legionario passò alla stessa Pannonia Inferiore, compresa l'intera regione del Balaton.
Nella metà del III sec. d.C., fra il 247 e il 259-260, si verificò, contro il crescente pericolo gotico, una grande concentrazione militare nelle provincie danubiane, con centro a Sirmium, sotto la guida un unico comandante, il dux Illyrici. Alcuni generali, approfittando delle difficoltà dell'impero, si impadronirono della regione come usurpatori: Pacatianus, Decius, Aemilianus, Ingenuus, Regalianus.
A E della Pannonia e a Ν della Mesia Superiore, lungo i confini settentrionale e orientale, nella Grande Pianura Ungherese abitata dai Sarmati, la ricerca ha individuato un ininterrotto sistema difensivo a trincea. Questo limes Sarmaticus probabilmente si formò dopo l'abbandono della Dacia. Gli studiosi non sono unanimi circa la datazione di questa struttura difensiva: secondo alcuni essa fu creata al tempo di Diocleziano, secondo altri sotto Costantino o nel periodo in cui Costanzo II dimorò nell'Illirico. L'abbandono della linea avvenne dopo la battaglia di Adrianopoli (378 d.C.).
L'opinione degli studiosi si è modificata anche per quanto riguarda la vita della provincia nella sua ultima fase. La Valeria venne a trovarsi in una situazione difficile già dopo il 378, quando Alateo e Safrace vi trasferirono popolazioni alane, unne e gotiche. Le truppe del limes che potevano essere utilizzate furono incorporate all'esercito mobile dell'Illirico che da quel periodo fu stanziato in Dalmazia; la difesa del confine venne affidata alle rimanenti truppe limitanee e ai federati. Gli accampamenti militari ancora sussistenti furono rimpiccioliti, date le ormai ridotte dimensioni dei contingenti di truppe superstiti. La popolazione - a causa delle invasioni dei barbari divenute ormai costanti - si rifugiarono o nei territori all'interno, nei dintorni del Balaton, o a occidente, in Dalmazia. Le città circondate da mura difensive, invece (Herculia, SOphianae) e anche la presenza della popolazione che viveva a ridosso della fortificazioni del limes, sono testimoniate ancora nella seconda metà del V sec.: Tokod, Pilismarót, Aquincum, Intercisa. Le distruzioni causate dalle invasioni barbariche raggiunsero solo più tardi la Pannonia Prima, dove le città difese da una cinta muraria (Savaria, Scarbantia) e la popolazione dei castra legionari (Carnuntum, Vindobona) e di alcuni campi ausiliari riuscirono a sopravvivere per lungo tempo. La vita romana resistette più a lungo nelle provincie meridionali, nella Savia e nella Pannonia Secunda che, pur con alcune interruzioni, appartenevano giuridicamente all'impero orientale.
Le indagini in corso nei campi militari e nelle città della provincia hanno dato risultati spesso rilevanti.
A Carnuntum (v.) è stato effettuato lo scavo dell'importante zona del santuario di Pfaffenberg, nel suo punto centrale, dove era il Tempio della Triade Capitolina. Secondo la testimonianza delle numerose iscrizioni e dei frammenti di statue, al centro del culto si trovava Iupiter Optimus Maximus K(...): si è pensato all'integrazione K(arnuntinus), ma si ipotizza anche la possibilità K(asius). Su una parte delle epigrafi ricorre la data 11 giugno; la più antica è del 172, l'ultima del 313 o 342. In base alla menzione del 172 è stata avanzata l'ipotesi che l'evento celebrato in tali testi (e probabile causa della dedica di ex voto) fosse la pioggia miracolosa verificatasi in quell'anno durante la campagna militare contro i Quadi, ricordata anche nella Colonna Antonina: ne conosceremmo così ora anche il giorno, appunto l'11 giugno.
A 1200 m di distanza dall'accampamento legionario di Carnuntum, nei pressi di Petronell, è venuto alla luce un altro accampamento militare di un'ala. L'accampamento di terra risalente all'età flavia fu ricostruito in pietra ai tempi di Traiano; la fortificazione sopravvisse fino all'epoca tarda. Un bollo laterizio fa riferimento al suo presidio e nomina un'ala I Thracum che si suppone corrisponda all‘ala I Thracum veterana.
Il campo militare di Tokod (Cardabiaca?), a giudicare dalle strutture finora rinvenute, è databile all'epoca di Valentiniano, ma sembra sia stato eretto sul sito di un accampamento più antico, di cui fu riutilizzata una parte: le torri quadrate della porta praetoria, la porta decumana murata. Sembra però che fino alla sconfitta di Adrianopoli la fortezza non abbia ricevuto presidio, e che dopo non sia stata più utilizzata militarmente. Gli abitanti della zona, che si ritirarono all'interno delle sue mura, la usarono infatti come rifugio fino alla fine del V secolo.
Nelle dirette vicinanze dell'accampamento legionario di Aquincum si sono rinvenute le tracce di un altro castrum militare del primo periodo romano. Da esso provengono i frammenti di epigrafi che si riferiscono alla fase della costruzione: i lavori furono eseguiti nel 73 dall'ala I Tungrorum Frontoniana. Le tracce di un altro antico accampamento sono visibili più a S, in Via Folyamör. Gli scavi di maggiori dimensioni nel territorio di Aquincum sono stati compiuti nella zona dell'accampamento legionario, anche in occasione di lavori edilizî moderni. Oltre alla ricerca della porta decumana, dei tratti settentrionale e meridionale delle mura e della torre d'angolo sud-orientale, gli scavi hanno permesso di conoscere soprattutto le strutture interne dell'accampamento e il sistema di strade: va menzionato in particolare lo scavo quasi completo delle terme pubbliche, chiamate thermae maiores in un'epigrafe del 268, dell'abitazione dei tribuni laticlavii, con numerose epigrafi di tribuni, e di un mitreo.
I più recenti scavi e l'analisi dei numerosi monumenti in pietra hanno modificato le conoscenze anche su Intercisa (Dunaújváros). L'accampamento di terra sorse all'epoca di Domiziano; più tardi fu ricostruito in pietra all'epoca delle guerre marcomanne. Fra il I e il II sec., le formazioni che fino ad allora si erano alternate furono sostituite dall’ala I Thracum veterana, al cui posto subentrò poi, nell'ultimo periodo del regno di Marco Aurelio, la cohors I milliaria Hemesenorum. Nel vicus accanto all'accampamento andò sviluppandosi, soprattutto a partire dall'età severiana, una fiorente comunità siriaca.
Per quanto riguarda gli scavi archeologici lungo il tratto più meridionale del limes, Kölked, il reperto di maggior rilievo è la bellissima testa in bronzo di Marco Aurelio ritrovata nella zona dell'accampamento di Lugio (Dunaszekcsö). La testa, grande una volta e mezza più del naturale, insieme al ritratto di Alessandro Severo trovato a Carnuntum, è la statua in bronzo più significativa riportata alla luce in Pannonia negli ultimi anni.
All'interno della provincia, oltre a Gorsium (v.), oggi sono conosciuti i siti di altri due antichi castra. Uno è a Zalalövö, nel sito poi occupato dalla città di Salla, l'altro è situato nel territorio di Savaria. Quest'ultimo è particolarmente importante per quanto riguarda la dislocazione più antica, e tanto poco conosciuta, delle legioni pannoniche: è probabile che la Legio XVApollinaris fosse stanziata qui prima di trasferirsi a Carnuntum, all'epoca di Tiberio o, al più tardi, fino a che Savaria - al tempo di Claudio - non fu innalzata al rango di colonia. L'importanza dell'accampamento dell'ala a Gorsium è dovuta al fatto che qui l'occupazione militare della Pannonia orientale può essere precisata con una datazione più ristretta: l’ala I Scubulorum infatti costruì l'accampamento negli anni fra il 46 e il 49.
Durante gli scavi dei centri abitati fortificati dell'interno della Pannonia nel IV sec. si è potuto chiarire che nella zona di Kisárpás (Mursella) non esistevano fortificazioni. La fortezza di Fenékpuszta (Valcum?) fin dall'inizio fu rafforzata con torri a pianta circolare, senza che vi sia stato un primo periodo più antico documentabile invece in altre parti. La ricerca a Ságvár (Triccianaeï) e Alsóheténypuszta (Iovia, v.) è proseguita su più vasta scala: nella prima sono stati riportati alla luce un horreum, i principia e una basilica, nell'altra invece sono stati ritrovati la porta orientale (con l'attestazione di due fasi costruttive), un bagno, e alcuni edifici agricoli nei pressi della porta occidentale. Le porte, nella prima fase, erano difese da torri a ferro di cavallo. Riguardo alla funzione delle fortificazioni e alla loro datazione le opinioni sono diverse.
La prima fase può essere datata al periodo della residenza di Costantino in Illirico, prima del 324; la seconda invece è relativa al periodo della creazione dell'esercito mobile dell'Illirico, al tempo in cui fissò qui la sua residenza Costanzo II.
Oltre che negli insediamenti militari, scavi e ricerche sono stati condotti in varie città. Si è chiarita l'ubicazione di Salla, distinguendone i principali periodi. Accanto al tratto della Via dell'Ambra che conduce attraverso il fiume Zala (Salla), è stata riportata alla luce una parte dell'arteria principale, pavimentata in pietra basaltica, e, accanto a questa, una villa publica di età tardo-romana, di grandi dimensioni. Negli strati inferiori, le tracce di abitato del I e II sec. e la strada che apparteneva al municipio di età adrianea testimoniano le fasi più importanti della cittadina. Dagli strati più bassi è venuto alla luce il fossato di un accampamento militare.
A Savaria i più recenti rilevamenti hanno permesso di ricostruire con precisione la misura delle insulae·. m 92 x 41, e 41 x 41. Di conseguenza l'estensione della città può essere considerata di 820 x 570 metri. Per quanto riguarda le strade, si possono distinguere due periodi; per ora non è sicuro che la più antica risalga al periodo della fondazione della colonia. Il grande complesso di edifici definito un tempo basilica di Quirino, alla luce delle ricerche e degli scavi più recenti, viene ormai ritenuto con certezza un palazzo imperiale. Sul lato occidentale della parte Ν del palazzo è stata rinvenuta una biforcazione di strade pavimentate, insieme con altri edificî in parte più antichi.
A Scarbantia, sotto le mura di cinta della Sopron medioevale, sono state individuate, con lo stesso tracciato, le mura difensive romane risalenti al tardo periodo imperiale, con una porta cittadina sul lato settentrionale e una sul lato meridionale. Nel punto di incrocio fra il decumanus maximus e il cardo maximus è stato riportato alla luce il foro, la cui area interna è di m 46 x 45. Il lato settentrionale era occupato dal tempio capitolino (le cui enormi statue di culto erano già note) e da un tempio di Ercole; il lato meridionale era chiuso da un portico con colonne, di fronte al quale si ergeva su un basamento una statua equestre a grandezza naturale. La città rimase abitata anche nel V sec., nel VI invece un grande incendio pose fine alla vita all'interno delle sua mura.
A Carnuntum, nella zona della colonia si è riusciti a chiarire definitivamente la funzione delle «Palastruine»: queste strutture, databili alla seconda metà del II sec. 0, al massimo, al principio del III, vennero costruite - al posto di un quartiere andato in rovina - per fungere da thermae e da locali del collegium. Dopo una distruzione (forse all'epoca di Probo) gli edifici furono rinnovati in occasione della conferenza imperiale dell'anno 308 e ne venne cambiata anche la funzione.
Le riprese aeree hanno fruttuosamente completato le nostre conoscenze riguardo alle canabae: la rete stradale era irregolare, con case più piccole rispetto a quelle della città «civile». Gli scavi, effettuati su un'area piuttosto estesa, hanno permesso di identificare tre diversi periodi: attorno alla metà del I sec. esistevano qui ville dalla struttura in legno; nel secondo periodo, a partire dalla metà del I sec., il luogo divenne santuario di divinità orientali; nel terzo periodo, dalla seconda metà del IV sec., si formò un cimitero.
Gli scavi effettuati nella città civile di Aquincum, oltre all'individuazione molto probabile del luogo del foro, hanno contribuito a chiarire soprattutto le fasi di costruzione. Nel periodo flavio esisteva sul posto un vicus; la vita cittadina iniziò sotto Adriano, quando il centro abitato ottenne il rango di municipio. Il macellum fu costruito nel sec. sul sito di una precedente palaestra.
Scavi di maggiori dimensioni sono stati compiuti nella zona delle canabae, della cui struttura sono state chiarite le linee principali. Le strade che conducono fuori dal campo legionario attraversavano il quartiere sud-occidentale, dove era situato anche il foro. Nel quartiere sud-orientale trovavano posto i grandi magazzini del porto, i bagni, l'anfiteatro e la locanda. Nel quartiere nord-occidentale erano situati i templi e a oriente di essi si estendevano le ville di lusso, fra cui la «Villa di Ercole», ricca di mosaici e pitture parietali; nella parte nord-orientale sorgevano alcune dimore signorili, e anche il palazzo del governatore. Dopo la riorganizzazione di Caracalla, questo quartiere si sviluppò notevolmente grazie all'accrescimento dell’officium del governatore.
Gorsium, dopo la fine dell'accampamento militare ausiliare (105-106), ricevette, probabilmente ancora sotto Traiano, il rango municipale. A quel tempo divenne sede del concilium della provincia, e furono edificati il foro e il tempio capitolino. Gli ultimi scavi hanno riportato alla luce le mura del periodo della tetrarchia, che circondavano a forma di quadrato irregolare un'area urbana di circa 7 ha, con quattro porte (una per lato). Le mura furono rafforzate da torri angolari a ventaglio, alternate a torri quadrate sporgenti dalla linea delle mura.
A Sopianae, grazie ai più recenti scavi, sono stati ritrovate due strade parallele e un edificio che sembra un horreum. L'area costruita misura m 150 x 300, e perciò può essere confrontata con i municipi più piccoli. È stata avanzata l'ipotesi che Sopianae si sia sviluppata come città soltanto sotto Gallieno, mentre prima sarebbe stata un modesto centro abitato situato fra edifici interpretabili come villae, una stazione beneficiaria. Un'altra opinione, secondo la quale Sopianae sarebbe stata il capoluogo della provincia Valeria, si fonda su una discutibile interpretazione di un passo di Ammiano Marcellino (XXVIII, 1, 5) e per ora non è dimostrabile. Nel cimitero paleocristiano della città, alle cappelle funerarie finora note se ne è aggiunta un'altra, decorata con affreschi.
Sulla base degli ultimi scavi effettuati a Sirmium, l'estensione della città tardo-antica può essere considerata di 120 ha. Vi si distinguono due centri. Il circo, risalente all'epoca della tetrarchia, è stato riportato alla luce nell'angolo sud-orientale della città; a SO, invece, sorgeva il quartiere imperiale con il palazzo. L'altro centro si trovava forse nei pressi delle grandi terme, dove si suppone fosse situata anche la città più antica. L'area urbana all'inizio si estese verso N, e il muro settentrionale probabilmente fu costruito nel II sec.; il successivo ampliamento avvenne verso E (le tombe si trovano sotto il supposto palazzo imperiale) e più tardi verso S. La maggior parte della case di abitazione del I e II sec. sono di legno.
Il castrum di Iovia corrispondente all'attuale Ludbreg, stando agli scavi condotti fra il 1968 e il 1979, misurava m 200 x 175, e aveva la forma di un rettangolo regolare. La sua vita è testimoniata dal I sec. fino all'inizio del V, e vi si distinguono tre periodi principali: I e II sec.; dalle guerre marcomanniche fino alla fine del III sec.; periodo tardo imperiale. Gli edificî pubblici furono costruiti al centro e nei pressi delle mura settentrionali della città, i quartieri di abitazione sorgevano invece accanto alle mura meridionali e sud-occidentali. La cinta muraria, sia esterna che interna, conosce almeno due fasi: I sec. . - e fine del V. Per approfondimenti sulla produzione artistica, v. norico-pannonica, arte.
Bibl.: Notizie di scavo: Su Gorsium v. Alba Regia, XIII, 1972 ss. - Su Zalalövö v. ActaArchHung, XXVII, 1975 ss. - V. inoltre A. Mócsy, Pannonia Forschung 1969-72, ibid., XXV, 1973) pp. 375-403 e 1973-1976, ibid., XXIX, 1977) pp. 373-401.
In generale: J. Fitz, Ingenuus et Régalien (Collection Latomus, 81), Bruxelles 1966; Β. Β. Bonis, Die spätkeltische Siedlung Gellérthegy-Tabán in Budapest, Budapest 1969; M. Mirković, Sirmium: Its History from the I Century A.D. 582 A.D., in Sirmium. Archaeological Investigations in Syrmian Pannonia, 1, Belgrado 1971, p. 5 ss.; V. Popović, A Survey of the Topography and Urban Organisation of Sirmium in the Late Roman Empire, ibid., pp. 119-133; A. Neumann, Vindobona. Die römische Vergangenheit Wiens, Vienna 1972; J. Fitz, Les Syriens à Intercisa (Collection Latomus, 122), Bruxelles 1972; AA.VV., Die Römer an der Donau. Noricum und Pannonien, Vienna 1973; F. Fülep, Neue Ausgrabungen in der Römerstadt Sopianae. Pees (Régêszeti fuzetek, s. II, 16), Budapest 1974; a. Mócsy, Pannonia and Upper Moesia, Londra 1974; J. Fitz, La Pannonie sous Gallien (Collection Latomus, 148), Bruxelles 1976; Κ. Póczy, Städte in Pannonien, Budapest 1976; AA.VV., Der römische Limes in Ungarn, Székesfehérvár 1976; Β. Lörincz, Pannonische Stempelziegel (diss. 1976), I-III, Budapest 1977-1980; AA.VV., Limes. Akten des II. Internationalen Limeskongresses Székesfehérvár 1976, Budapest 1977; J. Fitz, Der Geldumlauf der römischen Provinzen im Donaugebiet Mitte des 3. Jahrhunderts, 2 voll., Budapest-Bonn 1978; D. Pinterović, Mursa i njeno područije u antičko doba («Mursa e il suo territorio nell'antichità»), Osijek 1978; S. Soproni, Der spätrömische Limes zwischen Esztergom und Szentendre, Budapest 1978; a. Lengyel, G. t. Β. Radan (ed.), The Archaeology of Roman Pannonia, Budapest 1980; I. Jakabfïy, A Közep-Duna- Medence régészeti bibliográfiája 1967-1977. Bibliographie Archéologique du Bassin du Danube moyen 1967-1977, Budapest 1981; J. Fitz, The Great Age of Pannonia, Budapest 1982; id., L'administration des provinces pannoniennes sous le Bas- Empire romain (Collection Latomus, 181), Bruxelles 1983; id., Honorific Titles of Roman Military Units in the Third Century, Budapest-Bonn 1983; É. Garam, P. Patay, S. Soproni, Sarmatisches Wallsystem im Karpatenbecken (Régészeti fuzetek, s. II, 23), Budapest 1983; W. Jobst, Provinzhaupstadt Carnuntum, Vienna 1983; F. Fülep, Sopianae. The History of Pécs during the Roman Era, and the Problem of the Continuity of the Late Roman Population, Budapest 1984; K. Strobel, Untersuchungen zu den Dakenkriegen Trajans. Studien zur Geschichte des mittleren und unteren Donauraumes in der hohen Kaiserzeit (Antiquitas, s. I, XXXIII), Bonn 1984; S. Soproni, Die letzten Jahrzehnte des pannonischen Limes (Münchner Beiträge zur Vor- und Frühgeschichte, 38), Monaco 1985; J. Fitz, Recherches sur la Pannonie 1980-1986, in ActaArchHung, XLI, 1989, pp. 533-558; A. Mócsy, J. Fitz (ed.), Pannonia régészeti. kézikonyve («Manuale archeologico della Pannonia»), Budapest 1990; V. Lányi, Die Fundmünzen der römischen Zeit in Ungarn, I. Komitat Fejér, Bonn-Budapest 1990; M. Bakos, V. Lányi, Die Fundmünzen der römischen Zeit in Ungarn, 2. Komitat Györ- Mosoh-Sopron, Budapest-Bonn 1993; J. Fitz, Die Verwaltung Pannoniens in der Römerzeit, 4 voll., Budapest 1993-1995. - V. inoltre a. S. Burger (ed.), CSIR, Ungarn, VII. Die Skulpturen des Stadtgebietes von Sopianae, Budapest 1991; Z. Farkas, D. Gabler (ed.), CSIR, Ungarn, II. Die Skulpturen des Stadgebietes von Scarbantia und der Limesstrecke ad Flexum-Arrabona, Budapest 1994; G. Hajnoczi (ed.), La Pannonia e l'impero romano, Roma 1994, Roma 1995.
Iscrizioni: Die römischen Inschriften Ungarns, I-V, Budapest 1970-1991.
(J. Fitz)
Dalmatia. - Le ricerche più recenti dimostrano che già Cesare aveva predisposto un ampio programma di romanizzazione della provincia: in primo luogo aveva insediato nuclei di cittadini romani nelle città della costa: Salona e Lissus, menzionate da Cesare stesso, e probabilmente anche lader (Zara/Zadar), Narona (Vid presso Metković), Senta (Senj) e altre. Questi nuclei ben presto accelerarono la loro evoluzione in veri e proprî municipî: lo dimostra fra l'altro un'epigrafe trovata a Lissus, in cui un C. Iulius Caesaris libertus Meges viene menzionato come duovir iure dicundo e quinquennalis·. lo stesso Meges contribuì anche alla costruzione delle mura della città. Gli Italici insediati da Cesare lungo la costa orientale adriatica non erano esponenti della classe dei proprietarî terrieri, ma negotiatores et publicani del ceto medio e aristocratico, alleato di Cesare stesso nelle lotte politiche. Furono certamente loro ad avviare il funzionamento dei dazî portuali, e a imporre il pagamento del portorium locale. Quest'attività non poteva non scontrarsi con quella dei Greci di Issa, che (con la protezione di Roma) avevano organizzato un koinòn che abbracciava tutto il Manius Sinus e deteneva, fra coste e isole, il controllo del traffico marittimo. Gli Issei spedirono un'ambasciata a Cesare, che si trovava ad Aquileia, ed ebbero importanti riconoscimenti: ma l'aggressività nei loro confronti degli operatori romani non conobbe alcuna flessione, e i Greci d'Adriatico, dopo aver conosciuto in conseguenza di ciò la totale rovina economica, nella guerra civile si schierarono dalla parte di Pompeo. Sempre durante la guerra civile si ribellarono anche i Dalmati che sconfissero le legioni del cesariano Vatinio; né, poi, la vittoria di Vatinio contro i pompeiani presso l'isola di Tauris (46 a.C.), né la conclusione della guerra civile (che nelle ultime fasi si svolse sull'Adriatico) con la vittoria di Cesare, contribuirono a una definitiva pacificazione della Dalmazia. Cesare prima della sua morte aveva certamente elaborato un progetto, che nella colonizzazione della fascia litoranea vedeva una prima e decisiva fase della sistemazione della provincia (la quale fino al 16 a.C. avrebbe continuato a comprendere anche l’Histria); il progetto fu portato avanti da Augusto, definito parens coloniae (con allusione a una nuova colonizzazione?) in un'iscrizione di Zara.
Di questo processo di organizzazione del territorio avviato da Cesare e completato da Augusto fanno fede le numerose tracce di centuriazione individuate (in alcuni casi molto recentemente) lungo le coste e nelle isole. Sembra, in particolare, che nella parte settentrionale, l'antica Liburnia, il sistema della divisione dei terreni coltivati che è stato possibile ricostruire nelle isole facesse capo a lader; che nel medio Adriatico Pharos (con un tipo di delimitazione che forse si può far risalire ai mensori greci) e Solentia si possano in qualche modo collegare con Salona e con il suo ager; che a S Corcyra e Melita fossero a loro volta collegabili con Narona. In quest'ultimo sito, o meglio nella vicina penisola di Peliešac (Sabbioncello), i ritrovamenti di resti di centuriazione sono peraltro particolarmente recenti. A differenza di quanto accadde in Istria, sembra che in Dalmazia, nei primi secoli dell'impero, non vi fossero grandi possedimenti: la situazione più diffusa era quella di piccoli e medi possessores di appezzamenti dai 20 ai 50 iugeri: lo si può dedurre anche dalla collocazione dei centri produttivi, le villae rusticae che, in base ai ritrovamenti effettuati, sembra non distassero l'una dall'altra più di 1 km. La situazione si modificò radicalmente, con la diffusione del latifondo, in epoca tardo-antica. In queste ville (fra le quali quelle sulla costa erano dotate di un proprio approdo privato) si coltivavano prodotti come l'olio e il vino che erano poi esportati nei porti più lontani del Mediterraneo, dalla Baetica al Ponto (come dimostrano i ritrovamenti di anfore effettuati in vari scavi subacquei).
Per quanto riguarda l'industria e l'artigianato, dapprima vi fu una stretta dipendenza dall'Italia; poi furono instaurate relazioni commerciali con le officine galliche e con quelle delle altre provincie occidentali, nonché con gli empori del Mediterraneo orientale. Veniva esportato il sale (prodotto nelle saline della costa) e, più tardi, il garum; ma anche il legname della Liburnia, marmi delle cave di Brattia e Tragurion, minerali dell'interno (odierna Bosnia).
Già all'epoca del primo legatus Augusti pro praetore, L. Cornelio Dolabella, erano state ultimate e predisposte per la difesa tutte le strade più importanti, sia quella «dalmatica» lungo la costa, sia quelle «militari», dirette trasversalmente verso l'interno: malgrado questo, le relazioni con le provincie pannoniche erano ancora relativamente scarse. In ogni caso, la Dalmazia risultava inserita nel publicum portorium Illyrici, con sede ad Aquileia, e aveva due stazioni doganali, l'una a Senia, l'altra a Salona.
Molte città avevano il diritto di immunitas: fra queste, particolarmente numerose erano quelle della Liburnia, dove anzi tutta la popolazione sembra godesse dell’immunitas. Secondo alcuni studiosi, inizialmente la Liburnia fece addirittura parte dell'Italia, e diventò provincia solo nel II sec., ma separata dalla Dalmazia. Tale ipotesi non trova riscontro nelle fonti, ma di sicuro la regione ebbe un trattamento speciale, molto probabilmente in virtù della sua rilevanza strategica che appare in tutta la sua evidenza sia fra il 6 e il 9 d.C., durante l'insurrezione dalmato-pannonica, quando fu stabilita qui una sorta di praetentura per impedire che gli insorti penetrassero in Italia, sia più tardi, durante le guerre germaniche della seconda metà del II sec. d.C., quando i barbari passarono le Alpi assediando alcune città nord-italiche. In quest'occasione fu posto a capo della Liburnia un procuratore provvisto di ius gladii, con lo scopo di assicurare i collegamenti via mare fra l'Illirico e l'Italia (trasporti di truppe, materiali, armamenti). Uno statuto a parte esisteva forse anche per la piccola Liburnia Tarsaticensis tardo-antica, ma anch'essa, probabilmente, non costituiva una provincia a parte.
L'esame degli insediamenti può partire dalla situazione precedente la definitiva occupazione romana. Non si sa molto delle fortificazioni autoctone, le «gradine» (strutture difensive paragonabili ai «castellieri» illirici dell'Istria), che talvolta nelle tecniche di fortificazione sembrano risentire di influssi ellenistici, provenienti presumibilmente dall'Epiro: spicca fra queste Ošanići (Erzegovina orientale), capitale dei Daorsii, distrutta dai Dalmatae e non più riedificata. Diverso, sempre nella fase preromana, è ovviamente l'aspetto delle città greche del medio Adriatico. Issa (Lissa/Vis), la più antica (fu fondata da Dionisio di Siracusa nei primi decenni del IV sec. a.C.), è cinta da mura in opus quadratum; l'impianto urbanistico si adatta al pendìo naturale del terreno secondo uno schema che ricorda quello di alcune città della Magna Grecia: dalla sommità del sito scendono vie parallele fra loro, mentre le arterie trasversali sono disposte secondo tracciati più liberi. Phàros (Lesina/Hvar), colonia dei Parii, è invece organizzata secondo uno schema rigidamente ortogonale e uniforme, tanto da far pensare a un assetto sociale estremamente omogeneo.
Non sappiamo praticamente nulla della colonia issea di Lumbarda nell'isola di Kòrkyra Mèlaina o Corcyra Nigra (Curzola/Korčula), mentre quella, pure issea, di Epetion (Stobreč) si può considerare un abitato autoctono, che conserverà questa caratteristica fino in età imperiale romana. Epetion rimase un centro essenzialmente agricolo, e invece Tragùrion (Traù/Trogir) era un centro industriale (estrazione del marmo), in cui è testimoniata un'ininterrotta convivenza di elementi illirici con elementi greci.
Sarà la presenza romana a trasformare più decisamente la vita della regione. Influssi più riconoscibili sembrano quelli provenienti dall'Italia settentrionale, cosa che del resto non sorprende, dato che giunge da qui la maggior parte degli immigrati che si stanziano nelle città dell'Illirico. Nei centri urbani, della fase preromana restano in genere poche tracce: ubicazione dei luoghi di culto, tracciato delle mura e simili.
Le città romane della Dalmatia, in genere, non appaiono però rigidamente pianificate con l'applicazione dello schema ortogonale. Un'eccezione è rappresentata dalla colonia di lader (v. zara), caratterizzata da un reticolo regolare di decumani e cardini, con isolati rettangolari di dimensioni 2:1; nell'ambito di tali moduli è inserita anche l'area del foro e del Capitolium (due spazi contrapposti circondati da portici). Si pensa che la progettazione sia stata opera di mensores militari. Va però osservato che le città, pur prive di pianificazione rigida, esprimono in genere (e non solo per quanto riguarda le colonie) la tendenza ad avvicinarsi il più possibile al modello della città classica romana, sia nella distribuzione degli spazi urbani, sia nelle tipologie edilizie. A Varvaria (Bribir), Aenona (Nona/Nin), Tarsatica (Fiume/Rijeka), Asseria (Podgradje presso Benkovac) e altrove templi, porticati, santuarî, basiliche, terme, archi onorari, ecc. sembrano seguire da vicino l'urbanistica e l'architettura di Roma dalla fine della repubblica all'inizio del II sec. d.C., quando il processo di urbanizzazione (al contrario di quanto avviene in Pannonia) può considerasi compiuto. A Salona (v.), la parte orientale della città, che si aggiunge in un secondo momento a quella occidentale, sembra caratterizzata da un impianto di strade longitudinali e trasversali, in cui si inseriscono organicamente i monumenti paleocristiani. In genere, comunque, le città maggiori, e specialmente le colonie, servivano da modello ai centri indigeni, dove si giustapponevano quindi forme «importate» e contenuti autoctoni; promotori dell'urbanizzazione sono gli elementi (in gran parte, come si è detto, provenienti dall'Italia settentrionale) attivi nel terziario, mediatori della produzione e del commercio (legname, bestiame, ecc.) con il retroterra, che si insediano non solo nelle città più grandi, ma anche nelle piccole borgate lungo la costa, p.es. in quelle del Canale della Morlacca (Planinski Kanal).
Lo studio dei culti, specialmente quelli autoctoni e quelli orientali, ha compiuto sensibili progressi. Il culto di Mithra (che appare diffuso come nella vicina Pannonia), testimoniato in una quarantina di località soprattutto nella zona costiera, si esprime secondo iconografie di derivazione italica; la propaganda è da attribuire peraltro a elementi civili e non militari in quanto, con la pacificazione della provincia, la guarnigione venne drasticamente ridotta, come conferma, p.es., il fatto che il culto di Dolicheno, più marcatamente legato ai soldati, è testimoniato in misura assai minore. Il culto di Attis e della Magna Mater aveva, nel III sec. d.C., un'organizzazione provinciale con centro a Salona; a Zecovi, in Bosnia, si sono rivenuti i resti di un edificio dove si praticava il rito del taurobolio. Interessanti fenomeni di sincretismo e di contaminazione dottrinale si riscontrano nei rapporti dei culti orientali con quelli autoctoni e con quelli di origine italica: Sabazio- Icus; Silvano-Attis; Silvano-Mithra e così via.
Le invasioni barbariche toccarono non tanto il territorio della provincia nel suo complesso, quanto l'estremità settentrionale della Liburnia; di un'invasione dei Visigoti in Dalmazia non si hanno testimonianze né scritte né archeologiche, e i movimenti verso l'Italia devono quindi essersi svolti lungo il corridoio pannonico (abbiamo notizie di vessazioni di Dalmati da parte dei Goti, ma queste sono forse da riferirsi ai Dalmati di Epiro). Tarsatica fu inserita nella riorganizzazione del limes alpino: cominciava dal suo territorio il sistema difensivo detto Claustra Alpium Iuliarum. Ma la città fu probabilmente distrutta dai Visigoti più tardi, quando Stilicone li collocò nella regione della Sava. Poco si sa del periodo della dominazione ostrogota. Dalla testimonianza di Cassiodoro risulterebbe una certa rivitalizzazione dell'economia (miniere di ferro, agricoltura), ma di una situazione socio-politica piuttosto precaria si coglie un riflesso nell'andamento dei sinodi episcopali tenuti a Salona nel 530 e 533, dove i vescovi dalmati (come quelli istriani) si presentano come seguaci dello «scisma dei Tre Capitoli».
Dopo l'occupazione gotica si ebbero modifiche politico-amministrative: la zona della Sava, con Siscia e il suo vescovo, fu posta nella sfera di competenza del Praeses della Dalmazia e del metropolita salonitano, mentre le città e le isole del Carnaro furono annesse all'Istria. Viene costruita in questo periodo a Salona una basilica ariana, con battistero.
Con la riconquista da parte di Giustiniano, il confine settentrionale della provincia torna alla sua posizione originaria (linea del fiume Arsia, che sarà successivamente anche confine della Croazia), e la Dalmazia, sia la Inferior sia la Praevalitana, conosce gli ultimi giorni di relativo splendore: restauro delle fortificazioni e dei centri urbani, formazione di grossi complessi rurali, con significativi reperti attestanti la diffusione del Cristianesimo. Venne anche rivitalizzato il traffico marittimo che costituì l'unico mezzo di collegamento dell'Italia con l'Oriente in tempi di crisi nelle comunicazioni per via di terra. Fu creato nell'Adriatico (come venne fatto anche lungo le coste dell'Africa settentrionale) un articolato sistema di piccole fortezze-punti di avvistamento (phylaktèria) distribuite lungo le coste stesse e sulle isole.
Le invasioni di Avari e Slavi nei primi decenni del VII sec. d.C. provocarono una quasi totale distruzione delle città, sia quelle affacciate sul mare sia quelle dell'entroterra: si salvarono solo lader, Tragurion, Aspalathus (v. spalato) e Rausium (Ragusa/Dubrovnik) e, sulle isole, Arba (Arbe/Rab), Absorus (Ossero/Osor), Curicum (Veglia/Krk). Aspalathus e Rausium, in particolare, costituirono rifugio per le popolazioni - rispettivamente - di Salona e di Epidaurum (Cavtat): ma sembra che fossero già organizzate come città anche prima di accogliere i nuovi venuti. A Rausium, in particolare, si conoscono edifici cristiani, fra cui un'antica basilica urbana con battistero.
Dalla rovina e dalla distruzione si salvarono però anche alcuni gruppi romanizzati e semiromanizzati dell'entroterra, dediti soprattutto all'allevamento, che ebbero poi un loro ruolo nell'etnogenesi delle popolazioni slave della Penisola Balcanica. Le città dalmate diedero luogo anche alla formazione di una particolare variante della lingua latina, detta appunto «Dalmatino», di cui si conosce l'uso fino al XVI sec. e, nell'isola di Veglia (Krk), fino all'inizio del Novecento.
Per i singoli siti si vedano le voci mogorjelo, narona, salona, spalato, zara.
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(M. Suić)
Dacia. - Nella provincia traianea rientrano la maggior parte della Transilvania e probabilmente una striscia di Oltenia a O del Jiu, con i castra di Drobeta e Bumbeşti, dove unità dell'esercito sono presenti fin dai primi anni dell'occupazione romana (rispettivamente la cohors III Campestris e la IV Cipria). Sulla sorte di altri territori conquistati da Traiano si discute tuttora: secondo l'ultimo riesame della questione (Petolescu) il resto dell'Oltenia, il bacino transilvanico dell'Oli, la Muntenia e la Moldavia meridionale sarebbero stati annessi in un primo tempo alla Mesia Inferiore, mentre il Banato (occupato almeno fino alla linea dei castra di Berzovia, Centum Putea e Arcidava) avrebbe fatto parte fin dall'inizio della nuova provincia.
Le due provincie di Dacia Superiore e Inferiore non risultano, a quanto sembra, dalla suddivisione di un'unica Dacia, ma dal distacco di alcuni dei territori transdanubiani già compresi nella Mesia Inferiore: Oltenia e angolo SE della Transilvania, che vengono a costituire la Dacia Inferiore. La Superiore rimane nei limiti dell'ex Dacia indivisa, includendo quindi anche la zona NO dell'Oltenia. Un diploma militare recentemente pubblicato conferma infatti che la cohors III Campestris di Drobeta faceva ancora parte dell'esercito della Dacia Superiore in avanzata età antonina. Motivo di questa riorganizzazione è la rinuncia, da parte di Adriano, alla diretta sovranità sui territori periferici di Muntenia e bassa Moldavia, in seguito alla guerra sarmatica del 117-18. Il confine retrocede egualmente nel Banato, attestandosi con ogni probabilità sulla linea Tibiscum- Dierna: i castra della linea più avanzata che faceva capo al campo legionario di Berzovia risultano evacuati, in concomitanza con il trasferimento della Legio IV Flavia Felix da questa località a Singidunum.
La data di costituzione della Dacia Porolissense, già ipoteticamente fissata al 158/159, è stata rialzata in seguito al ritrovamento di un diploma militare di Gherla, contenente una menzione di questa provincia relativa al 133. Si è pensato in un primo tempo che la tripartizione della Dacia risalisse al 124, anno della visita di Adriano, ma un nuovo termine ante quem viene adesso da un secondo diploma di Gherla, datato all'anno precedente. Il territorio della Porolissense, probabilmente delimitato dal Mureş e dal suo affluente Arieş, può essere stato distaccato dalla Dacia Superiore per ragioni di equilibrio nella ripartizione delle forze militari, che risultavano così distribuite in numero quasi uguale fra tre provincie. Questa la tesi più accettata, ma secondo il Petolescu la provincia Porolissense sarebbe stata istituita nel 118 insieme alle altre due.
Con la creazione della provincia unificata trium Daciarum, sotto Marco Aurelio, compaiono le denominazioni di Dacia Apulense e Dacia Malvense, oggetto di una lunga controversia che può ritenersi ormai chiusa. Si tratta di denominazioni che derivano da toponimi (appunto Porolissum e Malva) che si sostituiscono ai precedenti Superior e Inferior. Permane però il dubbio sulla precisa ubicazione di Malva, per cui sono state proposte numerose ipotesi, nessuna delle quali soddisfacente.
Scavi e ritrovamenti. - Sulle caratteristiche generali del sistema difensivo rimangono validi i dati già da tempo acquisiti (v. vol. II, p. 983); si tenga presente che è ora controversa la cronologia del limes della Muntenia in quanto si trattò di un'occupazione di breve durata, limitata alla prima metà del III secolo.
I castra della Dacia attualmente noti o segnalati sono un'ottantina (tutti elencati ultimamente dal Forni, con ragguagli sulla situazione archeologica e aggiornata bibliografia); pochissimi, però, sono quelli sistematicamente esplorati ed esaurientemente pubblicati. Per la Dacia transilvanica converrà ricordare i due campi ausiliari di Bologa (Resculum?) e Buciumi, compresi in una serie continua di apprestamenti difensivi che proteggeva il vulnerabile fianco NO della Porolissense, con valium dinanzi alla linea dei castra e fitta rete esterna di torri di avvistamento e fortilizî minori. Il sistema, di un tipo non del tutto comune nella regione, è noto come limes del Mezeş. L'impianto dei due castra sopra menzionati risale ai primi anni dell'occupazione romana. Entrambi hanno avuto una prima fase in terra e una ricostruzione in pietra posteriore alle guerre marcomanne; meglio noto quello di Buciumi, dove sono state precisate le piante di varí edifici, fra i quali un pretorio con corte porticata. A Bologa iniziava il limes del Mezeş, cui era collegato anche il caposaldo di Porolissum. Si ricorda ancora la scoperta di un Castrum a Feldioara, sempre in Transilvania, ma nella zona carpatica SE (Braşov) e su una delle linee difensive che penetravano nell'interno.
Fra i campi militari dell'Oltenia si è rivelato di particolare importanza quello di Slàveni (v. S 1970, p. 724, s.v.) sul limes dell'Olt. La costruzione in pietra e mattoni è datata epigraficamente al 205, e ha sostituito anche qui un campo in terra dei primi del II sec., già protetto da due fossati (un terzo è coevo al rifacimento). Severiane sono pure le vicine terme, del tipo con frigidarium indipendente dalla serie degli ambienti riscaldati. Restauri sono stati ancora effettuati sotto Filippo l'Arabo. Il Castrum, munito di torri solo in corrispondenza degli angoli e delle porte, era destinato a un contingente di mille uomini, e comprendeva dodici grandi caserme a un piano, allineate trasversalmente lungo l'asse delle vie decumana e pretoria, quest'ultima porticata. Di un certo valore architettonico anche il complesso dei principia, con elegante peristilio la cui trabeazione doveva piegarsi a serliana di fronte alla cappella absidata delle insegne.
La situazione archeologica del grande castrum di Drobeta non è ancora del tutto chiarita; restauri e rifacimenti piuttosto radicali, prima della completa ristrutturazione costantiniana (v. vol. Ill, p. 183 ss., s.v. Drobeta) sembrano risalire a età gallienica, e hanno interessato sia il muro di cinta che gli edificî interni, ridotti nelle dimensioni e nel numero, mentre sull'area dei principia si è impiantata una nuova basilica.
Sulle città della Dacia e sugli insediamenti civili in genere, le nostre conoscenze restano limitate. Una documentazione di grande importanza, specialmente sugli edificî templari e sul foro, è stata riportata in luce a Sarmize- getusa, dove si svolgono regolari campagne di scavo. Micia (v. vol. IV, p. 1118, s.v.) deve la sua recente notorietà soprattutto al recupero di un gran numero di sculture funerarie, in occasione di lavori per l'installazione di una centrale elettrica a Mintia (sito di una delle necropoli). Più a O, verso Veţel, sono stati liberati i resti di un anfiteatro castrense e delle terme dell'abitato civile che si estendeva più a valle, costruite nella prima metà del II sec. e rifatte in età severiana. Si segnalano anche le scarse vestigia di un quartiere di abitazione (con case approssimativamente allineate secondo un piano urbanistico), e di una grossa costruzione a pochi metri dal Castrum, ipoteticamente un secondo complesso termale. L'anfiteatro, reso noto nel 1968, è il terzo edificio di questo tipo scavato finora in Dacia, dopo quelli di Sarmizegetusa e di Porolissum (v. vol. VI, p. 384); di un quarto, annesso al campo di Buridava sul limes dell'Olt, è stata rilevata la pianta grazie a una fotografia aerea, ma non è stato ancora individuato quello di Apulum (ipotizzato in base al ritrovamento di una tegola con figura di gladiatore).
Ad Alba Iulia, una nuova iscrizione dal quartiere Partoş (lungo il Mureş, a c.a 3 km dalla città fortificata di origine medievale che occupa la stessa collina del Castrum) porterebbe a localizzare in quella zona la Colonia Aurelia Apulensis. Il ritrovamento ha riaperto il problema dei due centri urbani formatisi nelle vicinanze del campo legionario di Apulum (v. vol. I, p. 509). Da un riesame complessivo dei documenti e della situazione topografica, risulterebbe che il primo nucleo del municipio aureliano (poco dopo Colonia Aurelia) fosse costituito non dalle canabae (v.) ma da un vicus situato a maggiore distanza dal castrum. Le canabae erano forse immediatamente a ridosso della collina (intorno alla quale si hanno evidenze di un altro abitato romano), e perciò sarebbero rimaste più a lungo sotto la giurisdizione militare: da esse si sarebbe sviluppato il Municipium Septimium, poi Colonia Nova Apulensis.
Nella già ricordata iscrizione di Partoş (dedica di un monumento all'imperatore Volusiano) il nome della Colonia Aurelia è seguito dal soprannome Chrysopolis, di cui non abbiamo altre menzioni. È la più tarda testimonianza sull'attività estrattiva nelle miniere d'oro dell'attigua regione di Zlatna, forse potenziata o ripresa, nel quadro delle ultime misure dirette a ristabilire la compromessa situazione economica e militare della provincia alla metà del III secolo.
Si deve anche ricordare, fra i molti ritrovamenti fortuiti, una statua in marmo di Giove, probabilmente del Capitolium cittadino.
A Romula (v. vol. VI, p. 1025) le ricerche sul terreno riprese negli anni Sessanta hanno chiarito, tra l'altro, fasi e planimetrie dell'edificio pubblico in cui viene generalmente riconosciuta la curia. L'identificazione non è però del tutto certa. Si trattava di un fabbricato rettangolare tripartito, con uno dei lati lunghi bordato da un portico. All'interno, due sale di uguali dimensioni, con colonne di sostegno sull'asse longitudinale, fiancheggiavano un vano minore che si suppone adibito ad archivio. In questa forma la «curia» è stata eretta ai primi del III sec. (fase a cui appartiene l'esuberante decorazione scultorea), ma restano tracce di un edificio basilicale preesistente. Altro risultato delle recenti esplorazioni di Romula è stata la scoperta di una villa suburbana, presso la porta Ν delle mura di Filippo l'Arabo. Il complesso, occupato ininterrottamente dal II sec. fino agli anni dell'invasione carpica, offre l'unico esempio di casa a peristilio finora segnalato in Dacia Inferiore; comprendeva anche officine e fornaci per la fabbricazione di vasi e di vario materiale fittile.
Dell'altro grosso insediamento civile sull'Olt, Sucidava, sono precisati il perimetro e la cronologia delle mura, ma nulla si conosce del tessuto urbano. Rimane poi ancora aperto il problema della localizzazione del castrum, in quanto recenti sondaggi hanno escluso che occupassse la terrazza della fortezza costantiniana. Una fortezza precedente, con analogo andamento del muro perimetrale, è risultata non anteriore alla seconda metà del III sec., periodo in cui le difese sul Danubio vengono consolidate, appunto a seguito o in previsione dell'abbandono della provincia.
Romula e Sarmizegetusa sono le sole città delle quali sia stato identificato lo spazio forense. L'edilizia privata è invece nota soprattutto da ville rurali o suburbane, fittamente addensate nella Transilvania centro-occidentale (l'area più popolata) fra Sarmizegetusa, Apulum e Napoca. Sono in genere recintate, con impianti annessi e corpo residenziale variamente articolato, senza particolari ricerche architettoniche. Fra le più ampie si segnalano quelle di Brucla-Aiud e di Mănerau (del tipo pannonico a corridoio centrale), di Sarmizegetusa («winged corridor house»), di Apahida e Ciumăfaia, con diversi avancorpi absidati, ecc. Delle finiture interne manca quasi sempre ogni traccia, ma nello scavo della casa a peristilio di Romula, condotto di recente, sono stati recuperati frammenti d'intonaco con decorazione a fresco. Un'abitazione nel suburbio di Sarmizegetusa aveva una ricca pavimentazione musiva, distrutta nel secolo scorso.
Dal punto di vista dell'elaborazione architettonica la realizzazione più notevole rimane l’Aedes Augustalium di Sarmizegetusa, vasto complesso di derivazione castrense. L'architettura templare manca di caratteri specifici, unica forma «provinciale» finora accertata essendo il tempietto galloromano compreso nell’Asklepièion della capitale (v. sarmizegetusa).
Varie informazioni sull'aspetto delle città, le sistemazioni urbanistiche e l'arredo urbano si ricavano dalla documentazione epigrafica, che attesta periodi d'intensa attività edilizia, in particolare l'età severiana, anche se molti lavori di questa fase sono di ricostruzione o restauro degli edifici danneggiati dalle guerre marcomanne. Nel primo trentennio del III sec. la provincia conosce i suoi ultimi momenti di prosperità: risalgono a questo periodo il grande sviluppo urbano di Apulum, la riattivazione delle miniere d'oro, l'istituzione, sotto Alessandro Severo, del concilium delle tre Dacie. La titolatura cittadina dell'epoca riflette la composizione etnicamente mista della borghesia locale (conseguenza del vasto piano di colonizzazione traianeo), con una forte componente orientale, almeno nei centri maggiori: Sarmizegetusa assume il titolo di Metropolis (legato all'istituto del concilium, come nel caso di Beroe), Apulum quello di Chrysopolis. Ma contrariamente a quanto si è talvolta affermato, nessuna città aveva fisionomia culturale greca, né struttura di pòlis.
La più tarda notizia sul restauro di un edificio cittadino riguarda il Tempio di Azizus a Potaissa, e risale al tempo di Valeriano e Gallieno (CIL, III, 875), quando vengono definitivamente abbandonati i templi extramurari di Sarmizegetusa. Una basilica a tre navate del IV sec., e un altro edificio inquadrabile fra il IV e il VI, sono stati recentemente individuati a Drobeta, sull'area dell'attuale Piazza Ghica. A Slăveni, la cappella delle insegne e altre parti del castrum risultano inglobate in un martyrium, che è forse il più antico edificio cristiano della regione. Il vallo detto Brazda lui Novac de Nord, che inizia nella zona delle Porte di Ferro, a Hînova, attraversa tutta l’Oltenia e prosegue nella grande Valacchia, incrociando l'ex limes della Muntenia a Urlueni, fino a raggiungere Pietroasele (Castrum del IV sec.), delimita probabilmente la fascia di territorio transdanubiano riannessa da Costantino.
Nessun aspetto della civiltà dei Daci si è amalgamato con il quadro culturale della romanizzazione, non almeno come fattore attivo. È impossibile distinguere una componente dacica autoctona nell'iconografia religiosa e nelle dediche votive, nel gusto artistico e perfino nell'abbigliamento, quale è riprodotto dai rilievi funerari di età romana. La vita artistica si rivela un portato esclusivo della romanizzazione, e quanto si distingue come espressione peculiare del provincialismo dacico è frutto di un'evoluzione interna.
Si è accennato più volte alla possibilità di applicare anche al materiale della Dacia la distinzione più corrente, negli studi di arte romana, fra un versante «colto» (cui aderirebbero tutte le manifestazioni ufficiali, ritenute per lo più d'importazione, come le statue degli imperatori) e uno «provinciale» con caratteri propri, che si distaccano dal naturalismo di tradizione genericamente ellenistica. Se è vero che espressioni di artigianato locale, come il rilievo funerario, hanno scarsamente risentito degli indirizzi dell'arte metropolitana, distinguere gli oggetti d'importazione soltanto in base alla qualità e alla connotazione stilistica si rivela un metodo inadeguato. Lo ha dimostrato recentemente il caso della piccola bronzistica, abbondantissima e rappresentata anche da esemplari piuttosto fini (soprattutto a Sarmizegetusa, ma anche a Potaissa e altrove). Non sono stati ancora identificati i centri di fabbricazione dei pezzi di maggior pregio, ed eventualmente importati; ma che in Dacia si eseguissero bronzetti d'intonazione «colta» è stato confermato dal recente ritrovamento, proprio a Sarmizegetusa, di alcune forme. Lo stesso discorso vale per la glittica, e a maggior ragione, perché mentre potrebbero essere d'importazione le forme usate dai bronzisti, la fiorentissima industria delle gemme attestata a Romula utilizzava anche diaspri del Banato e dei Carpazi.
In alcune città è stata coltivata una scultura di tradizione accademica in marmo, materiale che in Transilvania si estraeva localmente. Sfruttatissima la cava di Bucova, presso Sarmizegetusa, dove alcune botteghe di marmisti conoscevano e rielaboravano prototipi classici, come attesta, fra l'altro, una nota redazione della Venere Genitrice callimachea (v. S 1970, p. 235, s.v. Cla(udius) Saturninus). Le opere più caratteristiche di questa produzione sono le statue iconiche ricalcate sui tipi correnti in età romana («Ercolanensi», togati, ecc.), e alle quali si possono talvolta accostare, per gusto e per tecnica, quelle congeneri delle provincie sud-danubiane. Nondimeno, l'evoluzione dell'arte «urbana» non viene ignorata (p.es. per l'uso del trapano) anche se seguita saltuariamente. Ad Apulum e a Potaissa, dove pure si eseguivano statue in marmo carpatico, lo stile non manca mai di lasciar trasparire caratteristiche prettamente locali.
Le statue loricate di Apulum (una identificata con Macrino o Pertinace) confermano che a questi marmisti venivano affidate anche commissioni ufficiali. Per lo più si ritengono invece d'importazione le statue imperiali in bronzo, di cui restano parecchi frammenti, oltre a qualche pezzo di maggiore consistenza (il Decio di Sarmizegetusa e una testa muliebre del II sec. da Drobeta sono gli esempi più noti); ma si tratta di lavori non sempre esenti da caratteri provinciali, e che andrebbero riconsiderati tenendo conto del problema generale della grande bronzistica danubiana, ora riproposto dal Gordiano III di Nicopoli.
La lacuna più grave nelle nostre conoscenze rimane l'assenza quasi completa di una diretta documentazione sulla pittura e sul mosaico; sulla prima abbiamo qualche testimonianza epigrafica, mentre notevoli mosaici policromi scoperti a partire dal Settecento, per lo più a Sarmizegetusa, sono noti da disegni che mostrano sistemi decorativi tradizionali, con emblèmata a soggetto mitologico entro cornici decorativo-geometriche. La didascalia greca di una scena del riscatto del corpo di Ettore farebbe pensare a mosaicisti provenienti dalla Moesia Inferior o da altre zone ellenizzate a S del Danubio.
Il grosso della documentazione d'interesse storico-artistico è costituito da rilievi funerarî e votivi, complessivamente abbastanza noti, anche perché l'indirizzo tradizionale degli studî sul provincialismo romano li ha privilegiati come oggetto di discussione e d'indagine. Della tematica cultuale si può dire che in Dacia è relativamente varia, ma priva di peculiarità regionali. Impossibile cogliere sopravvivenze di culti protostorici autoctoni, i quali non hanno ispirato elaborazioni iconografiche originali, sul genere dell’imagerie religiosa gallo-romana. Se dietro le figure di Silvano, dei Cavalieri danubiani (v. vol. II, pp. 966-967, s.v. Cultuale, bassorilievo) o di Libero e Libera si celano divinità geto-daciche, il sincretismo non affiora da nessun dettaglio della rappresentazione, che ricalca tipi ellenistico-romani correnti. Il culto del Cavaliere Trace (v.) è importato, e non particolarmente popolare. Più cospicua la serie dei monumenti mitriaci, comprendente i ben noti rilievi con spartizione in registri (tipo originario della Dacia), oltre a numerose tavolette di vario formato, statue e composizioni a tuttotondo. Per il gruppo di Mithra tauroctono, e anche per gruppi dionisiaci e di altro genere, viene usata talvolta la tecnica del traforo a giorno, che si diffonde dalle regioni balcaniche, mentre dall'area renana proviene il monumento votivo a colonna, cui è ricollegabile una serie di statuette di Giove in trono.
Ma il gruppo di Giove cavaliere con l'anguipede è assente, come quasi tutte le figure divine romano-provinciali (un'eccezione e un unicum la Dea Dardanica di un rilievo di Cioroiul Nou, con gli attributi del gallo e del cervide). Meglio che nell'iconografia, il mosaico etnico della Dacia romana si riflette nell'epigrafia, ricca di dediche a divinità celtiche, germaniche e soprattutto microasiatiche e siriache, le quali, però, non sono state raffigurate, se non sotto l'aspetto di simboli o ipostasi generiche (aquila votiva di Romula dedicata a Turmasgades, ecc.). L’Hekatàion di Sibiu, ispirato al modello microasiatico del simulacro divino femminile con ependỳtes, rimane un caso problematico e isolato, pur fra varie testimonianze del culto di Ecate triforme.
La scultura funeraria rivela una forte impronta locale benché la tipologia monumentale non differisca da quella delle provincie danubiane circostanti: monumento favorito è la stele, di solito con campo epigrafico e ritratti entro medaglioni o entro nicchie di varia forma, talora con scena di banchetto. In Dacia Superiore sono frequenti anche i medaglioni liberi e le edicole, del tipo a tre pareti con fronte aperta, originario della Pannonia. Si hanno inoltre diverse varietà di altari e di cippi (molti con coronamento a piramide), nonché membrature architettoniche, grandi leoni a tuttotondo e statue per costruzioni di cui ignoriamo l'aspetto. Un tempietto con camera e vestibolo è stato identificato nella necropoli di Cinciş, ma non rimangono elementi di alzato. A un orizzonte diverso da quello della produzione funeraria corrente, destinata a una classe media militare e burocratica, riportano imponenti forme commemorative aniconiche, cui sembra più incline l'aristocrazia municipale dell'ordine equestre: tali il mausoleo degli Aureli di Sarmizegetusa (grande tomba a tamburo con tumulo) e il monumento dei Vareni di Apulum (del tipo orientale a pilastro con sarcofago esposto). Mancano sarcofagi figurati, tranne un esemplare di tradizione asiatica della Dacia Inferiore (v. Bucarest).
I centri limitanei della fascia danubiana, da Carnuntum (v.) fino a Ratiaria e a Novae (v.), forniscono gli spunti di elaborazione, e in generale il materiale tipologico e iconografico. L'Oltenia, affacciata sul Danubio, è strettamente legata alle Mesie, mentre in Transilvania gli apporti più incisivi sono quelli della Pannonia, non però esclusivi: ricorrono infatti anche temi figurati e formule provenienti dalle regioni balcaniche a S della Dacia, come la scena di banchetto e il medaglione a ferro di cavallo; e nella Porolissense si avvertono le tendenze del «barocco norico» (altorilievo plastico, caratterizzato da ridondanti panneggi) e dello «stile elegante» gallo-renano (figure assottigliate di tradizione tardoellenistica, in scene di libagioni, banchetto, ecc.). Ma l'influsso della Cisalpina, di cui pure si era molto parlato, non può essersi esercitato per ragioni storiche e cronologiche: la fase di maggiore produttività dell'artigianato funerario della Dacia è compresa fra il tardo II sec. e i primi anni del III.
I monumenti sono fittamente distribuiti sull'intero territorio della Dacia transilvanica, con punti di addensamento in corrispondenza di alcuni centri di lavorazione molto vivaci: Apulum (il più attivo), Micia, Sarmizegetusa, Potaissa; scarseggiano viceversa nel Banato e in Oltenia, regioni poco urbanizzate e dove mancavano cave di pietra lavorabile, tranne che nei dintorni di Drobeta. Geograficamente più appartata, ma tendenzialmente più ricettiva, per la forte concentrazione di truppe e le superiori risorse economiche, la Transilvania si distingue per una facies più articolata, risentendo di varie sollecitazioni che vengono poi assimilate in una situazione di maggiore isolamento e però con esiti più originali. Due fattori hanno qui contribuito a definire la particolare fisionomia del provincialismo artistico: da un lato l'epoca tarda del suo sviluppo, dall'altro la posizione appartata della regione, incuneata nel barbaricum e separata dalle principali arterie di traffico. La Transilvania non viene raggiunta dalle periodiche ondate di «ellenizzazione» che investono altre zone periferiche del mondo romano, con conseguente arricchimento del lessico formale, del repertorio e del gusto (sintomatica l'estrema rarità dei soggetti narrativi mitologici, che hanno tanta fortuna in Pannonia dopo la metà del II sec.). Per tutta la durata della produzione persistono tratti di «primitivismo» figurativo (frontalità, indifferenza ai valori plastici e spaziali, riduzione delle forme naturali a schemi geometrizzanti, non però necessariamente inespressivi). Ma dal limitato orizzonte della Soldatenkunst, in cui è radicata, la tarda fioritura del provincialismo dacico emerge come fenomeno decisamente maturo. L'artigianato funerario esordisce con un vasto assortimento di formule, una grossa riserva di spunti, un bagaglio di esperienze che vengono messe a frutto nella condotta talora estremamente disinvolta del gioco combinatorio, e in libere variazioni sui motivi di repertorio corrente (eroti ghirlandofori, tritoni, maschere di Medusa, Ammoni, Oceano, ecc.). Per le officine della Dacia è ormai scontato che la stele rappresenta una superficie da rivestire, cui non si richiede verosimiglianza strutturale, nella riproduzione degli elementi architettonici, ma omogeneità di disegno. Gli originali sistemi decorativi dell'Apulense con medaglione applicato amalgamano tutte le componenti tradizionali del monumento funerario romano - ritratti, iscrizione, inquadramento architettonico, figure accessorie simboliche - in una compatta tessitura a tappeto, di cui il medaglione stesso è l'elemento generatore e il centro focale. Per questa impaginazione coordinata della sintassi di superficie, inconcepibile in un primitivismo del tutto genuino, si può dire che anche la scultura provinciale della Dacia partecipa dell'evoluzione generale verso il linguaggio tardoantico. Sulla stessa linea, la cristallizzazione ormai definitiva della scena di banchetto in una statica «presenza» di apparato (v. S 1970, fig. 650), con allineamenti di figure immobilizzate dalla ripetizione delle pose, dall'accentuazione di poche costanti ritmiche, da una frontalizzazione sistematica che si avrebbe torto a liquidare come inconsapevole ripiego infantile o artigianesco, perché concorre con una funzione essenziale alla qualità espressiva di una rigorosa geometria figurata.
La plastica funeraria della Dacia Inferiore non si distingue per aspetti originali, limitandosi in genere alla ripetizione di modelli sud-danubiani. Più notevole è stato qui lo sviluppo dell'industria artistica: oltre alla glittica già segnalata di Romula, è da ricordare la lavorazione del piombo a Sucidava, dove si eseguivano icone dei cavalieri danubiani e cornici per specchi con decorazione vegetale e animalistica, esportate anche a S del Danubio.
Scarsa rilevanza ha in Dacia l'industria del vetro, mentre la produzione ceramica di terra sigillata e lucerne sembra piuttosto vivace, anche se non particolarmente fine e destinata solo al mercato interno. Le numerose statuette fittili, che in genere ripetono i tipi della piccola bronzistica, sono di serie e di fattura corrente, pur con qualche eccezione (notevole un piccolo busto di libico da Romula). A Sucidava, a Släveni, a Romula stessa, nello scavo della casa a peristilio, sono stati recuperati diversi stampi, non è chiaro se eseguiti localmente o importati dalla Mesia Inferiore.
Di una toreutica locale si è parlato a proposito del tesoro di Aţel, datato dalle monete al III sec., e comprendente anche oggetti in argento di tradizione La Tène; ma i lavori più notevoli in questo campo, come l'umbone di scudo del museo di Sibiu e l'elmo di Romula (che rientra nella serie ben nota degli elmi da parata a maschera), sono certamente d'importazione.
La vita artistica della provincia si estingue gradualmente con la crisi militare, continuando forse più a lungo in città dell'interno come Apulum e Potaissa, protette da una guarnigione legionaria. Una grande statua di ufficiale testimonia l'alto livello mantenuto dalla ritrattistica di Apulum dopo la metà del III sec., ma nessuna scultura dei generi più correnti può essere inquadrata in questa fase. Tipologicamente, i ritratti dei monumenti funerari della Dacia si arrestano al periodo antonino o agli inizî dell'età severiana.
Bibl.: Iscrizioni: È in corso di pubblicazione il Corpus epigrafico Inscriptions Daciae romanae, Bucarest 1975, di cui sono usciti i voll. I (diplomi militari), II, 1977 (Oltenia e Muntenia), III/1, 1977 (Banato), III/2, 1980 (Sarmizegetusa), III/3, 1984 (territorio fra Sarmizegetusa e Apulum), con ampie introduzioni storiche.
Storia della Dacia: M. Macrea, Viaţa in Dacia romand («La vita nella Dacia romana»), Bucarest 1969; C. Daicoviciu, Dacica. Studii si orticole privind istoria veche a pämintului romänec («Dacica. Studi e articoli sulla storia antica e sulla terra romena»), Cluj 1969; Romania romana. Colloquio italo-romeno, 1973 (Accademia Nazionale dei Lincei. Quaderni 207), Roma 1974; E. Condurachi, C. Daicoviciu, Romania, Ginevra-Roma 1975 (profilo divulgativo); ANRW, II, 6, 1977 (con contributi su vari argomenti); D. Tudor, Oltenia romanä, Bucarest 19781 (monografia con repertorio archeologico completo); La Dacia preromana e romana; i rapporti con l'impero (ConvLinc, 52), Roma 1982, passim.
Sulle ripartizioni territoriali e amministrative: I. I. Russu, Dacia ¡i Pannonia Inferiore in luminä diplomei militare din anul 123 («La Dacia e la Pannonia Inferiore alla luce del diploma militare dell'anno 123»), Bucarest 1973; I. Piso, D. Benea, Diploma militará de la Drobeta («Il diploma militare di Drobeta»), in ActaMusNapoca, XXI, 1984, pp. 111-124; C. C. Petolescu, L'organisation de la Dacie sous Trajan et Hadrien, in Dacia, XXIX n.s., 1985, pp. 45-55.
Su Malva e la Malvense v. in part. D. Tudor, op. cit., p. 189 ss. (con ampia discussione della bibl. prec.); C. C. Petolescu, Colonia Malvensis, in StCIstor, XXVIII, 1987, pp. 23-32. - Sull'iscrizione di Lallia Marna: M. Speidel, Numerus Syrorum Malvensium. The Transfer of a Dacian Army Unit to Mauretania and Its Implications, in Dacia, XVIII n.s., 1973, pp. 169-177.
Sulla regione mineraria: H. Ch. Noeske, Studien zur Verwaltung und Bevölkerung der dakischen Goldbergwerke in römischer Zeit, in BJb, CLXXVII, 1977, pp. 271-411·
Opere difensive: I. Bogdan Cátăniciu, Evolution of Defence Works in Roman Dacia, Oxford 1981; G. Forni, in DEA, IV, 1985, cc. 12828-13073, s.v. limes.
A questi lavori si rimanda per i singoli castra, pubblicati parzialmente e in modo disperso: descrizioni dettagliate e piante di quelli dell'Oltenia sono però reperibili nella cit. monografia del Tudor (su Slăveni, pp. 288-307, e sulle terme annesse p. 324). - V. inoltre: R. Florescu, Les phases de construction du Castrum Drobeta, in Studien zu den Militärgrenzen Roms, Colonia 1967, pp. 144-151; Ν. Gudea, I. Pop, Costruì roman de la Rişnov-Cunidava («Il castrum romano di Rişnov-Cunidava»), Braşov 1971; E. Chirilă, N. Gudea, V. Lucăcel, C. Pop, Das Römerlager von Buciumi, Cluj 1972; Ν. Gudea, in Apulum, X, 1972, pp. 121-150, e ibid., XV, 1977, pp. 169-215 (notizie sugli scavi di Bologa, con altra bibl.); N. Gudea, I. Pop, Un castru nou descoperit în sistemul defensiv al Daciei romane. Costruì roman de la Feldioara («Un nuovo castrum scoperto nel sistema difensivo della Dacia romana»), in Pontica, X, 1977, pp. 333-338; E. Tóth, Porolissum, Budapest 1978 (pubblicazione dei manoscritti di A. Radnoti). - Per la fase tardoantica: V. Barbu, Fortăreaţă romano- bizantina. de la Sucidava in lumină cercetărilor din sectorul de sud-est («La fortezza romano-bizantina di Sucidava alla luce delle indagini nel settore sud-orientale»), in StCIstor, XXIV, 1973, pp. 27-55; Gh. Diaconu e altri, L'ensemble archéologique de Pietroasele, in Dacia, XXI, n.s., 1977, pp. 199-220.
Città e altri insediamenti. - In generale: D. Tudor, Oraşe, tîrguri şi sate tn Dacia romand («Città, mercati e villaggi nella Dacia romana»), Bucarest 1968. - Su Apulum: A. Popa, I. A. Aidea, Colonia Amelia Apulensis Chrysopolis, in Apulum, X, 1972, pp. 209-220; A. Popa, Evoluţia istorică a celor două oraşe romane de la Apulum («L'evoluzione storica delle due città presso Apulum»), ibid., XIV, 1976, pp. 65-71. - Pezzi architettonici e sculture di recente rinvenimento: C. L. Băluţă, Monumente sculpturale romane de la Apulum («Monumenti scultorei romani di Apulum»), in Apulum, XII, 1974, PP· 117-133; R. Florescu, Daco-romanii, I, Bucarest 1980, n. 78. - Su Micia: O. Fioca, V. Vasilev, Amfiteatrul militar de la Micia («L'anfiteatro militare di Micia»), in Sargetia, V, 1968, pp. 121-151; L. Mărghitan, Micia a fast un «pagus» tn tot timpul stăpìniri romane? («Micia rimase un «pagus» per tutta la durata della dominazione romana?»), in StCIstor, XXI, 1970, pp. 579-594 (con notizie sugli scavi); L. Mărghitan, L. Marinescu, C. C. Petolescu, Thermele romane de la Micia («Le terme romane di Micia»), in Cercetări arheologice, I,1975, pp. 217-230. - Sui ritrovamenti nella necropoli di Mintia: O. Fioca, in.ActaMusNapoca, V, 1968, pp. 111-124; L. David, L. Mărghitan, ibid., pp. 125-151; L. Ţeposu, L. Mărghitan, ibid., VI, 1969, pp. 159-165. - Su Romula e Sucidava: D. Tudor, Romula, Bucarest 1968; D. Tudor, Sucidava, Craiova 1974; G. Popilian, Un quartier artisanal à Romula, in Dacia, XX, n.s., 1976, pp. 221-250 (scavo della casa a peristilio). - Sulle ville: I. Mitrofan, Villae rusticae in Dacia Superioară, I, in ActaMusNapoca, X, 1973, pp. 127-150 e II, ibid., XI, 1974, pp. 41-59. - Sul martyrium di Slăveni: D. Tudor, Biserica paleocreştină de la Slăveni («La chiesa paleocristiana di Slăveni»), in StCIstor, XXX, 1979, pp. 453-458. - V. anche sarmizegetusa.
Culti: D. Tudor, Corpus monumentorum religionis equitum Danuvianorum, Leida 1969-1976; J. T. Milik, Recherches d'épigraphie proche-orientale, I, Parigi 1972, passim; R. Fleischer, Artemis von Ephesos und verwandte Kultstatuen aus Anatolien und Syrien, Leida 1973, pp. 284-287 (Hekatàion di Sibiu); I. Berciu, C. C. Petolescu, Les cultes orientaux dans la Dacie méridionale, Leida 1976; A. Popa, I. Berciu, Le culte de Jupiter Dolichenus dans la Dacie romaine, Leida 1978; H. Nubar, Corpus cultus Equitis Thracii, IV. Moesia Inferior (Roman Section) and Dacia, Leida 1979; G. Bauchhenss, P. Noelke, Die Iupitersäulen in den germanischen Provinzen, Colonia 1981, p. 359 s.; L. Bianchi, I palmireni in Dacia: comunità e tradizioni religiose, in DArch, V, 1987, pp. 87-95.
Arte e artigianato. - Cataloghi, repertori e opere generali: Römer in Rumänien. Ausstellung des Römisch-Germanischen Museums Köln und des Historischen Museums Cluj, Colonia 1969 (trad. it. Civiltà romana in Romania, Roma 1970); M. Jude, C. Pop, Monumente sculpturale romane tn Muzeul de Istorie Turda («Monumenti scultorei romani nel Museo Storico di Turda»), Cluj 1973; D. Alicu, C. Pop, V. Wollmann, Figured Monuments from Sarmizegetusa, Oxford 1979; R. Florescu, op. cit., passim.
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(L. Bianchi)
Moesia Superior et Inferior. - Molti sono ancora i problemi non risolti riguardo al periodo più antico della storia della provincia. Il giudizio circa il ruolo avuto da Cn. Cornelio Lentulo in Moesia non è ancora unanime: R. Syme - in opposizione a quanto prima si pensava - l'ha considerato il comandante dell'esercito balcanico, ma le sue motivazioni sono labili, e sia la personalità stessa del senatore, sia la sua carriera successiva fanno pensare piuttosto che egli fosse il governatore dell'Illirico. Il tratto «mesico» del Danubio fino al 45 si estendeva soltanto fino al fiume Osum, mentre il tratto inferiore del fiume, fino alla regione della foce, a quel tempo apparteneva ancora al regno dei Traci clienti dell'impero. Sotto Claudio venne la volta dell'occupazione militare di Novae situata a E dell'Osum. Dopo l'attacco dei Roxolani, avvenuto nel 67-70, Rubrio Gallo riorganizzò la difesa; tuttavia di quel periodo - oltre ad Appiria e Sexaginta Prista - possiamo ricordare soltanto Noviodunum, dove era stanziata la classis Flavia Moesica. Secondo la testimonianza fornita dal suo nome, probabilmente nel periodo più antico anche Sexaginta Prista svolgeva un'analoga funzione; a E di Novae perciò era soprattutto la flotta ad assicurare il controllo del confine anche nel periodo flavio.
L'occupazione militare della regione delle Porte di Ferro avvenne soltanto alla fine del regno di Tiberio e sotto Claudio, dopo la costruzione della strada che costeggiava il Danubio. Con l'occupazione della Dacia, quella parte del limes della Moesia confinante con la nuova provincia cessò la sua funzione di confine dell'impero. Al tempo di Traiano, la grande pianura circondata dai Carpazi e dal Danubio (la regione dell'odierna Romania denominata Muntenia) provvisoriamente venne ad appartenere alla Moesia Inferior, poi, dopo l'insurrezione dei Roxolani nel 118, il territorio conquistato fu abbandonato da Adriano. In conseguenza della nuova situazione, la Legio V Macedonica a partire dalle guerre daciche ebbe stanza non più a Oescus (v.) ma a Troesmis, fino al regno di Marco Aurelio che la trasferì in Dacia.
In tutta l'area della provincia si possono distinguere 13 civitates con il loro relativo territorio (Scupi, Ulpianum, Municipium Dardanorum, Naissus, Ratiaria, Aurelianum, Singidunum, Aureus Möns, Municipium Celegerorum, Horreum Margi, Margum, Viminacium, Aelianum); l’ordo decurionum presso gli accampamenti legionari (Singidunum, Viminacium) generalmente era costituito di veterani, altrove invece era composto da elementi della popolazione locale, i quali avevano ricevuto il diritto di cittadinanza non prima della fondazione della città. Per il completamento dell'ordo erano accettati anche liberti, ex-schiavi imperiali (Ratiaria). Nelle città di più recente fondazione, il numero dei decuriones era basso ed essi non sempre venivano scelti tra i civili; anche l'assenza degli Augustales in alcune delle città è un indice del debole processo di urbanizzazione. A partire dall'inizio del II sec. nelle legioni vennero arruolati solo coloro che provenivano dalle due colonie di deduzione, Scupi e Ratiaria (v.). Le due città però non erano in grado di assicurare arruolamenti sufficienti e per questo venivano accettate reclute provenienti anche dalle provincie confinanti sprovviste di legioni: Dalmatia, Thracia, Macedonia. Nelle truppe ausiliarie ancora nel II sec. erano arruolati soldati di altre provincie, ma le coorti dardaniche create da Marco Aurelio erano ormai completate da reclute locali. Tale situazione è da porsi in relazione con il ritardo nella concessione del diritto di cittadinanza e con le sue modeste dimensioni: mancano esempî di concessione del diritto al tempo della dinastia giulio-claudia; i nomi Iulii e Claudii, che pure si registrano, sono stranieri e comparvero molto più tardi. Sotto la dinastia flavia il diritto di cittadinanza venne accordato in un solo territorio, quello di Scupi. La comparsa di nuovi cittadini diventa un fenomeno di maggiori dimensioni al tempo di Traiano e dei suoi successori nella colonia di deduzione traianea, Ratiaria, e poi a Ulpianum, mentre sotto Marco Aurelio Naissus e Margum furono elevate al rango di città. Nei territori più arretrati il diritto di cittadinanza (con l'uso del nomen Aurelius) si diffuse solo dopo l'emissione della Constitutio Antoniniana. Il processo di romanizzazione fu molto ridotto per tutto il periodo; l'urbanizzazione si verificò soprattutto nelle aree di confine (Scupi, Ratiaria, Viminacium) e lungo la strada che conduceva all'Adriatico (Ulpianum).
Gli ultimi scavi archeologici effettuati nel territorio delle due provincie hanno ampliato le nostre conoscenze soprattutto riguardo la difesa dei confini. Come già detto, l'assetto del limes danubiano in quest'area risente delle peculiari vicende della Dacia: con Traiano, la conquista dei territori al di là del fiume e la costituzione della nuova provincia fanno sì che un lungo tratto del Danubio venga privato della sua funzione di confine; con Aureliano, che abbandona la Dacia e ricava, al di qua del Danubio stesso, la nuova provincia di Dacia Ripensis, il confine torna alla posizione originaria. La conseguente maggiore o minore importanza strategica dei castra e castella ha dato luogo a fasi alterne nelle loro dimensioni e nel loro stato di manutenzione.
Le ricerche nella Moesia Superior si sono concentrate nella zona delle Porte di Ferro. Questo tratto è chiamato da alcuni studiosi “limes di Djerdap”: è il nome di una pittoresca gola montuosa adiacente al fiume, inserita in un sistema di strade che man mano si va ampliando, grazie anche al taglio di numerosi tratti di roccia. Una riprova dell'inscindibilità (comune a tutta l'estensione del limes) fra sistema difensivo e rete viaria. I primi accampamenti conosciuti, del tempo di Claudio, erano fatti di terra, avevano dimensioni ridotte - come Taliata che misurava 50 X 40 m - e lo scopo di controllare la linea del confine piuttosto che di difenderlo. Al periodo flavio risalgono nuove costruzioni: fu anche ingrandita Taliata (le cui misure di m 136 Χ 126 corrispondono già a quelle di un accampamento ausiliare), probabilmente a causa della crescente attività dei Daci. Tutti gli accampamenti conosciuti furono distrutti da un incendio non prima dell'82, forse nell'85-86. Sotto Traiano iniziarono lavori imponenti. Le misure e il sistema di costruzione degli accampamenti presentano poche differenze. Pontes (m 135 X 125), Diana (m 138 Χ 123), Novae (m 140 X 120) avevano una forma quasi quadrata, possedevano angoli arrotondati, con torri addossate al lato interno delle mura; torri quadrate inoltre difendevano le porte. Pontes fu costruita con una forma quasi identica a quella di Drobeta e probabilmente nello stesso periodo, fra il 103 e il 105. Delle costruzioni all'interno degli accampamenti e della loro struttura invece conosciamo poco: al massimo è stata chiarita l'ubicazione dei principia e dell'horreum (Diana, Novae). Dopo la conquista della Dacia, il tratto del limes perse la sua importanza poiché l'altra sponda del Danubio divenne anch'essa parte integrante dell'impero. Negli accampamenti non si registrano cambiamenti di rilievo: al massimo si registrano ricostruzioni alla fine del II sec. dopo le distruzioni delle guerre marcomanne, come a Diana. In questo periodo sorsero i fortini del tipo di Ravna (m 49 X 49), di forma quadrangolare con torri d'angolo aggettanti. Dopo l'abbandono della Dacia il tratto del limes, lungo 90 km, venne di nuovo rafforzato, con la costruzione di torri di controllo (quadriburgia); furono rinnovati anche i castella. Fra il 294 e il 300 fu costruita la torre di controllo di Donje Butorke, che misurava m 18,5 x 19, circondata da un muro esterno con torri circolari agli angoli; questo tipo si trova anche a Hajdučka Vodenic e a Rtkovo. Il tipo dei quadriburgia è rappresentato dagli scavi di Sapaja. La fortificazione quadrangolare era di m 88 X 89, possedeva agli angoli torri quadrate, mentre altre torri erano disposte lungo il perimetro che, dalla parte interna, era scandito da una fila di pilastri. Nascono tipi di torri nuove rispetto alle antiche fortificazioni. A Novae (v.), al posto delle torri d'angolo, della porta praetoria e della porta decumana furono costruite torri circolari, come anche presso la porta principale sinistra, mentre le due torri della porta principale destra erano a U. Le torri d'angolo di Diana invece sono quadrate, leggermente sporgenti dalla linea del muro, e la porta decumana era difesa da torri a ferro di cavallo. A Boljetin, agli angoli si ergevano torri a ferro di cavallo, e i muri settentrionale e meridionale erano interrotti nel mezzo da torri quadrate sporgenti. Pontes conservò la pianta originaria, gli angoli arrotondati e le torri interne, a cui, prima della porta meridionale quadrata, fu annessa una torre esterna anch'essa quadrata, più grande. La costruzione risale all'epoca di Costantino, o meglio a dopo il 317, periodo successivo alla prima guerra con Licinio. La maggior parte delle fortificazioni militari subì incendi e venne distrutta alla fine del regno di Costanzo II (Sapaja, Novae, Pontes). Sotto Valentiniano I furono compiute opere di ricostruzione in quasi tutte le fortezze e sono visibili i restauri del periodo della tetrarchia anche nelle torri di controllo. Successive riparazioni sono osservabili nelle fortezze di Novae, Ravna, Diana e Pontes nel periodo di Teodosio I; nella parte sud-orientale di Pontes in quel tempo fu costruito un fortino. Verso la metà del V sec. tutti gli accampamenti furono distrutti dal fuoco; il riassetto del limes bizantino avvenne sotto Giustiniano. I nuovi castella erano fortezze di forma quadrata, di c.a m 57 x 57, con torri d'angolo cilindriche o, in alcuni casi, di forma allungata, chiusa da un'abside. È diversa la costruzione di Bosman, di forma triangolare: il muro orientale era convesso, la lunghezza delle mura era di m 45,5 e gli angoli erano difesi da torri rotonde. Anche gli accampamenti più antichi vennero trasformati. Il numero delle porte fu ridotto al minimo: a Diana rimane solo la porta meridionale; la torre d'angolo sud-orientale fu ristrutturata, assunse forma absidata, mentre per le altre parti della fortezza ci si limitò a lavori di restauro. Allo stesso modo si procedette, con minime ristrutturazioni, a Taliata, Smyrna e Novae. Intorno al 596 l'invasione degli Avari pose definitivamente fine al limes.
Anche nella fortezza di Timacum Minus, situata all'interno della provincia, sembra si possano riscontrare le stesse fasi costruttive. Dell'accampamento di terra risalente alla metà del I sec. si hanno testimonianze solo epigrafiche e numismatiche. Il primo accampamento di pietra fu opera della cohors II Aurelia Dardanorum al tempo di Marco Aurelio; la sua estensione è di m 144 X 112. Gli angoli sono arrotondati, le torri d'angolo e quelle della porta occidentale, riportata alla luce, erano annesse al lato interno del muro, che aveva lo spessore di 1 metro. Nel secondo periodo, che non può essere definito con precisione, le torri sporgono rispetto alla linea del muro. Nel terzo periodo, databile al IV sec., le torri ormai sono completamente in aggetto, e le torri d'angolo, quadrate, toccano solo con uno dei loro spigoli l'angolo arrotondato della fortezza. Al posto della porta occidentale sorse una grande torre esterna. Lo spessore delle mura in quel tempo raggiungeva m 2,70-3,00.
Il sistema difensivo della Moesia Inferior non è ancora interamente esplorato. Lungo il limes è stato possibile contare 66 fortificazioni; oltre a queste, 16 città fortificate erano situate lungo la riva, e 11 erano le città fortificate del territorio interno. Le fortezze del tratto occidentale del limes furono abbandonate al tempo della fondazione della Dacia Inferiore; nel II e III sec. presidî erano stanziati nelle fortezze situate a oriente di Novae. La difesa di tutto il suddetto tratto di limes, ossia la Dacia Ripensis, venne rafforzata dai militari della Dacia dopo che quest'ultima era stata abbandonata. La Legio XIII Gemina si trasferì a Ratiaria, la Legio V Macedonica a Oescus. La ricostruzione delle antiche fortezze e la fondazione di nuove iniziò probabilmente già sotto Aureliano e proseguì poi con Probo (Ulmetum, Capidava, Troesmis); sotto Diocleziano poi, soprattutto con la sua presenza, ricevette un nuovo impulso. Un'epigrafe ricorda le costruzioni di Diocleziano a Durostorum e a Tomis; sotto lo stesso imperatore fu costruita Transmarisca e iniziò forse la ricostruzione di Dinogetia. Sono visibili anche le opere di fortificazione realizzate sotto Licinio e sotto Costantino. La presenza romana sulla riva opposta del Danubio non scomparve del tutto, come dimostrano le nuove teste di ponte: anche la formazione della linea difensiva che andava dalle Porte di Ferro fino alla linea di Ploesti forse risale a questo periodo; come in Moesia Superior l'ultima fase di costruzione del limes è databile al VI secolo. Capidava (v.), durante il regno di Anastasio, si ridusse nelle sue dimensioni. A Dinogetia, durante i lavori di rinnovo del periodo di Giustiniano, fu murata la porta sud-occidentale. Anche la ricostruzione di Noviodunum risale allo stesso periodo. Le fortezze generalmente alla fine del VI sec. rimasero vittime dell'attacco degli Avari; a Sucidava invece ci sono tracce che dimostrano una vita ininterrotta fino alla fine del regno di Eraclio.
Ciò vale anche per Iatrus, dove scavi regolari hanno esplorato la fortezza. Fu costruita nel periodo tra la fine del III sec. e Costantino, non esistono infatti tracce di una vita precedente. Le torri hanno una pianta a U, irregolare, allungata; l'unica porta venuta alla luce si apre sul lato orientale. Essa era probabilmente la porta praetoria: la via porticata dalla porta all'interno dell'accampamento conduceva fino a un grande edificio, probabilmente i principia. Due horrea e una basilica paleocristiana sono stati datati all'inizio del V secolo. L'accampamento fu distrutto non molto dopo, e venne ricostruito solo dopo un secolo; ma gli edifici interni - con l'eccezione della basilica paleocristiana - furono fatti di argilla.
L'altro accampamento dove sono stati effettuati scavi regolari è quello di Novae. Nella metà del I sec. tra le sue mura era stanziata la Legio Vili Augusta: forse risalgono a quel periodo la fossa e la trincea di terra ritrovate sul lato occidentale. Ancora nel I sec. L’VIII Augusta fu sostituita dalla Legio I Italica, che assicurò il presidio della fortezza fino all'inizio del VII sec. d.C. L'accampamento dalla pianta quadrata costruito alla fine del I sec. o all'inizio del II occupava un'area di 18 ha; le sue torri d'angolo erano trapezoidali e le torri interne quadrate; erano sporgenti solo le torri degli angoli occidentale e meridionale. Nella seconda fase, alla fine del III sec., l'accampamento fu ampliato di 10 ha verso oriente; la nuova costruzione era di forma irregolare, i muri furono rafforzati da torri quadrate aggettanti. L'invasione gotica del 376-378 distrusse le mura; più tardi esse furono ricostruite, ma le nuove mura non avevano più le torri. La distruzione definitiva anche qui è in relazione con l'attacco avaro. Gli scavi hanno permesso di identificare due fasi nell'edificio del comandante: nella prima i muri erano di legno, nella seconda di pietra. L'edificio fu rinnovato più volte. Nelle vicinanze della porta settentrionale è stato portato alla luce un imponente valetudinarium di m 81,90 X 72,90, con ambienti allineati su due file circondati da un cortile interno di m 42,40 X 32,60.
Nell'ambito delle città delle due provincie, sono stati effettuati scavi ad Abritus, fra il 1953 e il 1976. Sul lato orientale sorgeva, su 15 ha, una città dalla pianta quadrangolare irregolare. La lunghezza delle mura è di m 1400; possedeva quattro porte, le mura erano difese da 35 torri di cui quelle agli angoli erano a ventaglio, quelle sul lato orientale quadrate; sugli altri tre lati le torri erano a U, comprese anche le porte settentrionale e occidentale. Inoltre, sul lato meridionale, si ergevano altre due torri di forma rettangolare, ognuna con due pilastri.
L'altra città in cui gli scavi, iniziati nel 1904, hanno avuto un notevole impulso è Oescus, sulla quale v. la voce.
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II limes e l'esercito: I. Barnea, Gh. Ştefan, Le limes scythicus des origines à la fin de l'antiquité, in Actes du IXe Congrès International d'études sur les frontières romaines, Mamaia 1972, Bucarest 1974, pp. 15-25; J. Beneš, Auxilia romana in Moesia atque in Dacia, Praga 1978; Ρ. Petrović, Les forteresses du Bas-Empire sur le limes danubien en Serbie, in Roman Frontier Studies 1979· Papers Presented to 12. International Congress of Roman Frontier Studies, iii, Oxford 1980, pp. 757-773; N. Gudea, Bericht über die zwischen 1979 bis 1982 am Limes der drei Dakien und der benachbarten Provinzen Moesia Superior und Moesia Inferior durchgeführten archäologischen Forschungen, in FuBerBadWürt, XX, 1986, pp. 477-497; P. Petrović, Timacum Minus und die Kastelle im Timok-Tal, ibid., pp. 514-518; A. G. Poulter, The Lower Moesian Limes and the Dacian Wars of Trajan, ibid., pp. 519-528; M. Vasić, V. Kondić, Le limes romain et paléobyzantin des Portes de Fer, ibid., pp. 542-560.
Singoli siti e complessi monumentali: M. Cičikova, La fortification et l'urbanisation de Novae à la lumière des dernières fouilles archéologiques (1970-1974), in Studien zu den Militärgrenzen Roms, 2. Vorträge des 10. Internationalen Limeskongresses in der Germania Inferior, Colonia 1977, pp. 277-282; Κ. Wachtel, Das Kastell Iatrus und die spätantiken Limesbauten an der Unteren Donau, ibid., pp. 405-409; T. Ivanov, Untersuchungen zur Topographie und zur Stadtanlage von Oescus in Untermoesien (Bulgarien), ibid., pp. 339-350; id., Abritus: Rimski Kastel i ranno-vizantijski grad ν Dolna Mizija («Abritus. Un Castrum romano e una città proto-bizantina in Moesia Inferior»), Sofia 1980; id., Untersuchungen des Forumkomplexes in der colonia Ulpia Oescensium (1975-1978), in Roman Frontier Studies..., cit., pp. 775-785; V. Velkov, Roman Cities in Bulgaria. Collected Studies, Amsterdam 1980; J. Atanassova-Georgieva, Résultats des fouilles de la ville antique de Ratiaria au cours des années 1976 à 1982, in FuBerBadWürt, XX, 1986, pp. 437-440; A. Barnea, La fortresse de Dinogetia à la lumière des dernières fouilles archéologiques, ibid., pp. 447-450; E. Press, Valetudinarium at Novae, ibid., pp. 529-535; T. Ivanov, Architekturschmuck des Forumkomplexes der Colonia Ulpia Cescensium in Untermoesien (VR Bulgarien), ibid., pp. 498-503.
(J. Fitz)
Thracia. - Il regno tracio, che all'inizio del I sec. è semivassallo di Roma, viene costituito in provincia nel 45 d.C. Ricevuto tale assetto la nuova provincia è inizialmente governata da un procuratore e, dopo Traiano, da un legato di rango pretorio. Fino al 284 i suoi confini furono segnati dall’Haemus (odierna catena dei Balcani), dal Ponto Eusino (odierno Mar Nero), dalla Propontide (odierno Mar di Marmara), dall'Egeo e dal fiume Nastos (odierna Mesta). Nel II sec. e fino al 193, la provincia Thracia includeva anche il territorio della città di Nicopolis ad Istrum, a N dell’Haemus, estendendosi fino al Danubio. Era attraversata dalla via che, tagliando in diagonale la penisola balcanica, collegava Singidunum (Belgrado) con Bisanzio e con l'Asia Minore. Inoltre per il suo territorio passavano anche la Via Egnatia e altre strade riportate negli Itineraria.
Con l'istituzione della provincia Thracia, Roma conserva il vecchio sistema delle strategèiai (comprendenti singoli territorî tribali), le quali prendono il nome dalle tribù locali. Secondo Plinio il Vecchio il loro numero ammontava a circa cinquanta. Queste aree militari e amministrative gradualmente finiscono col far capo alle città di nuova fondazione e sono assorbite nei loro territori. All'inizio del II sec. si erano ormai ridotte a quattordici, secondo quanto testimoniato da Claudio Tolemeo. Sotto Adriano, nel 136, quando viene fissato il confine tra Moesia Inferior e Thracia, si è ormai in presenza di città definitivamente sviluppate e le strategiae spariscono del tutto.
All'epoca della costituzione della provincia pochi erano i centri che potevano essere considerati vere città: Filippopoli (v. plovdiv), Bi- zie, Cabile, Tonos, Pautalia, Serdica, Beroe, le colonie elleniche sulla costa della Tracia: Mesembria, Apollonia, Perinto (la quale diventa la città principale della provincia e secle del suo governatore e della sua amministrazione), Enos e altre a cui si aggiungeranno, sotto Claudio, la colonia di Apri (odierna İnece, Turchia) e, con Vespasiano, la Colonia Flavia Deultensium (odierna Debelt) e la città di Flaviopolis. Ma nel II sec., in un quadro economico più favorevole, molti villaggi si trasformano in città: sotto Traiano, p.es., Ulpia Serdica, Ulpia Pautalia, Augusta Traiana, Filippopoli. Alcuni villaggi prendono ora nuovi nomi, tratti dall'onomastica della famiglia imperiale, come p.es. Traianopoli o Plotinopoli. Altre città sorgono ex novo dopo la vittoria di Traiano sui Daci: Nicopolis ad Istrum e Nicopolis ad Nestum.
La Tracia è provincia senatoria, priva di campi legionari, ma nel II-III sec. il suo territorio ospita coorti. Nel 136 l'imperatore Adriano trasforma l'antica città tracia di Cabile in un importante campo militare dove viene stanziata la cohors II Lucensium. Intorno al 190 quest'ultima viene trasferita in un altro campo militare della provincia, nel sito di Germania, l'odierna Separeva Banja, mentre al suo posto si stanzia la cohors I Athoitorum.
Nel II sec. e sino alla prima metà del III la provincia Tracia non subisce seri danni per opera dei barbari, ma dal 238 al 268 è invece fatta oggetto di attacchi e devastazioni da parte dei Goti e di altre popolazioni. Gravi sono le perdite subite anche dalla città più importante, Filippopoli.
Gli anni di pace che la provincia vive tra 45 e 238 favoriscono un'intensa attività edilizia. Forte è l'influsso dei centri ellenistici dell'Asia Minore, spiegabile con il fatto che la maggior parte degli emigrati in Tracia nel II sec. proviene proprio dalla penisola anatolica.
Le città di maggior rilievo sono state oggetto di indagini archeologiche che hanno approfondito il quadro complessivo e consentito singole importanti acquisizioni, per le quali v. cabile, mesembria, nicopolis ad istrum, nicopolis ad nestum, pautalia, plovdiv (Philippopolis), serdica.
Tra le altre città, non erano prive di importanza le già ricordate Traianopoli e Plotinopoli. Traianopoli (Traianoupolis) venne costruita lungo la Via Egnatia e conobbe il periodo di maggiore prosperità all'epoca di Settimio Severo. Sotto Diocleziano divenne capitale della provincia di Rhodope. Scarsi resti della cinta muraria e altri ruderi sono conservati presso le fonti termali a S del villaggio di Loutròs. Nella stessa zona è stato localizzato l'abitato di Tebura. Da Traianopoli proviene l'orologio solare con iscrizione dedicatoria alle Nove Muse conservato nel museo di Komotinì. Plotinopoli (Plotinopolis) venne fondata in onore della consorte di Traiano, Plotina, sulla collina di Haghia Petra, presso l'Hebros e il Didimoteicho. Nello stesso luogo, in base alle indagini effettuate, preesisteva una città di cui non conosciamo il nome. Gli scavi sulle pendici orientali della collina hanno messo in luce parti di un grande edificio, abitazione residenziale o bagno pubblico, con pavimenti a mosaico, ove sono raffigurati, entro motivi geometrici, Leda con il cigno e le fatiche di Eracle (II sec. d.C.). Da Plotinopoli proviene un noto busto aureo di Settimio Severo (193-211 d.C.). L'imperatore, barbato, è effigiato con una lorica recante un gorgòneion sul petto.
Non sono stati invece condotti scavi sistematici nelle città e nei villaggi romani compresi nel territorio dell'odierna Turchia. Sono state pubblicate le monete di Bizie, Adrianopoli, Perinto. Dalla colonia romana di Apri provengono rilievi monumentali e iscrizioni, frutto di rinvenimenti fortuiti.
Nel territorio della Tracia, lungo le principali arterie stradali, si trovavano molti villaggi (kòmai) ed empori, localizzati per la maggior parte grazie al rinvenimento di iscrizioni. Non sono stati però eseguiti scavi regolari e sono stati effettuati solo rinvenimenti sporadici.
Sono noti anche santuarî, soprattutto quelli dedicati al Cavaliere Trace (v.) p.es. nei pressi di Baktum, Saladinovo, Kazanlăk. Si conoscono inoltre i nomi di villaggi quali Skaptopara, Brentopara, Bendipara, Skaskopara, Dedopara, Palma, Agatapara, Saprisara, Longinopara, Tautiomozis, Stelugerne, Tiutameno e altri.
Sono state localizzate alcune migliaia di tumuli funerarî, in parte da attribuire al periodo preromano (p.es. la necropoli di Duvanli), ma considerevole è anche il numero di quelli risalenti al I-III sec.; da ricordare le necropoli tumulari nei pressi di Filippopoli, Cabile, Augusta Traiana, Kazanlăk e nell'area dei Rodopi. Particolare importanza assumono le necropoli tumulari scavate nei pressi di Čatalka (nell'area dell'antica Augusta Traiano), con corredi ricchissimi, e nei pressi di Bizie, nell'odierna Turchia.
Con l'istituzione della provincia Tracia penetrano in queste terre le forme della proprietà fondiaria romana, e sorgono così numerose villae rusticae. Ville di questo tipo sono note nei pressi di grandi città come Nicopolis ad Istrum, Serdica, Filippopoli, Augusta Traiana, e sono state per ora oggetto di analisi dettagliata quella individuata nei pressi di Čatalka, quella di Kralev, quella nelle vicinanze di Serdica e altre.
Bibl.: Le indicazioni bibliografiche fondamentali sui monumenti archeologici rinvenuti e sulle aree scavate nella provincia Tracia, nonché sulla situazione relativa alle ricerche di epigrafia e numismatica (fino al 1966) si trovano in S. Georgieva, V. Velkov (ed.), Bibliografija na bdlgarskata arkheologija («Bibliografia dell'archeologia bulgara»), Sofia 19662. La bibliografia relativa agli anni successivi si pubblica regolarmente nella rivista ArkheologijaSof. Una rassegna delle pubblicazioni di epigrafia relative a materiale rinvenuto nelle città della Tracia, ora in territorio turco, compare in REG. Tutte le iscrizioni in greco rinvenute in Bulgaria sono state pubblicate in Inscriptiones graecae in Bulgaria repertae, III, 1, Sofia 1961 e III, 2, Sofia 1964. Hanno qui trovato posto anche i rinvenimenti effettuati in tutti i santuari della Tracia.
Notizie relative agli scavi annuali sono regolarmente pubblicati in un volume curato dall'Istituto di Archeologia dell'Accademia delle Scienze di Sofia.
In generale: A. Betz, in RE, VI, 1936, cc. 452-472, s.v. Thrake (römisch)·, G. Kazarow, ibid., cc. 472-552, s.v. Thrake (Religion)·, Z. Taslikioglu, Trakya' da epigrafya araştirmalari («Ricerche epigrafiche in Tracia»), II, Istanbul 1971; J. Jurukova, Griechisches Münzwerk. Die Münzprägung von Deultum, Berlino 1973; W. Eck, Die claudische Kolonie Apri in Thrakien, in ZPE, XVI, 1975, pp. 295-299; AA.VV., Istorija na Bälgarija, I. Pdrvobitnoobštinen i robovladelski stroj. Trakt («Storia della Bulgaria, ι. Società primitiva e schiavistica. I Traci»), Sofia 1979, in part. pp. 277-374, con bibl.; J. Jurukova, Griechisches Münzwerk. Die Münzprägung von Bizye, Berlino 1981; Ch. Bujukliev, La nécropole tumulane thrace près de Catalka, région de Stara Zagora (in bulg. con riassunto in francese) (Razkopki i proučvanija, XVI), Sofia 1986; J. Jurukova, Monetosečeneto na gradovete ν Dolna Mizija i Trakija II-III v. Hadrianopol («La monetazione delle città della Moesia Inferior e della Thracia durante il II e III sec. Adrianopoli»), Sofìa 1987; AA.VV., Ιστορική, αρχαιολογική και λαογραφική ερευνά για τη Θράκη, Salonicco 1988.
Su Traianopoli: G. P. Euthemiou, Επιγραφαι Θράκης, in AEphem, 1965, pp. 19-23; E. Schönert-Geiss, Zur Münzprägung von Traianopolis in Thrakien, in Altertum, XXXVII, 1991, pp. 21-23.
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(V. Velkov)
PROVINCIE GRECHE. - Le provincie greche dell'impero romano sono la Macedonia (v. vol. IV, p. 756), che cessò di essere un regno indipendente dopo la sconfitta di Perseo a Pidna nel 169 a.C., ma ricevette un regolare ordinamento solo nel 146; l’Achaia (v. vol. I, p. 14), che fu annessa nello stesso 146, dopo la sconfitta degli Achei a Leucopetra e la distruzione di Corinto da parte di L. Mummio, e che, riunita in un primo tempo alla Macedonia, divenne con Augusto, nel 27 a.C., provincia a sé; e l’Epirus (v. vol. Ill, p. 375), inizialmente unito alla Achaia, ma successivamente distaccato da questa, insieme con l'Acarnania, a opera di Adriano o di Antonino Pio.
Macedonia. - L'anno preciso di istituzione della provincia non è tramandato né da fonti letterarie né da fonti epigrafiche: la prima iscrizione in cui Quinto Cecilio Metello è nominato esplicitamente come proconsole si data al 143 a.C. o poco dopo (cfr. W. Dittenberger ed., Sylloge Inscriptionum Graecarum, III, Lipsia 1917, n. 680); allo stesso personaggio gli abitanti di Magnesia avevano dedicato una statua nel 146 (IG, VII, 3490). Il provvedimento, che segnò una profonda novità nella politica di Roma verso il mondo ellenizzato, riveste un'importanza che va ben oltre l'occasione particolare, la rivolta capeggiata nel 149 a.C. da Andrisco Pseudo-Filippo. Si concludeva infatti un periodo decisivo per la Macedonia e la Grecia tutta sullo sfondo del regno degli ultimi due re antigonidi (Filippo V, 221-179 a.C., e Perseo, 179-168 a.C.) e delle vicende legate alle guerre macedoniche. La battaglia di Pidna (168 a.C.) si configura come una sorta di spartiacque: apre per le comunità macedoni una nuova fase all'interno della quale si collocano, quali indizî della violenta dinamica degli assestamenti socio-economici in atto, gli scontri intestini segnalati nelle fonti già per il 167 a.C., all'indomani cioè della dichiarazione di libertà da parte di Emilio Paolo, la successiva sanguinosa sedizione capeggiata da Damasippo, l'invito rivolto dai Macedoni a Scipione Emiliano nel 151 a.C. a intervenire per dirimere gravi controversie interne, il già ricordato tentativo di Andrisco e, infine, la rivolta di Eufane durante il governatorato di G. Senzio Saturnino (93-87 a.C.).
Sin dal 168 a.C. l'azione dei Romani è tesa al controllo politico ed economico dell'ex regno macedone mediante la drastica riduzione dei suoi orizzonti a un livello locale, con lo scopo di eliminarne le potenzialità tanto militari quanto economiche: così possono intendersi il trasporto da Pella a Roma del tesoro reale, la cacciata degli aristocratici legati a Perseo, la divisione del territorio in quattro grandi unità cantonali amministrative (merìdes, regiones, partes), la valorizzazione al loro interno dell'antica organizzazione territoriale su base etnico-tribale e, soprattutto, i divieti di sfruttare le miniere di oro e argento (revocati nel 157 a.C.), nonché di connubium et commercium tra le merìdes.
La «libertà» concessa a tutte le popolazioni stanziate nell'area ai limiti geografici settentrionali del regno macedone, nonché alle pòleis e alle comunità etniche della Grecia precedentemente in varia misura assoggettate da Filippo V e Perseo, penalizzò l'estensione territoriale e l'area di influenza politica della Macedonia, i cui restanti confini E, S e O si conserveranno sostanzialmente immutati rispetto all'assetto di età ellenistica sino al riordinamento augusteo e giulio-claudio della penisola balcanica, con la creazione delle provincie di Achaia (27 a.C.), Moesia (15 d.C.) e Thracia (46 d.C.).
Occorre a tal proposito precisare che i limiti del territorio denominato Macedonia non coincisero sempre con l'area amministrata dalla provincia Macedonia che, sino alla fine del I sec. a.C., si estendeva dalla costa adriatica a O, alle catene dei monti Bartiskos, Skardos, Orbelos, Rodope, Hemos a N, all'area compresa tra il meridiano passante tra l'Hebros e l'antica città di Kypsela (Strab., VII, 1, 4; frgg. 10, 33) a E, e, infine, all'intera penisola greca a S. Dopo la metà del I sec. d.C. i confini della provincia si restringeranno ulteriormente: una ridefinizione, a S e a O, si colloca nel 328-337 d.C., periodo al quale risalgono l'indipendenza dell'Orestide e la creazione di una diòikesis comprendente, oltre Creta, la Macedonia e, per la prima volta menzionate, le provincie di Tessaglia con annessa l'Elimea, e della Epirus Nova forse creata già durante il regno di Diocleziano e alla quale fu attribuito parte dell'Illirico. Non del tutto precisate sono infine le circostanze che condussero nel 386 d.C. (Mommsen), o come più recentemente dimostrato nel 379-380 d.C. (Kostantakopoulos), alla suddivisione della Macedonia in prima e secunda o Salutaris.
Come precedentemente accennato, l'organizzazione territoriale interna alla Macedonia stabilita dopo Pidna prevedeva quattro merìdes, ciascuna con una propria capitale (Amphipolis, Tessalonica, Pella e Pelagonia) e Consilia regionali con funzioni amministrative e religiose comprendenti le seguenti aree: la prima tra i fiumi Strymon e Nestos, compresi sia la Bisaltia ed Eraclea Sintica sia alcuni vici, castella e oppida a E del Nestos ed escluse Ainos, Maronea e Abdera; la seconda tra lo Strymon e il fiume Axios, compresa la Peonia a E di quest'ultimo; la terza tra l'Axios, il Peneo e il monte Bora, con l'aggiunta della zona della Peonia sita a O dell'Axios, di Edessa e di Veroia; la quarta, infine, le regioni a Ν del monte Bora e ancora Illiria, Epiro, Eordea, Lincestide, Pelagonia, Tinfea ed Elimea. Dopo l'istituzione della provincia, inoltre, molte delle competenze attribuite alle merìdes, peraltro mai ufficialmente eliminate, furono assunte forse già dal 146 a.C. da un koivòv των Μακεδόνων con sede, a partire dal I sec. d.C., a Veroia (Μητρόπολις καί Νεωκόρος), probabile erede di un synèdrion istituito da Emilio Paolo. A livello locale, infine, secondo l'uso romano non solo furono rispettate le magistrature e i sacerdozi già in precedenza attestati, ma fu anche concessa una certa autonomia all'attività legislativa e amministrativa. In tale periodo la Macedonia fu governata da un proconsole di rango pretorio e, a partire dalla riorganizzazione augustea, fu costantemente annoverata tra le attribuzioni del senato con governatore di rango pretorio affiancato da legato e questore (primo governatore di rango equestre: 217 d.C.), a eccezione degli anni tra il 15 e il 44 d.C. e forse dei primi del regno di Adriano, quando passò tra quelle imperiali.
Durante le guerre civili del I sec. a.C. la Macedonia fu teatro delle lotte tra Cesare e Pompeo e quest'ultimo pose a Tessalonica la capitale; la provincia passò in seguito sotto il controllo di Cesare, poi dal 44 al 42 a.C. di Bruto, di M. Antonio tra 42 e 31 a.C., infine di Ottaviano tra 31 e 27 a.C. Al I sec. a.C. risalgono anche le più antiche attestazioni della presenza in Macedonia di negotiatores italici a Veroia, Amphipolis, Apollonia, Pella, ai quali dagli ultimi decenni del I a.C. si aggiungeranno i provinciales di Acanto, Idomenea, Stiberra, Edessa e Tessalonica. Durante questo periodo furono fondate le sei colonie della provincia: quattro in territorio macedone (Filippi, Cassandrea, Dion e Pella, le prime tre di diritto italico), due nell'Illirico (Dyrrhachion e Byllis), mentre liberae civitates furono Tessalonica, Amphipolis e Skotoussa. Ugualmente scarse le notizie riferibili all'età imperiale, durante la quale non mancò di farsi sentire un sempre più stretto controllo del governo centrale; sono ricordate visite da parte di Adriano, Caracalla, che assunse l'eloquente epiteto di Nuovo Alessandro, Macrino, Severo Alessandro, Gordiano III, Filippo l'Arabo. Al regno di quest'ultimo si data la costituzione di un sistema difensivo interno mediante la fortificazione dei centri urbani e il dislocamento di un'imponente forza militare che però nulla poté contro le violente incursioni dei Carpi, nel 246-247 d.C., a seguito delle quali cessò l'attività delle zecche di Macedonia, Tracia e Mesia Inferiore. Particolarmente gravi furono le invasioni di Goti ed Eruli che determinarono durante la seconda metà del III sec. d.C. una situazione di totale anarchia, in parte mitigata dalle vittorie di Claudio II. Nonostante Goti, Unni, Ostrogoti e Bulgari scandissero con i loro continui attacchi il periodo compreso tra IV e VI sec. d.C., la vita nei centri urbani e nelle piccole comunità di campagna continuò, seppure con l'avvio di un lento processo di spopolamento le cui conseguenze si fecero sentire solo sul lungo periodo. Il cristianesimo, la cui presenza in Macedonia risale all'apostolato di Paolo che visitò Pella, Veroia e Filippi, rivestì un ruolo determinante nella storia della provincia come dimostrano da un lato il grande numero di vescovi da essa espressi, dall'altro le tensioni politico-religiose di cui fu protagonista tra IV e V sec. in relazione al rapporto con la chiesa di Roma e la sede imperiale, e poi anche religiosa, di Costantinopoli. Catastrofiche, infine, furono le invasioni del VI e VII sec. d.C., che alla devastazione dei campi aggiunsero i saccheggi delle principali città da Stobi (570 d.C.) a Eraclea Lincestide, Nicea, Naisso, fino ad Amphipolis, Thasos e Filippi (617-620 d.C. circa).
Se la storia politica, economica e sociale della provincia di Macedonia è stata oggetto di numerosi e importanti studi basati principalmente su fonti letterarie ed epigrafiche, ma anche sul crescente numero dei ritrovamenti archeologici, dovuti per lo più a scavi di emergenza, le ricerche topografiche sul periodo in esame sono invece estremamente rare. Oltre alle note e pregevoli indagini della scuola francese sul territorio della colonia di Filippi (P. Collart, Pedrizet), dati di geografia storica e risultati di ricognizioni sul territorio, fondamentali benché spesso inedite e non sempre sistematiche, sono stati raccolti e discussi nell'ultimo ventennio da A. Kostantakopoulos, Ph. Papazoglou, D. K. Samsares. Risale soltanto agli anni '80 l'organizzazione di ricognizioni concentrate su antichi distretti, quali l'Elimea (G. Karametrou-Menteside), la Tinfea (N. Wilkie) e la Bottiea (P. Chrysostomou), l'Odomantica (K. Kotsakis).
Realizzata dal proconsole Gn. Egnazio intorno al 130 a.C., la Via Egnatia costituì la principale arteria stradale della provincia: essa si sviluppava lungo 535 miglia (Pol., XXXIV, 12, 2-8) in parte ricalcando più antichi percorsi, partendo da Durazzo e giungendo in Tracia. Il suo itinerario, ormai interamente ricostruito con il concorso di fonti letterarie, cartografiche (Itinerarium Antonini, Tabula Peutingeriana) e archeologiche, attraversava Lincestide, Eordea, Bottiea, Mygdonia, Calcidica, Bisaltia, Odomantica ed Edonide lambendo i centri di Eraclea, Kellai, Edessa, Kyrros, Pella, Tessalonica, Apollonia, Amphipolis, Filippi, Neapolis e Topeiros. Erano inoltre distribuiti lungo questo percorso punti di sosta (mansiones) e stazioni di cambio (stationes), in numero variabile nel tempo, alcuni dei quali noti archeologicamente come la statio grandis della Lincestide, che il rinvenimento di un miliario localizza a Sitaria, oppure la mansio di Graero, in Bisaltia, nota da una epigrafe (II-III sec. d.C.) di recente pubblicazione, rinvenuta a Terpne e menzionante una basilica, una exedra e tre portici costruiti a spese di un'aristocratica locale. Resti della carreggiata basolata e di ponti, di nessuno dei quali è nota la precisa datazione, nonché miliarî, rinvenuti in numero sempre crescente e menzionanti rifacimenti della sede stradale, attestano la continua manutenzione della Egnatia, curata in linea di principio dalle comunità urbane. Ugualmente ben documentate sono altre strade di primaria importanza che, incrociando la Egnatia nei pressi dei principali centri o di alcune stationes assicuravano le comunicazioni interregionali.
La ricerca archeologica degli ultimi decenni ha dimostrato come non sia più sostenibile il quadro proprio della storiografia ottocentesca e del primo Novecento di una Macedonia romana con pochi centri urbani e un territorio progressivamente desertificato, ma con sempre maggiore evidenza si delineano per aree geograficamente omogenee sistemi di occupazione peculiari, seppure sullo sfondo di un generale fenomeno di spopolamento degli insediamenti rurali e di crescita urbana comune all'intera penisola greca (Alcock, 1993). Tale fenomeno sembra avviarsi a partire dall'età ellenistica e risulta pertanto estremamente difficoltoso valutare l'impatto ambientale della conquista romana e dell'istituzione della provincia sulla regione.
Mutamenti di più ampio raggio riguardarono i territori coinvolti dalle fondazioni coloniali. Nella piana dell'Angistes, dove nel 30/27 a.C. fu fondata la colonia romana di Filippi, in età imperiale fioriscono i siti pianeggianti o pedecollinari di Haghios Athanasios, Kalambaki, Ano Kephalari, Krenides, Zygòs, Amygdaleonas, senza che per il momento ne siano note fasi precedenti. Risulta a tal proposito molto suggestivo accostare questa situazione al contemporaneo scadimento, noto attraverso le fonti letterarie, dell'antica città di Neàpolis (Kavalla) a vicus di Filippi e all'assenza di frequentazione in centri di grande valore strategico e commerciale quali Antisàra (Kalamitsa) e Nea Peramos, sulla costa a S di Kavala, e Eleutheroupolis, al margine sud-occidentale della piana di Filippi, l'importanza di quest'ultima essendo dimostrata dalla rioccupazione in età bizantina col nome di Anaktoroupolis. All'insegna di una maggiore continuità sembra essersi strutturata l'occupazione del territorio di Pella (ν.) dove una recente ricognizione ha segnalato la presenza, con concentrazioni su aree molto ristrette, di un numero sostanzialmente equilibrato di siti (29) di età ellenistica e imperiale con netta preferenza, in entrambi i periodi, per posizioni di pianura e mezza costa; la circostanza però che solo nove dei siti ellenistici coincidano con quelli romani denuncia slittamenti insediativi, e forse ridistribuzioni di proprietà, che immediatamente richiamano il contemporaneo trasferimento dell'impianto urbano della colonia di Pella in una località nel suburbio dell'antica capitale macedone, gravemente danneggiata da un terremoto dell'inizio del I sec. a.C.
Le trasformazioni del paesaggio proseguirono anche nel IV sec. d.C., momento in cui si data, p.es., lo spostamento dell'antica Elime da Kallianì/Aianè a Caesarea con il nome di Diocletianoupolis, denominazione assunta forse contemporaneamente anche da Argos Orestikòn il cui toponimo non figura più in età tardo imperiale; inoltre, al V sec. d.C. sembra possa riferirsi sempre nell'Orestide il mutamento in Iustinianoupolis dell'antica Kèletron (Kastorià).
Per quanto concerne più in generale le modalità insediative nei singoli distretti geografici, l'Elimea si segnala per la presenza di poco più di un centinaio di attestazioni databili al periodo in esame, nella maggioranza dei casi con continuità tra fase tardo-ellenistica e imperiale. Notevole la concentrazione nell'area di Kozani (v.). Pur in mancanza di dati sull'estensione dei singoli siti, il ritrovamento di tombe, talune di proporzioni monumentali quale la thòlos di Koilas (Greta), di strutture edilizie, di materiale epigrafico e scultoreo autorizza a leggervi altrettanti indizî di un sistema insediativo articolato e gerarchizzato, forse strutturato in vici con la compresenza di villae. Sulle catene dell'Askio e del Vourinos, che separano l'antica Elimea dall'Orestide e dalla Tinfea, si distinguono i siti stabilmente occupati nel distretto territoriale della moderna Argos Orestikòn: Chroupista, Dranites, Nestorion. Il primo di essi è forse identificabile con l'antico capoluogo Argos sulla scorta dell'evidenza monumentale (mosaici) e di un'iscrizione menzionante il koivòv Όρεστών, sebbene altre testimonianze epigrafiche indichino piuttosto la moderna Kastorià, nella quale invece va con maggiore verisimiglianza riconosciuto Keletron, centro conquistato nel 200 a.C. da P. Sulpicio Galba. I dati derivanti dalle ricognizioni nell'area di Grevenà, nella Tinfea, testimoniano la presenza in tale impervio territorio di apprestamenti di alto livello, difficilmente riconducibili a un'economia di sussistenza o di tipo prevalentemente agricolo-pastorale. Il valore della ricca e diversificata maglia insediativa che questi dati lasciano supporre contrasta con il numero estremamente esiguo di civitates e kòmai (sette per ciascuna categoria) riferite dalle fonti letterarie all'intero ambito geografico considerato, ben armonizzandosi d'altro canto con la prosperità dei koinà e la menzione in un prezioso documento epigrafico da Dranites (SEG, XXX, 1983, n. 568) di Έπαρχικοί, distinti dagli Orestidi e dai πολείται, attestante nell'area la presenza fissa di Romani.
A Ν della linea della Egnatia, Lincestide, Pelagonia, Derriopo e Peonia restituiscono evidenze di non poca rilevanza: di tali centri, nella maggioranza dei casi occupati almeno dall'età tardo-classica, l'indagine archeologica ha registrato una notevole espansione nel passaggio all'età imperiale, spesso favorita e sollecitata da evergeti o dagli stessi imperatori, coerentemente alla già ricordata politica a favore dell'urbanizzazione.
In Lincestide, il cui territorio per la maggior parte ricade attualmente nella repubblica ex iugoslava di Macedonia, a Bitola dopo sporadiche ricerche della fine degli anni '30 si sono svolte dal 1959 indagini sistematiche che hanno condotto alla scoperta di un esteso abitato, cinto da mura, corrispondente al capoluogo Eraclea. Edificî pubblici (terme, un teatro, porticati), numerose sculture ed epigrafi attestano, tra I e III sec. d.C., l'attività di molti benefattori in alcuni casi legati alla famiglia imperiale, tra le cui benemerenze colpisce il dono di un orologio risalente al 10 a.C. Particolarmente favorita da Settimio Severo (Σετττίμια Αΰρέλια Ηράκλεια), la città fu patria di molti pretoriani, divenne sede episcopale, dotandosi di due basiliche pavimentate a mosaico e di un palazzo episcopale, e subì nel V sec. d.C. il saccheggio da parte degli Ostrogoti. L'esistenza di numerosi e fiorenti centri di età imperiale sembra testimoniata, oltre che dalla menzione epigrafica di due città in un'iscrizione confinaria traianea da Aclada, anche dalla scoperta a Gorno, allo sbocco settentrionale della gola di Prevalec, di resti pertinenti a un santuario per le divinità egizie, attribuito al centro di Nicea, e dal ritrovamento a Suvodol (a NE di Bitola) di un altro luogo sacro, che un'offerta alla dea Pasikrateia e decreti di affrancamento del III-IV sec. d.C. connettono con una kòme del territorio. Le strutture segnalate sia nella zona Ν della regione a Crnobuki (vallata del fiume Semnica) sia in quella S, come la casa romana scoperta a Kato Klinai nel 1981 (pavimenti a mosaico geometrico) e le sculture rinvenute a Itea, potrebbero infine rimandare a ville o ad agglomerazioni minori.
Un analogo sistema insediativo pare riproporsi anche nella Pelagonia, a E della Lincestide, regione famosa per le miniere del Mariovo, dove intorno a Rapes sono segnalati ben otto siti con distanze reciproche comprese tra due e tre chilometri. Si conoscono inoltre una decina di abitati posti sulla piana di Gradiste (Dunje, Pestani) e alle pendici occidentali del monte Selečka (Monjo, Podmol, Bonče) e forse due santuarî, la cui presenza è testimoniata da dediche, a Kokra (Artemide Kynagogòs) e Treskavec (Apollo Oteudanòs; decreti di affrancamento consacrati ad Artemide Efesia): il primo sembra appartenere a un koivòv Δοστωνεών da porsi sulla piana di Gradiste, il secondo è identificabile con Kolobaise, kòme posta su un altopiano a Ν della gola di Pletvar.
Le valli fluviali della Bregalnica e del sistema Vardar- Axios informano la rete insediativa della Peonia orientale, posta a NE di Derripo e Pelagonia. Nei pressi del villaggio di Vladilovci si collocano tre siti che una dedica a Hera fa riferire a un koivòv Νεαπολιτών, del quale non è chiaro il preciso rapporto con Stobi (v.), principale centro della regione, posto non lontano alla confluenza di Vardar, Bregalnica e Axios. La città, prosperosa per il commercio del sale e base militare di Filippo V, subì una fase di abbandono tra la fine del II sec. a.C. e l'età augustea quando era oppidum civium Romanorum, successivamente elevata al rango di municipium Stobiensium da Vespasiano. Superati i gravi danni procurati dall'invasione dei Goti nella seconda metà del III sec. d.C. e da una catastrofe della fine del IV sec. d.C., fu importante centro ecclesiastico, sede vescovile, capitale nel V sec. d.C. della Macedonia Salutaris; saccheggiata nel 482 dagli Ostrogoti fu abbandonata nel corso del VI sec. dopo l'ennesimo terremoto (512 d.C.). Particolarmente florida fu tra II e III sec. d.C. la comunità ebraica, cui si deve la costruzione di una sinagoga e la più antica menzione di un patriarca della Diaspora (CI. Tiberio Policarmo). Scavi del museo di Belgrado condotti in più campagne tra gli anni '20 e '60, e successivamente nel 1970 dall'Università di Austin (Texas), hanno portato alla luce sia edifici pubblici (teatro, terme, fontane, basiliche), sia importanti testimonianze di culto ebraiche e paleocristiane (sinagoga, basilica episcopale degli inizi del V sec. d.C. con fase costantiniana; palazzo episcopale), sia infine dimore private di IV-V sec. d.C. tra le quali spiccano il c.d. Palazzo di Teodosio e quello di Policarmo.
Le grandi piane alluvionali determinate dal basso corso dell'Axios, del Moglenitsa e dell'Aliacmo, occupate dalle antiche regioni di Mygdonia, Anfiaxitide e Bottiea costituiscono un altro distretto geograficamente omogeneo. Da un punto di vista topografico esse hanno in comune non solo un'intensa occupazione sin dall'età arcaica, ma anche la presenza di città di capitale importanza nella storia della Macedonia. Fatta salva la specificità di talune situazioni e la sostanziale continuità delle principali pòleis, una della caratteristiche insediative di età romana sembra essere la diffusione di agglomerati stabilmente occupati in pianura o su aree collinari ai margini delle pianure, difficilmente ascrivibili a sistemi di occupazione intensiva mononucleare tipo villa.
In Mygdonia una corona di siti si distribuisce intorno a Salonicco; tra questi solo Nea Mechaniona e Oraiokastro hanno una certa rilevanza archeologica (tombe e stele funerarie). La presenza di insediamenti paleocristiani in luoghi interni, pedemontani, oppure distanti dalle zone di più intensa occupazione, potrebbe alludere a cambiamenti delle strutture insediative, forse in connessione con la perdita di sicurezza delle campagne tra V e VI sec. d.C. Allo stesso modello insediativo si richiamano gli abitati noti nell'Anfiaxitide, attratti in stretta successione dalla valle del Gallikòs.
Il territorio di Pella in Bottiea, lambito nell'antichità dal golfo Termaico, risulta caratterizzato, come già sottolineato, da un'intensa concentrazione di siti; poiché molti di essi sono stati oggetto di saggi di verifica, tuttora in corso, è possibile sottolinearne le differenti caratteristiche, per cui piccole installazioni con tracce di frequentazione si alternano a strutture abitative di notevole livello, quale la «villa» di Rachona, o ancora a piccole agglomerazioni come quella di Pentaplatano, denunciata dalla presenza di un sepolcreto e di un impianto termale, infine ad abitati risalenti sino alla preistoria quali Agrosykia e Giannitsà. Ugualmente articolato risulta il paesaggio compreso tra i fiumi Gramos e Moglenitsa, immediatamente a Ν del precedente, dove troviamo il sito fortificato di Kalè (mura tardo-ellenistiche/protoimperiali), affiancato dall'abitato di Prophetes Elias (iscrizione funeraria), e il centro di Aravissòs/Paleokrastro i cui cospicui resti di abitazioni (III-V sec. d.C.) vanno a sommarsi al tempio scoperto nel 1967 da G. Bakalakis, presso la seconda delle citate località, rendendo probabile la localizzazione qui della civitas di Kyrrhos. Spostandoci più a S, l'area della moderna Naoussa (Mièza?) ha fornito ingenti testimonianze relative alla necropoli e all'abitato, tra cui particolarmente pregevole una casa a peristilio con almeno due fasi edilizie; isolato resta per il momento il sepolcreto rinvenuto a Zervochori, località posta circa 10 km a NE di Naoussa. Maggiori indicazioni provengono invece dal territorio di Veroia: nelle vicinanze di tale centro, molto importante in età imperiale, strutture e rilievi funerarî segnalano abitati, per il momento di imprecisabile estensione, sia a N, sia a S; in particolare si colloca a Leukopetra un santuario della Madre degli Dei autoctona, da cui provengono molti decreti di affrancamento di schiavi, alcuni dei quali localizzano qui un'anonima kòme del territorio di Veroia che, data la vicinanza alle gole del Tripotamo, potrebbe segnare il limite della chòra della città verso l'antica Elimea. Interessante infine la presenza, nelle tre regioni esaminate, di insediamenti interni, in posizione alquanto isolata lungo valli e itinerari verso zone montagnose, che spesso restituiscono strutture di insospettata monumentalità come l’heròon scoperto a Palatianò (nomòs di Kilkìs) negli anni '60, cui si sono recentemente aggiunte altre tombe con stele a rilievo. Lungo l'Axios il sito di Marvinči (Idomenèa?), oggetto di indagini sistematiche a partire dal 1978, occupato sin dal periodo arcaico, fu sede in età romana di mercatores che dedicano una scultura al legato propretore P. Memmio Regulo; in Bottiea infine Europòs, 20 km circa a Ν di Pella, fu sede di un piccolo insediamento di cui conosciamo un sepolcreto (41 tombe) in uso tra periodo imperiale e paleocristiano.
Non del tutto differente appare il quadro ricavabile dalla distribuzione dei siti archeologici nella regione dell'antica Pieria. Nella piana di Pidna le località di Koukkos, Kitros, Aionia, Sebastè, Makrighialòs, corrispondono ad aree stabilmente frequentate che hanno sinora restituito un'evidenza archeologica di livello qualitativo assai differenziato, dove primeggiano Alonia (sepolcreto con tomba a cupola) e il comprensorio Kitros/Makrighialòs (casa tardo-ellenistica, tombe). Altre serie di attestazioni provengono dall'area di Dion (v.), in cui si distinguono alcuni siti attivi in età paleocristiana.
Nelle zone orientali della provincia (Calcidica), si contano poco più di una ventina di siti, il che indica un'evidente diminuzione rispetto al periodo classico e arcaico. Dall'analisi dei dati sinora raccolti e pubblicati si delinea l'ipotesi che in una regione dalla conformazione geomorfologica prevalentemente montuosa, con poche pianure limitate alle coste in corrispondenza delle penisole, la conquista romana più che inaugurare un periodo di progressiva decadenza comportò, con ogni probabilità, una totale riorganizzazione del territorio. Non a caso la colonia di Cassandrea si insediò in una posizione strategica a dominio e controllo sia della pianura, una volta sfruttata da Olinto, sia della fertile penisola Pallene; attualmente poche sono le testimonianze archeologiche relative alla colonia, fondata nel 43-42 a.C. per Bruto dal proconsole Q. Ortensio Ortalo, ribattezzata Colonia Iulia Augusta Cassandrensis, devastata dai Goti nel 268 d.C. e sede episcopale: contestualmente a resti della necropoli sono state scavate abitazioni ellenistiche e un pregevole edificio alto-imperiale con pavimento in opus sedile distrutto da un incendio. Sulla Pallene, oltre alla frequentazione attestata ad Aphytos e nel vicino Santuario di Zeus Ammon a Kallithea, notevoli resti si rinvengono a Mende, città di antica tradizione dove è noto un monumentale edificio datato al Basso Impero e preceduto da strutture non ancora identificate; inoltre a Paliouri, verso l'estremità della penisola, è stato scoperto un apprestamento costituito da una corte lastricata con due forni da porsi in relazione con un vicino scalo marittimo; degni, inoltre, di nota sono i resti di un abitato paleocristiano e di una terma protobizantina presso la località di Sane (v.). Nonostante la scarsità di dati provenienti dai siti della costa occidentale di Ierissòs, Stratoni e Olympiada, corrispondenti rispettivamente alle pòleis di Àkanthos, Stratonìke e Stàgeira, gli apprestamenti difensivi ellenistico-romani di Arneia e Liotipi Olympiadas, nonché le dediche di affrancati da Vrastama e le epigrafi romane di Niketas, attestano un'attenzione al territorio che ben concorda con quanto noto dalle località di Vasilikà, Galatitsa e Geroplatanos da cui provengono documenti epigrafici ellenistici e romani. Particolarmente interessante la menzione in un'iscrizione da Niketas della tribù Papiria, cui appartenevano i coloni di Cassandrea, sulla cui scorta recenti studî hanno stabilito l'estensione del territorio coloniale almeno sino all'istmo della Sithonia. Nella penisola di Sithonia l'età paleocristiana sembra coincidere con un periodo di particolare fioritura come testimoniano, oltre la continuità di occupazione della pòlis di Torone, l'abitato in grotta di Porto Kouphos e le basiliche di Sykia e Niketas; il dato può essere posto in connessione con la presenza di notevoli strutture a Nea Triglia, Nea Tenedos e Mariana Olynthou, nella zona continentale prospiciente la Pallene, per suggerire un cambiamento nella maglia insediativa, probabilmente in dipendenza dell'esaurirsi dei precedenti equilibri di età imperiale.
La valle dello Strymon, interessata dalle antiche regioni di Odomantica e Bisaltide, mostra caratteristiche unitarie e di grande sviluppo in età imperiale. Estremamente scarsa la documentazione archeologica proveniente da Serrai, centro che i ritrovamenti (resti di abitazioni, altari reimpiegati, epigrafi) fanno identificare con il capoluogo dell'Odomantica Sirai o Siris, città membro del koinòn macedone inserita nel III sec. d.C. in una pentapoli e successivamente sede episcopale.
Nell'Edonide Pieria si segnala la presenza di un notevole numero di siti archeologici sulle pendici del Pangeo, nella maggioranza dei casi connessi all'attività estrattiva propria del distretto sin da età arcaica. Di particolare importanza, oltre le fortificazioni di Orphani, il Santuario dell'Eroe Aulonìtes a Kepia scoperto nel 1968 e scavato tra il 1985 e il 1989: oltre a statue ed epigrafi, sono state rinvenute strutture pertinenti alle due ultime fasi romane databili nel corso del IV sec. d.C. Sul sito sorse nel VI sec. d.C. una basilica a tre navate, con esonartece trivelo e sintrono, distrutta tra il 615 e il 620 d.C.
Per quanto concerne la tarda antichità, il fenomeno più importante è rappresentato dall'impianto di un notevole numero di basiliche che tra V e VI sec. d.C. punteggiano il paesaggio sia delle regioni costiere (Pieria: Pidna, Milla, Kato Milia; Calcidica: Torone, Sane, Sykia, Nikete), sia delle valli dei grandi filami (Bottiea: Kolkìs, Kale, Sevastianà; Odomantica: Siderokastro; Edonide Pieria: Podochori, Palaiochori).
Bibl.: Storia: Geyer, in RE, XVI, 1928, Makedonia, c. 762 ss., s.v. Makedonia; D. Kanatsoules, Ιστορία της Μακεδονίας μέχρι του Μεγάλου Κωσταντινου, Salonicco 1964; id., Η οργανωσις της Ανω Μακεδονίας κατα τους Ρωμαϊκούς χρονους, in Αρχαία Μακεδονία, I, Salonicco 197°) pp. 184-192; Th. Sarikake, Ρωμαίοι άρχοντες της επαρχίας Μακεδονίας, Α'. Απο της ιδρύσεως της επαρχίας μέχρι των χρονών του Αυγουστου (148-27 π.Χ.) e β'. Απο του Αυγουστου μέχρι του Διοκλητιανου (2j π. Χ.-284 μ.Χ), Salonicco 1971 e 1977) Η. Β. Mattlingly, L. Iulius Caesar Governor of Macedonia, in Chiron, IX, 1979, p. 147 ss.; Ph. Papazoglou, Quelques aspects de l'histoire de la province de Macédoine, in ANRW, II, 7, ι 1979, p. 302 ss.; ead., H Μακεδονία υττο τους Ρωμαίους, in Μ. Β. Sakellariou (ed.), Μακεδονία. 4000 Χρονιά Ελληνικης Ιστορίας και Πολιτισμού, Salonicco 1982, ρ. 192 ss.; ead., L. Vipstanus Messalla, proconsul de Macédoine, in Ziva antika, XXXIII, 1983, p. 5 ss.; D. K. Samsares, Οι Ρωμαίοι και η Χαλκιδική, in Μακεδόνικα, XXV, 1985-86, p. 33 ss.; id., Ατομικές χορηγησεις της ρωμαϊκής πολιτείας (civitas romana) και η διάδοση της στη Ρωμαϊκή Επαρχία Μακεδονία, ibid., XXVI, 1987-88 p. 308 ss.; Ε. Carney, Review Essay on Macedonian History, in The Ancient History Bulletin, V, 1991, p. 179 ss.; P. M. Nigdelis, M. Insteius L.f. αυτοκρατωρ et la province de Macédoine au début du second triumvirat: à propos d'une inscription inédite d'Europos, in BCH, CXVIII, 1994, p. 215 ss. - Epigrafia: D. K. Samsares, Ta ανθρωπονυμια της Δυτικής Μακεδονίας κατα τη Ρωμαιοκρατία με βαση τις επιγραφικες μαρτυρίας, in Μακεδόνικα, XXII, 1982, p. 259 ss.; id., Οι επιγραφικες μαρτυρίες για τους θεσμούς της Δυτικής Μακεδονίας κατα τη ρωμαιοκρατία, ibid., ρ. 295 ss; D. Feissel, Recueil des inscriptions chrétiennes de Macédoine du Ille au Vie siècle (BCH, VIII), Parigi 1983; Th. Rizakes, G. Touratsouglou, Επιγραφικές Ανω Μακεδονίας. Ελίμεια, Εορδαία, Νοτιά Αυγκηστις, Ορεστις, ι. Καταλογος επιγραφών, Atene 1985. - Culti: S. Düll, Die Götterkulte Nordmakedoniens in römischer Zeit. Eine kultische und typologische Untersuchung anhand epigrafischer, numismatischer und archäologischer Denkmäler, Monaco 1977; V. Bitrakova Grozdanova, Egipetski kultovi vo Makedonifa («I culti egiziani in Macedonia»), in Živa antika, XXVIII, 1978, p. 331; D. K. Samsares, Ερευνες στην ιστορία, την τοπογραφία και τις λατρείες των Ρωμαικων επαρχιών Μακεδονίας και Θράκης, Salonicco 1984; P. Chrysostomou, Η λατρεία της Συρίας θέας (Αταργατιδος) στη Δυτική Μακεδονία, in AErgoMak, III, 1989 (1992), p. 103 ss.
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Per quanto riguarda notizie e rapporti di scavo sui singoli siti v. ADelt, XXIX, 1973-74 (1980) ss.; ARepLondon, 27, 1980-81 ss.; AErgoMak, I, 1987 ss.; BCH, CI, 1977 ss.; Μακεδόνικα, XI, 1971 ss.
(F. Sirano)
Epirus. - Diviso solo nel II sec. d.C. dalla Macedonia, l'Epiro (che è, per tradizione, legato anche all’Illiria) continuò ad avere strette relazioni con la provincia vicina, a cominciare dalla rete viaria, non a caso definita «macedone-epirota». L'asse principale è costituito dalla Via Egnatia (v. Provincie romane, Macedonia), che proseguendo attraverso la Tracia giunge a Bisanzio; vi sono poi numerose vie secondarie, come la strada litoranea che parte da Scodra e Lissus (Dalmatici) e passa per Dyrrhachion, Apollonia, Aulon, Oricum, Saranda, o come le strade interne che collegano Apollonia a Byllis e a Antigonea oppure Dodona alla Tessaglia. Queste vie di terra ben si integrano con un sistema di rotte adriatiche, sia di cabotaggio sia di alto mare, su cui si sta indagando con crescente attenzione.
In questa regione montuosa compresa fra il golfo di Ambracia e il basso corso del fiume Aous, la densità dei centri abitati non era molto rilevante. Più numerosi erano quelli disposti lungo la costa: Aulon, scalo importante su un golfo fronteggiato dall'isola di Sason; Onchesmos, che costituisce lo sbocco a mare della città più grande dell'Epiro, Phoenike; Buthrotum, notevole snodo di traffici sia marittimi sia terrestri, dove inoltre sorsero ville come quella di Attico; Kassope (v.), in posizione dominante sul golfo di Ambracia e sul mare aperto; e Actia Nicopolis creata da Augusto per celebrare la vittoria di Azio, che sostituì l'antica capitale di Pirro, Ambracia, come centro principale del tratto meridionale. Il Nekyomanthèion di Mesopotamos, sul lago Acherusia, distrutto nel 168 a.C., non fu più ricostruito. Oltre ai resti di Buthrotum (v. butrinto) e Nicopolis (v. nicopoli d'epiro), sono da ricordare quelli di Phoenìke (Finiqi): sono di età romana alcuni tratti delle mura (che mantengono nel loro insieme una pianta approssimativamente quadrata sulla sommità di una collina) e il rifacimento della frons scenae del teatro, che si aggiungono all'agorà e al thesauròs di età ellenistica. Nel prosieguo dell'età imperiale la città si estese anche ai piedi della collina; con Giustiniano vennero costruite, fra l'altro, due cisterne e una basilica.
Nel piccolo golfo di Gramata, a S del promontorio Acrocerauno fra Butrinto e Apollonia, esisteva un'importante cava, affacciata sul mare, che fu sfruttata fra il VI sec. a.C. e il III d.C. Sulle pareti rocciose dell'insenatura furono incise dai naviganti antichi iscrizioni di ringraziamento per Posidone, in greco e in latino. Sono poco meno di 1.500, e spesso si tratta di «cronache» di viaggi attraverso l'Adriatico; i dedicanti provengono da Apollonia, Byllis, Brindisi, Taranto, ma anche dal Ponto. Fra i nomi noti, si registrano quelli di Pompeo e di Statilio Tauro.
Poco numerose le città dell'interno, tra cui si ricordano, nel bacino del fiume Aous, Billys (ν.) sulla riva destra e Amantia (centro di un distretto minerario) sulla sinistra; alla confluenza dell'Aous stesso e dell'Elaeon, Antigonea (v.). L'antichissimo oracolo di Dodona, secondo Strabone, aveva in età romana perso molta della sua importanza: nonostante vari interventi nel Santuario di Zeus (prima Emilio Paolo, dopo quasi tre secoli Adriano) e nel teatro, il sito non tornò allo splendore di un tempo.
Oltre agli studi sulla rete stradale e sull'urbanizzazione, sono stati avviati anche quelli sull'organizzazione del territorio: un'ampia zona di centuriazione è stata individuata presso Arta (v.), sulla costa Ν del golfo di Ambracia.
La cultura artistica della provincia è documentata soprattutto a Butrinto, dove si sono rinvenute, fra l'altro, sculture neoattiche (è presente la firma di Sosicle di Atene) e ritratti di età imperiale, e ad Amantia (statue e rilievi di tradizione ellenistica).
Bibl.: N. G. L. Hammond, Epirus. The Geography, the Ancient Remains, the History and the Topography of Epirus and Adjacent Areas, Oxford 1967; P. Cabanes, L'Epire de la mort de Pyrrhos à la conquête romaine, 272-167 av. J.C., Parigi 1976; A. M. Biraschi, Enea a Butroto. Genesi, sviluppi e significato di una tradizione troiana in Epiro, in AnnPerugia, XIX, 1981-82, pp. 277-291; P. Cabanes, Notes sur les origines de l'intervention romaine sur la rive orientale de la mer Adriatique 229-228 avant J. C., in L'Adriatico tra Mediterraneo e penisola balcanica nell'antichità. Atti del Congresso, Lecce-Matera 1973, Taranto 1983, pp. 187-204; id., Recherches archéologiques en Albanie 1945-1985, in RA, 1986, pp. 107-142; id., (ed.), L'Illyrie méridionale et l'Epire dans l'antiquité. Actes du colloque international de Clermont-Ferrand 1984, Clermont-Ferrand 1987; id., L'Epire et l'Illyrie méridionale, in REG, Cil, 1989, pp. 146-159; P. Doukellis, E. Fouache, La centuriation romaine de la plaine d'Arta replacée dans le contexte de l'évolution morphologique récente des deltas de l'Arachtos et du Louros, in BCH, CXVI, 1992, pp. 375-382. (Red )
Achaia. - La provincia romana di Achaia nasce nel 27 a.C., nell'ambito del programma augusteo di organizzazione dell'impero. I territorî che entrano a far parte della nuova provincia, i cui confini soprattutto settentrionali sono tuttavia difficilmente definibili con sicurezza, sono le regioni della Grecia tradizionalmente intesa - Attica, Eubea con gli arcipelaghi delle Sporadi e delle Cicladi, Beozia, Focide, Locride Opunzia, Locride Ozolia, Acaia Ftiotide, Doride, Etolia e Acarnania, Amphilochia, Athamania, le isole ioniche di Leucade, Corfù, Cefalonia e Zante, il Peloponneso con le isole tra questo e Creta - la Tessaglia con la Magnesia e gran parte dell'Epiro (cfr. Dio Cass., VIII 12, 4; Tac., Ann., II, 53,1). Tali territori erano stati fino a quel momento legati e condizionati dalle vicende della Macedonia. In particolare, dopo la repressione della rivolta macedone dello Pseudo-Filippo nel 150/148, la sconfitta degli Achei a Leucopetra nel 146 e la distruzione di Corinto a opera delle truppe di L. Mummio nello stesso anno, erano stati riuniti al territorio macedone in un'unica provincia creata nel 146 sotto Q. Cecilio Metello, retta da un propretore di rango proconsolare (στρατηγός 'ανθύπατος) con sede a Tessalonica. Tuttavia alcune città e regioni della Grecia avevano mantenuto una libertà formale, almeno in parte poi revocata da Siila e da Cesare. È dubbio se quest'ultimo abbia programmato o creato nel 47 una provincia autonoma di Grecia con un proprio governatore, cui sarebbe seguita nel 44 la deduzione sul territorio di Corinto della colonia romana di Laus lulia Corinthiensis (Strab., VIII, 6, 23: i coloni sarebbero stati in massima parte liberti; Apul., Met., X, 18), ma il suo assassinio e le successive guerre civili devono aver cancellato o rinviato l'attuazione del suo programma.
Il distacco dalla Macedonia, voluto o, almeno, ratificato da Augusto, diede vita alla nuova provincia di Achaia, con capitale Corinto, inclusa tra quelle assegnate al Senato e governata da un proconsole di rango pretorio. Tale rimase il suo status, sia pure con oscillazioni, talvolta non trascurabili, di carattere amministrativo e territoriale, fino all'ordinamento di Giustiniano: la riforma dioclezianea infatti, pur annettendo la provincia alla dioecesis Moesiarum e quindi alla prefettura dell'Illirico, aveva svincolato il suo governatore, rimasto un proconsul, dalla giurisdizione del vicarius dioecesis e del praefectus praetorio.
Le condizioni economiche della provincia risentono, nei primi tempi della sua esistenza, della dura e prolungata esperienza delle guerre civili. Un lungo periodo di pace e di sicurezza dovette portare alla provincia indubbi benefici e un progresso economico, anche se l’Achaia, per la scarsezza di risorse naturali, non raggiunse mai la floridezza di altre provincie dell'impero. In particolare si assiste a una diminuzione del numero di città fiorenti rispetto all'epoca preimperiale, nonostante un programma, seppure limitato, di urbanizzazione attuato da Augusto e nonostante la rinascita di alcuni centri illustri decaduti voluta da Adriano o il nuovo impulso conferito ad altri dallo stesso imperatore. Questo fenomeno è in parte consequenziale alla politica imperiale, in particolare augustea, di annessione di centri minori con i loro territori ad alcune grandi città per assicurare un adeguato supporto finanziario alla loro amministrazione e per limitare il tradizionale particolarismo. In alcuni casi la popolazione dei centri annessi viene costretta a trasferirsi verso i centri più importanti (cfr. Paus., X, 38, in cui è riferita l'opposizione della popolazione etolica al trasferimento a Nicopolis, con conseguente fuga di alcuni gruppi verso Amphissa), ove vengono accolti, a suggellare l'abbandono dei centri minori, anche immagini e oggetti di culto.
Quanto all'amministrazione del territorio e alla ripartizione delle proprietà terriere, a parte il caso delle colonie romane che vedono, come di consueto, l'assegnazione delle terre ai coloni, non sembra diffondersi in Grecia, neanche in epoca tarda, il sistema latifondistico. È certa comunque l'esistenza di proprietà in genere più estese che nell'epoca precedente: tra le più famose quelle di Erode Attico a Maratona, a Luku e in altre aree della provincia.
Ampie zone del territorio, del resto mai completamente urbanizzate neanche in passato, appaiono destinate all'allevamento del bestiame, come l'Etolia e l'Acarnania, famose per i loro cavalli, la zona del golfo Ambracio e l'Amphilochia, o all'agricoltura, come la Beozia (regione piuttosto depressa in età imperiale), la Focide, l'Arcadia (produttrice anche di bestiame come l'Argolide), la Laconia (ove Sparta mantiene però anche un ruolo commerciale), e soprattutto la Tessaglia, in cui le maggiori fonti di ricchezza sono costituite dalla coltivazione di grano, destinato anche all'esportazione (cfr. Philostr., Vitae Sophistarum, I, 23, ed. Kayser, p. 39, per l'arrivo di grano tessalico ad Atene), e dall'allevamento soprattutto di cavalli (Strab., VIII, 388; CIL, VI, 33937). Se l'Attica può offrire, come unici prodotti di esportazione, l'olio d'oliva e i marmi, grezzi o lavorati, mentre altri prodotti bastano al solo fabbisogno interno, e se il Pireo perde almeno parte della sua importanza commerciale, la Corinzia presenta una vivace attività di traffici e commerci che influenzano anche lo sviluppo dell'Acaia costiera con i centri di Patrae (v. patrasso), dotata di un vasto territorio e dedita a un vivace commercio e ad attività artigianali legate alla produzione tessile, e di Dyme, anch'essa caratterizzata da un territorio piuttosto esteso e vitale fino alla tarda antichità; nel Peloponneso nord-occidentale, invece, l'unica nota di importanza è data dal santuario di Olimpia. L'Eubea mantiene un'importanza commerciale per il porto di Calcide e per l'estrazione del marmo caristio, largamente esportato. Le Cicladi, importanti scali marittimi, continuano a essere produttrici di marmi e a presentare una certa vivacità artistica.
Quanto alla proprietà imperiale, non sono attestati estesi territori posseduti dagli imperatori, se non in casi sporadici e per brevi periodi. Sembra invece fossero di proprietà imperiale, almeno dall'età tiberiana (Suet., Tib., 49, 2), molte se non tutte le più importanti cave di marmo della provincia.
La politica imperiale nella provincia di Achaia si basa essenzialmente su un governo indiretto che lascia alle singole città, di vecchia e nuova formazione, il compito di autogovernarsi, rispondendo al governo centrale della propria politica e divenendo un potente strumento organizzativo e amministrativo. Un controllo dell'autorità centrale risulta peraltro sempre esercitato in maniera indiretta, anche se a partire dal II sec., con attestazioni ancora all'inizio del regno di Diocleziano, diventa sempre più diffusa la presenza nelle città libere di correctores di rango consolare, indipendenti dal proconsole, che esercitano un controllo diretto a livello amministrativo.
Il governo delle singole città è affidato da Roma a una classe municipale in parte già esistente, in parte di nuova formazione, di censo molto elevato e di grandi capacità finanziarie, proprietari terrieri e commercianti in grado di gestire le esportazioni di prodotti locali su scala internazionale.
La nuova provincia eredita un certo numero di città già dichiarate alleate di Roma, libere e/o immuni, nonché colonie romane. In particolare per la prima categoria i trattati di alleanza con Roma risalgono tutti al periodo compreso tra il 146 e il 27 a.C.: il primo noto è quello relativo a Epidauro (circa 112 a.C.: IG, IV, 1, 63), mentre l'ultimo riguarda Nicopolis. Federate devono essere inoltre Atene (Tac., Ann., II, 53, 3, mentre Plin., Nat. hist., IV, 24, la descrive solo come libera), Trezene (IG, IV, 791) e Thyrreion in Acarnania (SIG, 732: foedus del 94 a.C.).
Quanto alle città libere o immuni all'atto della fondazione della provincia e tali rimaste in seguito, esistono attestazioni per Abai in Focide, Amphissa, Delfi, forse Elatea, Farsalo, Sparta, Tanagra, Tespie, mentre libere erano le intere isole di Corfù, Cefalonia, Zante ed Egina. In età imperiale sono testimoniati, accanto ad alcune concessioni del titolo esclusivamente onorifico di colonia, casi di concessione della libertà o immunità a Minoa sull'isola di Amorgo, fatta da un imperatore non identificabile e poi rinnovata (IG, XII, 7, 242), Mothone in Messenia, risalente a Traiano (Paus., IV, 35, 3), Platea, forse ad Adriano (ILS, 1067), Pallantion (v.) in Arcadia, a opera di Antonino Pio (Paus., VIII, 43, 1).
Un vero e proprio programma di urbanizzazione e soprattutto di colonizzazione della provincia non è contemplato dalla politica di Augusto né degli imperatori successivi. Se infatti Augusto eredita le colonie cesariane di Corinto, che eleva al ruolo di capitale, e di Dyme, in cui Pompeo aveva già stanziato un gruppo di pirati al termine della spedizione vittoriosa in Cilicia (Strab., VIII, 7, 5 e XIV 3, 3: sul sito scarseggiava la popolazione; Plin., Nat. hist., IV, 5, 13; App., Mithr., 96; Plut., Pomp., 28), da parte sua si limita alla deduzione di due colonie: a Patrasso (Colonia Aroe Augusta Patrensis) sulla costa occidentale dell'Acaia (cfr., fra le altre testimonianze, Plin., Nat. hist., IV, 4, 11), fondata dopo Azio e popolata in parte di coloni italici, in parte di Greci trasferiti da distretti vicini, localizzabili su entrambe le sponde del golfo di Corinto (Paus., VII, 18, 6-7, ove però Patrasso viene descritta come città libera; X, 38, 9), e a Butrinto in Epiro (la fondazione di quest'ultima colonia, peraltro, potrebbe risalire anche a Cesare; cfr., fra gli altri, Strab., VII, 7, 5; Plin., Nat. hist., IV, 4). Augusto fonda inoltre, sul sito del suo accampamento nella battaglia di Azio, il nuovo centro greco di Nicopolis (v. nicopoli d'epiro) costituito per sinecismo della popolazione di vicini distretti e dotato di un territorio amministrativo assai vasto, comprendente aree di Ambracia, dell'Acarnania e forse di parte dell'Etolia (Strab., VII, 7, 6; Paus., V, 23, 3; VII, 18, 8; x, 38, 4) e dotato di foedus con Roma (Serv., Aen., 3, 501; Plin., Nat. hist., IV, 4, la dice invece solo libera). Questo tipo di fondazione, di modello e popolazione esclusivamente greci, insieme all'esiguo numero di colonie romane dedotte e al rispetto di precedenti concessioni fatte a singole pòleis da Roma, sembrano indicare un tratto essenziale della politica augustea in Achaia, quello cioè di un intervento perentorio, ma non massiccio del potere imperiale e di una promozione dell'elemento etnico e culturale ellenico, condotta quest'ultima che verrà adottata, con ben altro spirito, anche da Adriano.
A conferma di tale politica continuano ad esistere, nella nuova provincia, organismi federali sorti in età ellenistica e apparentemente sciolti nel 146 a.C. (Paus., VII, 16, 9), ma ricostituiti poco dopo; accanto a essi nuove leghe vengono create in età imperiale.
Quanto all'Anfizionia delfica, Augusto riorganizza il sistema di votazione, assegnando a Nicopolis, alla Tessaglia e alla Macedonia sei voti per ciascuno dei complessivi trenta (Paus., X, 8, 3-5). Un tale cambiamento provoca un equiparamento di tutti i Greci della madrepatria e, dando preminenza a Nicopolis, rivela l'intenzione di Augusto di trasformare la lega in uno strumento di glorificazione del proprio operato e di assicurare la lealtà dei membri al programma e alla figura dell'imperatore. Con Adriano nel 125 si apportano modifiche per eguagliare la rappresentatività nell'Anfizionia, diminuendo quella dei Tessali a favore di Atene, Sparta e altre città.
Di nuova formazione in epoca imperiale sono due leghe. La prima, attestata a partire dalla tarda età tiberiana, ma istituita in data incerta, è la Lega Panachea, che riunisce, nella sua totalità, Achei, Beoti, Focesi, Eubei, Locresi, Dori, anche se l'appartenenza dei singoli membri non è costante nel tempo.
Una seconda lega, il Panhellènion, sorge in età adrianea, probabilmente nel 131/2, in occasione di una delle visite dell'imperatore ad Atene e della dedica del Tempio di Zeus Olympios. La lega in realtà, riunendo pòleis ed èthne di almeno cinque provincie dell'impero (Acaia, Macedonia, Tracia, Creta e Cirenaica, Asia), costituisce un'entità territoriale sovracittadina e sovraprovinciale, la prima di questo genere in età romana in Oriente.
Sede della lega è Atene, che ospita anche il culto di Adriano Panhellènios nel santuario costruito in età adrianea e dedicato a Zeus ed Hera Panhellènioi; nuovi agoni, i Panhellènia, istituiti con gli Hadrianèia e gli Olympièia, si affiancano come Ιεροί 'αγώνες alle Panatenee.
Non abbiamo attestazioni per l’Achaia di un koinòn provinciale, che evidentemente non si sarebbe conciliato con gli organismi federali esistenti; solo in età post-dioclezianea sembra testimoniato un concilium della provincia.
Pochi grandi percorsi, importanti per le comunicazioni interprovinciali, sembrano interessare il territorio dell'A chaia: il numero esiguo sembra d'altra parte giustificato dalla natura accidentata del terreno. Dagli itinerari, in particolare dall’Itinerarium Antonini Augusti (324,1-328,6) «per loca maritima in Epirum et Thessaliam et in Macedoniam», è noto un percorso con tappe assai distanti l'una dall'altra, che congiungeva la costa adriatica alla Macedonia in alternativa alla Via Egnatia: partendo da Aulona, punto di approdo delle navi provenienti dall'Italia, e passando per Phoinike, Butrinto, Actia Nicopolis e di qui per Delfi, Megara, Eleusi, Atene, Oropos, Tebe, Calcide, Opunte, Demetrias, Larisa, Dion, si riuniva all’Egnatia a Tessalonica.
Quanto alle comunicazioni per mare, i porti greci dovettero in genere mantenere la funzione di importanti scali sulle rotte mediterranee, ma le fonti in nostro possesso non sono al riguardo illuminanti. L'Itinerarium maritimum (487,5 ss.) indica chiaramente una sola rotta che collegava l’Achaia all'Italia e a Cartagine, partendo dall'Istmo di Corinto, senza che la città sia nominata, toccando una serie di porti greci sul golfo corinzio e sulla costa ionica (Naupatto, Oxeas, Nicopolis, Butrinto), alla volta di Aulona, da cui veniva effettuata la traversata in direzione Hydrunton; la rotta proseguiva toccando vari scali sulla costa ionica dell'Italia e su quella orientale e meridionale della Sicilia, da dove partiva la traversata per Cartagine. È indubbio comunque che i centri costieri di Patrasso, Nicopolis, Butrinto, ai quali durante l'età imperiale fu dato particolare impulso, dovettero condizionare ed eventualmente modificare rotte precedenti alla loro fondazione o al loro sviluppo. Inoltre la funzione di capitale assegnata a Corinto costituì un ulteriore polo di attrazione per le rotte marittime.
Per quanto riguarda le comunicazioni interne, l’Achaia ereditava una tradizione di particolarismo regionale, se non addirittura cittadino che, unito a ragioni di carattere difensivo e alla relativa facilità delle comunicazioni marittime, non aveva favorito e potenziato lo sviluppo e il mantenimento delle strade. Tuttavia una rete stradale piuttosto fitta e in uso anche in età imperiale è testimoniata, fra l'altro, dalla Periegesi di Pausania, mentre l’ltinerarium Antonini rivela l'esistenza di due percorsi interregionali con partenza da Atene.
In età imperiale consistenti interventi a livello urbanistico e architettonico interessano numerosi centri e sono per lo più incoraggiati e finanziati dall'imperatore e dal suo entourage o da privati munifici, rappresentanti di quelle élites municipali che risultano strettamente legate alla casa imperiale. Gli interventi urbanistici sono caratterizzati da alcuni capisaldi che si ritrovano analoghi in più località: una monumentalizzazione delle agorài, che vengono pavimentate e regolarizzate nel perimetro spesso attraverso la costruzione di stoài, una monumentalizzazione degli assi stradali più importanti, anch'essi generalmente pavimentati, con erezione di fornici al loro sbocco sulle agorài; una ristrutturazione degli edifici di spettacolo, come teatri e odèia, un'attenzione particolare alle strutture di tipo utilitario, con la costruzione di ponti e acquedotti e una sistemazione monumentale delle fontane.
Nei varî centri costruzioni effettuate ex novo, ispirate all'architettura in particolare attica del V e IV sec. a.C., rivisitata attraverso l'ellenismo, caratterizzano soprattutto le età augustea e adrianeo-antonina: in esse peraltro sono presenti anche elementi rivelatori di influenze di altri ambiti, come quelli microasiatico di età ellenistica e imperiale, romano-urbano e romano-italico. Accanto ai nuovi edificî si collocano interventi di restauro di antichi e illustri monumenti, che risultano utilissimi cantieri di studio e di imitazione di moduli e tecniche del passato. Sono attestati inoltre riadattamenti di edificî esistenti che assumono nuove funzioni, connesse p.es. al nuovo culto imperiale per il quale solo in alcuni casi si edificano nuove sedi, mentre spesso si utilizzano costruzioni già esistenti (cfr. gli esempî significativi della Stoà di Zeus Eleuthèrios ad Atene e del Metròon a Olimpia). Un caso a sé costituisce infine l’Olympièion di Atene, edificio lasciato da secoli incompiuto e terminato, dopo un tentativo infruttuoso in età augustea, solo con Adriano, promotore di simili coraggiose e dispendiose imprese per altrettanto illustri strutture templari in diverse località dell'impero. Gli interventi urbanistici di età imperiale più notevoli sono attestati a Corinto, Atene, Argo, Sparta e Messene, nei centri di Patrasso, Dyme, Nicopolis, Butrinto, oltre che nei santuari più famosi di Delfi, Olimpia, Epidauro, Eleusi. I casi di Corinto e Atene, i centri di gran lunga più significativi, danno un'idea piuttosto precisa di programmi urbanistici e architettonici che nella loro diversità si adattano alle diverse fisionomie e funzioni delle città.
Corinto (v.), centro amministrativo e giuridico di primaria importanza per il suo ruolo di capitale di provincia e sede del governatore, ma anche città attivissima dal punto di vista finanziario e commerciale, dotata di due porti entrambi in funzione, il Lechàion e il porto di Kenchreai, sviluppa un piano urbanistico con aree di interesse pubblico nettamente definite, che ha nell'agorà e nell'asse viario che la congiunge al Lechàion, i perni fondamentali.
In generale gli interventi architettonici a Corinto rivelano una moderata ispirazione a modelli classici, mentre soprattutto nelle strutture costruite nel periodo iniziale di vita della colonia chiaro è l'inserimento di piante, elementi e spunti dell'architettura romana e italica, con un probabile intervento di architetti di provenienza romano-urbana volto a progettare edifici e complessi necessari alla colonia, ma estranei all'architettura greca. In età adrianea e soprattutto antonina è testimoniata una ripresa di modelli classici sia negli schemi architettonici sia nella decorazione scultorea.
Allo stesso tempo però si vanno affermando forme e idee proprie della contemporanea produzione microasiatica.
L'urbanistica e l'architettura di Atene (v.) di età imperiale si distinguono da quelle di Corinto per la diversa funzione che la città riveste nel mondo romano: il suo illustre passato, visivamente testimoniato dal patrimonio artistico, conservatosi nonostante le distruzioni causate dall'assedio sillano, e la presenza di scuole filosofiche di antica tradizione e di famosi centri di istruzione ne fanno la capitale della cultura. Allo stesso tempo l'elevato livello tecnico mantenuto dai suoi artisti e dalle sue maestranze la rende dominatrice delle arti figurative di età romana almeno fino alla metà del II sec. d.C. Una serie di interventi caratterizza il volto dell'Atene augustea e tende a esaltare, nell'ispirazione classicistica, lo splendore della città in senso retrospettivo e a sottolineare il valore del suo passato, svuotato peraltro di qualsiasi valenza politica. La presenza costante di Roma nella storia di Atene e l'ambiguità della politica augustea nei suoi confronti sono chiaramente testimoniate da un edificio come l’Odèion di Agrippa, elevato con studiato gusto antiquario sul sito dell'orchestra di età arcaica nell'agorà: in esso esperienze e tradizioni ellenistiche di ambito microasiatico si fondono con spunti e influenze dell'architettura romana e romano-italica tardo-repubblicana e con un programma decorativo ispirato all'architettura e alla scultura attica di età classica. D'altra parte l’agorà stessa, perdendo la sua funzione economica e amministrativa, assunta dalla nuova agorà romana voluta da Cesare e terminata da Augusto in concomitanza con un intervento di risanamento edilizio nell'area tra le due agorài, riceve un nuovo assetto monumentale e rievocativo.
Un classicismo più rigoroso e una maggiore sobrietà, pur con uno spirito eclettico tipico del gusto di età romana, sembrano invece caratterizzare una serie di interventi ad Eleusi (v.), progettati e in parte eseguiti in età adrianea, ma completati sotto gli Antonini, e riguardanti principalmente la sistemazione della corte antistante il santuario.
Come già osservato per l'architettura con la sua decorazione, uno spirito rievocativo di imitazione dei capolavori del passato pervade gran parte della produzione delle arti figurative di ambito greco in età romana. Il passato richiamato in vita e idealizzato non è solo quello classico del V e IV sec., ma si estende a comprendere anche l'età ellenistica, mentre, attraverso la moda arcaizzante sviluppatasi già nel V e nel IV sec., riprende alcuni modi e forme di età arcaica.
Il fenomeno che interessa questa produzione nella maniera più profonda, evidente e significativa almeno fino alla metà del II sec. d.C. è quello del c.d. neoatticismo (v.).
L'assunzione programmatica da parte dell'arte ufficiale augustea dei canoni stilistici di tale movimento artistico, che aveva in Atene il suo centro, determina il suo imporsi in Grecia e a Roma come cifra stilistica uniforme del periodo e della successiva età giulio-claudia.
Se in epoca flavia motivi e tendenze di altro genere e di diversa provenienza compaiono a spezzare questa uniformità, è con l'età adrianea che il classicismo inteso come rievocazione nostalgica di un passato illustre e idealizzato, diviene motivo portante di tutta una cultura. Tuttavia già nella tarda età adrianea e poi progressivamente in età antonina l'esperienza ¡artistica delle provincie asiatiche trova spazio nel mondo greco della madrepatria, influenzandone profondamente la produzione. Un'attività continua caratterizza la prima metà del III sec., in particolare per quanto concerne la ritrattistica e la produzione di sarcofagi, mentre l'incursione in Atene degli Eruli nel 267 sembra porre una drastica fine a un'esperienza plurisecolare che l'età tardoantica non saprà rivivificare.
Nella produzione scultorea a tutto tondo, primaria importanza è riservata alla creazione di copie di famose sculture del passato che nel II sec. presenta la massima fioritura. In particolare sono predilette l'arte attica di stile severo e post-fidiaco e la produzione classica del IV sec., nonché lo stile arcaistico dell'ultimo quarto del IV sec., tramite il quale ci si avvicina anche all'arte di età arcaica nei suoi aspetti più convenzionali, e la produzione di età tardoellenistica.
Le copie di famose sculture vengono utilizzate anche nel campo della ritrattistica. Infatti a corpi ideali vengono spesso associate teste-ritratto.
D'altra parte gli stessi tipi della figura togata e loricata che caratterizzano ritratti ufficiali dell'imperatore nella duplice accezione di princeps e imperator, presentano per lo più schemi derivati dall'arte classica o ellenistica, rivestiti degli attributi relativi alle funzioni imperiali.
Quando a ritratti dell'imperatore o di membri della casa imperiale vengono associati corpi di divinità di cui spesso si conservano gli attributi, il connubio diventa particolarmente significativo, in quanto si crea un indubbio legame concettuale tra il personaggio rappresentato e la divinità.
In alcuni ritratti adrianei e successivamente degli Antonini e di Settimio Severo l'esecuzione, pur adeguandosi ai prototipi ufficiali, mostra una tendenza ad armonizzare le proporzioni e i lineamenti in senso classicheggiante, semplificando inoltre la resa delle complesse pettinature.
Dal punto di vista stilistico, anche la ritrattistica risente delle correnti individuabili negli altri generi artistici: a un raffinato classicismo tendente a volte all'idealizzazione dei tratti fisionomici, tipico dell'età augustea e giulio-claudia, segue in età flavia un moderato inserimento di notazioni naturalistiche, peraltro frenato dall'esperienza classicistica della prima età imperiale. Con Adriano il classicismo è rivisitato mediante un'adesione a canoni stilistici propri della scultura classica del tardo IV sec., che si manifesta soprattutto nelle realizzazioni più tarde o postume.
Nei ritratti antonini il classicismo appare completamente soppiantato da caratteri derivati dalla scultura di ambiente asiatico, che perdurano almeno fino al regno di Caracalla, mentre nella prima metà del III sec. la produzione di ambito greco sembra risentire sempre più fortemente dell'influenza e dell'esperienza di ambienti diversi, fra i quali forse quello romano.
Quanto alle dediche imperiali, accanto alle statue singole, in età giulio-claudia si osserva, analogamente a quanto avviene in molte altre località dell'impero, il proliferare di gruppi di ritratti dei varî membri della famiglia imperiale (cui successivamente possono aggiungersi o sostituirsi ritratti di altri imperatori).
La scultura a rilievo si esplica in diversi tipi di produzione, dai rilievi decorativi con varie destinazioni, a quelli onorari e votivi, ai pochi esempi di rilievi storici o mitologici, alle stele funerarie, ai sarcofagi.
La produzione di rilievi decorativi sembra terminare con l'età antonina e l'interruzione è probabilmente da porsi in relazione con la grande fioritura dei sarcofagi che si presuppone vengano lavorati dalle officine già produttrici dei rilievi stessi.
I rilievi di tipo storico e mitologico, scarsamente attestati in Grecia in età imperiale, trovano due esempi caratteristici ad Atene nel rilievo traianeo con il trionfo di Filopappo, che ornava il suo monumento funerario, e in quelli adrianei con scene della vita di Dioniso riutilizzati nel pulpitum tardoantico del teatro alle pendici meridionali dell'Acropoli.
In età adrianea, e precisamente nel secondo quarto del II sec., si pongono i rilievi che decoravano con ogni probabilità i tre ordini sovrapposti della scaenae frons del teatro di Corinto, ristrutturato in quest'epoca: i tre cicli figurativi della gigantomachia, dell'amazzonomachia e delle fatiche di Eracle mostrano un eclettismo di iconografie e stili che spazia dal V sec. all'età ellenistica, con un particolare riferimento all'arte pergamena.
La produzione delle stele funerarie, ripresa nel corso del I sec. a.C., presenta opere di non alto livello qualitativo e sembra interrompersi nel 267.
Particolare importanza nell'ambito della scultura a rilievo rivestono i sarcofagi che hanno in Attica, e in particolare ad Atene, il centro principale di realizzazione: sembra doversi individuare una serie di officine, peraltro tutte strettamente connesse l'una all'altra, con una produzione uniforme dalla quale solo pochi esemplari si distaccano; a partire poi dal tardo II sec. la principale fra queste sembra assumere un monopolio che manterrà inalterato nel corso del secolo successivo. Sono attestate tuttavia, anche se in misura minore e poco nota, fabbriche anche in altre regioni della Grecia, come in Laconia (Sparta e territorio circostante, Gytheion), in Arcadia (Tegea) e in Beozia, ove accanto a esemplari attici importati si sono potute individuare imitazioni prodotte localmente. Le officine attiche dettano comunque canoni e schemi attraverso la creazione di opere di alto livello artigianale, destinate a una committenza raffinata e colta, sia locale sia esterna. A un grosso numero rinvenuto in territorio greco, con particolare concentrazione a Tebe, Corinto, Patrasso e Sparta, corrisponde una diffusione capillare in quasi tutte le regioni dell'impero, con particolare concentrazione in zone e località costiere, dato il trasporto dei pezzi per mare. La produzione comincia in età adrianea e termina con l'incursione degli Eruli.
Per quanto riguarda i temi figurativi, vi è una spiccata preferenza per le raffigurazioni mitologiche, cicli o singoli miti, con una predilezione per le scene relative ad Achille e un notevole interesse anche per i miti di Meleagro e Ippolito, per i conflitti tra Greci e Amazzoni, per i thìasoi dionisiaci popolati da eroti, mentre scene di vita quotidiana, per lo più di caccia, thìasoi marini e raffigurazioni delle Muse sono poco rappresentati, e mancano del tutto i sarcofagi con le Stagioni.
Le iconografie sono riprese, presumibilmente attraverso cartoni oltre che tramite l'osservazione diretta, per lo più da pitture, con una prevalenza delle composizioni attiche del V sec. (a partire dal secondo quarto), e da creazioni anche microasiatiche del III e II sec., soprattutto per ciò che riguarda le iconografie del thìasos dionisiaco, popolato anche da eroti, e delle gigantomachie.
Peculiare nell'ambito della produzione artistica della Grecia di età romana è la testimonianza offerta dai mosaici, quasi inesistente nel I sec. d.C., se non per pochi esemplari dubitativamente datati, ingente a partire dall'età traianeo-adrianea, particolarmente concentrata in periodo antonino-severiano e fiorente ancora nel III e IV secolo. Rinvenuti per lo più nell'ambito di complessi termali, di edificî per spettacolo e dell'edilizia privata, urbana ed extraurbana, i mosaici sembrano attestare dapprima una derivazione di schemi, motivi, figure dall'ambito occidentale, italico, con un'inserzione di elementi del repertorio decorativo asiatico, in particolare siriaco a partire dalla seconda metà del II sec.; solo dall'inizio del III è possibile rintracciare nelle composizioni una ripresa di forme e motivi di età ellenistica. La tradizione autoctona di età classica ed ellenistica non sembra dunque aver avuto seguito in età imperiale.
Particolarmente evidente è l'influenza italica nella produzione di mosaici a tessere bianche e nere soprattutto figurati, attestati nella prima metà del II sec. e oltre, accanto ai più numerosi esemplari bianchi e neri con motivi geometrico-ornamentali, la cui produzione ha inizio precedentemente.
Non sorprende la parca utilizzazione dell'opus sedile, sempre secondo canoni e modelli occidentali, in territorio greco in età romana: estraneo alla cultura artistica greca, in quanto nato probabilmente in ambito microasiatico in età tardoclassica-ellenistica, trova in territorio romano-italico, a partire dal II sec. a.C., uno sviluppo assolutamente autonomo e da qui si diffonde, in età imperiale, in altre regioni.
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Scultura a tutto tondo e a rilievo: A. Dähn, Zur Ikonographie und Bedeutung einiger Typen der römischen männlichen Porträtstatuen (diss.), Marburgo 1973; T. Stephanidou-Tiberiou, Νεοαττικα. Οι αναγλυφοι πίνακες απο το λιμάνι του Πειραια, Atene 1979; Ρ. Zanker, Zur Funktion und Bedeutung griechischer Skulptur in der Römerzeit, in Le classicisme à Rome aux Iers siècles avant et après J.-C., Ginevra 1979, p. 283 ss.; F. Braemer, Matériaux et thèmes de la sculpture et de la décoration en Achaie, en Macédoine et dans d'autres régions de l'Empire romain. Héritage classique, transformations, réactions, in Πρακτικα του H' διεθνούς συνεδρίου κλασικής αρχαιολογίας, Αθήνα 1983, I, Atene 1985, p. 57 ss.; Ε. Mathiopoulou-Tornaritou, Κλασικιστικες παραστασεις δυο τύπων Αθήνας σε ορθοκεραμους της εποχής των Φλαβιων, ibid., III, Atene 1988, p. 172 ss.; P. Karanastassis, Untersuchungen zur kaiserzeitlichen Plastik in Griechenland, I. Kopien, Varianten und Umbildungen nach Aphrodite- Typen des 5. Jhr. v. Chr., in AM, CI, 1986, p. 207 ss.; ead., Untersuchungen zur kaiserzeitliche Plastik in Griechenland II: Kopien, Varianten und Umbildungen nach Athena-Typen des Jhs. v. Chr., ibid., CII, 1987, p. 323 ss.; M. Sturgeon, Roman Sculptures from Corinth and Isthmia: a Case for a Local «Workshop», in S. Walker, A. Cameron (ed.), op. cit., p. 114 ss.; T. Stephanidou-Tiveriou, Der Medea-Mythos in einer klassizistischen Komposition, in AM, CVI, 1991, p. 281 ss.; A. Ajootian, Silenus at Sparta, in Sculpture from Arcadia and Laconia, Athens 1992, Oxford 1993, p. 251 ss.; G. Ghiorgos Stainchauer, Η εικονογραφία των Διοσκούρων στη ρωμαϊκή Σπάρτη, ibid., ρ. 225 ss.
Ritrattistica: Α. Stavridis, Untersuchungen zu den Kaiserporträts in Griechenland (Augustus bis Caracolla) (diss. Berlino 1970), s.l., s.d.; C. E. de Grazia, Excavations of the American School at Corinth. The Roman Portrait Sculpture (diss.), Ann Arbor 1974; R. Invernizzi, Alcuni ritratti di età antoniniana della Grecia, in ASAtene, XLI-XLII, 1979-1980 (1986), p. 343 ss.; P. Zanker, Provinzielle Kaiserporträts. Zur Rezeption der Selbstdarstellung des Princeps, in Abh- München, XC, 1983, p. 7 ss.; R. Bol, Das Statuenprogramm des Herodes-Atticus Nymphäums, Berlino 1984; Α. Datsoulis-Stavridis, Ρωμαικα πορτραίτα στο Εθνικό Αρχαιολογικο Μουσείο της Αθήνας, Atene 1985; ead., Römische Porträts aus dem Nationalmuseum in Athen, in RM, XCIII, 1986, p. 253 ss.; ead., Ρωμαικα πορτραίτα στο μουσείο της Σπάρτης, Atene 1987; Κ. Hitzl, Die kaiserzeitliche Statuenausstattung des Metroon, Berlino 1991; D. Kreikenbom, Griechische und römische Kolossalporträts bis zum späten ersten Jahrhundert n. Chr., Berlino 1992; C. de Grazia Vanderpool, A Roman Portrait in the Tripolis Museum: Trade and Taste in Second Century Arcadia, in Sculpture from Arcadia and Laconia..., cit., p. 129 ss.
Stele funerarie: Β. Papeytymiou, Επιτύμβιες στήλες των ελληνιστικών και ρωμαικων χρονών του Μουσείου Σπάρτης, ibid, ρ. 237 ss.
Sarcofagi: Α. Giuliano, Il commercio dei sarcofagi attici, Roma 1962; F. Matz, Die antiken Sarkophagreliefs, IV, ι, Berlino 1968, p. 83 ss.; A. Giuliano, B. Palma, La maniera ateniese di età romana. I maestri dei sarcofagi attici, Roma 1978; G. Koch, Η. Sichtermann, Römische Sarkophage, Monaco 1982, in part, p. 366 ss.; P. Linant de Bellefonds, Sarcophages attiques de la nécropole de Tyr. Une étude iconographique, Parigi 1985; M. Bonanno Aravantinou, Οι σαρκοφαγσι ρωμαϊκής εποχής της Βοιωτίας. Συνοπτική θεώρηση, in Επετηρις της Εταιρείας Βοιωτικων μελετών, I, 1988, I, ρ. 307 ss.; G. Koch, Zum Klassizismus auf attischen Sarkophagen des 2. und der 3 Jhs. n. Chr., in Πρακτικά του XII διεθνούς συνεδρίου..., cit., III, p. 155 ss.; H. R. Goette, Attische Klinen- Riefel-Sarkophage, in AM, CVI, 1991, p. 309 ss.; G. Koch, Σαρκοφαγοι της ρωμαϊκής αυτοκρατορικής εποχής στην Αρχαδια και Λακωνία, in Greek and Roman Sculpture from Arcadia and Laconia..., cit., p. 245 ss.; G. Koch (ed.), Grabeskunst der römischen Kaiserzeit, Magonza 1993.
Mosaici e opus sectile: M. Spiro, Criticai Corpus of the Mosaic Pavements on the Greek Mainland. Fourth-Sixth Centuries with Architectural Surveys, New York-Londra 1978; S. E. Waywell, Roman Mosaics in Greece, in AJA, LXXXIII, 1979, p. 293 ss.; Ph. Bruneau, Tendances de la mosäique en Grèce à l'époque impériale, in ANRW, II, 12, 2, 1981, p. 320 ss; C. Hellenkemper Salies, Römische Mosaiken in Griechenland, in BJb, CLXXXVI, 1986, p. 241 ss.
(P. Baldassarri)
CRETA et CYRENAICA. - Le due regioni furono riunite in un'unica provincia (v. vol. II, p. 227), pur essendo entrate a far parte dello stato romano in circostanze diverse: l'isola fu annessa dopo la campagna di C. Metello Crético e dopo la vittoria di Pompeo sui pirati; Cirene e il suo regno erano stati lasciati in eredità a Roma, nel 96 a.C., dall'ultimo sovrano, Tolemeo Apione.
Creta. - Il volume pubblicato dal Sanders nel 1982 (Roman Crete) rappresenta un serio e critico compendio dei dati archeologici e documentali riguardanti Creta romana e protobizantina. Si tratta di fasi culturali che sono state trascurate fino a pochi decenni fa e che, sia per il rapido espandersi dell'economia e la conseguente urbanizzazione che ha portato a numerosissime scoperte fortuite, sia per una più diffusa sensibilità storicistica degli archeologi attivi nell'isola, sono venute alla ribalta con vigore quasi pari a quello della splendida e onnipresente civiltà minoico-micenea.
Fermandoci alle novità più significative, va detto che l'isola è divenuta oggetto di numerose e accurate indagini geotettoniche e che alcuni dati geomorfologici hanno portato a novità interessanti fortemente la storia antropica della Creta romano-bizantina. Oggi sappiamo con ragionevole certezza che 1530 ±40 anni fa (vale a dire fra la metà del IV e la fine del VI sec. d.C., secondo le varie tavole di conversione fra le date before present e quelle calendariali) la metà occidentale dell'isola subì un improvviso e fortissimo rialzamento della costa, fino a c.a 8-10 m, mentre un fenomeno limitato di abbassamento si produceva nella parte centro-orientale.
Questo sommovimento, che pare abbia interessato località entro un'area di 1200 km, è stato attribuito (Pirazzoli, 1982, 1986) a uno o più parossismi tettonici di grande intensità, lontani fra loro anni o anche decenni, i quali non poterono non lasciare tracce nella vita delle città cretesi. In realtà, dal ben noto sisma del 365 alla metà del VI sec., numerosi gravi terremoti sono ricordati dalle fonti: di questi, quello del 448 e almeno uno dei tre segnalati alla metà del VI sec. (anni 543, 551, 553) hanno trovato riscontro archeologico nei recenti scavi condotti dalla Scuola Archeologica Italiana di Atene a Gortina (v.). Questi scavi hanno evidenziato altre due gravissime distruzioni per sisma nel VII sec., intorno al 618 e al 670; tutti e due i terremoti ebbero certamente effetti gravi sulla vita dell'isola la quale, fino alla caduta dell'Africa bizantina nelle mani degli Arabi, occupò un ruolo di primo piano come punto d'incontro delle vie marittime che univano le provincie dell'impero a Costantinopoli.
Che l'età romana abbia rappresentato un periodo di grande prosperità per Creta, era un luogo comune (v. p.es. Faure, 1959), ma ora, sulla base delle più recenti scoperte, di una certa prosperità per l'isola si può parlare fino all'età di Eraclio. Ne fanno fede, fra l'altro, i numerosissimi edifici ecclesiastici eretti fra il V e il VII sec. (almeno duecento: Borboudakis, 1983) e il ruolo commerciale che Gortina ebbe fino al suo smembrarsi come città organizzata dopo il sisma del 670 circa.
A tale riguardo, di particolare importanza appaiono sia la pubblicazione degli scavi condotti dalla British School di Atene nell'area di Cnosso romana - fase tarda del Santuario di Demetra (Coldstream, 1973), ricchissima tomba a camera della seconda metà del I sec. d.C. a Monestariaki Kephala (Carington Smith, 1982), casa presso la Royal Road, Unexplored Mansion, Villa Dionysos, Venezeleion, ecc. - sia lo studio della ceramica sigillata romana, e in particolare tardoromana, proveniente dagli scavi di Gortina. L'edizione sistematica della ceramica di II e III sec. proveniente dalla Villa Dionysos (Hayes, 1983) ha fornito un quadro esauriente delle produzioni locali dell'epoca e degli intensi rapporti mercantili che, fra il 150 e il 250, Creta intrattenne tanto con la vicina costa dell'Asia Minore quanto con il lontano Occidente (numerose anfore dall'Italia settentrionale, dalla Gallia, dalla Spagna, dall'Africa settentrionale). I rapporti continuarono a lungo, come testimonia l'esame delle importazioni di ceramica fine da mensa nell'isola fra il IV e il VII sec. condotto da A. C. Dello Preite (1984) partendo dai nuovi scavi di Gortina. L'importazione di ceramica africana C e D, preminente nel IV sec., viene molto ridimensionata dalla emergente Late Roman C nel V, mentre nel VI e nel VII la riconquista bizantina dell'Africa fa sì che si abbia un nuovo flusso di produzione africana a Gortina e nell'isola, pur restando predominante la Late Roman C, mentre diviene significativa la presenza di ceramica cipriota.
Quanto alla produzione locale, particolarmente importante è stata l'individuazione, grazie a un'indagine sistematica condotta a partire dalla Creta occidentale (Markoulaki e altri, 1989), di parecchi forni che producevano anfore vinarie, le quali attestano che, fra il I e il III sec. d.C., vini cretesi venivano esportati, oltre che in Grecia, in Italia centrale, ad Alessandria, in Cirenaica e in Tripolitania, mentre l'anfora vinaria «4» (sono stati individuati 15 tipi di anfore cretesi) è stata rinvenuta - oltre che in Grecia, in Italia e in Africa settentrionale - anche a Cipro, e risulta abbia avuto larga diffusione in Francia e abbia raggiunto Vindonissa.
Gli ateliers individuati - 13 finora, di cui solo due precedenti alla conquista romana - sono tutti ubicati non lontano dalle coste dell'isola, in piena campagna e vicino a importanti ville, le quali erano verosimilmente al centro di domini la cui produzione principale era il vino.
Negli ultimi decenni numerose sono state le segnalazioni e le scoperte di resti monumentali riguardanti l'età imperiale romana e quella protobizantina. Dati importanti sono emersi soprattutto dalle intense ricerche topografiche sul terreno condotte nei centri della Creta occidentale, a partire da quelle di P. Faure (1959, 1962, 1963, 1965) e di S. Hood (1964, 1967) fino alle indagini più recenti della Gondicas (1988), e dall'importante tesi di dottorato di D. Vivier (1991) che, pur trattando di diverso momento cronologico (VI-V sec. a.C.), fornisce dati utili sulle città cretesi ancora vive in età romana. Anche più numerosi sono i dati provenienti dalle scoperte casuali e dagli scavi sistematici condotti in centri come Gortina, Lyttos (Rethemiotakis, 1984), Hierapytna, Matala, Eleutherna (v.), nonché a Cnosso (v.), che sembra aver perso la sua plurimillenaria importanza a partire dal V sec. d.C.
Molte, infine, sono le sculture recuperate, specie da Gortina, le cui statue sono state oggetto di studi rinnovati (Invernizzi, 1979-80; Ghedini, 1985), ma anche da Chersonisos (Alexiou, 1967), da Cnosso (ritratto di Druso Minore: Fittschen, 1977), dal teatro dell'antica Hierapytna (Apostolakou, 1980), da Chanià (da ultimo un interessante ritratto di donna di età traianea: in BCH, CXIV, 1990, Chronique, p. 834, fig. 216). Anche nella produzione scultorea, sia architettonica che figurativa, Creta appare legata da un lato ad Atene e dall'altro, e sempre di più con l'avanzare dell'impero, al mondo romano d'Asia Minore. Il II sec. e la prima metà del III rappresentano il periodo della massima fioritura delle città cretesi, sia per l'impegno edilizio profuso, sia per l'ornamento scultoreo dei varî edifici pubblici realizzati.
Solo in età cristiana, fra la fine del IV e il VI-VII sec., si avrà un rinnovato fervore edilizio, indirizzato quasi esclusivamente alla produzione di edifici di culto ove celebrare la nuova religione ufficiale dell'impero. Con la costruzione di piccole e grandi basiliche si ha il fiorire di interessanti (anche se generalmente semplici) mosaici pavimentali, che attendono di essere ancora studiati nel loro insieme.
Di pari passo con la ricerca archeologica sono progrediti gli studi numismatici, epigrafici e di prosopografia (fra i tanti, Baldwin, 1989), il cui supporto rende oggi possibile delineare un più articolato e valido quadro della Creta romana e protobizantina.
Bibl.: In generale: I. F. Sanders, Roman Crete, Warminster 1982 (con ampia bibl.); K. Gallas, K. Wesser, M. Borboudaki, Byzantinisches Kreta, Monaco 1983; D. Tsoungaraki, Ρωμαικη Κρητη e Βυζαντινη Κρητη, in Ν. M. Panaghiotakis (ed.), Κρητη. Ιστορια και πολιτισμος, I, Iraklion 1987, pp. 285-404 (divulgativo, ma generalmente corretto); A. Di Vita (ed.), Gortina I (Monografie della Scuola Archeologica di Atene e delle Missioni italiane in Oriente, 3), Roma 1988; M. Baldwin, Fasti Cretae et Cyrenarum: Imperial Magistrates of Crete and Cyrenaica during the Julio-Claudian Period (diss., Univ. Michigan 1983), Ann Arbor 1989. - Cfr. anche la guida turistica di G. Spanakis, Κρητη, A'-B', Iraklion s.d. (ultime riedizioni negli anni '80).
Geomorfologia: Y. e J. Thommeret e altri, Late Holocene Shoreline Changes and Seismotectonic Displacements in Western Crete (Greece) (Zeitschrift für Geomorphologie, n.s., Suppl. XL), Berlino-Stoccarda 1981, pp. 127-149; P. A. Pirazzoli e altri, Crustal Block Movements from Holocene Shorelines: Crete and Antikythira (Greece), in Tectonophysics, XXXVI, 1982, pp. 27-43; Ρ. A. Pirazzoli, The Early Byzantine Tectonic Paroxysm (Zeitschrift für Geomorphologie, Suppl. LXII), Berlino-Stoccarda 1986, pp. 31-49.
Ricerche topografiche. - Città (si dà la bibl. prec. al 1982 solo quando citata nel testo): P. Faure, La Crète aux cent villes, in KretChron, XIII, 1959, pp. 171-217; id., Cavernes et sites aux deux extrémités de la Crète, in BCH, LXXXVI, 1962, pp. 36-56; id., Nouvelles localisations de villes crétoises, in KretChron, XVII, 1963, pp. 16-26; M. S. Hood, P. Warren, P. Cadogan, Travels in Crete 1962, in BSA, LIX, 1964, p. 50 ss.; P. Faure, Sept nouvelles villes de la Crète antique, in KretChron, XIX, 1965, p. 222 ss.; M. S. Hood, Some Ancient Sites in SW Crete, in BSA, LXII, 1967, pp. 47-56; J. N. Coldstream, Knossos: The Sanctuary of Demeter (BSA, Suppl. 8), Londra 1973, in part, p. 186; J. Carington Smith, A Roman Chamber-Tomb on Monasteriaki Kephala, in BSA, LXXVII, 1982, pp. 254-292; F. Rethemiotakis, Ανασκαφικη ερευνα στη Λυττο, in Λυκτος, I, 1984, pp. 49-65; M. Pologhiorghi, Κισαμος. H τοπογραφια μιας αρχαιας πολης της Δυτικης Κρητης, in AAA, XVIII, 1985, pp. 65-80; D. Gondicas, Recherches sur la Crète occidentale, Amsterdam 1988; D. Viviers, Les cités crétoises aux Vie et Ve siècles avant notre ère (diss., Univ. Libre Bruxelles), Bruxelles 1990-1991.
Peschiere romane rinvenute a Chersonisos, Mochlos, Sitia e Falasarna: M. S. Hood, J. Leatham, Sub-Marine Exploration in Crete 1955, in BSA, LIII- LIV, 1958-1959, pp. 263-280; D. Gondicas, op. cit., in part. p. 96.
Forni - Ceramica: J. W. Hayes, The Villa Dionysos Excavations-Knossos. The Pottery, in BSA, LXXVIII, 1983, pp. 97-169; A. C. Dello Preite, Le importazioni di ceramica fine a Gortina e a Creta tra il IV e il VII sec. d.C., in ASAtene, LXII, 1984 (1988), pp. 177-198; S. Markoulaki, J.-Y. Empereur, A. Marangou, Centres de fabrication d'amphores de Crète Occidentale, in BCH, CXIII, 1989, pp. 551-580.
Scultura: S. Alexiou, in ADelt, XXII, 1967, B'2, Chron., p. 487, tav. CCCLXIa; E. Raftopoulou, Un portrait romain au Musée de Chania, in BCH, XCII, 1968, pp. 1-20, tavv. I-V; G. Waywell, A Portrait Bust from Knossos, in BSA, LXVIII, 1963, p. 295 s., tav. LVI; L. Beschi, Un supplemento «cretese» ai ritratti funerari romani della Cirenaica, in QuadALibia, VIII, 1976, pp. 385-397; H. W. Catling, G. B. Waywell, A Find of Roman Marble Statuettes at Knossos, in BSA, LXXII, 1977, pp. 85-106; K. Fittschen, Katalog der antiken Skulpturen in Schlofi Erbach, Berlino 1977, p. 47; L. Beschi, Adriano e Creta, in Antichità Cretesi. Studi in onore dì Doro Levi, II, Catania 1978, pp. 219-226; L. Guerrini, Copie romane del tipo «Aspasia-Sosandra» da Creta, ibid., pp. 227-234; R. Invernizzi, Alcuni ritratti di età antoniniana dalla Grecia, in ASAtene, LVII-LVIII, 1979- 1980 (1986), pp. 343-360; S. Apostolakou, Η Κορη της Ιεραπετρας, in ADelt, XXXV, 1980 (1986), A', Mel., pp. 31-36, tavv. II-V; A. Datsoulis-Stavridis, Τα Ρωμαικα πορτραίτα του Μουσείου Ηράκλειου, in Πεπραγμενα του Δ Διεθνούς Κρητολογικου Συνεδρίου, Ηράκλειο 1976, Α'2, Atene 1981, pp. 577-599, tavv. CLXXXIX-CCI; ead., Προτομες του αυτοκρατορα Τιβεριου στο Αρχαιολογικο Μουσειο Χανιων, in Πεπραγμενα του Ε Διεθνους Κρητολογικου Συνεδριου, Αγιος Νικολαος 1981, A', Iraklion 1985, pp. 350-354 (ηH); L. Beschi, La Nike di Hierapythna, opera di Damokrates di Itanos, in RendLinc, s. VIII, XL, 1985, pp. 131-143; F. Ghedini, Sculture dal Ninfeo e dal Pretorio di Gortina, in ASAtene, LXIII, 1985 (1989), pp. 63-248; A. Stavridis, Römische Porträts in Archäologischen Museum von Chania, in Boreas, VIII, 1985, pp. 105-110, tavv. IX-XIX; id., Γυναικειο Πορτραιτο της εποχης των Σεβηρων στο Αρχαιολογικο Μουσειο Ρεθυμνου, in KretChron, 1987, p. 228, tavv. B'-Z'.
V. inoltre: S. Alexiou, A New Museum in Western Crete, in Archaeology, XV, 1962, p. 249 ss.; L. H. Sackett, J. E. Jones, Knossos. A Roman House Revisited, ibid., XXXII, 1979, 2, pp. 18-27.
Da consultare infine i notiziari di ADelt (sculture, p. es.: XVIII, 1963, B'I, Chron., tav. 364γ; XXI, 1966, B'I, Chron., tav. 433; XXII, 1967, B'I, Chron.,tavv. 3708-γ, 373; XXIII, 1968, B'I, Chron., tav. 362γ, 3646; XXVI, 1971, Β'2, Chron., tav. 517; XXVIII, 1973, B'2, Chron., tav. 240; XXX, 1975, B'2, Chron., tav. 2528; XXXII, 1977, B'2, Chron., tav. 189), di ARepLondon e di BCH.
(A. Di Vita)
Cyrenaica. - L'intensa attività archeologica che si è sviluppata in questi ultimi anni ha permesso di acquisire conoscenze di notevole rilievo non solo in relazione ai grandi centri come Apollonia, Cirene, Euesperides- Berenice, Hadrianopolis, Tolemaide e Tocra (v. le rispettive voci), ma anche in relazione alla conoscenza del territorio.
La rete viaria che lo attraversava è stata riconosciuta nei suoi elementi fondamentali, in base agli itinerari romani, al rinvenimento di cippî miliari e ad altre testimonianze archeologiche. Essa aveva due assi portanti. Uno correva prevalentemente parallelo alla costa, ma in alcuni tratti la abbandonava, piegando verso la regione più interna, per evitare le propaggini insormontabili del Ğebel, che in taluni settori si attestano sulla linea di costa; il secondo si sviluppava nella fascia più interna, sul gradino intermedio dal massiccio montuoso. I collegamenti fra la costa e l'altopiano erano garantiti da vie che risalivano il fondo degli wādī, come nel caso della strada che metteva in relazione Cirene con il suo porto. La via era stata tracciata, naturalmente, in età greca, ma poi, «tumulto Iudaico eversa et corrupta» (SEG, IX, 252), era stata sostituita da un nuovo percorso, il cui tracciato meno rettilineo e agevole era giustificato da interventi di regolarizzazione meno impegnativi. Accanto a questi assi fondamentali era attiva anche una rete itineraria minore, di cui si vanno pian piano riconoscendo tratti assicurati dalla presenza di muri di terrazzamento, dalla regolarizzazione del piano roccioso e dalle tracce lasciate dai carri.
Tutto il territorio appare, così, sottoposto a un processo di organizzazione e di ottimale sfruttamento rurale. La zona costiera, protetta dai venti secchi del Sud dal rilievo del Ğebel, consente la coltura della vite e degli alberi da frutto; nell'altopiano trovano applicazione la cerealicoltura e l'allevamento. Il silfio supera i confini del I sec. d.C. fissati da Plinio, Strabone e Solino: esso in realtà ha continuato a esistere almeno fino al V sec. d.C. e ha potuto farlo anche al di fuori del suo habitat specifico, che era quello della steppa. Lo attestano alcune fonti letterarie del I e II sec. d.C., di carattere medico; più tardi, le lettere di Sinesio e l'editto di Diocleziano che fissa, tra l'altro, il prezzo del silfio cirenaico. Le recenti indagini di carattere botanico, che hanno permesso di riconoscere la prestigiosa pianta, confermano quanto attestato dalle fonti antiche.
L'aereofotografia, il rinvenimento di cippi e il riconoscimento di tratti della rete stradale hanno permesso di individuare le tracce della centuriazione e soprattutto dei famosi agri regii, di quei possedimenti cioè che costituivano il patrimonio reale dei Tolemei e che erano stati ereditati dai Romani. La difesa di questi terreni contro le violazioni dei privati è documentata ora da numerosi cippi di confine eretti dai commissarî inviati da Claudio; essi continuarono la loro attività durante il regno di Nerone, e da Vespasiano. I testi epigrafici, che ribadiscono il possesso romano delle proprietà pubbliche, sono stati redatti sia in lingua greca che in lingua latina (esemplari di Bay Tamer, di Ra's el-Ašlab).
La dimostrazione di un organico e razionale sfruttamento delle potenzialità del territorio è stata ribadita dallo studio di alcuni wādī, in modo particolare dello wādī Senab. Nei bordi dell'altopiano, aridi ed esposti ai venti, venivano praticati soltanto l'allevamento del bestiame e la cerealicoltura; nei fondi delle vallate, che trattenevano terreno fertile e umidità, era attuata anche la piccola coltura irrigua. Per sfruttare al massimo queste potenzialità sono stati eseguiti lavori idraulici, scavate cisterne e depositi per acqua, eretti muri di terrazzamento che sbarravano il corso degli wādī, consentendo l'accumulo di terreno fertile e il recupero dell'acqua piovana.
Sistemazioni agrarie mediante terrazzamenti sono state attuate, oltre che a wādī Senab, nello wādī che scende verso Tolemaide, nello wādī bu Nabeh, nei dintorni di Mqernes, nella fascia costiera fra Hanlya e la foce dello wādī Gargarümma, a Beni Ğdem, a Sariz.
Nelle pareti rocciose delle vallate possono essere ricavate, come nello wādī Senab, le abitazioni trogloditiche del villaggio, munite, a volte, di un umile avancorpo in muratura, e gli impianti per la lavorazione dei prodotti agricoli, le presse e i frantoi.
Nel caso di wādī Senab va registrata anche la presenza di una modesta terma, ricavata in parte nella roccia e completata con opere murarie. Altri insediamenti trogloditici sono documentati a Slonta, Beni Ğdem, Qaṣr Elbia, Šariz.
Fattorie e piccoli villaggi (dei maggiori di essi si proporrà più avanti una breve descrizione) sono disseminati nella fascia costiera e nell'altopiano: la loro densità è, naturalmente, in relazione con le possibilità di sfruttamento del suolo. Gli edifici pubblici sono limitati alle basiliche e a modesti complessi termali, come quelli rinvenuti a Qaṣr Mismar, a Qaṣr Khurayba, a Siret cAyn Relies, che si configurano nell'aspetto di bagni «turchi», piuttosto che in quello di terme canoniche. Una costruzione più impegnativa - probabilmente di carattere sacro - è stata riconosciuta in un villaggio rinvenuto a una quindicina di chilometri a E di Apollonia, in località Ra's el- Ašlab. L'insediamento, di notevoli dimensioni, è in relazione con una fertile area agricola, sistemata anche a gradoni mediante terrazzamenti. La condizione giuridica del territorio è dichiarata da un cippo di restituzione agraria databile al 74 d.C. La costruzione, alla quale si è accennato, è costituita da un edificio circolare con colonne doriche: l'ingresso è preceduto da un altare, anch'esso circolare, ed è sormontato da un timpano. Una dedica, cristiana, testimonia la continuità di vita dell'insediamento fino all'inoltrata età tardo romana.
Le fattorie disseminate nella chòra sono di difficile datazione, in assenza di saggi stratigrafici, in quanto non si adeguano all'architettura urbana. In certi casi sono fortificate e si dispongono in punti di particolare importanza strategica. Edificate sull'alto di colline, circondate da fossati scavati nella roccia e rinforzate alla base da imponenti muri e scarpate, presentano al loro interno impianti per la lavorazione e per la conservazione dei prodotti agricoli; intorno possono esservi poveri tuguri o case trogloditiche scavate nel fianco della collina. Una di queste fattorie è stata di recente studiata e restaurata a opera del Dipartimento delle Antichità della Libia e della Missione Archeologica Italiana a Cirene, in località Siret el-Ğamal, alla periferia di Baydha. Essa è costituita da due complessi. Quello occidentale rappresenta la residenza padronale, circondala da un fossato scavato nella roccia e dotata di frantoi, stalle per il bestiame e recinti per il gregge; quello orientale ospita una piccola basilica ed è attorniato da modestissime abitazioni. La fattoria è sorta gradualmente tra la seconda metà del V sec. d.C. e gli inizî del VI, ed è stata utilizzata almeno fino all'arrivo degli Arabi.
Questa fascia dell'altopiano cirenaico, che si dispone alle spalle dei grandi centri ellenici, era abitata da una popolazione mista, alla cui formazione concorreva anche l'elemento libio. Fra alcune tribù indigene (p.es. quella degli Asbisti e dei Bacali), che vivevano in un sistema agropastorale, e i nuovi coloni si erano infatti stabilite relazioni di buon vicinato che garantivano, attraverso una cooperazione di tipo economico, reciproci vantaggi. Queste relazioni sono documentate dai matrimoni misti, ricordati da Pindaro e da Callimaco e previsti dal diagramma, che concedeva la cittadinanza cirenea ai figli nati da padre cireneo e da madre libia, e potevano registrarsi, addirittura, nel settore militare, con l'arruolamento di elementi indigeni nell'esercito tolemaico. Le popolazioni libie che vivevano a contatto con i Greci subirono in tal modo un forte processo di acculturazione che le condusse ad accogliere divinità, modelli di vita, costumi funerari propri della cultura greco-romana. Nei centri dell'altopiano troviamo, come nel caso di Qūbba, una discreta percentuale di antroponimi libî, nonché ritratti funerari che tramandano immagini di personaggi dalle caratteristiche fisionomiche indigene. Questa cultura mista nel caso, p.es., di Lamluda - sempre sull'altopiano - è documentata da una produzione scultorea che, accanto a esemplari allineati con quelli urbani, ne produce altri che mettono in evidenza processi di schematizzazione o deformazioni espressive che si concludono in un dissolvimento formale. Un rinvenimento effettuato di recente a Marṭūba - località situata nel golfo di Bomba - è particolarmente indicativo. Esso consiste in una serie di riproduzioni scultoree in calcare di immagini di divinità: alcune di esse sono derivate da modelli religiosi «stranieri» (una statua di Priapo e due di Iside); ma vi sono anche rappresentazioni (statue di due arieti e un busto con due serpenti) che documentano la tenace sopravvivenza delle antiche credenze totemiche libie. Tutte le sculture sembrano, comunque, potersi ricondurre a culti della fertilità e della fecondità cui erano dedite le popolazioni indigene. E questa un'impressione che si ricava anche dagli unici due santuarî ai quali con certezza possa attribuirsi una matrice libia: quello degli Aratri a Hagfa el-Khasaliya e soprattutto quello dei Cinghiali a Slonta. Quest'ultimo è costituito da una piccola grotta naturale preceduta, in un periodo successivo alla primitiva utilizzazione, da una grande stanza ricavata in massima parte nella roccia. Le pareti di entrambi gli ambienti risultano ricoperte da rilievi: nella grotta originaria è una serie di teste umane con i tratti essenziali del volto pesantemente marginati; nell'ipogeo artificiale sono figure animali (fra esse occupa un posto di rilievo quella di un enorme serpente) e umane, con il capo di dimensioni esageratamente grandi rispetto al corpo. In questo secondo ambiente, in posizione centrale, si conserva inoltre la parte inferiore di una colonna risparmiata nella roccia. A destra dell'ingresso è lavorata nella roccia stessa un'ara: il corpo è decorato da figure racchiuse tra due modanature a ovuli e astragali, sul piano superiore sono quattro cinghiali. L'apprestamento sacrificale dichiara la funzione del monumento e ne suggerisce le forme di culto, tese ancora una volta a invocare protezione per la caccia o una più generica fertilità e fecondità dei campi e delle greggi. I gesti, le iconografie possono rivelare tangenze con il repertorio greco-romano; certi elementi architettonici (la base della colonna, le modanature dell'altare) presuppongono certamente la conoscenza di modelli greco-romani. Il linguaggio formale si differenzia, invece, da quello greco-romano. La tecnica risulta elementare e denota i suoi limiti nella mancanza di proporzioni e di organicità delle membra; lo stile tradisce una propensione per il linearismo e la semplificazione; la concezione figurativa predilige una rappresentazione per elementi fondamentali, fino a proporre alterazioni della struttura reale per accentrare maggiormente l'attenzione sugli elementi più significativi della raffigurazione a rilievo.
Con altre tribù libie i rapporti furono, invece, particolarmente difficili e ostili, e per contrastare le incursioni di questi nomadi in età romana vennero costruiti alcuni forti, soprattutto nel settore SO, da dove provenivano gli attacchi. Testi relativi a militari sono stati infatti rinvenuti ad Agedabia (antica Corniclanum), eš-Šlaydīma e Zawiyet Msus.
Fra i centri di secondaria importanza meritano una breve descrizione gli studî e le scoperte relative a Balagrae, a Barce, a Qabū Yunes, a Kainopolis, a Limnias e a Mqernes.
A Balagrae, la moderna Baydha, è soprattutto degno di nota il Santuario di Asclepio che risale al IV sec. a.C., ma che nella sua struttura attuale è in gran parte attribuibile al II sec. d.C. Il nucleo principale è costituito da un quadriportico, provvisto a E di un propileo che si apre sulla strada. Al di là di questa si trova un piccolo teatro, che poteva essere utilizzato per rappresentazioni di carattere cultuale. Alcuni capitelli del quadriportico sono decorati con riproduzioni di piante di silfio a rilievo. Nello spazio centrale sono situati il Tempio di Asclepio e due altri templi minori; sotto il lato occidentale si apre un sotterraneo scavato nella roccia, che potrebbe aver avuto la funzione di incubatorio. Due iscrizioni rinvenute negli anni recenti hanno particolari caratteri di novità. Una, quella del procuratore equestre Lucullo, contiene la prima attestazione locale del toponimo Balagrae; l'altra, quella di Elia Palatina e Giulio Democrito, ricorda una visita al santuario pro salute iulior(um) saturnini et catullini filior(um) suorum. Il rinvenimento di statue di fanciulli con in mano animali, piccioni o tortore, sembra confermare il dato dell'epigrafe, ribadendo la buona reputazione che il santuario aveva per le cure dei bambini.
Barce, l'attuale el-Merğ, era stata fondata dopo il 570 a.C., come sub-colonia di Cirene. Nei dintorni della città si conosceva da tempo la maestosa tomba «di Menecrate», un monumento funerario rupestre a due piani; in anni più recenti nella chòra, ad Aslaia, era stata ritrovata una tomba della fine del V sec. a.C., che aveva restituito, fra l'altro, un'anfora panatenaica, uno striglie bronzeo, una corona argentata. All'esistenza di edifici paleocristiani rinviava, infine, il rinvenimento di lastre di transenna marmoree. Gli scavi di una missione archeologica inglese, che ha iniziato la sua attività nel 1989 portando alla luce le stratigrafia completa del sito, hanno permesso di riconoscere una continuità di occupazione che dal periodo greco va fino all'età moderna.
Qabū Yunes si trova a pochi chilometri a E di Cirene. Il nome antico del villaggio non è conosciuto; quello moderno deriva dalle volte (qabū) degli ambienti termali, che ancora si conservano parzialmente in piedi. Le terme, come gli altri edificî dell'insediamento, sono inquadrabili nel V sec. d.C. Un arco quadrifronte e una basilica, circondata da un largo fossato e strutturata con tre absidi e cinque navate, confermano l'importanza di questo centro agricolo.
Kainopolis è stata individuata pochi anni fa nella località di Ma'aten al-cAqla, a O di Ḥaniya. L'insediamento comporta una zona portuale e un abitato sulla collina.
Il porto era protetto da tre isolotti ed era diviso in due bacini da una gettata, ora sommersa, che collegava l'isolotto centrale alla costa. Nella zona sono conservati anche i resti di magazzini e di una basilica cristiana. L'approvvigionamento idrico era assicurato da una sorgente che sgorga ai piedi della collina e da una cisterna scavata al centro del pianoro. Gli wādī che lo costeggiano sono stati sbarrati con terrazzamenti per facilitarne lo sfruttamento agricolo. La parte alta dell'insediamento è racchiusa da una cinta e ha in un complesso ecclesiale il monumento più cospicuo. Una cava, aperta al limite meridionale, ha fornito il materiale da costruzione. Alcuni elementi architettonici e le vicine tombe rupestri si debbono attribuire all'epoca ellenistica e la presenza greca risulta confermata dai frammenti ceramici trovati nell'acropoli, che appartengono alla produzione attica a vernice nera del IV sec. a.C.
A Limnias (oggi Lamlūda) si conservano tracce cospicue di un villaggio. Le abitazioni rivelano un carattere agricolo, con la presenza di impianti quali le presse e i frantoi e l'assenza di ambienti di rappresentanza; gli edifici pubblici sono limitati alle terme e a due basiliche, di cui una sorge fuori dell'area urbana, in zona di necropoli. La sua navata meridionale si trova in corrispondenza di una tomba a camera, certamente di un martire, accessibile mediante un'ampia scalinata.
A Mqernes - una località a E di Cirene - un'iscrizione ricorda alcuni magistrati del villaggio, di cui non è però determinabile il nome antico. L'epigrafe menziona anche un sacerdozio di Dioniso. La documentazione archeologica consiste in una tomba circolare, probabilmente del IV sec. a.C., e in una serie di edifici di età tardo-romana. Fra case di dimensioni modeste si distingue un'abitazione a due piani, con ingresso provvisto di un largo portale ad arco e un atrio che immette in un ampio cortile. Il carattere rurale è testimoniato dalla presenza di apprestamenti agricoli, quali una stalla e un frantoio. Nel villaggio si conservano anche i resti di due basiliche cristiane e di una terma con gli ambienti coperti a botte e a cupola.
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(L. Bacchielli)
CYPRUS (v. vol. II, p. 594, s.v. Cipro per quanto riguarda il periodo in cui fu provincia insieme con la parte orientale della Cilicia). - Governata alla fine dell'età ellenistica da un fratello del re d'Egitto Tolemeo Aulete, nel 58 a.C. fu annessa a Roma con una legge promossa dal tribuno Publio Clodio. Aggregata inizialmente alla Cilicia, restituita a Cleopatra (cioè all'Egitto) prima da Cesare e poi da Antonio, tornò sotto il controllo romano (e fu unita di nuovo alla Cilicia) dopo la battaglia di Azio vinta da Ottaviano. Nel 22 a.C. divenne provincia a sé: provincia senatoria, governata da un proconsole di rango pretorio, residente a Paphos. Plinio (Nat. hist., V, 35, 130) ricorda un koinòn costituito dai rappresentanti di quindici comuni; in età imperiale, l'isola viene ricordata per una rivolta ebraica scoppiata, come in Cirenaica, verso la fine del principato traianeo, nonché per un'insurrezione al tempo di Costantino guidata dal magister camelorum Calocero.
Per i principali ritrovamenti di età romana nell'isola v. amatunte, cifro, paphos, con relative bibliografie.
(Red.)
PROVINCIE D'ASIA MINORE. - La grande penisola anatolica, che era detta dagli antichi Asia Minore e che oggi costituisce in linea di massima, insieme con Istanbul e con l'area circostante, il territorio della Repubblica Turca, fu interamente inserita nell'impero romano. Era divisa in sei provincie, alcune acquisite già in età repubblicana, altre aggiunte da Augusto e dai suoi successori: la situazione è resa molto complessa dalle disparate vicende che portarono a tali annessioni, nonché dalle intricate modifiche dei confini che si registrarono in varie occasioni nel corso dell'età imperiale. Le sei provincie erano: Asia (v. vol. I, p. 714), Bithynia et Pontus (v. vol. II, p. 107), Galatia (v. vol. III, p. 756), Cappadocia (v. vol. II, p. 330), Lycia et Pamphylia (v. vol. IV, p. 742), Cilicia (v. vol. II, p. 594).
Asia. - Le regioni storiche di Misia, Lidia, Caria, Frigia e le antiche città della Ionia, nominalmente libere, che il governo romano aveva ereditato nel 133 a.C. dall'ultimo degli Attalidi, furono trasformate in provincia nel 127 a.C. con il nome di Provincia Asia. Il primo secolo della dominazione romana non fu uno dei più felici; ma le città, pur finanziariamente dissestate, conservavano una vita di stampo ellenico, parzialmente autonoma, con propri santuarî e federazioni alle quali si sovrapponeva il nuovo ordinamento. La provincia fu coinvolta nelle guerre civili (la maggiore delle città della Caria, Mylasa, fu distrutta nel 40 a.C. da Labieno; Laodicea fu assediata e molte altre dovettero pagare pesanti tributi). Almeno a partire dalla fine delle guerre mitridatiche (66 a.C.), l'amministrazione della giustizia venne affidata a 12 conventus, i cui centri avevano il rango di altrettanti sottocapoluoghi provinciali: Adramitto nella parte più settentrionale, Pergamo, Smirne, Efeso e Mileto presso o sulla costa; Sardi, capitale storica della Lidia, nella valle dell'Ermo; Tralles, in quella del Meandro; Mylasa e Alabanda in Caria; Cibira, Sinnada, Apamea e Filomelio nelle regioni più interne della Frigia. Lo sforzo di adattare i propri ordinamenti alla nuova situazione politica può essere colto nella carriera di alcune personalità locali, come Diodoro Pasparos, il cui heròon, recentemente scoperto a Pergamo, è anche indicativo dell'eclettismo con cui venivano riutilizzati motivi architettonici tradizionali.
Efeso, sede del governatore, si afferma come porto principale, mostrando nel monumento a Memmio, d'impronta romana, e nel tempio antoniano a Dioniso, con le statue frontonali poi reimpiegate nel Ninfeo di Pollione, la sua stretta partecipazione alle vicende del mondo romano. Alcune città della Caria, più periferiche, consentono di seguire meglio gli ultimi esiti dell'ellenismo asiatico. Il fregio del santuario di Stratonicea, a Lagina, ricco di rappresentazioni simboliche e personificazioni tratte dalla tradizione classica, è particolarmente significativo del nuovo linguaggio artistico degli inizîdel I sec. a.C., profondamente innovativo, p.es. rispetto al vicino fregio del santuario di Magnesia. In quest'ultima città, le decorazioni statuarie del teatro e le statue panneggiate delle donne di tre generazioni della famiglia di Valerio Fiacco mostrano i cambiamenti stilistici intercorsi nei primi due terzi del I sec. a.C.
La riorganizzazione augustea segnò anche per l'Asia l'inizio di quasi tre secoli di pace, di prosperità e di continuo sviluppo. Le Res gestae divi Augusti, fatte scolpire anche nel nuovo tempio di Ankara, ricordano come Augusto avesse restituito alle città dell'Asia gli ornamenti asportati da Antonio.
Luoghi privilegiati dei nuovi interventi edilizîfurono i grandi santuarî - come quello di Artemide a Efeso, di Apollo a Didyma presso Mileto, di Artemide a Sardi - e le grandi piazze, centro della vita urbana. Così a Efeso, scelta da Antonio come capitale dei suoi effimeri domini d'Oriente, sotto Augusto si rinnovò l'aspetto delle due agorài maggiori, quella commerciale - è di questo periodo la porta donata da Mazeo e Mitridate, di recente rialzata - e quella civile. In quest'ultima venne obliterato in mezzo alla piazza quello che doveva essere il segno più evidente del dominio antoniano, il Tempio di Dioniso (che forse peraltro era rimasto incompiuto); l'accesso venne monumentalizzato da un grande arco a quattro fornici; sul lato settentrionale fu eretta una basilica civile, mentre sull'altro lato un grande ninfeo scenografico fu destinato ad accogliere le acque che il nuovo acquedotto di Pollione adduceva dal fiume Marnas.
Mileto, che aveva preso decisamente le parti di Mitridate, era stata punita con la perdita della libertà che riebbe nel 39/38 da Antonio. Nonostante il suo grande passato e le sue dimensioni, rimase sempre in secondo piano rispetto a Efeso, Pergamo e Smirne. Nel 63 a.C. Pompeo vi aveva fatto innalzare un grande monumento di 18 m d'altezza per celebrare le sue vittorie sui pirati. L'area pubblica centrale conservò l'assetto che aveva avuto in età ellenistica; Augusto anzi lo incrementò ulteriormente, con il monumentale accesso dal porto, all'inizio della via sacra che portava al Santuario di Apollo Delfinio.
Il preesistente sistema di centri abitati fu potenziato, con il recupero anche di centri minori. Pur se la cifra di 500 città data da Giuseppe Flavio (Bell. lud., II, 266) e ripetuta da Filostrato (Vit. Apoll., 2,1) è sembrata eccessiva (ma son pur sempre 282 le città asiatiche di cui è giunta notizia), l'Asia descritta da Strabone appariva una delle aree più intensamente urbanizzate di tutto l'impero, gelosa dei suoi culti e delle sue tradizioni civiche di stampo ellenico. A partire dal 29 a.C. le città dell'Asia scelsero Pergamo per celebrare in comune le feste connesse al culto imperiale come massimo momento di coesione. Successivamente Smirne, Efeso, Cizico, Sardi, Filadelfia (v. philadelpheia, io), Laodicea, Mileto e Tralles ottennero il diritto di costruire un edificio di culto imperiale e con esso la neokorìa, cioè l'ambito titolo di guardiano del tempio. Efeso ne ottenne due, Smirne addirittura tre, ed entrambe rivaleggiarono poi sempre con Pergamo per il primato nell'ambito della provincia.
Alcuni gravi sismi colpirono numerose città della costa e della valle del Meandro; nel 17 l'epicentro fu nella zona di Sardi (v.), che ne uscì semidistrutta, ma furono colpiti altri centri come Magnesia al Sipilo, Mirina, Hierocesarea. Lo stesso Tiberio intervenne con grandi somme di denaro e varî sgravi fiscali; la ricostruzione fu favorita dalla ripresa economica e demografica che la regione aveva avuto dall'età augustea. La notizia, riferita da Tacito (Ann., II, 47), trova conferma nella «Base di Pozzuoli» che a sua volta riproduce il monumento commemorativo eretto all'imperatore dalle città dell'Asia. Forse già in quest'occasione sorse a Sardi la più antica delle grandi vie colonnate che dovevano poi caratterizzare i paesaggi urbani delle città dell'Asia, a imitazione della più antica in assoluto, fatta costruire da Erode il Grande ad Antiochia. Sempre grazie al favore imperiale, nel periodo tra Augusto e Nerone cambiarono aspetto anche altre città, come Afrodisiade, dove sono stati recentemente portati alla luce i grandiosi resti dell'agorà e del Sebastèion; quest'ultima andò sempre più affermandosi come centro di produzione scultorea, grazie anche alla vicinanza delle cave di marmo, con la creazione di una particolare scuola che copiava e rielaborava in modo eclettico tipi classici e pergameni, talora estrapolandoli dagli originari contesti e utilizzandoli in fastose decorazioni architettoniche.
Già Caligola aveva perseguito una politica spiccatamente filo-orientale, che accentuò la rinascita delle autonomie locali, accompagnata da un sempre maggior successo economico e demografico; ma una vera e propria svolta si ebbe quando, sotto Domiziano, furono posti a capo della provincia grandi amministratori, dal padre di Traiano a Frontino. A quel periodo risalgono alcune notevolissime sistemazioni monumentali, come l'agorà, le porte e la grande via colonnata di Hierapolis, lo stadio e la via colonnata di Laodicea, la nuova ristrutturazione delle agorài di Efeso, con la terrazza del nuovo tempio imperiale.
La maggior parte dei monumenti portati alla luce fu costruita o restaurata nel secolo e mezzo compreso tra i principati di Domiziano e di Alessandro Severo. Fu quello il grande periodo dell'Asia, il periodo del risveglio dell'orgoglio municipale e della sua espressione monumentale.
Le città della provincia divennero sede di una vita culturale attivissima che, almeno dall'epoca di Adriano e sino a quella dei Severi, influenzò profondamente, nella filosofia, nella scienza e nella letteratura come nelle arti applicate, la vita culturale di tutto l'impero. Numerosissime iscrizioni testimoniano, in molte città, la presenza di gruppi di artigiani di vario tipo: orefici, ceramisti, tessitori, cuoiai, tintori.
Scavi sistematici sono stati eseguiti in diverse città. Per l'estensione delle rovine messe in luce e per la quantità dei risultati si segnalano le ricerche condotte da oltre un secolo da missioni tedesche (Pergamo, Priene, Mileto) e austriache (Efeso), cui si aggiungono quelle, ormai non meno importanti, di missioni turco-americane (Sardi, Afrodisiade) e italiane (Hierapolis, lasos, Kyme). Ma quasi tutte le principali città sono state fatte oggetto d'indagini archeologiche o topografiche, da Labraunda (v.) a Cibira, a Laodicea, a Cnido (v.), a Eraclea al Latmo (v.), a Magnesia (v. magnesia al meandro), ad Apollonia Troade.
Lo sviluppo urbano può essere seguito particolarmente bene a Efeso (v.). Questa città conservò la distribuzione degli spazi pubblici monumentali stabilita nell'età augustea e l'impostazione data agli spazi privati dopo i terremoti dell'età di Tiberio, ma divenne sempre più sfarzosa; si arricchì progressivamente di nuove prospettive architettoniche (la Via dei Cureti fu completata con la costruzione della Biblioteca di Celso tra il no e il 135 e abbellita da uno dei più significativi esempî del nuovo gusto architettonico asiano, il Tempio di Adriano) e di colossali ginnasi ( il c.d. ginnasio del porto, tra Domiziano e Adriano; quello del teatro e quello di Vedio, nel 150 c.a), mentre sostanziosi ampliamenti riceveva, tra Claudio e Traiano, anche il teatro.
Quest'architettura di prestigio conobbe il suo massimo fulgore sotto Adriano, che visitò più volte la provincia. La politica imperiale di ripristino della grandezza greca si fece sentire soprattutto a Pergamo (v.), per l'esplicito riferimento all'attività degli Attalidi. Sull'acropoli l'impostazione ellenistica fu continuata con la creazione di una nuova terrazza artificiale, sul punto più alto del monte, destinata a sorreggere il grande tempio corinzio dedicato a Traiano. Nella città bassa fu creato un nuovo spazio pubblico incanalando le acque del fiume Selino e utilizzando largamente il mattone, secondo il modello italico. Anche il Santuario di Asklepios, che doveva di lì a poco essere sede dell'attività di Galeno, venne rifatto a spese di evergeti locali: Claudio Charax, noto da varie fonti, fece costruire i nuovi propilei, e L. Cuspio Pactumeio Rufino fece costruire il nuovo tempio del dio, che riproduceva le forme del Pantheon adrianeo di Roma. Sempre sotto Adriano furono eretti i grandi templi di Aizanoi e di Cizico, con interessanti innovazioni architettoniche, e furono completati i templi di Sardi, Euromo, Cnido.
Smirne, che era già splendida all'epoca di Strabone, fu oggetto di interventi tanto importanti da assumere l'appellativo di Adrianea. Nel 178 un terremoto la rase praticamente al suolo, ma su intercessione del suo cittadino più prestigioso, il retore Elio Aristide, intervenne lo stesso Marco Aurelio che fece rapidamente ricostruire i principali edifici e le due grandi vie porticate, la «via sacra» e la «via aurea». Le grandi prospettive colonnate erano divenute del resto una caratteristica qualificante dei paesaggi urbani dell'Asia: ne fu costruita una anche a Mileto (v.), che più di altre città conservava monumenti ellenistici. Sotto Traiano fu ricostruita anche la «via sacra» che univa la città al santuario di Didyma, il cui colossale tempio fu allora portato a termine. Sempre nell'ambito di queste grandi scenografie di prestigio va inquadrata anche la costruzione del celebre Ninfeo, dedicato al padre di Traiano, che completava la sfarzosa monumentalizzazione della piazza principale. La sua facciata, a due ordini di colonne, aveva nicchie ed edicole che contenevano statue, nella tradizione architettonica delle scenae frontes teatrali, come la facciata della Biblioteca di Celso. Questo genere di costruzioni si diffuse ampiamente in tutte le città dell'Asia, e fu accolto anche in Occidente e nella stessa Roma, dove, con il Septizonio severiano, si ebbe l'esempio più lussuoso.
Una notevole monumentalizzazione si può vedere anche a Magnesia (v. magnesia al meandro), Tralles, Nisa e nelle altre città della valle del Meandro, sino a Laodicea al Lieo, per quanto questi siti siano archeologicamente meno noti.
Meglio nota è la vicina Hierapolis (v.), che, come Laodicea, era stata profondamente danneggiata dal terremoto del 60 d.C. Già sotto Domiziano il proconsole d'Asia Giulio Sesto Frontino fece costruire anche qui una grande via colonnata, conclusa da due archi a tre fornici, che caratterizzò la città sino alla fine dell'antichità. A essa furono collegati la nuova, grandiosa agorà, riportata alla luce di recente, e il tempio e il períbolo di Apollo, mentre un nuovo teatro fu eretto al centro dell'impianto urbano, che conservava l'assetto ellenistico.
Al nuovo splendore urbano si adeguarono anche le maggiori città insulari: Coo (v.) e Rodi (v.), dopo il terremoto del 142 d.C., furono praticamente ricostruite sotto Antonino Pio. Nei primi anni del III sec. fu completata anche a Rodi una grande via, pavimentata a lastroni di pietra e fiancheggiata da portici con fusti di granito, capitelli e trabeazioni di marmo, conclusa a Ν da un grande tetrapilo marmoreo.
Queste grandi imprese urbanistiche sono frutto dell'intensissima attività delle scuole di architetti, di scultori e di marmorarî che si erano sviluppate attorno alle cave di marmo, colorato o statuario, di cui l'Anatolia era sin da allora la maggiore produttrice. Gli artisti di Afrodisiade, che orgogliosamente firmavano molte delle loro opere con nome e patronimico, sono presenti a Roma almeno dagli anni di Domiziano, e influenzano tutta l'arte romana, sino a essere chiamati a concorrere all'abbellimento di Leptis sotto Settimio Severo. Negli ultimi anni si è dimostrata sempre più importante anche l'attività delle botteghe marmorarie di altre città, come Tralles e Hierapolis, e soprattutto delle officine sorte attorno alle grandi cave di Docimio, presso Synnada: attive sin dal I sec. d.C., parteciparono alla decorazione dei fori traianei e della Villa Adriana a Tivoli, per poi segnalarsi nella realizzazione di sarcofagi marmorei decorati. È un tipo di produzione che conosce il massimo sviluppo da Adriano in poi, con un'esportazione sempre più massiccia, ma che già era stata avviata nel I sec. d.C.: dapprima prevalgono le casse decorate con ghirlande sorrette da putti e i coperchi a doppio spiovente, poi si affermano le casse decorate con colonnette e con tipi statuarî derivati dalla tradizione classica ed ellenistica, mentre i coperchi sono a klìne e recano la raffigurazione della coppia dei defunti.
Molte delle città asiatiche poterono avere anche una propria zecca, attiva generalmente sino alla metà del III secolo.
La fase delle grandi costruzioni urbane durò sino a Settimio Severo e a Caracalla,'quando fu eretta la corte marmorea del ginnasio di Sardi e fu rifatta la scaenae frons del teatro di Hierapolis. Dopo Alessandro Severo (221- 235 d.C.) le nuove costruzioni diventano sempre più rare. A Efeso, a Sardi e nella maggior parte delle altre città nessun grande edificio pubblico venne eretto tra il 235 e il 284 d.C., cioè tra la morte dell'ultimo dei Severi e l'incoronazione di Diocleziano, anche se Mileto, Efeso e Tralles celebrarono ancora Gordiano in varie statue come benefattore della loro città.
La crescente crisi della provincia è testimoniata quasi ovunque, poco dopo la metà del III sec., dall'interruzione delle emissioni monetali; con Gallieno cessò anche la produzione dei sarcofagi.
Dopo il terribile terremoto del 262 d.C. si ebbe una serie di invasioni barbariche, condotte per terra e per mare, che devastarono Efeso e verisímilmente raggiunsero Rodi. A quest'occasione sembrano riferirsi alcune cinte murarie che, nella stessa Efeso e a Dorileo, sfruttavano largamente materiale di spoglio. In altri casi non è ancora possibile decidere tra quest'epoca e il nuovo periodo di insicurezza che si ebbe dopo la metà del IV sec.: così per le nuove mura di Sardi, già messe in connessione con l'invasione gotica, ma oggi datate al 350-400 d.C. sulla base di monete e di altri oggetti rinvenuti nelle fondazioni, e per quelle di Afrodisiade, che hanno nella porta NE una dedica all'imperatore Costanzo.
Con la riforma di Diocleziano l'Asia, che forse già alla metà del III sec. aveva perso Frigia e Caria (le quali avevano formato una provincia autonoma), fu ulteriormente divisa. Conservava il nome di Asia la piccola provincia che si estendeva dalla Misia al basso corso del Meandro. Cizico divenne capoluogo della nuova provincia di Ellesponto, Sardi della Lidia, Afrodisiade della Caria, Rodi delle Insulae. La Frigia fu ulteriormente divisa in Prima o Pacatiana, e Secunda o Salutaris, che ebbero come capoluoghi rispettivamente Laodicea e Synnada. Tutte entrarono a far parte della diocesi Asiana, assieme a Licia, Panfilia e Pisidia.
Fu quello un periodo di ripresa. Tornò a fiorire la vita municipale, e nuovi evergeti finanziarono restauri e rifacimenti di edifici pubblici. Attorno al 350 d.C. l'Expositio totius mundi et gentium nomina l’Asia come la più ricca tra le provincie dell'impero. In particolare a Efeso, che restava la principale città, varie iscrizioni ricordano la cura che i proconsoli prestavano al restauro degli edifici anche dopo la definitiva separazione dall'Occidente. La grande chiesa di S. Giovanni, costruita nel V sec., costituì un esempio nella storia dell'architettura bizantina, e soluzioni architettoniche originali furono adottate per altri monumenti del nuovo culto come nel martyrion di S. Filippo a Hierapolis. Ancora con Giustiniano gli architetti di S. Sofia venivano da questa provincia.
Anche l'Asia risentiva però pesantemente del generale declino economico e demografico del mondo antico. Il suo tramonto è ritardato rispetto all'Occidente, ma la drastica riduzione della vita urbana, osservabile pressoché ovunque, sembrava risparmiare solo i capoluoghi delle nuove provincie. I quartieri di abitazione recentemente scavati a Efeso e a Pergamo mostrano una sostanziale continuità di vita dagli inizîdella nostra era sino a oltre la fine dell'età antica, e ancora tra V e VI sec. Afrodisiade continuava a essere sede di una fiorente produzione statuaria.
Bibl.: In generale: M. Sartre, L’Orient romain. Provinces et sociétés provinciales en Méditerranèe orientale d’Auguste aux Séverès (31 avant J. –C. 235 après J.-C.), Parigi 1991. - In particolare: S. R. F. Price, Rituals and Power. The Roman Imperial Cult in Asia Minor, Cambridge 1984; B. Virgilio, Gli Attalidi di Pergamo. Fama, eredità, memoria, Pisa 1993. - Rete stradale: D. H. French, The Roman Road-System of Asia Minor, in ANRW, II, 7, 2, 1980, pp. 698-729; id., Roman Roads and Milestones of Asia Minor (BAR Int. S., 392), 2 voll., Oxford 1988. - Scultura: Α. Giuliano, La ritrattistica dell'Asia Minore dall'89 a.C. al 211 d.C., in RIA, Vili, 1959, pp. 146-201; G. Ferrari, Il commercio dei sarcofagi asiatici, Roma 1966 (da integrare con nuovi dati); J. Inan, E. Rosenbaum, Roman and. Early Byzantine Portrait Sculpture and Asia Minor, Londra 1966; A. Linfert, Kunstzentren hellenistischer Zeit. Studien an weiblichen Gewandfiguren, Wiesbaden 1976; J. Inan, E. Alföldi-Rosenbaum, Römische und frühbyzantinische Porträtplastik aus der Türkei. Neue Funde, Magonza 1979; M. Waelkens, Dokimeion. Die Werkstatt der repräsentativen kleinasiatischen Sarkophage. Chronologie und Typologie ihrer Produktion, Berlino 1982; id., Carrières de marbre en Phrygie (Turquie), in BMusArt, LIII, 1982, pp. 33-55. - Sulle singole città si rimanda alle rispettive voci. V. inoltre: G. E. Bean, Aegean Turkey, Londra 1966; id., Turkey beyond the Meander. An Archaeological Guide, Londra 1971: D. De Bernardi Ferrero, Teatri classici in Asia Minore, I-IV, Roma 1966-1974; E. Akurgal, Ancient Civilisations and Ruins of Turkey. From Prehistoric Times until the End of the Roman Empire, Istanbul 1973; G. M. A. Hanfmann, From Croesus to Constantine. Cities of Western Asia Minor and Their Arts in Greek and Roman Times, Ann Arbor 1975; A. Giuliano, Le città dell'Apocalisse, Roma 1978; T. Pekâry, Kleinasien unter römischer Herrschaft, in ANRW, II, 7, 2, 1980, pp. 595-657; A. D. Macro, The Cities of Asia Minor under the Roman Imperium, ibid., pp. 658-697; P. Gros, M. Torelli, Storia dell'urbanistica. Il mondo romano, Bari 1988.
(G. Bejor)
Bithynia et Pontus . - L'origine della provincia Bithynia et Pontus va fatta risalire essenzialmente alla donazione del sovrano ellenistico della Bitinia, Nicomede IV Filopatore, il quale nel 74 a.C. lasciò in eredità il proprio regno ai Romani. Al congresso dei sovrani, tenuto ad Amisos nel 65 o 64 a.C., Pompeo riorganizzò tutto l'Oriente: in quell'occasione i due originari regni della Bitinia e del Ponto furono riuniti nella provincia romana di Bithynia et Pontus (talora detta anche soltanto Bithynia).
I confini della provincia furono soggetti spesso a piccole modifiche. I territori che costituivano il nucleo fondamentale dei regni precedenti continuarono a rimanere per lungo tempo essenziali nell'ambito della nuova provincia. La Bithynia in senso più stretto racchiudeva la zona che si estende dal Rhyndakos al Sangarios, il Ponto quella a E del Sangarios. A Ν il confine è delimitato dal Ponto Eusino; a O è segnato dal corso superiore del Rhyndakos (Orhaneli Çay), dalla foce fino alla catena di monti dell'Olimpio misio (Ulu Daglari). A SO e S la provincia è delimitata dal Sangarios (Sakarya Çay), mentre il tracciato delle frontiere a SE ed E è ancora oggi in discussione. È certo che già in epoca assai antica Sinope e Amisos facessero parte della provincia, in modo che il corso superiore dello Halys (Kizil Irmak) e del Lykos o Iris (Ye§il Irmak) costituissero la zona di confine. All'epoca di Pompeo con la provincia confinavano i regni di Farnace II e Deiotaro. Determinanti per il quadro geografico e l'estensione della provincia furono i territori urbani introdotti ex novo da Pompeo (nel Ponto presumibilmente 11, in Bitinia 12) e le antiche città greche - soprattutto: Amasia, Amastris, Amisos, Apamea, Bisanzio, Bithynion, Calcedone, Eraclea Pontica, Nicea, Nicomedia, Prusias presso lo Hypion, Prusa presso l'Olimpo, Sinope e Tieion.
La storia della doppia provincia sin dalla sua fondazione è stata assai movimentata. In modo particolare il Sud e l'Est furono soggetti a numerosi mutamenti politici, e dopo Pompeo soprattutto Cesare e Antonio vi effettuarono alcune ristrutturazioni; con Antonio il territorio del Ponto fu posto addirittura per un certo tempo sotto il dominio della casa reale dei Polemonidi. Comunque dal 27 a.C. la provincia divenne senatoria e lo rimase (tranne brevi interruzioni) fino all'età di Marco Aurelio; in seguito divenne provincia imperiale, e tale rimase fino alla ristrutturazione di tutto l'impero attuata da Diocleziano: in quel periodo fu suddivisa nelle nuove Provincie di Bithynia e di Honorias e posta nell'ambito della diocesi Pontica.
L'importanza della provincia era al tempo stesso economica e geo-politica. Il suo valore in termini economici si può misurare su città come Bisanzio, che controllava il passaggio del Bosforo, o come Eraclea, Sinope o Amastris, città portuali attraverso cui si svolgeva l'intero flusso di importazioni ed esportazioni commerciali fra l'interno dell'Asia Minore e il bacino meridionale russo. Le città alle foci dei fiumi costituivano le porte di accesso all'interno dell'Asia Minore; così si spiegano i progetti imperiali di canalizzazioni, che volevano collegare il lago di Nicea al mare aperto allo scopo di intensificare il commercio.
La condizione geo-politica della provincia è stata di grande importanza per tutta l'età romana: qui infatti dovevano passare necessariamente le comunicazioni per via di terra verso il confine orientale dell'impero. Quindi non stupisce che Traiano vi abbia mandato un incaricato speciale, durante la preparazione alle proprie imprese contro i Parti, per raccogliere e organizzare le risorse, ossia Plinio il Giovane, inviato in qualità di legatus Augusti pro praetore consulari potestate.
Tuttavia la parte orientale della provincia fu sempre un focolaio di disordini: non era semplice inserire nel sistema politico romano le regioni e i distretti organizzati precedentemente con regime ellenistico-feudale. E così, inizialmente, furono preservate alcune strutture feudali, come nelle zone di potere spettanti a Farnace e Deiotaro. Ma anche stati governati da sacerdoti, come Comana o Zela, in una fase iniziale mantennero i loro antichi diritti, finché sotto Tiberio non vennero incorporati nelle strutture di tipo statale dell'amministrazione provinciale romana.
Un'intera serie di città di nuova fondazione testimonia la volontà fervida dei nuovi dirigenti romani di potenziare l'urbanizzazione e con ciò anche uno sfruttamento più efficiente della provincia. Già Pompeo aveva fondato le città di Diospolis, Pompeiopolis, Magnopolis, Megalopolis, Nicopolis e Neapolis; Cesare rifondò il vecchio centro di Apameia come Colonia Iulia Apameia; sorsero città come Iuliopolis (la vecchia Gordiu Kome), Claudiopolis (la precedente Bithynion) e anche l'antica Crateia sotto i Flavi cambiò nome in Flaviopolis.
È tuttavia da notare che in tutti i centri ellenistici e persino nelle città appena fondate si mantennero le antiche strutture statali greco-ellenistiche. Per la loro organizzazione e i compiti del governatore imperiale sul posto esiste una fonte di inestimabile valore, ossia la corrispondenza fra Traiano e Plinio il Giovane, grazie alla quale si può meglio comprendere il contenuto della lex Pompeia (così chiamata dal nome del suo ispiratore), destinata soprattutto a regolare l'organizzazione urbana nella provincia di Bithynia et Pontus.
Il diverso passato politico e amministrativo delle due regioni, Bitinia e Ponto, portò alla presenza in età imperiale di due distinti organismi per una medesima provincia, ossia il koivòv των έν Βειθυνία 'Ελλήνων per la Bitinia effettiva, e il koivòv των έν Πόντω 'Ελλήνων nel Ponto originario. Sulle circoscrizioni giudiziarie della provincia sappiamo molto poco dalle fonti scritte, ossia dalle opere di Dione Crisostomo, il quale ci documenta l'esistenza di Prusa presso l'Olimpo e di Nicea. Altrimenti occorre partire dalla supposizione che l'amministrazione da parte del vicario imperiale della doppia provincia fosse esercitata in maniera analoga ad altre provincie, p.es. dell'Asia, dal 27 a.C. sottoposta a un proconsole di rango pretorio, e dall'età di Marco Aurelio sottoposta a un legatus Augusti.
Il mondo delle divinità di Bitinia e Ponto è influenzato essenzialmente dalla cultura greco-ellenistica. Gli antichi dèi greci e romanizzati furono venerati con la stessa intensità che altrove. Ma notevole è anche la frequenza con cui compare, sui monumenti più disparati, Zeus Brontòn: l'economia rurale della regione e la preoccupazione di avere buoni raccolti hanno consentito a questa divinità di continuare a esistere anche in epoca romana, come dio delle tempeste e della fertilità. Inoltre alcuni nomi o appellativi traci di dèi rimandano alla popolazione originariamente tracia dell'Asia Minore settentrionale; tali sono p.es. gli appellativi Okkonenòs o Sarnendenòs per Zeus.
La raffigurazione della . personificazione più antica Í della Bitinia si trova su una moneta, coniata sotto Nicomede I. Vi è rappresentata una figura femminile seduta su una roccia, con due lance nella mano destra e una spada nella sinistra. Uno scudo rotondo è appoggiato contro un masso. Sotto Vespasiano abbiamo altri due tipi diversi di questa divinità: la Bitinia seduta, coperta di chitone e himàtion, con una patera nella destra e una cornucopia nella sinistra e la Bitinia stante, con un vomere nella destra e un timone nella sinistra.
Si conoscono due diversi tipi monetali della Bitinia dell'età di Adriano (c.a dal 123/4 d.C.), che ne ricordano la visita: sul primo la personificazione della provincia porta una corona turrita sul capo ed è avvolta in un lungo chitone e in un himàtion, mentre nelle mani reca un timone. Una variante di tale tipo, privo della corona turrita e con un acrostolium nella mano sinistra, si trova al Cabinet des Médaillés a Parigi. Le monete del secondo tipo mostrano la B. con il timone appoggiato alla spalla; essa talvolta poggia il piede destro sulla prua di una nave.
Bibl.: F. K. Dörner, Bericht über eine Reise in Bithynien (DenkschrWien, 75, 1), Vienna 1952; Κ. Wellesley, The Extend of the Territory Added to Bithynia by Pompey, in Rheinisches Museum, XCVI, 1953, p. 293 ss.; L. Vidman, Die Mission Plinius des Jüngeren in Bithynien, in Klio, XXXVII, 1959, p. 217 ss.; F. Κ. Dörner, Vorbericht über eine im Herbst 1961 ausgeführte Reise in Bithynien, in AnzWien, XCIX, 1962, p. 30 ss.; id., Vorbericht über eine Reise in Bithynien, ibid., C, 1963, p. 132; A. J. Marshall, Pompey's Organization of Bithynia-Pontus: Two Neglected Texts, in JRS, LVIII, 1968, p. 103 ss.; Α. H. M. Jones, The Cities of the Eastern Roman Provinces, Oxford 19712, pp. 147-173; B. F. Harris, Bithynia: Roman Sovereignty and the Survival of Hellenism 'mANRW, II, 7, 2 1980, p. 857 ss.; E. Olshausen, Pontos und Rom (63 v.Chr.- 64 η. Chr.), ibid., p. 903 ss.; Α. Ν. Sherwin-White, Roman Foreign Policy in the East, Londra 1984.
Per le iscrizioni si vedano i ss. volumi della serie Inschriften griechischer Städte aus Kleinasien: IX-X (Nikaia), XX (Kalchedon), XXVII (Prusias ad Hy- pium), XXIX (Kios), XXXI (Klaudiopolis), XXXII (Apameia e Pylai).
Rendiconti su scavi e scoperte sono pubblicati ogni anno in Kazi Sonuçlari Toplantisi e in Ara§tirma Sonuçlari Toplantisi e in Türk Arkeoloji Dergisi.
(E. Schwertheim)
Galatia (v. vol. III p. 756). - La provincia racchiudeva alcune regioni dell'Anatolia centrale, dalla Galazia vera e propria alla Pisidia, alla Licaonia e alla Paflagonia. Il territorio era abitato da popolazioni anelleniche che praticavano l'agricoltura e soprattutto l'allevamento, e vivevano in villaggi sparsi. Erano ampiamente diffusi i grandi latifondi, i maggiori dei quali erano passati dai dinasti locali alla casa imperiale; né mancano attestazioni di latifondi che costituivano la base delle grandi ricchezze che alcuni abitanti delle città greche della costa impiegarono per arricchire queste ultime con ricche donazioni: così per i Planci di Perge, nella provincia di Panfilia, che avevano possedimenti in Pisidia e in Galazia, e per i Pacci di Attaleia, sempre in Panfilia, che li avevano in Licaonia.
Nella provincia della Galazia erano invece poco numerose le città, tanto che già Augusto e i suoi immediati successori provvidero a potenziare l'urbanistica di alcune aree deducendo colonie di veterani ad Antiochia, Comana, Olbasa e Cremna in Pisidia, Germa in Galazia, Claudiopolis in Isauria, Lystra, Parlais e Ikonion (la capitale storica) in Licaonia.
La conoscenza archeologica del territorio è ancora agli inizî, con la sola eccezione delle poche città principali. Tra queste Ankyra, oggi Ankara, sede del celebre Tempio di Augusto e Roma, eretto tra il 25 e il 20 a.C. e ampliato nel II sec., che portava incisa nei muri della cella l'iscrizione con le gesta di Augusto; e Pessinunte, sede di un santuario della Magna Mater, rifatto in età giulio-claudia. Poco conosciuto resta il capoluogo della Licaonia, Iconium, oggi Konia. La città, piccola ma già fiorente ai tempi di Strabone, quando la visitò S. Paolo era sede anche di una colonia ebraica, a dimostrazione della sua importanza commerciale. Deve aver avuto impulso prima sotto Claudio, tanto da cambiar nome in Claudioconium, e poi con Adriano, quando ebbe lo statuto di colonia e il nuovo nome di Colonia Aelia Hadriana Augusta.
Nel III sec. la regione fu attraversata e sfruttata più volte dagli eserciti in marcia attraverso la penisola, e tra il 225 e il 260 le invasioni gotiche devastarono anche Pessinunte, come hanno dimostrato i recenti scavi. Divisa in diverse provincie da Diocleziano, tra il IV e il V sec. ebbe a soffrire anche di ricorrenti carestie, sino a quella, particolarmente grave, del 452. Allo stesso periodo va attribuito anche il tramonto delle poche città.
Bibl.: S. Mitchell, Iconium and Ninica, in Historia, XXVIII, 1979, pp. 409-438; id., Population and the Land in Roman Galatia, in ANRW, II, 7,2, 1980, pp. 1053-1081; id., Galatia under Tiberius, in Chiron, XVI, 1986, pp. 17-33; id., Anatolia. Land, Men and Gods in Asia Minor, I. The Celts in Anatolia and the Impact of Roman Rule e 2. The Rise of the Church, Oxford 1993. - Per la rete stradale: I. W. Macpherson, Roman Roads and Milestones of Galatia, in AnatSt, IV, 1954, pp. 11-120; M. H. Ballance, Roman Roads in Lycaonia, ibid., VIII, 1958, pp. 223-234. - Sui resti bizantini della regione cfr. K. Belke, M. Restle, Tabula imperii byzantini, 4. Galatien und Lycaonien, Vienna 1984; K. Belke, Ν. Mersich, Tabula imperii byzantini, 7. Phrygien und Pisidien, Vienna 1990.
(G Bejor)
Cappadocia. - Come la Galazia, anche la Cappadocia era terra di grandi latifondi e immensi spazi deserti, distribuiti su altipiani a un'altezza media superiore ai 1000 metri. Le poche aree irrigue erano adibite a culture estensive, soprattutto grano; il resto era dedicato all'allevamento e alla pastorizia: celebri erano gli allevamenti di cavalli e di asini. Strutture locali, come la divisione in 10 strategìai (divenute 11 con Pompeo) e l'esistenza di grandi proprietà fondiarie in mano ai maggiori santuarî, persistettero a lungo. Un'eredità preromana doveva essere anche la lunga serie di castelli fortificati sui monti, lungo le principali vie d'accesso alla regione; di alcuni sono rimasti anche i nomi. Per tutta l'età romana la provincia rimase pochissimo urbanizzata. Secondo Strabone, le città della Cappadocia vera e propria erano solo due: la capitale, Nazaca, ribattezzata Caesarea già prima dell'annessione a Roma; e Tiana, divenuta colonia con Caracalla. Una densità abitativa di poco maggiore si riscontra nella regione più orientale del Ponto, con le città di Amasia, Zela, Sebasteia, Comana e Neocesarea. La maggior parte della scarsa popolazione continuava a vivere in villaggi, inglobati in immense proprietà, soprattutto imperiali, e questo contribuisce a spiegare la relativa scarsità di resti archeologici.
La città di gran lunga più importante rimase sempre MazacalCaesarea Cappadociae. Ai tempi di Strabone non era stata ancora costruita la grande cinta muraria, che nel IV sec. era già stata lasciata cadere in rovina in quanto troppo vasta per poter essere difesa. All'interno includeva anche spazi non edificati, ma il centro aveva assunto un aspetto monumentale, con un'agorà porticata e strade lastricate che di notte venivano illuminate da torce. Le fonti del IV sec. ricordano anche palazzi di tre piani. L'importanza della città crebbe ancor più quando divenne un centro di produzione di stoffe e armi in funzione dell'esercito del limes dell'Eufrate; ma archeologicamente resta assai poco nota, dato che sulle sue rovine si è sviluppata la moderna Kayseri.
Tiana, presso le porte di Cilicia, che tutte le fonti indicano come la seconda città della Cappadocia, è altrettanto poco conosciuta, nonostante le recenti indagini; sussistono i resti di un acquedotto lungo 4 km.
Poche altre città dovevano avere un aspetto urbano monumentale, arricchito da portici. È il caso di Nissa, sulla strada per Ankyra: conserva il tracciato pentagonale delle mura urbane (con almeno tre porte), che racchiude un'area di oltre 12 ha.
In tutto, altre nove città, generalmente al centro di altrettante strategìai, dovevano avere lo statuto urbano, ma erano poco più che villaggi. Così Eaustinopoli, eretta a colonia nel 176, dopo che vi era morta la moglie di Marco Aurelio, Annia Faustina, di ritorno dalla Cilicia: il suo aspetto non doveva essere di forte impatto, anche se sembra che vi fosse un grande tempio dedicato all'imperatrice, di cui restano possibili tracce del podio. Né doveva essere diverso il caso di Garsauira, ribattezzata Archelaide, anch'essa colonia, con Claudio, e importante centro viario. Degli altri centri urbani è particolarmente interessante il caso di Comana di Cappadocia (v.), sede di un grande santuario di Artemide Tauropòlos, da cui dipendevano vasti territori sui quali lavoravano, ai tempi di Strabone, 6.000 schiavi sacri. Ma altri santuari, come quello di Apollo in Cataonia e di Zeus Dacieo a Venasa in Morimene, non si svilupparono mai a città. La stessa Nazianzo, nota per essere stata patria di Gregorio, è citata solo come mansio dagli Itinerari, ed è definita una piccola città ancora nel IV secolo. Per tutti questi centri, la ricerca archeologica è al massimo agli inizi, e la maggior parte delle notizie è deducibile dalle fonti letterarie o epigrafiche.
La provincia ebbe però grande importanza dal punto di vista militare, dopo la creazione del limes dell'Eufrate. La roccaforte di Melitene, sull'alto corso del fiume, fu la base delle spedizioni di Corbulone durante il principato di Nerone. Vespasiano vi stanziò la Legio XII Fulminata, poi sostituita dalla XV Apollinaris, mentre una seconda legione, forse la XVI Flavia, fu posta a Satala, più a N; alle spalle del nuovo confine fu costruita una rete stradale di supporto strategico, da Ankyra lungo la valle del Lykos sino a Satala, e da Iconium sino a Melitene. La strada che collegava tra loro le due piazzeforti di Melitene e di Satala proseguiva verso Ν sino a Trapezunte, e verso S sino a Samosata, capoluogo della Commagene. Resti di questa strada sono stati trovati sui monti dell'Antitauro; i miliari partono dall'epoca di Vespasiano, ma mostrano come molti tratti dovettero essere completati sotto Domiziano, Nerva e Traiano. Nel 198 il tratto da Melitene a Comana, di cui restano 15 miliari, fu ricostruito da Caio Giulio Fiacco Eliano. Altri miliari ricordano le continue ricostruzioni sotto Elagabalo, Alessandro Severo e sino a Gallo e Volusiano (251-253). Nel 199, con la costruzione del ponte di Chabina sull'Eufrate, fu iniziata anche la via che da Melitene portava attraverso il Tauro curdo.
A Melitene, sul luogo dell'odierna Eski Malatya, presso l'accampamento legionario, rimasto in uso almeno sino alla fine del IV sec., si andò sviluppando una grande città che con Traiano ebbe lo status municipale, e si abbellì di un'agorà, templi, portici, teatri, edifici termali. Vi sono oggi visibili solo le tracce di fortificazioni più tarde, a partire dalle mura costruite da Giustiniano nel VI sec., così come a Satala. Anche in quest'ultima s'era andato espandendo fuori dalle mura della fortezza un notevole insediamento civile, servito anche da un acquedotto.
Le necessità di approvvigionare le truppe stanziate sul limes fecero potenziare anche il porto e la città di Trapezunte, antica colonia greca del Mar Nero, che divenne sede anche della flotta militare, la classis pontica.
Nel 131 Adriano visitò la provincia, promuovendo un ulteriore potenziamento delle difese militari, la costruzione di nuovi edifici monumentali nelle città, alcune delle quali assunsero allora l'appellativo di Hadriane. Nuovi moli artificiali consentirono allora anche l'adeguamento del porto di Trapezunte alle nuove esigenze d'approvvigionamento.
Di lì a poco, però, le regioni settentrionali della provincia dovettero subire un'invasione di Alani, che poté essere respinta solo nel 134, sotto la guida dello storico Arriano.
Dal 256 al 260 Šābuhr I invase l'Armenia Minore e la Cappadocia, sino alla stessa Cesarea. Satala fu presa e rasa al suolo. Contemporaneamente i Goti devastavano la parte settentrionale e la Galazia. Satala fu ricostruita subito dopo da Gallieno, e il castrum fu presto rioccupato dalla stessa legione. Ma per un'intera generazione la regione fu percorsa da eserciti e invasori.
Con Diocleziano la provincia di Cappadocia rimase compresa nella Diocesi Pontica, e fu suddivisa in sette nuove provincie: il Diosponto o Ellenoponto, con Amasia, più Amiso e Sinope tolte alla Bithynia et Pontus, e il Ponto Polemoniaco, con Trapezunte, Neocesarea e Comana, lungo le coste del Mar Nero; Cappadocia Prima, con Cesarea, e Cappadocia Seconda, con Tiana; Licaonia, con Iconio; Armenia Prima, con Satala, e Armenia Seconda, con Melitene. Anche il limes fu allora rafforzato: sono attestati lavori nel 337-340 alla via militare da Melitene a Trapezunte, e un incremento della presenza militare è provato dall'aumento dei rinvenimenti monetali attorno al forte di Dascusa. Sulla via militare per l'Eufrate acquistò allora importanza anche il centro di Arabisso.
Dopo Diocleziano il limes resistette per altri tre secoli, consentendo alla Cappadocia una sufficiente tranquillità.
Il IV sec. segnò un momento di sensibile sviluppo, con un forte incremento della popolazione dei villaggi, alcuni dei quali erano divenuti centri di una fiorente vita religiosa. La migliore testimonianza di questo periodo sono gli scritti di tre vescovi cappadoci, Basilio di Cesarea, Gregorio di Nissa, Gregorio di Nazianzo.
Il cristianesimo sembra essere stato la religione prevalente nella provincia a partire già dal III sec.; con il IV, molti dei villaggi si munirono di sedi per il nuovo culto. Se ne hanno notizie letterarie per Nazianzo (dove una chiesa ottagonale sul modello della Megale Ekklesia di Antiochia fu fatta costruire dal padre di Gregorio), per Nissa, per Vanasa. Centri in precedenza ignoti, come Doa- ra, Parnasso e le stesse Nazianzo e Nissa, divennero centri vescovili.
Attorno a questi villaggi si conservò in epoca bizantina una fiorente vita religiosa, con le architetture rupestri che rendono oggi celebre la Cappadocia.
Bibl.: R. Teja, Die römische Provinz Kappadokien in der Prinzipatszeit, in ANRW, II, 7,2, 1980, pp. 1083-1124. - Sulle fortificazioni del limes: Τ. Β. Mitford, Cappadocia and Armenia Minor. Historical Setting of the Limes, ibid., pp. 1169-1228; J. Crow, A Review of the Physical Remains of the Frontiers of Cappadocia, in P. Freeman, D. Kennedy (ed)., The Defence of the Roman and Bizantine East. Proceedings of a Colloquium Held at the University of Sheffield, 1986 (BAR, Int. S., 297), I, Oxford 1986, pp. 77-108. - Sulla Cappadocia tardo-antica e bizantina: R. Teja, Organización económica y social de Capadocia en el siglo IV, según los Padres capadocios, Salamanca 1974; B. Gain, L'église de Cappadoce au IVe siècle d'après la correspondance de Basile de Césarée (330- 379) (Orientalia Christiana Analecta, 225), Roma 1985.
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Lycia et Pamphylia . - I confini della provincia cambiarono più volte nel corso degli anni, ma almeno dall'età di Vespasiano si può dire che comprendessero tre parti: un aspro massiccio montuoso, dai difficili accessi, bagnato su tre lati dal mare, la Licia, sede di un'antica lega di città; una fascia di bassi ripiani costieri, la Panfilia, ricca di porti che spesso sfruttavano le foci dei fiumi, con un'urbanizzazione già molto antica, completata dalle fondazioni dei sovrani ellenistici che l'ebbero in potere, Tolemaide, Seleucia e Attaleia; infine, alle spalle della Panfilia, un ampio tratto dell'altopiano pisidico, con varie città arroccate sui monti, come Selge, Seleucia Sidera, Termesso, Sagalasso, accanto alle fondazioni augustee di Cremna, Colbasa, Comama. Questa divisione trovava riscontro anche nell'organizzazione del culto imperiale: Side, dove risiedeva il governatore della provincia, fu anche sede del koinòn (del culto imperiale) delle città panfiliche, mentre Sagalasso lo rimaneva di quello, separato, delle città pisidiche, e Xanthos di quello della Licia.
Le città della Licia continuarono per tutto il periodo romano a essere anche unite in una lega che si era costituita in funzione anti-rodia già nel II sec. a.C. Secondo Strabone (xiv, 665) le città che facevano parte della lega erano 36, e avevano diritto a un numero di voti proporzionale alla loro importanza. Tre voti ciascuna avevano così le sei maggiori: Patara, Xanthos, Pinara e Tlos, tutte nella vallata del fiume maggiore, lo Xanthos; più Myra e Olympos, città costiere più a Oriente. Un'iscrizione trovata a Boubon, nel retroterra verso Kibyra, informa che nel II sec. d.C. anche questa città passò da due a tre voti. Alcune delle città più piccole dovevano unirsi tra loro per avere un unico voto, come era il caso di Aperle, Acalisso e Arnee, sulla costa tra Myra e Patara.
Xanthos, la città maggiore, fu sempre considerata anche capoluogo della lega. Il suo santuario principale, il Letòon sulla strada verso il porto di Patara, dedicato a Latona e ai suoi due gemelli, Apollo e Artemide, fu anche un santuario federale. Una via pavimentata lo univa a Xanthos, dove si concludeva con un arco dedicato a Vespasiano. Xanthos stessa dovette conservare per tutta l'età romana molti monumenti e l'aspetto dei secoli passati, secondo una norma generale che sembra aver caratterizzato l'aspetto di quasi tutte le città della Licia, rimaste spesso isolate dalle grandi linee commerciali, nonostante i frequenti scambi tra loro. Notevole è così il numero di monumenti preromani rimasti in funzione, a Xanthos come altrove, anche se la Licia fu partecipe del grande sviluppo iniziatosi con i Flavii.
Un considerevole impulso conobbe il porto principale, Patara, che fu anche sede di tribunale e divenne il centro economicamente più importante della regione. L'accesso alla zona portuale fu monumentalizzato, attorno al 100 d.C., con una porta a tre fornici, come ad Attaleia, a Laodicea e in molte altre città. Su ciascun lato, alcune mensole sorreggevano i busti della famiglia di Mettio Modesto, governatore della provincia, che ne aveva promosso la costruzione. Una prima monumentalizzazione della città si era avuta già sotto Vespasiano, quando un complesso termale era stato costruito con il contributo finanziario della lega. Con Adriano Patara cambiò volto, potenziando ulteriormente le attrezzature portuali e adeguandosi ai grandi paesaggi urbani degli altri centri dell'Oriente;
Adriano stesso è ricordato nelle epigrafi come salvatore e fondatore della città. Una statua, di cui resta la base iscritta, gli fu dedicata anche nel Letòon, dove aveva fatto costruire un grande ninfeo monumentale, con un portico semicircolare che fiancheggiava un bacino di 27 m di diametro. Un'iscrizione sul muro esterno dell'edificio scenico ricorda come l'abbellimento del teatro fosse stato dedicato da Vilia Procula all'imperatore Antonino Pio e agli dèi locali nel 147 d.C. Suo padre aveva fatto erigere il proscenio, la stessa Vilia la frons scenae con tutta la sua decorazione; entrambi avevano anche ampliato la cavea.
Anche le più remote città della Licia ricevettero allora nuovi monumenti, grazie alla generosità di alcuni evergeti locali. Il nome e l'opera di uno di questi, Opramoas, sono ben noti, perché ricordati sulla lunga epigrafe posta sul suo heròon a Rhodiapolis, piccola città della Licia orientale. Grazie a un'elargizione complessiva di quasi due milioni di denari, aveva fatto costruire i templi della Nemesi e di Tyche nella stessa Rhodiapolis, aveva fatto riparare edifici pubblici a Pinara, costruire un teatro e l'esedra nelle terme a Tlos, un teatro a Limyra; inoltre aveva fatto restaurare a Patara l'oracolo di Apollo Licio, e altri edifici a Xanthos, a Myra (danneggiata dal terremoto del 141) e in città più piccole, come Antiphellos, Akalyssos, Podalia, Choma. Ci è parimenti noto almeno un altro benefattore, Giasone di Kyanai (presso Myra), gran sacerdote del culto imperiale, a cui tributarono onori sedici città della Licia. Questa rinascita urbana, all'inizio di un periodo di prosperità, sembra durare almeno sino a Gordiano III, quando ben venti città licie coniarono moneta.
Molte città non si ripresero dopo la crisi del III sec., ancora una volta con l'eccezione di alcuni centri costieri, soprattutto Myra e Phaselis. Non va però dimenticato come, a parte queste ultime e Xanthos, molte delle città licie non siano ancora archeologicamente conosciute in modo soddisfacente.
Un numero minore di città, ma di dimensioni maggiori, ebbe la Panfilia. Alcune conservavano ancora in età romana l'impianto generale e talvolta le mura (come a Perge e a Side) che avevano ricevuto durante il II sec. a.C., quando la regione aveva conosciuto un periodo di grande fioritura. Ma qui, molto più che in Licia, le città cambiarono volto nel corso del II sec. d.C., quando gareggiarono tra loro nella costruzione di grandi complessi monumentali e di fastosi edifici.
Le città meglio conosciute sono oggi Side, che della Panfilia rimase sempre la capitale, Perge e, in parte, Aspendos. Restano ancora poco note le altre, comprese alcune di grandi dimensioni, come Sillio.
Tanto Side quanto Perge si articolavano attorno a grandi assi stradali fiancheggiati da portici e botteghe, che avevano inizio da piazzali monumentali ricavati dalle vecchie difese ellenistiche. A Side, all'esterno della porta a tenaglia, rivestita da un doppio ordine di nicchie ed edicole su colonne, contenenti statue di divinità e imperatori, sotto gli Antonini fu costruito un colossale ninfeo, simile a quello di Mileto: lungo 50 m e alto 20, aveva tre ordini di colonne e di nicchie, anch'esse ornate di statue. Un evergete locale, Lolliano Bryoniano, ne curò il restauro agli inizî del III secolo. Per alimentarlo fu costruito un acquedotto che captava l'acqua dalle sorgenti del fiume Melas, distanti 32 km; ne sono ancora visibili numerose arcate. Nello stesso periodo venne costruito l'acquedotto di Aspendos, che con sifoni alti anche 30 m portava acqua al ninfeo costruito per chiudere la prospettiva dell'agorà, con un'architettura molto simile a quella di Side.
A Perge (v.), che sorgeva sui primi contrafforti montuosi, la prospettiva della via colonnata che costituiva l'asse principale era chiusa verso l'acropoli da un ninfeo, fatto costruire sotto Adriano. Alla città si accedeva attraverso una porta monumentale comprendente una grande corte: questa, pavimentata in marmo, era circondata da un duplice ordine di colonne che inquadravano nicchie ed edicole, con statue di divinità nell'ordine inferiore, e nell'ordine superiore quelle dei fondatori della città, i mitici Mopsos e Calcante, e dei rifondatori, i membri della famiglia locale dei Plancii Vari; proprio a una dama di tale famiglia, Plancia Magna, figlia del governatore della Bithynia, si deve la ristrutturazione della piazza, eseguita tra il 120 e il 122 d.C. Per meglio concluderne la prospettiva, fu costruito un grande arco a tre fornici. Da questo primo monumento si accedeva a un piazzale monumentale lungo 92 m, anch'esso sistemato nella prima metà del II sec., e continuamente abbellito sino a età severiana, quando furono aggiunti il grande ninfeo, con statue della famiglia imperiale, e il pròpylon monumentale che dava accesso alle vicine terme. Attraverso un grande arco si entrava nell'amplissima strada, fiancheggiata da colonnati, che costituiva l'asse centrale della città. Al centro scorreva un largo canale che scendeva con una serie di cascatelle dal ninfeo (posto sotto l'acropoli) che concludeva la prospettiva della strada. Poco prima di arrivare al ninfeo stesso, vi era l'incrocio con un'altra via colonnata, perpendicolare alla prima, dall'andamento irregolare.
L'immagine monumentale che Perge dava di sé era grandiosa, ma anche le altre città gareggiarono per non essere da meno. In tutte, il grande impianto delle vie colonnate e delle sfarzose facciate teatrali era completato da edifici marmorei. A Side, in fondo all'asse principale, presso il porto, furono eretti, sempre nella seconda metà del II sec. d.C., due templi corinzî gemelli, che furono rasi al suolo nel V sec. per far posto alla cattedrale cristiana. Al centro della città si aprivano due agorài circondate da colonnati marmorei, in una delle quali era inserito quello che doveva apparire come un gioiello dell'ornatissima architettura asiana: un'aula rivestita di marmi, con due ordini di edicole e nicchie contenenti statue, che era verosimilmente la sede del culto imperiale.
Il gran numero di statue rinvenute, soprattutto a Perge e a Side, ha permesso la definizione di una produzione scultorea panfilica, tra i Flavii e i Severi, che si distingue per l'eleganza e la raffinatezza con cui vengono riprodotti modelli classici. Parallelamente è stata distinta anche una maniera locale di rifinire i sarcofagi di origine frigia, con casse dalle accurate decorazioni architettoniche e figurate.
Tutte le città della Panfilia si dotarono, nel corso del II sec. d.C., di edifici per spettacolo. Particolarmente ben conservati sono lo stadio e il teatro di Perge, costruiti appena fuori le mura e capaci di contenere rispettivamente 15.000 e 12.000 spettatori, e il teatro di Aspendos (v. vol. I, p. 727), costruito anch'esso al di fuori delle mura urbane. Fu offerto agli dei locali e agli imperatori, probabilmente Marco Aurelio e Lucio Vero, da due evergeti locali della famiglia dei Curzi Crispini, e costruito da un architetto di nome Zenone, onorato dalla città con almeno due statue. Anche in questo caso, presso il teatro sorgeva un grande stadio. Il teatro di Side fu invece costruito in posizione centrale, a ridosso dell'agorà, in una zona piana come tutta la penisola su cui sorgeva la città. Con un diametro di 109 m era il più grande di tutta la provincia, e poteva ospitare 20.000 spettatori. Anch'esso ebbe una scaenae frons marmorea a più piani, ornata da statue e rilievi, simile a quella di Perge e a quelle delle città della valle del Meandro.
Gli stessi modelli di monumentalizzazione urbana furono imitati nelle principali città della Pisidia, arroccate sui monti e tradizionalmente meno progredite rispetto ai porti della costa.
Sagalasso, centro importante già in epoca ellenistica, aveva avuto una prima fase di monumentalizzazione sotto Augusto e Tiberio; tra la fine del I e gli inizîdel II sec. d.C. venne ricostruito in marmo il Tempio di Apollo Klàrios e si abbellì di un odèion, che con Adriano fu arricchito verso l'agorà da un ninfeo a due ordini, e poi d'un tempio dedicato ad Antonino e Faustina, d'una basilica, di terme e di un teatro, forse dell'ultimo quarto del II secolo.
Anche a Termesso (v. vol. VII, p. 719) furono costruiti nel corso del II sec. i due templi corinzî; nell'ultimo quarto fu rifatta la scaenae frons del teatro, costruito in epoca ellenistica, sistemato in età augustea e ampliato ancora verso la metà del IV sec., con una capacità di 4.200 posti. Anche gran parte dei sepolcri della necropoli monumentale si data tra gli inizî del II e la metà del IV.
Nella piccola Ariassos, sulla strada tra Attaleia e Sagalasso e oggetto di regolari campagne di scavo negli ultimi anni, il vecchio centro monumentale tardoellenistico, difeso da mura, fu abbellito da un nuovo foro, con le basi di imperatori, da Lucio Vero a Caracalla, e un complesso costituito da ginnasio e terme. Sotto l'ultimo dei Severi fu costruito anche un arco d'accesso a tre fornici ornato di statue. Varie iscrizioni che celebrano giochi dagli inizî del III sec. sino a Gallieno mostrano anche qui la continuità di un'intensa vita civica.
Dopo i Severi il fervore edilizio sembra terminare ovunque. Dalla metà del III sec. iniziano le scorrerie barbariche, dei Goti da Ν e soprattutto degli Isauri da E, che furono respinti solo temporaneamente da Probo, nel 278- 279, e poi da Giuliano, nel 361-363. Un chiaro indizio di queste difficoltà è visibile a Side, dove fu abbandonata la vecchia cinta ellenistica, e, probabilmente attorno al 360, ne fu costruita una nuova che, riutilizzando i muri del teatro e dell'agorà, escludeva più della metà della città del III sec.; anche a Sagalasso la basilica degli inizî del III sec. venne demolita tra la fine del IV e gli inizî del V, e un'altra basilica venne costruita riutilizzando gli elementi di un edificio adrianeo, mentre il Tempio di Apollo Klàrios fu convertito in basilica cristiana.
Nel V sec. si possono scorgere in tutta la Panfilia segnali di ripresa; Side e Perge, divenute capoluogo rispettivamente della Pamphylia Prima e della Pamphylia Secunda, furono anche sedi vescovili, e declineranno definitivamente solo alla fine del VI secolo.
Bibl.: Oltre ai testi già citati per Provincie romane, Asia Minor, v. G. E. Bean, Turkey's Southern Shore. An Archaeological Guide, Londra 1968; id., Ly- cian Turkey, Londra 1978; J. Borchhardt, G. Dobesch (ed.), Akten des II. Internationalen Lykien-Symposions, Wien 1990, Vienna 1993; D. French (ed.), Studies in the History and Topography of Lycia and Pisidia. In memoriam A. S. Hall, Londra 1994. - Per ariassos, myra, sagalassos, xanthos v. le singole voci.
Perge: H. Lauter, Das hellenistische Südtor von Perge, in BJb, CLXXII, 1972, pp. I-Il; A. M. Mansel, Die Nymphäen von Perge, in IstMitt, XXV, 1975, pp. 367-372; C. Roueché, Ploreat Perge, in Images of Authority. Papers Presented to J. Reynolds, Cambridge 1989, pp. 206-228; T. S. Mackay, The Major Sanctuaries of Pamphylia and Cilicia, in ANRW, II, 18, 3, 1990, pp. 2045-2129.
Side: J. Inan, Roman Sculpture in Side, Ankara 1975; O. e U. Atvur, Side. A Guide of the Ancient City and the Museum, Istanbul 1984; J. Nollé, Pamphyli- sche Studien, 6-10, in Chiron, XVII, 1987, pp. 235-265; H. J. Drexhage, Die Kontakte zwischen Side, Alexandria und Ägypten in der römischen Kaiserzeit, 1-3. Jh. η. Chr., in Studien zum antiken Kleinasien, Bonn 1991, pp. 75-90.
(G. Bejor)
Cilicia . - Un aspetto caratteristico di questa provincia, i cui confini furono estremamente instabili fino al tempo di Vespasiano, è costituito da un lungo processo di urbanizzazione. Già Pompeo, nell'ambito dei provvedimenti presi per favorire la sedentarizzazione dei pirati dopo la loro sconfitta, promosse il riordinamento urbanistico di un certo numero di città nel nucleo della Cilicia Campestris (Mallos, Adana, Epiphaneia) e procedette alla nuova fondazione di Soli, ridenominata Pompeiopolis (Plut., Pomp., 28).
Un'intensa politica di urbanizzazione caratterizzò anche il governo del dinasta locale Tarcondimoto I, amico di Pompeo e poi di Antonio, cui fu affidata la zona dell'Amano con le città di Hieropolis-Castabala, Anazarbos e forse Aigai, nonché il predominio su Korykos (presso Kizkalesi) ed Elaioussa (Ayaş), sulla costa della Cilicia Aspera. In quest'ultima regione, l'analisi degli eventi storici risulta di particolare interesse in quanto ricollegabile spesso alle tappe dello sviluppo urbanistico, specie per la dislocazione delle città nell'entroterra táurico compreso tra il Kalykadnos-Gök Su, l'Isauria e la costa, area nota successivamente come Decapoli. Al breve dominio di Cleopatra sulla Trachèia, comprendente probabilmente la zona costiera a E di Anemourion (forse fino ad Afrodisiade) e l'entroterra a N, sembra infatti si possa far risalire la fondazione di due città, chiamate Titiopolis (forse Kalihören) e Domitiopolis (Katranli), in onore di due sostenitori di Antonio (Marcus Titius e Lucius Domitius Aenobarbus). Dopo alterne vicende i possedimenti di Cleopatra passarono ad Archelao di Cappadocia: nei suoi domini furono incluse anche le città costiere di Korykos e Elaioussa, quest'ultima sontuosamente ricostruita e ridenominata Sebaste. M. Antonio Polemone, il nuovo dinasta di Olba, fondò le città di Claudiopolis (Mut) e Dio- caesarea (Uzuncaburç): quest'ultima sorse, subito a O di Olba, intorno al grande Santuario di Zeus Olbios.
Il numero più alto di fondazioni va riconosciuto ad Antioco IV di Commagene, al quale nel 38 Caligola affidò, escluso il piccolo regno di Olba, la Cilicia Aspera: sulla costa, a E di Anemourion, sorsero Iotape (Aydap Iskelesi) e Antiochia sul Kragos (presso Güney Köy); nell'entroterra Philadelphia (Imsiören) e Germanicopolis (Ermenek), in onore di Caligola, Claudio o Nerone.
Verso la fine del I sec. d.C., in concomitanza con la sistemazione, da parte di Vespasiano, della provincia Cilicia, si esaurisce il processo di fondazione delle città.
All'età di Antonino Pio risulta in atto, in base a un'iscrizione (OGIS, 576) rinvenuta a Isauria Vetus, capitale dell'Isauria, la riforma amministrativa (attuata verosimilmente da Adriano) che sancì il distacco dalla Galazia dell'Isauria e della Lycaonia e la loro assegnazione alla Cilicia, che divenne così la provincia delle tre Eparchie di Cilicia, Isauria e Lycaonia, con capitale sempre a Tarso. Quest'ultima in una iscrizione dell'età di Alessandro Severo (OGIS, 578) viene infatti definita metropoli delle tre regioni. Il nome Cilicia venne a indicare la parte orientale della provincia, la Campestris, mentre quello di Isauria indicò la Cilicia Aspera (Plin., Nat. hist., V, 94).
Al periodo di stabilità e progresso che caratterizzò in queste zone l'età imperiale corrispose anche una seconda fase di sviluppo urbanistico, testimoniato dalla maggior parte dei resti attualmente conservati, relativi soprattutto all'edilizia pubblica e religiosa.
L'indagine archeologica, fino a oggi molto limitata, non consente di integrare in maniera organica i resti conservati, né di stabilire collegamenti tra le varie fasi cronologiche dello sviluppo urbano. Dopo le prime ricerche compiute alla fine dell'800 da R. Heberdey e A. Wilhelm, seguite da quelle in Cilicia Aspera effettuate da J. Keil e A. Wilhelm, possono considerarsi fondamentali, ai fini dell'individuazione dei siti e dei loro monumenti, le ricerche epigrafiche condotte nel territorio della Cilicia Aspera da G. E. Bean e Τ. Β. Mitford, e più recentemente da G. Dagron, D. Feissel e J. Marcillet Jaubert, nonché i volumi dedicati alla regione nell'età classica e bizantina da F. Hild e H. Hellenkemper. Agli Studî relativi agli aspetti urbanistico-monumentali di singoli siti o aree specifiche (E. Kirsten, A. Machatshek, A. Peschlow-Bindokat, Th. S. Mackay e altri) non hanno corrisposto adeguati scavi archeologici: vanno comunque ricordati quelli condotti ad Anemourion (E. Alfoldi Rosenbaum e J. Russell) e nella vicina Kelenderis (Zoroğlu), nonché le recenti indagini condotte da O. A. Tasyürek in alcuni siti della Cilicia piana (Pompeiopolis, Anazarbos, Mopsuestia) e nella Cilicia Aspera soprattutto nel territorio di Se/ewaa/Silifke (S. Eyice, Ç. Topçu).
Sulla base di quanto è affiorato non è possibile inquadrare le soluzioni urbanistiche cilicie entro schemi di rigorosa assialità e questo per la dislocazione e per gli orientamenti degli edifici superstiti e per gli andamenti degli assi viari riconoscibili; allo stesso tempo però sono evidenti elementi tipici degli impianti e dell'architettura dei centri microasiatici e siriani. Indicative a tale proposito sono le grandi strade colonnate; a Pompeiopolis e Diocesarea sono ancora ben conservati sia l'aspetto funzionale che quello monumentale di tali strade che erano destinate, nel primo caso, a collegare il centro della città con il porto e, nel secondo, a conferire solennità al percorso d'accesso all'area sacra del Tempio di Zeus Olbios. Ad Anazarbos poi, oltre al cardo, altre strade colonnate dividevano l'area cittadina in diversi quartieri. Tracce di strade colonnate sono presenti anche a Hieropolis-Castabala, Seleucia sul Kalykadnos, Korykos, Anemourion (v.) e Antiochia sul Kragos. Elementi distintivi di tale monumentalizzazione sono l'ordine corinzio e la presenza, a circa metà altezza del fusto/liscio, di mensole iscritte destinate a sostenere statue di personaggi eminenti o appartenenti alla casa imperiale. Strettamente connessa con la presenza delle strade colonnate, quella di archi (spesso di carattere onorario) a un fornice (Korykos, Antiochia sul Kragos) o a tre fornici, come la «Porta d'Onore» di Anazarbos; a Diocesarea, invece, l'accesso orientale alla strada colonnata era solennizzato con un pròpylon.
Poche città conservano testimonianze di fortificazioni romane, spesso oggetto di restauri e rimaneggiamenti in età tardoantica. A Korykos, le mura databili tra il I sec. a.C. e il I d.C. sono state restaurate con materiale di spoglio; ad Anemourion, che conserva ancora tratti databili all'età del principato, le ristrutturazioni risalgono al IV secolo. In molti casi le mura appaiono costruite direttamente in età tardoimperiale, come dimostrano sia il materiale reimpiegato (Karopissos, Elaioussa-Sebaste, Titiopolis) sia le iscrizioni (Anazarbos, Pompeiopolis). La mancanza di mura urbiche di età medio-imperiale fa supporre che all'espansione urbanistica dei centri non abbia fatto riscontro il potenziamento delle fortificazioni, divenute però necessarie in successivi periodi di crisi. Anche le porte urbiche, a parte rare eccezioni come la porta a tre fornici di Diocesarea (II sec.), sono riferibili alla tarda età imperiale o bizantina, come la porta di Tarso nota come «Porta di Paolo» o «Porta di Cleopatra» (Kancik Kapi), unica attestazione della cinta nel tessuto dell'attuale città.
Gli edifici per il culto possono considerarsi tra le più indicative attestazioni dello sviluppo urbanistico delle città cilicie in età romana. In importanti centri ancora non sono stati localizzati i templi indicati da fonti letterarie, epigrafiche o numismatiche: a Tarso oltre dieci, ad Aigai il Santuario di Asclepio, a Hieropolis-Castabala il Santuario di Artemide Perasìa (Strab., XII, 2, 7), a Claudiopolis i templi di Atena Poliàs e Zeus Olympios, a Lamos il tempio dedicato a Vespasiano e Tito. Di alcuni sussistono invece solo pochi resti, spesso reimpiegati in edifici più tardi o trasformati in chiese (Anazarbos, Epiphaneia, Mopsuestia, Iotape, Korykos, Olba-acropoli): a Seleucia è stato oggetto di recenti scavi uno pseudoperiptero del II sec., forse dedicato a Zeus e trasformato nel V sec. in Apostoleion. I templi di età imperiale, specie flavia e antonina, sono abbastanza ben conservati a Diocesarea (Tychàion), Antiochia sul Kragos, Kestros (templi di Vespasiano e Antonino Pio). Nell'area del Korykion Antron l'attività di culto, già attestata per l'età ellenistica, è proseguita in età imperiale come dimostrano resti di edifici e di iscrizioni. Infine a Elaioussa-Sebaste e a Tarso (in loc. Dönüktaş) scarsi resti documentano l'esistenza di importanti santuarî extraurbani, rispettivamente un tempio períptero e uno pseudoperiptero da porre in relazione con il ruolo di Tarso come capitale del Koinòn Kilikìas e datato, in base a recenti ritrovamenti architettonici, all'età antonino-severiana.
Tra i monumenti pubblici, i più attestati sono i teatri, di tipo greco, non particolarmente ampi e posti generalmente nell'area centrale delle città, come è dimostrato a Hieropolis-Castabala, Diocesarea e Anemourion. Quest'ultimo sito è tra i pochi che conserva un odèion/bouleutèrion. Uno stadio e un anfiteatro sono ad Anazarbos.
I complessi termali, attestati in numerosi siti, anche minori, rivelano nella generale uniformità del loro impianto, caratterizzato da una successione di ambienti voltati, l'adozione di tecniche tipicamente romane. Esempî indicativi possono considerarsi il grande edificio termale di Aigai, nonché le due terme di Anemourion.
Scarsamente noti sono i quartieri d'abitazione, la cui estensione è in parte deducibile dalle aree non occupate da edifici pubblici e in parte da attestazioni sporadiche di case private. Una situazione diversa è offerta da Anemourion dove, tra le numerose abitazioni private conservate, ve ne sono anche alcune a due piani, in opera incerta e con copertura a volta.
Una realtà interessante per la comprensione dell'organizzazione sociale ed economica della Cilicia in età imperiale (ma anche per la prima età bizantina) è costituita dalla presenza di villae rusticae e delle attrezzature a esse pertinenti, che recenti ricognizioni (Hild-Hellenkemper, 1986) hanno rivelato specie in Cilicia Aspera tra il Kalykadnos e il Lamos. La frequenza nei rinvenimenti di cisterne, di resti di acquedotti e anche di alcune attrezzature portuali, conferma la diffusione delle infrastrutture che trova riscontro anche nel sistema viario, attestato da pietre miliari, tratti stradali scavati nella roccia, opere di sostruzione e ponti. Il suo sviluppo fu avviato fin dall'età flavia e culminò in età adrianea con la creazione di una fitta rete che si estese, parallelamente allo sviluppo urbanistico, anche alle regioni più impervie della Cilicia Aspera. A Caracalla in particolare deve attribuirsi il potenziamento della Via Tauri, attraverso le Porte Cilicie (CIL, III, 12118).
La Cilicia offre in ambito funerario un ricco panorama per la varietà delle forme, indice della penetrazione, fin nelle aree più remote, della cultura greco-romana che si fuse con le tradizioni locali. Tre le principali classi individuabili: i sarcofagi, le tombe rupestri e i monumenti funerarî. Le attestazioni più significative si sono conservate nella Cilicia Aspera. Nell'area occidentale le tombe sono ricavate in grandi massi isolati; nei siti di Direvli e Làmos (Adanda) è tipica la combinazione di una camera sepolcrale tagliata nella roccia e sormontata da un coperchio displuviato di sarcofago, allineato col lato corto della camera, ossia in corrispondenza della facciata, per creare l'illusione di un prospetto con frontone. Quest'ultimo è decorato con un gorgòneion, un'aquila ad ali spiegate o un busto, presumibilmente del defunto; altri busti, rappresentati o meno entro clipei, fiancheggiano una falsa porta centrale, mentre sul coperchio, oltre agli acroterî, si trovano talvolta anche leoni recumbenti, come è ben visibile in una tomba a Lamos. Le tombe sono databili tra la metà del I sec. e il II (Bean, Mitford, 1970).
L'architettura funeraria dei siti costieri predilige gli edifici funerarî disposti lungo le vie di traffico fuori delle città e organizzati in ampie necropoli. Le più significative possono considerarsi quelle di Anemourion (Alföldi-Rosenbaum, 1971) e di Elaioussa-Sebaste (Machatschek, 1967). Nella prima sono conservati circa 350 edifici voltati, in muratura a pietre irregolari e malta, generalmente intonacata sia all'esterno che all'interno, dove appare assai diffusa la deposizione entro arcosoli. Vi si distinguono tre gruppi principali, il primo, presumibilmente il più antico, costituito da un semplice ambiente voltato, il secondo costituito anch'esso da un sistema voltato, preceduto però da un'ampia anticamera con nicchie, il terzo composto invece da un complesso di camere costruite a ridosso di uno o due edifici principali. Non mancano esempî di monumenti a due piani con nicchie, ricche decorazioni a mosaico e pitture parietali, databili al III sec. e appartenenti per lo più al terzo gruppo. Nelle necropoli di Elaioussa-Sebaste sono esemplificate tutte le classi dei monumenti funerarî e molti sottotipi che possono spiegarsi con i diversi livelli e le varie esigenze della committenza, nonché con il lungo periodo d'impiego delle necropoli. Il gruppo più numeroso di edifici è formato da una serie di tombe a casa in opera cementizia, coperte da volta a botte, oppure voltate internamente e con tetto piano o a doppio spiovente. Particolarmente significative le tombe a tempio, in opera quadrata con prospetti semplici, con una grande nicchia ad arco, oppure colonnati e caratterizzati da una ricca decorazione architettonica. Questi monumenti, e altri simili presenti in siti vicini (Korykos e Kanytelleis) e nell'entroterra olbio compreso tra il Kalykadnos e il Lamos (attuali Demircili, Cambazh, Karabökülü), rientrano nella consolidata tradizione degli heròa funerarî del II-III sec. in Asia Minore e soprattutto in Siria, alla cui costante influenza sulla Cilicia fin dall'età ellenistica sembra si possa far risalire anche la tomba a torre di Demircili, databile intorno al I sec. e caratterizzata da un tetto piramidale con una base per statua sulla sommità.
Nelle necropoli di Elaioussa-Sebaste, Korykos e Kantytelleis è significativa la varietà dei sarcofagi che trova confronti non solo in numerose altre necropoli cilicie, ma anche nella più ampia produzione microasiatica di età romana, in particolare dell'area sud-occidentale. I sarcofagi possono essere fissi, con il fondo non distaccato dalla roccia, oppure a fossa (χοψοσόρι), nonché isolati, posti direttamente sul terreno, su un basamento con o senza gradini, su un basamento con camera funeraria oppure entro una costruzione a edicola. La maggior parte dei sarcofagi è semplice, con casse prive di decorazioni e provviste talvolta di lisce modanature di coronamento e di base; i massicci coperchi displuviati hanno grossi acroterî angolari. Alcune casse presentano la caratteristica decorazione a ghirlanda, in alcuni casi solo sbozzata, e la tabula ansata, spesso fiancheggiata da altri motivi (fiori, corone). Tali motivi ricorrono anche nella vasta necropoli di Adrassos (Balabolu), dove sono caratteristici i grossi leoni recumbenti che occupano l'intera lunghezza dei coperchi e che, diffusi in numerosi altri siti della Cilicia Aspera, sono un motivo tipico dell'area compresa tra l'Isauria, la Licaonia e la Pisidia (Alföldi-Rosenbaum, 1980). Un significativo esempio di sarcofago attico con scene mitologiche della guerra di Troia, databile al tardo II sec. d.C., proviene da Tarso ed è attualmente conservato nel museo di Adana.
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(Β. Pinna Caboni)
PROVINCIE d'ORIENTE. - Nell'ambito delle p. r., possiamo definire per comodità «orientali» quelle dell'Asia Anteriore (Vicino Oriente nel linguaggio degli archeologi, Medio Oriente nel linguaggio corrente). Anche qui, come altrove, si registrarono in età imperiale variazioni di assetto e di confini; talune di queste provincie, inoltre, fecero parte dell'impero romano solo per breve tempo, e in circostanze non sempre sicure e chiare; possiamo tuttavia parlare di Iudaea, Syria et Palaestina (v. vol. VII, p. 576), Armenia (v. vol. I, p. 666), Mesopotamia (v. vol. V, p. 1408), Assyria (v. vol. I, p. 740), Arabia (v. vol. I, p. 530).
Iudaea. - Il territorio di quella che sarebbe divenuta la provincia romana fu unificato ed egemonizzato da Erode il Grande, che ha lasciato una grandiosa testimonianza di sé nella peculiare complessità delle numerose realizzazioni architettoniche e urbanistiche: Herodion, Masada (ν.) e altri siti, in cui fu attuata una vera e propria trasformazione del paesaggio.
Erode era figlio di Antipatro, di famiglia edomita, e di Kypros, una donna nabatea; grazie al matrimonio con Arianna, nipote di Ircano II, egli si legò con la dinastia reale asmonea. Nel 40 a.C. fu proclamato re dal senato romano, ma assunse il potere nel 37 a.C. Fu tra questa data e la sua morte (avvenuta nel 4 a.C., come siamo «costretti» a dire dall'errore di calcolo che è alla base del nostro calendario) che si andò affermando una nuova concezione architettonica, e che le più nuove tecniche e i materiali da costruzione romani penetrarono nel paese. Creando una singolare sintesi fra le nuove tecniche (e ideologie) architettoniche e le più antiche tradizioni decorative ebraiche, egli pose le premesse per lo sviluppo di quella che può essere definita «arte giudaica del periodo del Secondo Tempio»: uno sviluppo che sarebbe in parte proseguito anche con gli immediati successori.
Con l'aiuto romano, Erode aveva unificato tutto il territorio costituito da Giudea, Idumea, Samaria e le città greche; dopo il consolidamento del suo regno in età augustea, egli intraprese i suoi ambiziosi piani edilizî. Con la fondazione di Cesarea Marittima e del suo porto Sebastos, il paese fu fornito di uno scalo notevolissimo, in competizione con l'antico porto fenicio di Tolemaide-'Akko, che sorgeva fuori dai confini del suo regno; al centro della Samaria, Erode costruì la nuova città di Sebaste, per onorare ancora il nome dell'imperatore (Augustus in greco si diceva Sebastos) laddove erano stanziati alcuni suoi veterani.
Nell'intento di riappacificare l'area settentrionale e quella NE (un compito che Augusto aveva assegnato a Erode a partire dal 23 a.C.), la piccola città ellenistica di Panea fu ricostruita e battezzata Caesarea Philippi, da Filippo, figlio di Erode; Agrippa II la abbellì, la rese capitale e la ribattezzò Neronia. Questa città è localizzata dalle fonti sul fiume Giordano: comprendeva la grotta di Panion, dedicata al culto di Pan, e vi fu costruito un tempio dedicato a Nerone (che non è ancora stato oggetto di indagini archeologiche).
Già queste prime fondazioni rivelano come, per la maggior parte, le più importanti città del regno di Erode presero il nome da imperatori romani, mentre le città «minori» e i centri fortificati portavano il nome dei membri della famiglia di Erode. Così Antipatris, in onore di suo padre, fu fondata nella ben irrigata pianura al centro del paese, nel sito dell'ellenistica Pegai, ricca di sorgenti, come dimostra il nome greco. Tel Aphek, l'antica collina che si estende per più di 30 acri e sulla sommità della quale fu costruita Antipatris, è stata ampiamente scavata a partire dal 1972. La città fu costruita da Erode nel 9 a.C. e distrutta dai Romani nel 66 d.C. durante l'avanzata verso Gerusalemme; venne poi ricostruita intorno al 200 d.C. Al periodo di Erode risale una strada, fiancheggiata da botteghe e da officine per metalli, situata al centro della città. Pavimentata in origine con ciottoli legati da stucco, all'epoca di Agrippa I venne ripavimentata con lastre di pietra, e ampliata in età tardo-romana fino a raggiungere 8 m di larghezza. Era posta in collegamento con il cardo, anch'esso pavimentato con lastre. Nell'intersezione di esso con il decumanus sorgeva il foro, al quale si accedeva da una porta monumentale a quattro arcate; lastricato e circondato da colonne, esso si estendeva su un'area di circa 2.000 m2. Sul lato E era situato un edificio pubblico di cui non è stata accertata la natura. All'estremità meridionale del cardo era un piccolo odeon, la cui costruzione, apparentemente, non fu portata a termine.
In onore di sua madre, Erode costruì la fortezza di Kypros, situata nella regione di Gerico, mentre Phasaelis, in onore del fratello, fu fondata a Ν della stessa Gerico, nella fertile valle del Giordano, zona di ricche piantagioni. Alexandrien era una fortezza costruita da Alessandro, figlio di Aristobulo, «una delle fortezze più riccamente allestite, situata su un alto monte» (FI. Ioseph., Bell. lud., I, 134). Erode la ricostruì in modo da potervi ospitare illustri visitatori, quali Marco Agrippa: è stata identificata con la montagna di Qarn Sarṭaba, che si affaccia sulla valle del Giordano. Il sito, che è stato oggetto di ricognizione e in parte scavato, ha rivelato i resti di un'imponente fortificazione e una struttura a peristilio pavimentata a mosaico, probabilmente parte del palazzo costruito da Erode.
Oltre a costruire città, villaggi e fortezze, Erode conferì un nuovo assetto e una nuova rilevanza architettonica anche a quei luoghi che fin dall'antichità erano venerati come sacri, sia all'esterno sia all'interno delle città. Alla prima categoria appartiene il recinto Ramat el-Khalīl, 3 km a Ν di Hebron, presso cui la maggior parte degli studiosi pone il sito del «Terebinto di Abramo» nominato per la prima volta da Flavio Giuseppe (Bell. lud., IV, 533), poi nella Mišnā e più tardi anche nel Talmud palestinese. Una strada pavimentata, lunga 446 m, conduce al muro occidentale di un largo recinto, dove un tempo era situato l'ingresso principale, fiancheggiato da due torri; un secondo ingresso si trovava a N. Le mura furono in parte costruite con grandi blocchi di pietra, con le facce a vista non finite: una sorta di bugnato, tipico dell'architettura erodiana. Il recinto erodiano fu distrutto dai Romani nel 68 d.C. Adriano (durante il viaggio da Gerusalemme a Gaza, nel 130 d.C.) dispose la costruzione di nuove mura, nonché di un sacello, adiacente al muro orientale, decorato con capitelli corinzî, dedicato al culto di Hermes e Dioniso. Nel IV sec. nel sito fu costruita una basilica cristiana. Dovevano esservi, tuttavia, fasi molto anteriori: già Flavio Giuseppe affermava che il santuario era molto antico e che era stato fondato quando fu costruita la città di Hebron. Peraltro nel sito sono stati rinvenuti indizi di occupazione del Medio Bronzo e dell'Età del Ferro.
Al centro dell'attuale città di Hebron è situato il Ḥaram (cioè il santuario) di el-Khalīl (il prediletto da Dio, uno dei nomi di Abramo in arabo). Il recinto sacro di Hebron è notevolissimo, sia per perfezione tecnica, sia per stato di conservazione. Recenti ricerche consentono di apprezzare nella giusta misura sia l'abilità dell'architetto che l'ha concepito, sia il lavoro dei costruttori che realizzarono il progetto. Il períbolo misura 59 X 5 X 33,99 m, con differenze di 2-4 mm nella lunghezza dei muri. In questi furono impiegati blocchi di pietra estremamente grandi, decorati con bugne piatte e bordi, uno dei quali misura 7,5 X 5 m. All'esterno le mura, alte 18-20 m e larghe 2,65 m, erano decorate con pilastri piatti. In antico, questo era un monumento isolato di fronte all'Hebron di Erode. Gli attuali tre ingressi sono tre brecce praticate nel muro in tempi relativamente recenti, mentre l'ingresso originale era a O. Questo ingresso è adesso sbarrato dalla moschea (con cenotafio) di Giuseppe; la monumentale scala islamica conduce a moschee costruite in epoche diverse. Il pavimento del peribolo, costituito da grandi lastre di pietra, risale all'età di Erode. All'interno sono i cenotafi di Abramo e Sara, Giacobbe e Lia, Isacco e Rebecca. Sono pure compresi entro il recinto resti di chiese bizantine e dell'epoca delle Crociate. Sotto il recinto sono altri resti scoperti solo di recente: sedici scalini conducono a un corridoio lungo 17,60 m, che conduce a sua volta a un ambiente (3,65 X 2,89-2,97 m), agli angoli del quale sono collocate due piccole stele; tracce di una stele più grande (0,80 X 1,90 m) furono rinvenute sul muro Ν dell'ambiente stesso. Quest'ultimo, che è stato usato anche come moschea, era costruito con pietre di grandi dimensioni (1,36 m, altezza del primo filare). Un passaggio conduce infine da quest'ambiente a una grotta, oggi in parte riempita: sembra trattarsi della grotta di Macpela, nella quale riposavano i patriarchi. I progettisti dell'edificio sopra la grotta di Macpela, secondo D. Chen (che ha condotto recenti Studî sul monumento), «conoscevano la soluzione di uno dei più affascinanti problemi matematici del loro tempo, e nella ricerca di armonia e perfezione, la realizzarono nell'edificio eretto per indicare le tombe di Abramo...». Le misure del recinto sacro sono di 59,05 X 33,99 m, ovvero 200 X 115 piedi romani. La ratio tra questi due numeri è rispettivamente 1,737 e 1,739, entrambi pressoché equivalenti allo studio di Archimede sulla proposta III della Circuli dimensio, dalla quale risulta la radice quadrata di 3, pari a 1,732. Proporzioni conformi alle regole di Archimede sono state osservate anche nelle dimensioni di altri elementi del recinto sacro.
Durante tutto il periodo del regno di Erode, esistevano solamente due città intese nel vero senso della parola: Gerusalemme e Cesarea Marittima, che rappresentavano la suddivisione del regno in due entità: una giudaica, l'altra fortemente ellenizzata. Il resto del territorio era diviso in toparchie, ciascuna delle quali era costituita da un certo numero di piccole città e villaggi. La sede dello stratego di una toparchia era presso una di queste cittadine, o in una fortezza reale. Attorno a Gerusalemme (che si chiamava Orine, la «montagna» del re), erano le toparchie di Beth Zur (a S), che era amministrata da Herodion (v.); di Gerico (v.) a E; e (a SO di questa) di Betholethephe (di cui finora sappiamo molto poco). Altre erano Emmaus, Lydda, Thamna, tutte a NO della città. Gopha e Akraba erano a N, e Joppa e Jamnia lungo la costa del Mediterraneo. Poi venivano le due toparchie della Idumea, la parte occidentale della quale era amministrata da Marissa, mentre quella orientale da Engeddi. L'organizzazione della Pernea, il distretto giudaico a E del Giordano, non è ben conosciuta, ma sappiamo che nella valle settentrionale del Giordano era situata Iulias (chiamata anche Livias) e nella parte meridionale Abilia. La capitale della Perea era Gadara. La metà occidentale della bassa Galilea era amministrata da Sepphoris; Araba è poco nota. L'amministrazione dell'alta Galilea è ignota.
Le città greche, la maggior parte delle quali molto antiche, avevano i diritti di una pòlis ed erano amministrate da funzionari eletti da un consiglio cittadino. Queste città erano Gaza e, da questa dipendenti, Anthedon, Apollonia, Gadara, Hippos e Paneas. Erode stesso fondò Cesarea, Sebaste e Antipatris. Il re governava queste città tramite uno stratego, il cui compito era garantire l'ordine e la sicurezza. Oltre a città e villaggi, Erode costruì anche un gran numero di fortezze, per proteggere il suo dominio sia dai dissensi interni sia dal suo più potente nemico straniero: i Nabatei. A E del Giordano Erode stanziò veterani a Ḥešbon e a Macheronte (v.), entrambe vicino al confine settentrionale del regno dei Nabatei (in tutti e due i siti, gli scavi hanno rivelato resti del periodo del Secondo Tempio). A Hyrcania erano situati una prigione, una piazza per le esecuzioni e un luogo per sepolture segrete disposte da Erode; nel deserto a oriente di Betlemme era collocata una fortezza costruita da Alessandro Ianneo e potenziata da Erode, in cui si sono rinvenuti i resti di un muro e di un acquedotto romano.
La fortezza di Kypros fu costruita per proteggere Gerico; una fortezza era già stata costruita in questo sito dagli Asmonei. La sommità del monte, di ridotta estensione, fu allargata mediante la costruzione di muri di contenimento che sostenevano il palazzo superiore. Le pareti di questo palazzo erano decorate con affreschi suddivisi in pannelli colorati; i capitelli, corinzi, erano rivestiti con una lamina d'oro. Il palazzo superiore comprendeva anche delle terme. Al di sotto della sommità, a un livello lievemente inferiore, vi erano anche un edificio di servizio e altre terme, in cui il calidarium era decorato con mosaici multicolori a disegni geometrici, e aveva le pareti dipinte e decorate a stucco; nel tepidarium, decorato con opus sedile, furono rinvenute vasche da bagno in terracotta.
La provincia romana, erede del regno di Erode, fu fondata nel 6 d.C. e fino al 73/74 fu governata da praefecti la cui capitale era a Cesarea Marittima (un'iscrizione rinvenuta proprio qui e menzionante Ponzio Pilato, rivela che il titolo del rappresentante romano era appunto quello di prefetto, e non di procuratore come si pensava); nel 75 divenne provincia imperiale (governata da un legatus Augusti pro praetore), e tale rimase fino allo scoppio della guerra di Bar Kochba nel 132. Nel 135 divenne parte della provincia Syria et Palaestina.
La Iudaea comprendeva anche la maggior parte del territorio a O del Giordano: lungo la costa, da Dora a Ν fino alla città indipendente di Ascalona a S. Il territorio di Bet Šĕ'an- Scythopolis, a S del mare di Galilea, apparteneva alla Decapoli, le altre città della quale erano a E del Giordano. A E del Giordano appartenevano alla provincia il territorio della Perea, vicino al fiume stesso, i territori delle città di Cesarea di Fenicia, Hippos e Gadara, così come i distretti di Batanaea, Trachonitis e Auranitis.
Da un punto di vista culturale vi era una notevole differenza tra la pianura costiera e l'interno del paese: nella prima erano le città autonome, o precedentemente autonome, maggiormente aperte alle influenze culturali provenienti dall'occidente; a queste si contrapponeva l'interno del paese che comprendeva la Galilea centrale e orientale, la Samaria e la Giudea, con Gerusalemme, l'antica capitale, come centro. L'Idumea costituiva il distretto più meridionale della provincia. Sul piano monumentale, il duplice carattere della provincia è rispecchiato da Gerusalemme e Cesarea.
La Gerusalemme (v.) di età romana è abbastanza conosciuta sia sulla base delle opere di Flavio Giuseppe (che la descrisse all'epoca della sua conquista e distruzione da parte di Tito), sia per le scoperte degli ultimi anni. Nel periodo erodiano la città si estese verso Ν e al tempo di Giuseppe occupava due colline, quella più occidentale, su cui sorgeva la città alta, e la collina inferiore, separata dalla prima dalla Valle del tyropoèon («Valle dei fabbricanti di formaggio»). A Ν di entrambe sorgevano la fortezza Akra, sostituita in età romana dalla Antonia, e il nuovo suburbio di Bezetha. Questa città, secondo Flavio Giuseppe, era difesa da tre cinte di mura (la terza cinta, mai completata, fu costruita da Agrippa), ma la più grande opera architettonica di Gerusalemme era il tempio costruito da Erode.
Allo stesso periodo appartiene un edificio che si estende su un'area di 200 m2, con gli ambienti raggruppati sui quattro lati di un cortile; abbondanti sono stati i rinvenimenti di materiali, soprattutto ceramica fine del primo periodo romano. Ancora più grande era una casa di poco più tarda di dimensioni paragonabili a quelle di un palazzo (600 m2; i muri erano rivestiti con stucchi e affreschi. Lo stucco era decorato con un'imitazione di muratura a blocchi, il soffitto era ornato con un kỳma a ovoli e punte di lancia con cerchi intersecati, mentre gli affreschi presentano una decorazione di tipo «architettonico», paragonabile a quella del secondo stile pompeiano. Alcuni ambienti erano decorati con pavimenti a mosaico, con semplici motivi geometrici e rosette. Di grande bellezza era il mobilio di pietra lucida del tipo comune nelle città romane, ma senza i motivi contrari alla sensibilità degli ebrei osservanti. Infine la «Casa bruciata»: numerosi pesi, vasi di pietra da usare come unità di misura e una matrice per coniare monete indicano che si trattava della casa di un ricco. Un'iscrizione su uno dei pesi ha permesso di identificare il proprietario come Bar Kathros, noto anche da fonti giudaiche come membro di una famiglia di sacerdoti famosa per aver oppresso il popolo; durante l'assedio di Tito la casa fu bruciata e i suoi abitanti morirono con le armi in pugno. In essa è stato trovato un bel capitello corinzio dell'inizio del I sec. d.C. decorato con le consuete foglie di acanto e con i gigli. In tutte le opere d'arte rinvenute nella città alta si nota una decorazione esclusivamente geometrica e architettonica, come prescritto dalla legge biblica.
Cesarea fu fondata da Erode sul luogo della preesistente città fenicia, la «Torre di Stratone», donatagli da Augusto nel 22 a.C. Alcune parti del porto di Cesarea sono state ritrovate in anni recenti dagli archeologi subacquei. Oltre a questo, Flavio Giuseppe (Bell. lud., I, 408-415) menziona anche un tempio di Cesare, notevole per la sua bellezza e per le grandi proporzioni; conteneva una statua colossale dell'imperatore, non inferiore allo Zeus di Olimpia, che gli servì da modello, e un'altra di Roma, che poteva rivaleggiare con l’Hera di Argo.
L'area del porto è stata indagata sia dalla parte del mare che da quella di terra. Sulla terraferma, di fronte al moderno porto di pescatori, sono stati rinvenuti estesi tratti di un podio, apparentemente del Tempio di Augusto e Roma. Essi consistono in una struttura alta e massiccia contenente numerose celle riempite artificialmente. All'esterno, questi muri erano decorati con nicchie stuccate e dipinte. La parte meridionale di questo elevato era costituita da una fila di quattordici, e forse più, ambienti con copertura a volta, che si aprivano sul porto: si trattava probabilmente di horrea. Uno di questi ambienti, datato con sicurezza (per quanto riguarda la prima fase) all'età erodiana, fu trasformato in mitreo, come indicato dal corredo in esso trovato e da resti di affreschi con raffigurazione del cielo.
Nel teatro i muri erano decorati con intonaco dipinto a imitazione del marmo, primo esempio di questo genere di decorazione nella provincia; la scaenae frons era in stile ellenistico. Nel II sec. d.C. la scaenae frons e il pulpitum furono rifatti, così come la cavea, che venne ricostruita molte volte nei secoli successivi. Nel III sec. d.C. dietro alla scena fu aggiunta una piattaforma semicircolare, soluzione che ricorda una sistemazione analoga del teatro di Dugga nel Nordafrica. In età tardo-imperiale l'orchestra fu trasformata in columbetra per giochi nautici, del tipo rinvenuto anche nei teatri di Atene e Corinto. L'orchestra nel periodo erodiano era in pietra rivestita di stucco, pavimentata nel II-III sec. in marmo decorato con disegni floreali, di delicata fattura. È degno di nota il fatto che anche in questa città parzialmente pagana Erode si astenne dall'uso di elementi offensivi per i giudei.
Il palazzo di Erode è stato ipoteticamente localizzato su un promontorio a O dei teatri: qui fu tagliata nella roccia un'ampia piscina (18 X 35 m) circondata da un peristilio, come quelle dei palazzi dello stesso Erode a Gerico.
Nell'estremità NE dell'area urbana fu riconosciuto, grazie alla fotografia aerea e alla ricognizione del terreno, l'anfiteatro, la cui costruzione viene attribuita a Erode. La depressione dell'anfiteatro misura 60 m sull'asse E-O, e 95 sull'asse N-S: l'edificio era quindi più grande del Colosseo di Roma. L'alzato della cavea fu saccheggiato in antico; tuttavia nella parte bassa dell'edificio furono rinvenute le fondazioni di venti file di sedili. L'anfiteatro poteva contenere circa 60.000 spettatori.
A SE della città è situato l'ippodromo, lungo 450 m e largo 90, databile alla seconda metà del II sec. d.C. La cavea era sostenuta da una serie di volte. I carceres sul lato Ν offrivano spazi per dodici pariglie di cavalli. I tre coni di pietra che costituivano la meta secunda, alta 27 m, erano di granito rosso di Assuan.
Le diverse spedizioni che hanno lavorato a Cesarea hanno rinvenuto opere statuarie di notevole livello: una di queste è una statua di marmo, di grandezza superiore al naturale, della Tyche di Cesarea, col dio Sebastos ai suoi piedi. Una moneta di Faustina Minore fornisce indicazioni sia per la datazione, sia per la ricostruzione delle parti mancanti, quali il remo che ella teneva nella mano destra, o la corona turrita sul capo. Un'altra statua notevole (anche se acefala), trovata nel teatro, è un'Artemide Efesia databile nel III sec. d.C. decorata con numerosi simboli di fertilità.
Il sito di Sepphoris è menzionato per la prima volta all'epoca di Alessandro Ianneo (104-78 a.C.); dopo la conquista della Palestina da parte di Pompeo, Gabinio ne fece il centro amministrativo (synedrìa) della Galilea; al tempo di Erode la città divenne il centro della toparchia della metà occidentale della Bassa Galilea. Erode Antipa infine la fortificò, collocando qui la capitale della regione. Sepphoris fu fedele ai Romani durante la guerra giudaica e fu per questo ricompensata da Vespasiano con la concessione dei diritti municipali: divenne anche un importante centro giudaico, e, per qualche tempo, la sede del Sinedrio. Adriano ribattezzò la città Diocaesarea, e vi fece innalzare un tempio dedicato alla Triade Capitolina: monete della zecca autonoma di Diocaesarea offrono le immagini di un tempio con diverse divinità, fra cui, appunto, la Triade stessa. Nel V sec. d.C. la città aveva inoltre una significativa funzione militare.
I primi scavi nel sito furono eseguiti nel 1931: la maggior parte del materiale architettonico era stato riutilizzato nella costruzione della cittadella dei crociati; sul pendio, in basso fu rinvenuto un teatro di epoca romana, che poteva contenere da quattro a cinquemila spettatori. Furono rinvenuti anche i resti di un acquedotto, di un tunnel e di cisterne, parte di un sistema di approvvigionamento idrico piuttosto complesso di età romana. Dal 1986 si sta scavando la parte alta della città: la scoperta più importante è l'ala occidentale di un edificio monumentale, databile all'incirca nel III sec. d.C. Nel suo triclinio centrale c'è un pavimento a mosaico (2,60 X 6,90 m) di ottima fattura: un pannello centrale, raffigurante un simposio con Dioniso ed Eracle, è circondato da dodici pannelli più piccoli, con le vittorie di Dioniso; sui lati vi sono due medaglioni con ritratti di giovani donne, superbamente eseguiti. Ai lati del campo principale è un pannello oblungo con una processione di persone che portano prodotti agricoli e altro. Si tratta di un mosaico fuori del comune, testimonianza dello spessore e della ricchezza della cultura greco-romana anche nel centro della Galilea giudaica.
La città di Tiberiade (v.), situata vicino al lago omonimo, ricca di sorgenti calde, fu fondata da Erode Antipa nel 18 d.C., per onorare il nome dell'imperatore Tiberio. Edificata sopra un antico cimitero, e perciò vietata agli ebrei, fu all'inizio popolata da liberti e soldati, ma anche da poveri e diseredati. Dall'epoca di Vespasiano divenne una città autonoma, con diritto di coniare moneta; durante il I sec. d.C. divenne la capitale della Galilea; fu data ad Agrippa II da Nerone nel 61 d.C. Sede di una scuola rabbinica, fu qui che per l'ultima volta si adunò il Sinedrio e furono codificati la Mišnā e il Talmud palestinese.
A Ν di Tiberiade è Cafarnao (v.), nella quale erano una sinagoga ebraica e una grande chiesa cristiana ottagonale, situate l'una di fronte all'altra. La sinagoga (v.) è rappresentativa di un gran numero di sinagoghe, conosciute come «tipo Galilea». Se non fosse per i dettagli della pianta o per i simboli specificamente ebraici o per le iscrizioni, l'identificazione di questi edifici come sinagoghe potrebbe essere molto ardua. La sinagoga di Cafarnao e le altre del «tipo Galilea» erano state datate nel II e III sec. d.C., ma recenti scavi hanno suggerito di spostare tale datazione alla fine del IV.
Beisan (Bet Šĕ'an) è una delle più antiche città della Palestina e una delle poche che non siano mai state abbandonate; sotto i Tolemei cambiò il nome in Scythopolis, sotto i Seleucidi le fu aggiunto il nome di Nysa, in onore di una principessa della famiglia reale; poiché questo era anche il nome della nutrice di Dioniso, essa assunse quest'ultimo come divinità protettrice. Alcuni resti dell'età ellenistica e della prima età romana sono stati da tempo individuati sulle pendici dell'antica collina di Beisan; solo di recente sono iniziate le ricerche, rapidamente intensificatesi, relative alla Scythopolis di piena età imperiale. Una delle principali vie colonnate della città (larga 7,2 m) aveva origine ai piedi dell'antica collina e si dirigeva verso SO. Nel suo stato attuale è databile nella tarda età romana, ma è stata ritrovata sotto di essa una strada più antica i cui portici erano pavimentati a mosaico. All'estremità settentrionale della strada, una larga scalinata conduceva a un odeon (m 15 X 23), solo parzialmente scavato; tra le sue rovine si è trovata una statua di Hermes, di età romana. All'opposta estremità meridionale, invece, la strada termina con il teatro, di età severiana, con la scaenae frons lunga 90 m, la cavea soltanto 70. Sui lati del palcoscenico erano torri quadrate con scale; la scaenae frons (il cui muro di fondo si articolava in nicchie circolari e rettangolari) presentava fregi decorati con girali di acanto da cui emergono divinità, animali e figure mitologiche. Nella cavea, e più precisamente nel muro della praecinctio che divideva i due principali ordini di gradinate, sono praticate ampie nicchie: si è ipotizzato che fossero destinate a ospitare conche di bronzo, parte di un raffinato sistema acustico che fu descritto da Vitruvio, ma di cui finora è questa l'unica testimonianza rinvenuta. Il teatro aveva una capacità di 8.000 spettatori; in esso sono state trovate una grande statua di Apollo e una di Tyche.
All'estremità settentrionale della strada, a E di essa, si allineavano alcuni dei più importanti edifici di Scythopolis: tra questi un tempio, di cui è stata ricostruita la facciata a timpano, con quattro imponenti colonne (alte 9,5 m, diametro 1,3 m). Davanti al tempio era un piazzale con nicchie esagonali, in cui erano posti alcuni altari: al centro è stata rinvenuta una base di statua, con una dedica a Marco Aurelio (oppure Caracalla, oppure Eliogabalo: l'onomastica non è conservata in maniera completa). Il tempio si ergeva su un podio, in parte impiantato su una volta di basalto; al prostilo davano accesso larghi scalini; la cella era semicircolare, col diametro esterno di 8,25 m. Nella forma questo tempio ricorda quello di Venere a Eliopoli, in Fenicia; era forse dedicato a Dioniso. A S del tempio è situata un'altra struttura monumentale; la parte frontale della struttura circolare sosteneva sottili colonne con capitelli corinzi; alla fine del IV sec. questa struttura fu trasformata in ninfeo documentato da un'iscrizione. Adiacente al monumento centrale verso NE era la basilica, solo parzialmente scavata: larga 28 m, lunga 50, ha l'abside (5,3 m) sul lato N. Tra le rovine della basilica si è rinvenuto un altare esagonale, con una dedica a «Dioniso fondatore», datata al 12 d.C., che costituisce la più antica iscrizione rinvenuta a Scythopolis; la basilica è databile tra la fine del I e l'inizio del II sec. d.C. All'estremità meridionale dell'area dell'antica città si è trovato un anfiteatro costruito nel II sec. d.C.; le sue misure esterne sono di 67 X 103 m, mentre all'interno l'arena misura 48 X 83 m. A differenza di tutti gli altri anfiteatri romani, che sono ovali, la forma dell'anfiteatro di Scythopolis si avvicina al rettangolo; la capienza è di 5.000/7.000 spettatori.
Nel sito dell'antica Samaria, la capitale del regno di Israele, in età ellenistica esisteva una piccola città fortificata; dopo la conquista romana le mura furono restaurate ai tempi di Gabinio; Erode ribattezzò la città Sebaste, in onore dell'imperatore, e anche qui diede grande impulso all'attività edilizia. La città era cinta da mura con torri quadrate; la porta principale, difesa da torri rotonde, era a occidente. Dalla porta una via colonnata lunga c.a 800 m, si dirigeva verso E; parallela a questa, immediatamente a N, era un'altra strada, sul cui lato settentrionale era situato il foro con l'annessa basilica. A O di questi ultimi sorgeva l'acropoli, sulla quale Erode innalzò un tempio dedicato ad Augusto; il tempio fu ricostruito ai tempi di Settimio Severo, al quale appartengono la scalinata e il grande altare nel cortile. A Ν dell'Augusteo furono rinvenuti i resti del Tempio di Kore (35 X 15,5 m), situato in un ampio cortile (84 X 45 m), identificato grazie a un'iscrizione votiva. Nella zona NE della città era lo stadio, delimitato da quattro portici con colonne doriche e muri stuccati e dipinti: in una cisterna dello stadio stesso sono state rinvenute una statua di Kore e iscrizioni greche a lei dedicate. Ai piedi dell'acropoli si trovano i resti di un teatro dell'inizio del III sec. d.C., di 65 m di diametro. Oltre alle statue già nominate, furono trovate anche statue di Ercole, di Dioniso e di Apollo.
Per il ruolo di pacificazione svolto dalle città della regione durante e dopo la guerra giudaica, Roma concesse a queste pieni diritti municipali. In tale contesto, il territorio dei Samaritani fu trasformato in una città chiamata Flavia Neapolis, presso il sito dell'antica Sichern, dove è stata costruita la città moderna di Nablus (nome che deriva da quello della città romana). Nell'ultimo decennio sono stati riportati alla luce i resti del teatro, con una capacità di 6.000/7.000 spettatori, che sorge sopra la città; nella cavea, parzialmente conservata, i sedili recano iscrizioni con nomi di tribù, come φυλη ηρακλειδος, e numeri (lettere dell'alfabeto greco). Il teatro è databile all'età di Antonino Pio o di Marco Aurelio; la decorazione architettonica è stata reimpiegata in edifici moderni. Nella città bassa sono stati scoperti i resti di un ippodromo; all'esterno del perimetro urbano si trovano mausolei riccamente decorati, alcuni con mosaici, databili al III e al IV sec. d.C.
Secondo Flavio Giuseppe (Bell. lud., III, 55; IV, 402) Engeddi era il principale centro dell'Idumea orientale. La posizione è apparentemente poco idonea, ma era evidentemente determinata dal fatto che si trattava di un'area di ricche piantagioni di opobalsamum (balsamo) e di palme. Nel 200 d.C. Settimio Severo unì il territorio di Engeddi alla città di Eleutheropolis (Bet Gubrin); nel IV sec. apparteneva alla regione chiamata Daroma, in cui sorgevano numerosi grossi villaggi. Resti di fortificazioni costruite sulla sommità della collinetta di Engeddi sono da attribuirsi all'età ellenistica e all'inizio dell'età romana. Vicino alla collina si trovano i resti di un grande edificio termale, probabilmente appartenente alla guarnigione romana del sito. Una delle scoperte più importanti è una sinagoga databile al tardo II sec. o al III, restaurata nel V: in entrambe le fasi, aveva pavimenti decorati con mosaici di eccellente fattura. La piccola sinagoga più antica aveva un pavimento a mosaico bianco, con una svastica, comune simbolo apotropaico; la sinagoga più recente, molto più grande, aveva un grande mosaico geometrico, con al centro un emblema decorato con una coppia di uccelli; vicino al posto dell'Arca della Legge era un piccolo tappeto musivo con un uccello al centro e tre piccoli candelabri a sette braccia (mĕnorat). Interessante è la decorazione dell'ala occidentale, nella quale le usuali rappresentazioni figurate sono sostituite da iscrizioni ebraiche e aramaiche. Mentre nelle città più grandi, come Cesarea Marittima o Gaza, si sviluppavano l'una accanto all'altra comunità pagane, giudaiche (talora anche samaritane) e cristiane, la campagna era viceversa suddivisa tra le diverse fedi: la Galilea centrale e orientale, con l'adiacente Gaulanitide, era fondamentalmente giudaica; sulle rive del lago di Tiberiade, la culla della cristianità, si trova la cittadina mista di Cafarnao, ma in genere si hanno piccole città giudaiche accanto ad altre cristiane.
Il confine meridionale del regno di Erode, e poi della provincia romana, si estendeva lungo la pianura di Bĕ'er Šeba’. La pianura è di per sé un limite geografico tra le colline di Giudea e le montagne del Negev centrale. È dunque un confine geografico nel quale una regione con un piovosità di 300 mm divide le colline della Giudea, in cui la piovosità supera i 600 mm, dal deserto del Negev, in cui la piovosità media annua non supera i 100 mm. Se esistesse o meno un sistema di limes, spesso definito limes erodiano o flavio, che separava il territorio settentrionale da quello meridionale è un problema molto dibattuto. Ciò che è sicuro è che dall'Età del Ferro in poi esistevano fortezze reali a Bĕ'er Šeba’ (ν.) e ad 'Arad (v.), a protezione rispettivamente della parte occidentale e di quella orientale della pianura. Le fortezze di età ellenistica e della prima età romana erano situate sulla sommità della collina, e intorno a questa erano varí edifici di servizio. La menzione della guarnigione di Bĕ'er Šeba’nella Notitia Dignitatum e nei papiri di Nessana (v. negev) può essere addotta come prova della sua perdurante importanza fino alla fine dell'età bizantina.
'Arad non è menzionata dalle fonti di età romana, ma a SE è situato il Tell Malhata, identificato con Malatha, menzionata nelle stesse fonti come la Bĕ'er Šeba’ romana. Infatti sono state lì rinvenute fortezze di età romana e bizantina. Di particolare importanza in tutto il sistema di difesa del dominio di Erode era la cittadella di Ḥorvat Aro'er, identificata con la Aroer biblica, situata 14 km a SE di Bĕ'er Šeba’, all'estremità meridionale della pianura, sulle colline ai piedi delle montagne del Negev centrale, a NO di Mampsis (v.), Erode fortificò il sito contro i Nabatei. Sull'acropoli, scavi recenti hanno messo in luce una poderosa fortezza (il cui muro Ν è lungo 40 m e spesso 1,40 m), le cui mura, stuccate all'esterno e all'interno, erano costruite con pietre robustissime, che recavano le inconfondibili bugne erodiane. All'interno della fortezza era una torre con quattro ambienti; fuori erano resti di altri edifici non identificabili con precisione. La distruzione di questo edificio, dovuta a un incendio, è assegnata all'età di Adriano. Oltre ai più importanti centri militari e amministrativi summenzionati, anche altre fortezze più piccole e torri di controllo proteggevano la pianura di Bĕ'er Šeba’ contro i Nabatei e le incursioni di altre tribù del deserto. Fu l'annessione del regno dei Nabatei all'impero romano a determinare la perdita, per questa zona di confine, della sua funzione più immediata.
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Syria et Palaestina. - Sulla Syria romana le informazioni sono oggi ampie, anche se mancano ancora Studî di sintesi. Scavi ed esplorazioni hanno considerevolmente arricchito la documentazione disponibile; archeologia, epigrafia e numismatica hanno dato luogo a numerose pubblicazioni, mentre la reinterpretazione delle fonti e dei testi letterari antichi ha consentito di chiarire meglio i caratteri della presenza romana nell'Oriente siriano e alcuni degli aspetti più significativi della cultura artistica della provincia.
Punto di incontro delle civiltà semitiche della Fenicia, Palestina, Mesopotamia e Arabia, la Siria presenta una situazione storica estremamente complessa, tale che la sua unità politica d'insieme è sempre imposta dall'alto dalle varie dominazioni straniere.
Dal punto di vista culturale si devono rilevare, tuttavia, accanto a numerose differenze e ad altrettanti particolarismi, due potenti fattori unitari, la religione e la lingua, che danno una certa consistenza all'entità siriana. Mentre le iscrizioni dei luoghi più esplorati hanno documentato inequivocabilmente la sopravvivenza delle antiche forme religiose semitiche (a Palmira, Edessa, Bostra, ecc.), la frequenza, in tutta l'area, di documenti in aramaico attesta, nell'uso comune di una lingua veicolare e malgrado l'adozione generalizzata del greco e di motivi e forme artistiche greche, la vitalità di una cultura ancora essenzialmente semitica. Questo è dovuto al carattere composito delle strutture associative e, in particolare, alla sopravvivenza in Siria di espressioni tradizionali, quali, p.es., la cultura del villaggio. È noto che la coabitazione fra greco-macedoni e Siriani ha trovato il suo fondamentale equilibrio nello sviluppo urbano e nell'adesione dei cittadini indigeni alle formule della pòlis, elemento incontestabile di unificazione fra le componenti etniche e linguistiche e fra le differenti regioni dell'Oriente siriano. Ma l'indagine archeologica degli ultimi decenni ha confermato l'ampiezza di un fenomeno già rilevato, e cioè come, accanto all'evoluzione delle forme di vita cittadina, permangano in tutto il territorio, costituendo un fondo culturale di importanza vitale, forme associative più antiche, autoctone, legate all'abitato rurale e all'agricoltura, che costituisce in Siria l'attività produttiva fondamentale assieme al commercio carovaniero. La maggiore conoscenza della regione ha permesso di constatare come, anche durante la dominazione romana, il territorio siriano, l'Arabia settentrionale e la Palestina siano sede di una vita rurale intensa, e come il paese sia largamente popolato. Il forte desiderio di autonomia e le spinte centrifughe che vengono dalle società dei villaggi tendono inoltre a realizzarsi, al di fuori delle istituzioni della pòlis, nella sopravvivenza dei santuarî che talora assurgono a dimensione di veri e propri stati sarcedotali: il Santuario di Zeus a Baitokaike, presso la città di Arado sulla costa fenicia settentrionale e, nella Siria del Nord, Hierapolis-Bambyke sede del culto della Dea Siria, destinato in età imperiale romana a una funzione internazionale. Al momento della conquista di Pompeo, il progressivo deperimento della monarchia seleucide aveva permesso il ristabilirsi nel territorio siriano di una situazione analoga a quella del I millennio a.C.: mancanza di un'autorità unificatrice, esistenza di forme politiche varie e, in tutti i casi, un frazionamento estremo, meno sensibile nella parte meridionale dove i tre regni degli Asmonei, Iturei e Nabatei costituivano importanti punti di riferimento, ma molto più sensibile nella parte settentrionale.
L'organizzazione romana voluta da Pompeo e ratificata da Augusto non consacrò, come spesso è stato scritto, lo status quo. Fu, durante tutto il I sec. d.C., una restaurazione del sistema seleucide primitivo fondato sulle città e un compromesso pragmatico che lasciava sussistere, ma sotto un rigido controllo, il potere personale dei dinasti là dove l'esperienza delle città si era manifestata poco applicabile. Si trattava in genere di piccoli territori, localizzabili soprattutto nella Siria settentrionale e centrale, composti da villaggi raggruppati sotto l'autorità di un capo. Le modificazioni romane si inseriscono su percorsi già tracciati, esaltando potenzialità presenti più che determinando svolte radicali. Roma non ha contribuito molto all'ulteriore sviluppo urbano della regione; l'immigrazione romano-italica, intensa nel periodo iniziale, viene rapidamente riassorbita, mentre l'istallazione di colonie di veterani (a Berytos e Heliopolis-Ba'albek dall'età di Augusto, ad Apamea, Balanea e Tolemaide con Claudio, ecc.) si presenta qui in dimensioni ridotte. Le grandi città di fondazione seleucide, Antiochia, Apamea, Laodicea, Seleucia conservarono per un periodo più o meno lungo la loro autonomia e così anche Sidone e Tiro, mentre il rafforzamento delle postazioni militari sull'Eufrate e il lento, ma costante sviluppo della penetrazione romana nella Beqā‘ appaiono conformi a una prudente e tollerante politica di romanizzazione progressiva. Questa si rivelò efficace in più di un'occasione, non ultima quella della I guerra giudaica. Con Vespasiano anche la Giudea torna a sottostare, dopo alterne vicende, all'amministrazione provinciale, e nel 73 d.C. viene annessa in maniera definitiva alla Siria anche la Commagene. Come provincia romana la Siria svolge dunque un fondamentale ruolo strategico-difensivo prima e offensivo poi nei confronti dello stato partico: tale ruolo accresce l'importanza e il prestigio del comando militare nella regione, affidata da Augusto a un legato imperiale e presidiata da tre, quattro legioni, mentre permane e si rafforza, con la costruzione di una vasta rete stradale, anche il ruolo della stessa Siria come grande intermediaria commerciale fra l'Oriente e i porti del Mediterraneo. La volontà di un più fermo controllo, in particolare, dell'area meridionale del paese, già esplicita nella politica orientale di Vespasiano, culmina con l'istituzione della provincia d'Arabia a opera di Traiano nel 105-106 d.C. Nell'attuazione della sua politica di conquiste territoriali Traiano fu spinto da valutazioni di ordine economico, oltre che da scopi militari difensivi: il possesso di parte della Mesopotamia consentiva uno sviluppo unitario e privo di interruzioni del limes dal Mar Rosso all'Asia Minore e al Mar Nero, ed estendeva di fatto il controllo romano sul traffico commerciale continentale. Ne conseguono, per buona parte del II sec., condizioni di maggiore stabilità e di relativo benessere, con la rivitalizzazione delle aree urbane e il consolidamento del ruolo politico ed economico di centri della Siria interna come Palmira (v.), Dura-Europos (v.), Emesa e Damasco. Il violento terremoto che colpì la regione nel 115 d.C. determinò ad Apamea (v.), come ad Antiochia (v.), un completo rinnovamento urbanistico e l'attività edilizia continuò per tutto il II sec., investendo l'intero tessuto urbano. In questo periodo l'indirizzo espansionistico non fu costantemente seguito da Roma o fu applicato con soluzioni di ripiego. Tale fu, dopo la campagna militare di Lucio Vero, l'istituzione di protettorati militari in Armenia e Mesopotamia, che consentirono nuovamente ai Romani di spostare oltre l'Eufrate (come ai tempi di Traiano) il limes orientale dell'impero.
Non seriamente compromessa dalla breve invasione partica del 162, dalla rivolta di Avidio Cassio nel 175 e dal conflitto fra Settimio Severo e Pescennio Nigro nel 193-194 d.C., la prosperità della Siria si prolungò anche nel corso del III sec.: il felice risultato della campagna di Lucio Vero, ratificato dalla sistemazione della frontiera effettuata da Settimio Severo dopo le guerre partiche, salvaguardava gli interessi economici romani, favorendo un notevolissimo flusso di scambi e un'ampia circolazione monetaria, come attestano in particolare i ritrovamenti di Antiochia e Dura-Europos. Il periodo della dinastia dei Severi (193-235 d.C.) è segnato dai particolari vincoli che legavano la componente siriaca della famiglia all'ambiente orientale. Molte città (Laodicea e Tiro, Emesa, Palmira, Sidone, Damasco e forse più tardi Dura-Europos) divengono in momenti successivi colonie romane, e ad alcune viene concesso il privilegio dello ius italicum.
È noto che nei primi decenni del III sec. d.C. in Iran il potere della dinastia partica degli Arsacidi fu abbattuto a opera di Ardašīr, fondatore dello stato persiano dei Sasanidi (226-636). La politica offensiva della nuova dinastia nei confronti di Roma comportò per la Siria un periodo di grande instabilità politica, con un susseguirsi pressoché continuo di invasioni e ritirate seguite da informali periodi di pace, tutti di breve durata. La metà del secolo è segnata dalla conquista di Antiochia (256), dalla cattura dell'imperatore Valeriano (a Edessa, nell'estate del 260) e dal breve movimento secessionista della dinastia palmirena stroncato dal decisivo intervento di Aureliano (273). La vittoria di Aureliano introduce la Siria nel circuito degli scambi dell'impero: l'analisi dei ritrovamenti di monete fornisce una chiara prova dell'isolamento della regione negli anni intorno alla metà del III sec. e la successiva ripresa (dalla fine dello stesso secolo) delle relazioni con l'Occidente. Con Dura-Europos distrutta e Palmira commercialmente e politicamente rovinata, gli scambi con la Persia ripresero attraverso Nisibis. Ma è solo con Diocleziano, e con la vittoria ottenuta dal Cesare Galerio contro Narsete (297), che la situazione sul fronte persiano subisce una qualche modifica con un capovolgimento di quel rapporto di forze che aveva condizionato l'intero corso degli ultimi cento anni.
La nuova organizzazione della diocesi orientale determinata dallo scisma fra le due parti dell'impero, la maggiore sicurezza dei confini orientali, il diffondersi del cristianesimo e la sua penetrazione negli strati non ellenizzati della popolazione riportano in primo piano sia il ruolo delle città, sia gli elementi popolari-nazionali, mai sopiti, nella lingua e nell'arte. Solo le incursioni persiane e la conquista araba, determinando una totale rottura nell'economia del bacino mediterraneo orientale, segnano il disgregarsi e l'abbandono della vita urbana, con un esodo sistematico delle grandi famiglie e del clero ortodosso verso le provincie dell'Asia Minore e Costantinopoli, mentre l'abbandono delle campagne dà luogo a una progressiva ruralizzazione dell'abitato.
Architettura e arte. - Nell'analizzare le tendenze artistiche della Siria romana è stata fatta una distinzione netta fra paesi coltivati e paesi desertici, fra Siria agricola e Siria pastorale (Schlumberger). La frontiera fra queste due zone corrisponde all'incirca al tracciato attuale della via Damasco-Aleppo. A queste due zone se ne può aggiungere una terza, la regione dello Ḥawrān (oggetto, a partire dal 1983, di una serie di prospezioni archeologiche) che costituisce la parte meridionale della Siria attuale ma che, in età romana, apparteneva nella quasi totalità alla provincia d'Arabia. Il risultato di questa dicotomia è una divisione nettamente percepibile nell'urbanistica, nell'architettura e nelle arti figurative.
Nell'Oriente siriano si verifica una situazione complessa, in cui si individua spesso chiaramente la dipendenza dall'urbanesimo ellenistico anche attraverso le trasformazioni eseguite in età imperiale. Questo vale in particolare per le città della costa e della valle dell'Oronte, caratterizzate da un'urbanistica sistematica: vie principali e secondarie che si intersecano a intervalli regolari determinando insulae di identico modulo il cui scacchiere sembra coprire tutta la superficie urbana, mentre le mura di cinta mostrano un adattamento razionale ai rilievi del terreno. Il tessuto delle città della Tetrapoli (Antiochia, Apamea, Laodicea, Seleucia) presenta tali rassomiglianze da indurre a pensare (G. Downey, J. Ch. Balty) al progetto di un unico architetto-urbanista. L'influenza romana successiva alla conquista si individua spesso nella presenza di un asse principale o di due assi perpendicolari, o di tre direttrici di cui due parallele. Più rari sono gli esempî di impianto romano con tracciato rigoroso: Berytos, p.es., probabilmente Cesarea Marittima e Philippopolis (Šahba'), creazione tardiva di Filippo l'Arabo.
Omogenea appare la produzione architettonica del periodo provinciale: teatri, terme, acquedotti, porte urbiche, archi, tetrapili, portici e criptoportici, ninfei, templi e santuari. Questo sviluppo architettonico, di cui si constata una rapida espansione nel II sec., è caratteristico e ampiamente documentato in tutte le città e nei grossi villaggi della Siria settentrionale e centrale. L'evidenza archeologica rivela invece come molte città della Siria interna e meridionale rielaborino, in particolare per l'architettura religiosa (che peraltro è la più documentata), elementi derivati da più antiche tradizioni mesopotamiche e babilonesi (copertura a terrazza, ambienti annessi alla cella, presenza nello stesso santuario di più unità templari). La forma che questi elementi assumono varia sensibilmente da una città all'altra a seconda del maggiore o minore grado di influenza dell'architettura ellenistico-romana. Più evidente a Ba'albek e a Palmira, la tradizione architettonica greco-romana si afferma altrove (come, p.es., nel tempio di Suwaylin) solo attraverso l'artifizio di un'architettura applicata o di un colonnato prostilo, privi di valore funzionale; o appare quasi completamente assente, come nei santuarî di Dura-Europos.
Elemento caratteristico del tempio siriano è il thàlamos o àdyton, la cui installazione è legata a esigenze rituali proprie dei culti semitici, e di cui sono stati individuati tre tipi geograficamente e strutturalmente ben determinati: a) il tipo palmireno di àdyton-camera, rappresentato da due thàlamoi del Tempio di Bel; b) il tipo he- liopolitano o libanese di àdyton-edicola, che compare nel Tempio di Bacco a Ba'albek e in numerosi altri templi disseminati sulle montagne del Libano, Antilibano e dell'Hermon; c) il tipo di àdyton-abside diffuso nello Ḥawrān (tempio di Suwaylin, ecc.), cui si avvicinava il thàlamos, recentemente ricostruito, del Tempio di Ba'alšamīn a Palmira.
L'architettura dello Ḥawrān (che, regione di frontiera e di transito, resta ai margini dei grandi centri e non riceve da questi che echi più o meno deformati delle mode culturali dominanti) rivela caratteristiche peculiari. I tipi di monumenti anteriori all'inserimento definitivo del territorio nella provincia romana di Siria (in massima parte tombe monumentali e santuari) sono poco conosciuti e non ancora ben situati cronologicamente. In genere, sia nella pianta, sia nella decorazione architettonica, non presentano elementi di filiazione greco-romana e sembrano attestare l'esistenza di un'arte siriana regionale che ha sviluppato caratteristiche locali particolari: il Tempio di Ba'alšamīn a Sīʽl'unico edificio che si possa datare con certezza tra il 33/32 e il 2/1 a.C., ha pianta quadrata ed è preceduto da tre cortili disposti fuori asse: assai scarsi sono qui gli elementi che si possono far risalire a un'influenza greco-romana, se non l'adozione del capitello corinzio. La struttura architettonica e l'apparato decorativo degli edifici templari dell'area settentrionale dello Ḥawrān evolve nel corso del II e del III sec. d.C. I templi databili alla prima metà del II sono ancora caratterizzati da un impianto quasi quadrato, con un'unica porta centrale e due nicchie laterali sovrapposte che evocano l'impostazione e le facciate degli edifici precedenti (tempio di Suwayda'); ma la cella è costruita su un alto podio, ed è preceduta da quattro colonne sormontate da frontone ad arco (Qanawāt; tempio occidentale di 'Atīl). Tale struttura, che risente dell'influenza degli schemi romano-imperiali, tende a modificarsi nella seconda metà del secolo in un impianto di tipo basilicale a tre navate: l'allargamento della facciata comporta l'apertura di porte laterali, il frontone scompare, mentre l'arco centrale tende ad acquisire maggiore importanza. L’àdyton-abside assume in molti casi (tempio di Šahba') un tale sviluppo da divenire la parte essenziale del monumento.
L'architettura domestica nei villaggi e nei centri urbani è stata uno degli obiettivi della ricerca archeologica degli ultimi anni. Lo studio analitico delle abitazioni rurali della Siria settentrionale ha permesso di definirne la pianta-standard: una corte, luogo di passaggio obbligato fra i varí edifici, dotati di alti muri ciechi, e fra questi e l'esterno; nessuna caratteristica architettonica che le distingua l'una dall'altra e nessuna variante di una qualche importanza per cinque secoli.
Gli scavi degli anni '70 hanno messo in luce, in particolare ad Apamea, ricche abitazioni con pianta molto estesa, con un grande peristilio e talvolta con una o due corti supplementari e ampie sale di ricevimento. Tali sontuose dimore, residenze urbane dei ricchi proprietari terrieri della regione, risalgono in genere al II sec. d.C., ma la loro occupazione si prolunga fino al VI, rivelando una straordinaria continuità di vita urbana.
Nessuno studio sistematico è stato oggi ancora intrapreso sulla scultura di età imperiale in Siria dopo la sintesi di E. Will (1965) che individuava, sulla base di una distinzione in zone geografiche della Siria antica, tre livelli qualitativi: opere di ispirazione classica, uscite dai grandi ateliers dei centri di produzione più importanti; sculture «provinciali», prodotte da ateliers regionali; creazioni locali. Studî parziali, raccolte di materiali e inventari hanno tuttavia consentito una maggiore conoscenza della scultura locale di età romana e una più puntuale definizione dei suoi aspetti originali. La presenza in tutta la regione di un importante commercio d'arte, con ampia circolazione di copie, è attestato non solo ad Antiochia o ad Apamea, ma a Ḥama (copia dell’Aspasia), a Laodicea (replica del Doriforo di Policleto), nella stessa Palmira (rielaborazione dell’Athena Parthenos e testina dell’Athena Giustiniani) e a Dura-Europos (copia dell’Afrodite Urania). Anche i sarcofagi neo-attici scoperti a Laodicea e più recentemente ad Arethusa (Rastān) nella valle dell'Orante - con rilievi illustranti il mito di Eros e Psiche, la caccia di Meleagro, o scene di battaglia ispirate all’Iliade - attestano un'estesa ellenizzazione nel gusto e nella cultura di ampie zone della Siria. L'arte figurativa «provinciale» è documentata in un'area assai vasta, che comprende in particolare Palmira e il territorio circostante e raggiunge centri come Hierapolis (Membiğ) e Dura-Europos: presenta una facies abbastanza omogenea, per quanto differenziata da peculiarità regionali. Caratterizzata da certe costanti iconografiche e stilistiche e da una tendenza a formule fisse che comportano una sostanziale mancanza di evoluzione, la produzione scultorea degli ateliers locali è formata in massima parte da rilievi votivi e funerarî in calcare, dove più evidente è l'attaccamento a un patrimonio culturale solo superficialmente permeato dall'ellenismo. Le accurate rassegne di materiali, una maggiore conoscenza dei monumenti di Palmira, Hatra (v.), Dura-Europos, e i dati che emergono dagli scavi recenti di Seleucia (v.) e Ctesifonte (v. veh-ardašir) lasciano intravedere la sostanziale koinè artistica dell'area del deserto siriano e della Mesopotamia, alla cui formazione debbono aver contribuito, spesso in misura differente, il sostrato semitico, la tradizione ellenistica, con apporti specificatamente romani, e l'Oriente partico. La frontiera politica costituita dall'Eufrate non corrispose mai a una frontiera culturale.
Anche nello Ḥawrān, è la scultura a lasciar trasparire più chiaramente l'identità culturale della regione. Qui la produzione locale si caratterizza per l'utilizzazione, come unico materiale, del basalto, la cui natura, pur senza esserne la sola causa, deve avere contribuito alla permanenza di formule artistiche caratterizzanti, quali la stereometria accentuata nella costruzione della figura e l'economia plastica dei rilievi e della scultura a tutto tondo. Se alcuni ritratti (come quello di ignoto, proveniente da Zakir) evocano paralleli urbani malgrado l'impiego di tale tipico materiale locale, le statue funerarie di Qanawāt e della regione circostante, come anche molte teste conservate al museo di Suwayda', sfuggono a ogni influenza classica: i volti sono convenzionali, gli occhi grandi e spalancati, il naso triangolare, la fronte bassa e sfuggente, le labbra rese con un'incisione orizzontale e arcuata, il collo massiccio, sovente molto allungato, i capelli spesso resi con file di piccoli boccoli rotondi e regolari.
Assai differente è il panorama artistico della Siria per quanto riguarda i mosaici. In tutta la regione, infatti, anche nelle aree in cui più forte si è rivelata la sopravvivenza dell'identità locale, il mosaico si caratterizza per una stretta dipendenza dal repertorio classico e un forte conservatorismo: la mitologia classica fornisce gli elementi fondamentali dell'iconografia. Questo vale per Antiochia, sede di importanti ateliers di mosaicisti, ma anche per Philippopolis, dove è stata rinvenuta un'eccezionale serie di pavimenti musivi, o per Palmira: i pavimenti rinvenuti in due abitazioni a E del Tempio di Bel ripropongono temi come Achille alla corte di Licomede, il giudizio delle Ne- reidi, la Centauromachia. In una zona ancora più lontana dai centri ellenizzati, il mosaico di Mes'udīye, sulla riva destra dell'Eufrate, con figura di divinità fluviale e personificazioni di provincie rivela lo stesso carattere classico. Il tema della personificazione delle provincie si ritrova in un mosaico pavimentale di Seleucia sull'Eufrate.
L'arte musiva, a differenza della scultura, è rimasta dunque un'arte di importazione, e non è stata indirizzata all'espressione del patrimonio religioso-mitologico regionale. Impiantati in Siria al momento dell'ellenizzazione del paese, gli ateliers di mosaicisti hanno continuato a funzionare in maniera indipendente, con una trasmissione per generazioni della tecnica e del repertorio dei modelli. Questo spiega la longevità di certi temi, come quelli nilotici, e di certe figure o personificazioni femminili.
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Urbanistica e architettura: E. Will, Du Trilithon de Baalbek et d'autres appareils colossaux, in Mélanges offerts à K. Michafowski, Varsavia 1966, pp. 725-729; G. Taylor, The Roman Temples of Lebanon, Beirut 1967; E. Frézouls, Observations sur l'urbanisme dans l'Orient syrien, in AAS, XXI, 1971, pp. 231-235; S. Downey, Temples à escaliers. The Dura Evidence, in CalifSt- ClAnt, IX, 1976, pp. 21-39; G. Tchalenko, E. Baccache, Eglises de village de la Syrie du Nord, Parigi 1979; Th. A. Busink, Der Tempel von Jerusalem von Salomon bis Herodes, II. Von Ezechiel bis Middot, Leida 1980, in part. 1320 ss.; J. e J. M. Dentzer, Les fouilles de Sî et la phase hellénistique en Syrie du Sud, in CRAI, 1981, pp. 78-102; Gh. Amen, J. L. Biscop, J. Dentzer-Feydy, J. P. Sodini, L'ensemble basilical de Qanawat (Syrie du Sud), in Syria, LIX, 1982, pp. 257-275; A. Sartre, Tombeaux antiques de Syrie du Sud, ibid., LX, 1983, pp. 83-99; E. Frézouls, Urbanisme et société: réflexions sur l'Orient ancien, in MEFRA, XCV, 1983, pp. 305-333; F. E. Peters, City Planning in Greco-Roman Syria. Some New Considerations, in DaM, I, 1983, pp. 269-277; F. Braemer, Prospections archéologiques dans le Hawran, in Syria, LXI, 1984, pp. 219-250; E. Brümmer, Der römische Tempel von Dmeir. Vorbericht, in DaM, II, 1985, pp. 55-64; J. M. Dentzer e altri, Six campagnes de fouilles à Si'. Développement et culture indigène en Syrie méridionale, ibid., p. 65 ss.; id. (ed.), Hauran I. Recherches archéologiques sur la Syrie du Sud à l'époque hellénistique et romaine, 2 voli., Parigi 1985-1986 (con articoli relativi anche alle arti figurative); M. Leglay, Villes, temples et sanctuaires de l'Orient romain, Parigi 1986; S. B. Downey, Regional Variation in Parthian Religious Architecture, in Mesopotamia, XXII, 1987, pp. 29-55; H. P. Kuhnen, Nordwest-Palästina in hellenistisch-römischer Zeit. Bauten und Gräber im Kar- melgebiet, Weinheim 1987.
Sull'architettura domestica: Fouilles d'Apamée de Syrie, 13. Apamée de Syrie. Actes du Colloque, 1980, Bruxelles 1984.
Scultura: La Persia e il mondo greco-romano. Atti del Convegno, Roma 1965, Roma 1966; K. Parlaska, Zur syrischen Kunst, der frühen Kaiserzeit, in AA, 19673 pp. 547-568; D. Schlumberger, L'Orient hellénisé. L'art grecque et ses héritiers dans l'Asie méditerranéenne, Parigi 1970; Κ. Parlaska, Zur syrischen Plastik der römischen Kaiserzeit, in GettyMusJ, VIII, 1980, pp. 141-146; id., Syrische Grabreliefs hellenistischer und römischer Zeit. Fundgruppen und Probleme (TrWPr, 3), Magonza 1982; I. Skupiñska Lervset, Funerary Portraiture of Roman Palestine, Göteborg 1983; Κ. Parlaska, Das Verhältnis der palmyrenischen Grabplastik zur römischen Porträtkunst, in RM, XCII, 1985, p. 343 ss.; E. Will, Les problèmes iconographiques de la Syrie romaine, in Eidolopoiia. Actes du Colloque sur les problèmes de l'image dans le monde méditerranéen classique, 198z, Roma 1985, pp. 41-48; R. A. Stucky, Rückgriffe in der Kunst der mittleren Kaiserzeit, in HefteABern, XI, 1986, p. 27 ss. - Sarcofagi: M. Chébab, Sarcophages à relief de Tyr, in Bulletin du Musée de Beyrouth, XXI, 1968, pp. 1-91; G. Koch, Sarkophage in römischen Syrien, in AA, 1977, pp. 388-395; id., Ein attischer Meleagersarkophag aus Arethousa in Syrien, in DaM, I, 1983, pp. 137-148; P. Linant de Bellefonds, Sarcophages attiques de la nécropole de Tyr. Une étude iconographique, Parigi 1985.
Mosaici: J. Balty, Mosaïques antiques de Syrie, Bruxelles 1977; H. Stern, Les Mosaïques des Maisons d'Achille et de Cassiopèe à Palmyre, Parigi 1977; Κ. Parlaska, Das Mosaik von Mas'udije aus dem Jahre 228/29 Chr., in DaM, I) 1983, pp. 263-268; id., Zum Provinzenmosaik von Belkis-Seleukeia am Euphrat, in Mosaïque. Recueil d'hommages à H. Stern, Parigi 1983, p. 287 ss.; J. Balty, Iconographie classique et identités regionales. Les mosaïques romaines de Syrie, in L. Kahil (ed.), Iconographie classique et identités régionales. Actes du Colloque international du Centre national de la recherche scientifique, Parigi 1983 (BCH, Suppl. 14), Parigi 1986, pp. 395-405.
(B. Equini Schneider)
Armenia. - Le ricerche archeologiche condotte nella regione hanno individuato scarse testimonianze riferibili con certezza ai pochi anni in cui l'Armenia fu nominalmente annessa all'impero/romano; tra queste, sono da ricordare alcune epigrafi latine rinvenute ad Artaxata, una delle quali pertinente a un edificio monumentale.
Tale scarsità di dati sembra esser dovuta, oltre alla effimera durata della conquista, anche alla plausibile consapevolezza da parte romana che l'annessione dell'Armenia si sarebbe risolta in un episodio temporaneo. Conferme indirette in questo senso sono costituite dall'assenza di fondazioni coloniali (riscontrabili in altre provincie limitanee di breve vita, come la Mesopotamia sotto Settimio Severo) e la conservazione del limes sull'Eufrate.
Ciò nonostante l'Armenia, a causa della sua importanza strategica, rimase costantemente il principale obiettivo della politica orientale imperiale, volta per lo più all'imposizione di re filoromani, spesso con l'ausilio di truppe legionarie stanziate nella regione, la cui presenza è oggi confermata dal rinvenimento di iscrizioni e a cui con tutta probabilità è da collegare la costruzione di alcune opere difensive, come la fortezza di Gayda Kale presso il lago Van.
Le recenti indagini archeologiche hanno evidenziato che gli intensi rapporti con Roma non si limitarono allo scambio di beni commerciali, ma interessarono occasionalmente anche il campo architettonico. Un'indicazione in questo senso è costituita dall'impianto termale di Garni, realizzato alla fine del III sec. d.C. e decorato con mosaici stilisticamente affini ad analoghe raffigurazioni di area siriana. V. anche armena, arte e caucaso, culture del.
Bibl.: F. Grosso, Aspetti della politica orientale di Domiziano. I. Albania, Iberia Caucasica e Armenia, in Epigraphica, XVI, 1954, pp. 117-179; AA.VV., Contributions to the Archaeology of Armenia, Cambridge (Mass.) 1968; B. N. Arakeljan, Latinskie nadpisi iz stolicy drevnej Armenti, Artašata («Iscrizioni latine dalla capitale dell'antica Armenia, Artaxata»), in VesDrevIstor, CXVIII, 1971, pp. 114-118; Ο. Κ. Khalpakhčjan, Arkhitektumye ansambli Armenii. Architectural Ensembles of Armenia, 8th Century B.C.-19th Century A.D., Mosca 1980; T. Β. Mitford, Cappadocia and Armenia Minor: Historical Setting of the Limes, in ANRW, II, 7, 2, 1980, pp. 1169-1228; id., A Late Roman Fortress South of Lake Van?, in P. Freeman, D. Kennedy (ed.), The Defence of the Roman and Byzantine East, II. Proceedings of a Colloquium Held at the University of Sheffield 1986 (BAR, Int. S., 297), Oxford 1986, pp. 565-573.
(M. Spanu)
Mesopotamia. - Nella Mesopotamia romana le città principali (a esclusione di Edessa, v.) non sono state oggetto di studî specifici, per cui sia il quadro artistico- culturale sia la valutazione delle conseguenze della dominazione romana rimangono al momento problematici. L'esatta definizione dei limiti della provincia, nonostante alcune nuove acquisizioni, permane difficile: i numerosi cambiamenti avvenuti dalla prima conquista di Traiano all'abbandono di Gioviano dovettero comportare continue modifiche al limes, organizzato essenzialmente in corrispondenza del Tigri e dei fiumi Khābūr e Ğaghğagh. Nel periodo di massima estensione la provincia ebbe come confine orientale il Tigri, giungendo per un breve periodo probabilmente sino a Ğaddala (forse da identificare con l'antica Ad Herculem- Ηρακλέους Βωμοί), dove sono i resti di due fortezze, una romana e una partica, a breve distanza l'una dall'altra; verso S il limite della provincia corrispose per molto tempo alla linea meridionale del massiccio del Ğebel Sinğar, mentre nella parte settentrionale (meno importante economicamente e militarmente a causa del carattere montagnoso) le regioni dell'Arzanene, della Gordiene e della Zabdicene furono incorporate solo con Diocleziano.
Il ruolo della provincia, prettamente strategico e di transito, comportò sin dal periodo della breve conquista traianea la realizzazione di strade utili per lo spostamento degli eserciti, tra le quali soprattutto le due direttrici viarie verso il Tigri, passanti rispettivamente per Nisibis e per Tunaynir (l'antica Thannuris-Singara). La difesa di tali vie e delle linee di frontiera era affidata a una serie di fortezze, la maggior parte delle quali furono individuate dalle ricognizioni aeree degli anni '30 di Poidebard e Stein, ma che soltanto nei casi interessati dalle nuove indagini possono essere attribuite con sicurezza al limes romano e bizantino. Escludendo un miliario traianeo rinvenuto nei pressi di Singara, al momento le testimonianze più antiche non risalgono oltre gli inizî del III sec. e non è quindi in alcun modo verificabile l'opera di organizzazione del limes mesopotamico successiva alle conquiste di Traiano e di Lucio Vero, a cui sembra alludere Festo (p. 20, Müller).
Le fortezze presentano una vasta tipologia, dovuta in parte ai continui reimpieghi e rifacimenti avvenuti nel corso delle lunghe guerre protrattesi nella regione. Nella maggior parte presentano una pianta quadrangolare (con o senza torri), e sono costruite normalmente in pietra, sebbene sporadicamente sia attestato anche l'uso del mattone crudo ('Ayn Sinu I, Tell al-Ghayl) a riprova della continuità d'uso di tecniche locali. Le dimensioni variano in rapporto alla grandezza del contingente militare dislocato: le più numerose occupano una superficie non superiore a 0,2 ha (come el-Ḥamda, Dulalya, Ğaddala), destinate a ospitare piccole unità (anche singole coorti) in relazione con le nuove esigenze tattico-strategiche impiegate dal III sec. e basate su una maggiore mobilità dell'esercito. Le fortificazioni di dimensioni maggiori, tra cui Bir Haydar (m 120 X 100), Khirbet Ḥassan Ḥağa (m 180 X 200), Tell Brak (m 91 Χ 91) nell'odierna Siria, Šaykh Ibrahim (91 Χ 85), Tell al-Ghayl (m 116 Χ 116) in Iraq, rimangono ancora non indagate, difficilmente valutabili anche da un punto di vista cronologico e solo in parte confrontabili con 'Ayn Sinu, l'unico caso oggetto di scavi archeologici.
Il sito, identificato con l'antica Zagurae, si trova 3 km a E dell'odierno villaggio di 'Ayn Sinu, a c.a 30 km da Singara, ed è ubicato sul limite meridionale del Ğebel Sinğar in una posizione dominante le strade verso Nisibi e il Tigri. Gli scavi hanno messo parzialmente in luce due complessi fortificati contigui, denominati 'Ayn Sinu I e 'Ayn Sinu II. Il primo, uno dei più grandi che si conoscano in Oriente (m 342 X 310), è costituito da una semplice cinta rettangolare, all'interno della quale erano file parallele di vani costruiti (come del resto il circuito murario esterno) in mattoni crudi e destinati probabilmente all'acquartieramento di truppe, forse unità ausiliarie. Il secondo ha una cinta trapezoidale (m 180 X 220), con torri tonde agli angoli e quadrate nei tratti rettilinei intermedi, con una cinta muraria in pietra (larga m 3) e porte munite probabilmente di caditoie. Entrambe le fortezze sono datate, in base alla ceramica e alle monete rinvenute, agli inizî del III sec. d.C. e si debbono considerare quindi pertinenti agli apparati difensivi successivi alla conquista severiana. Esse furono abbandonate poco tempo dopo la loro realizzazione, forse a seguito dell'offensiva sasanide di Ardašīr I avvenuta nel 237 d.C.
Bibl.: R. E. M. Wheeler, The Roman Frontier in Mesopotamia, in E. Birley (ed.), The Congress of Roman Frontier Studies 1949, Durham 1952, pp. 112-119; J. e D. Oates, Ain Sinu: a Roman Frontier Post in Northern Iraq, in Iraq, XXI, 1959, pp. 207-242; L. Dillemann, Haute Mésopotamie orientale et pays adjacents. Contribution à la géographie historique de la région du Ve siècle avant l'ère chrétienne au Vie siècle de cette ère, Parigi 1962; D. Oates, Studies in the Ancient History of Northern Iraq, Londra 1968; M. G. Angeli Bertinelli, I Romani oltre l'Eufrate nel II sec. d. C. (le province di Assiria, di Mesopotamia e di Osroene), in ANRW, II, 9,1, 1976, pp. 3-45; C. S. Lightfoot, The Site of Roman Bezabde, in S. Mitchell (ed.), Armies and Frontiers in Roman and Byzantine Anatolia (BAR, Int. S., 156), Oxford 1983, pp. 189-204; Sh. Gregori, D. Kennedy, Sir Aurel Stein's Limes Report (BAR, Int. S., 272), Oxford 1985; C. S. Lightfoot, Tilli, a Late Roman «Equités» Fort on the Tigris, in Ph. Freeman, D. Kennedy (ed.), The Defence of the Roman and Byzantine East (BAR, Int. S., 297), II, Oxford 1986, pp. 509-529; W. Ball, Šeh Qubba. A Roman Frontier Post in Northern Iraq, in D. H. French, C. S. Lightfoot (ed.), The Eastern Frontier of the Roman Empire (BAR, Int. S., 553), Oxford 1989, pp. 7-18; E. Winter, On the Regulation of the Eastern Frontier of the Roman Empire, ibid., pp. 555-571; D. Kennedy, D. Riley, Rome's Desert Frontier, Londra 1990.
(M. Spanu)
Assyria. - La costituzione di una provincia romana chiamata Assyria è stata, per lunga tradizione, associata con la guerra partica di Traiano.
La creazione di una Assyria provincia è stata in genere considerata come un dato di fatto storico, anche se è risultato impossibile trovare chiare attestazioni della sua organizzazione o raggiungere un consenso unanime a proposito della sua precisa ubicazione e della sua estensione. Alcuni ritengono che la provincia includesse le terre a E del Tigri comprese tra il Grande e il Piccolo Zab, in un'area che i Romani correttamente conoscevano con il nome di Adiabene. Forti argomentazioni sono state avanzate, d'altra parte, a favore dell'identificazione della provincia con il territorio conquistato da Traiano nel corso della campagna di Ctesifonte del 116: la Assyria provincia., cioè, corrisponderebbe a Babilonia e dovrebbe essere ubicata nell'Iraq centrale, tra l'Eufrate e il Tigri.
La provincia traianea di Assyria è attestata soltanto da due tardive fonti romane, le epitomi storiche di Eutropio (VIII, 3, 2 e 6, 2) e di Rufio Festo (XIV, XX); non sembrano esserci dubbi sul fatto che i due autori facciano riferimento alla medesima regione geografica. Un'analoga definizione ricorre nello storico del IV sec. Ammiano Marcellino. Nel suo excursus sull'impero sasanide egli descrive l’ Assyria in modo tale da non lasciare adito a dubbi sul fatto che stia parlando della Mesopotamia inferiore (Amm. Marc., XXXIII, 6, 15 e 23). Come tre centri più importanti dell’Assyria egli cita infatti Babilonia, Ctesifonte e Seleucia (XXIII, 6, 23), laddove parla dell'Adiabene come dell'«Assyria priscis temporibus vocitata» (XXIII, 6, 20), ricordando come centro principale di quest'ultima Ninus (Ninive; XXIII, 6, 22). La sua padronanza della geografia locale era senza dubbio basata sulla conoscenza acquisita nel corso della spedizione persiana di Giuliano del 363, cui egli aveva preso parte.
L'annessione dell'Armenia e della Mesopotamia viene proclamata su monete di Roma del 116 d.C., con la leggenda ARMENIA ET MESOPOTAMIA IN POTESTATEM P. R. REDACTAE S. c., mentre la fondazione dell'Assyria provincia non appare celebrata sulla monetazione di Traiano.
Conosciamo il nome del governatore di Traiano in Armenia, ma non è attestato alcun ufficiale romano che rivestisse tale incarico in Assyria. Una pietra miliare di Traiano, proveniente dal villaggio di Karsi sulla strada tra Nisibis e Singara, costituisce una testimonianza degli esordi dell'organizzazione romana della Mesopotamia, mentre non vi sono né iscrizioni né resti archeologici di alcun genere che dimostrino una presenza romana in Assyria. In realtà non si riscontra la minima attestazione di un'occupazione romana sotto Traiano lungo tutta la riva dell'Eufrate al di sotto della città di Dura-Europos. Scavi recenti in località quali Kifrin (v.) e Biğan hanno rivelato che tale occupazione risale alla prima metà del III secolo. Parimenti nessuna traccia di una presenza stabile romana a Seleucia-Ctesifonte è stata ritrovata nella pur ricca documentazione archeologica locale.
Se dunque venne mai creata una provincia di Assyria, dobbiamo ammettere che essa fu così effimera da non lasciare alcuna traccia nella documentazione contemporanea. Adriano rinunciò a tutte le terre conquistate da Traiano e, dopo il 117, l'Eufrate tornò nuovamente a segnare la frontiera tra Roma e la Partía (Eutrop., VIII, 6, 2; Ruf. Fest., XIV, XX; SHA, Hadr., 5, 3).
Non si ritrovano più allusioni a una provincia romana di Assyria, né durante le guerre orientali di Lucio Vero (161-165) né durante le campagne di Settimio Severo e dei suoi successori nel corso della prima metà del III secolo.
Sembra pertanto preferibile identificare la provincia di Assyria dell'età di Traiano con l'Adiabene. Una campagna, probabilmente quella del 115, fu infatti condotta oltre il Tigri contro il re dell'Adiabene, Mebarsapes. È impossibile stabilire sulla base delle fonti a nostra disposizione sino a quale punto dell'Adiabene si addentrarono i Romani, anche se da più parti si sostiene, fondandosi sul passo di Dione (LXVIII, 26, 4), che essi invasero l'intero regno. Ci si può appellare a un accenno contenuto nel xiii libro dei Parthikà di Arriano (frg. 13) per stabilire che i Romani arrivarono sino a Kirkuk. Dione ricorda anche la visita di Traiano alle cave di bitume usato nella costruzione delle mura di Babilonia (LXVIII, 27, 1): è probabile però che questi passi isolati si riferiscano alla marcia di Traiano lungo l'Eufrate effettuata l'anno successivo. Ciò che in ogni caso appare certo è che non possono venire assunti per sostenere che i Romani avanzarono all'interno dell'Adiabene, né che da qui marciarono sino a Babilonia e quindi a Ctesifonte.
Non esiste una sicura celebrazione della campagna di Adiabene. Nonostante la conquista di alcune città a O del Tigri - Nisibis, Singara, Hatra - la maggior parte del regno rimase in mano nemica. Il felice attraversamento del fiume costituì probabilmente l'occasione per una delle acclamazioni di cui Traiano fu oggetto nel 115, ma nella realtà dei fatti a E del Tigri non si ottennero grandi risultati. In sostanza, non si verificò mai l'opportunità di proclamare Adiabena capta, il che spiega tanto il silenzio delle fonti, quanto la mancanza di documentazione archeologica.
Numerosi scavi sono stati effettuati negli anni più recenti lungo la valle del Tigri nell'ambito del progetto per la diga Saddam.
In località Šekh Qubba, a Ν di Eski Mosul, è stato ritrovato un livello romano-partico, che però viene datato al III sec. d.C. da parte di coloro che hanno effettuato lo scavo. Altre località, che erano state definite castella romani nel corso delle ricognizioni di Stein, Poidebard e Fiey, non hanno restituito resti significativi e sicuri di un'occupazione romana. Anche gli scavi effettuati a E e a S del Ğebel Sinğar non hanno rivelato alcuna traccia di presenza romana agli inizîdel II sec d.C. La fondazione del centro fortificato di Khirbet Ğaddala è databile non prima del 141/42, sulla base delle iscrizioni in aramaico rinvenute in situ e, in ogni caso, il controllo dell'insediamento è strettamente connesso con gli Hatreni e non con i Romani. A Teli Barri, tra il Ğebel Sinğar e Nisibis, è stata ritrovata abbondante sigillata orientale insieme con ceramica partica e ceramica grezza e, di conseguenza, si è ipotizzato un periodo di occupazione del sito compreso tra il I sec. a.C. e il II d.C. Nella località è stata rinvenuta anche un'unica moneta di Traiano. Osserviamo però che per quanto Nisibis facesse parte del regno di Adiabene nel tardo I sec. d.C., la zona a Ν del Ğebel Sinğar, che si stendeva sino al Tigri, rientrava molto probabilmente nella provincia di Mesopotamia.
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(C. S. Lightfoot)
Arabia. - La provincia romana di Arabia fu creata con l'annessione del regno nabateo, alla morte del suo ultimo sovrano Rabbel II. Ordinata da Traiano, l'operazione fu eseguita da A. Cornelio Palma, legato di Siria. L'istituzione della provincia avvenne il 22 marzo 106; ma l'annessione vera e propria potrebbe risalire all'anno precedente, se si considera valida la data consolare fornita da Eusebio.
È certo che capitale fu sin dall'inizio Bostra, che divenne Nea Traiane Bostra. II primo governatore, Claudio Severo, fece immediatamente costruire una rete di strade, tra cui la Via nova Traiana che portava da Bostra ad Aila. A partire dal 120 c.a, fu istituita una guarnigione permanente, formata dalla Legio III Cyrenaica, trasferita dall'Egitto e di stanza a Bostra. Il territorio della provincia corrispondeva a quello del vecchio regno nabateo, ingrandito dal ricongiungimento di tre città della Decapoli: Philadelpheia ('Ammān), Gerasa (Ğeraš) e Adraha (Der'a), incluse fino ad allora nella provincia di Siria. La frontiera settentrionale passava a pochi chilometri da Bostra, tra questa città e il villaggio di Hebrān che apparteneva già al territorio di Kanatha in Siria. A O, restava parimenti al di fuori la valle del Giordano. A S, la vecchia capitale del regno, Petra, dovette contentarsi del titolo onorifico di metropoli, conferitole da Adriano nel corso della sua visita del 130. Più oltre, la provincia comprendeva il Negev, il Sinai e una buona parte della penisola arabica fino alle oasi di Ğauf, nello wādīSirhän, e di Medā'in Sālih (Ḥegra) sulla via di Medina, a c.a. 900 km da Bostra. L'appartenenza all'impero di queste regioni lontane è attestata dai graffiti dei militari romani documentati presso Ḥegra e da un tempio per il culto imperiale a Ruwwafa, dedicato a Marco Aurelio e Lucio Vero dalla tribù dei Thamüd. Roma ereditò così dai Nabatei il controllo delle piste carovaniere che portavano nello Yemen e giungevano al Golfo.
motivi dell'annessione non erano tuttavia solo di ordine economico, poiché il grosso del commercio passava verisímilmente in quel tempo per la via di Palmira, più a N. L'acquisizione dell'Arabia seguì da vicino l'incorporazione nel 93 del regno di Agrippa II, già appartenuto a Erode il Grande, con cui la Nabatene confinava a N.
ricongiungimento alla nuova provincia di alcune città della Decapoli era probabilmente dettato soltanto da ragioni di convenienza amministrativa e militare, poiché Gerasa (v.) e Philadelpheia si trovavano sul percorso delle vie da Bostra al Mar Rosso. Queste città conservarono tuttavia legami particolari con la Siria, in particolare per quanto riguarda l'organizzazione del culto imperiale.
Sotto Settimio Severo, probabilmente al momento della spartizione della provincia di Siria nel 194, l'Arabia fu ulteriormente ingrandita a spese della Siria, con l'annessione dell'Auranitide, della Batanea e della Trachonitide, cioè degli attuali Ḥawrān e Leğaʽ che formano il retroterra naturale di Bostra. Questa regione, di natura agricola, costituiva il territorio di Kanatha (Qanawāt), un'altra città della Decapoli. Per questo motivo l'imperatore Filippo, nato attorno al 200 in un villaggio vicino, sul luogo del quale egli fondò nel 244 la città di Philippopolis (oggi Šahba', a 10 km da Qanawāt), poté essere considerato nativo d'Arabia.
La parte settentrionale della provincia comprendeva un ambiente agricolo densamente popolato e prospero, assieme a diverse città importanti. La parte meridionale, invece, era desertica e con una popolazione esigua. Con la riforma amministrativa di Diocleziano, nel 295, il Sud con Petra fu annesso alla Palestina e formò, dopo la spartizione di quest'ultima nel IV sec., la provincia di Palaestina Tertia o Salutaris. Ciò che restò dell'Arabia andava ormai da Madaba a S fino alle nuove città di Constantia (Burāq) e Maximianopolis (Šaqqa) al limite del Leğaʽ a N, dietro il tracciato del limes di Diocleziano.
La capitale Bostra (v.) divenne una pòlis solo con l'annessione. L'antico quartiere nabateo, ancora mal noto, racchiude le rovine di un palazzo detto di Traiano, forse quello del governatore romano. La città, una volta inserita nella provincia, fu arricchita di almeno sei vie con colonnati, archi e tetrapili ai crocevia, di terme, di mercati (Khan ed-Dibs e il criptoportico della via principale, di recente messo in luce), di ninfei e di un teatro, tutte costruzioni datate al II e soprattutto al III secolo. Le iscrizioni e le monete attestano l'esistenza di diversi templi (di Dusares, di Zeus Epikàrpios, di Zeus Àmmon, di Roma e Augusto). Il Santuario di Zeus Àmmon fu distrutto dai Palmireni di Zenobia nel 272, poi restaurato, al pari dei bastioni della città che comprendevano il quadrilatero dell'accampamento legionario. Il titolo di cattedrale è ora conteso tra la chiesa dei Ss. Sergio, Bacco e Leonzio del 512/513 e un edificio recentemente scavato, a pianta circolare.
Petra (v.), l'antica capitale del regno nabateo, godette nella provincia del prestigio di metropoli, poi di colonia. Altre città della provincia conobbero nel II e nel III sec. uno sviluppo particolarmente brillante. A Ğeraš è stata recentemente riportata in luce un'agorà ottogonale.
Il moderno sviluppo di ‘Ammān ha cancellato quasi del tutto i resti dell'antica Philadelpheia (v.). Non ne resta che il teatro come ad Adraha, dove questo è stato da poco identificato, mentre entrambe in antico avevano certamente la stessa importanza di Gerasa.
Fortificate alla fine del III sec. (iscrizioni di Der'a, scavi recenti a Ğeraš), queste città per la loro vicinanza alla Terra Santa conobbero una seconda fioritura in età bizantina, in particolare nel VI sec., epoca che ha lasciato numerose chiese con decorazione a mosaico. Ciò è valido anche per altri centri urbani di minore importanza, tra i quali citeremo Rabbatmoba-Areopolis (Qaṣr Rabba), Esbous (Ḥesbān), Charakmoba (Kerak) in Transgiordania, ed Elousa (Khalasa) nel Negev. Altri siti, come Umm el-Ğimāl, Umm ar-Rasās (identificato recentemente con l'antico Kastron Mefaa) o Madaba, conservano solo monumenti di quest'epoca, sebbene sia certa la loro esistenza anche in periodi anteriori.
Lo Ḥawrān, annesso tardi all'Arabia, fa rilevare uno sviluppo parallelo a partire dalla fine del I sec., inizialmente entro i confini della provincia di Siria. Qui la città di Kanatha (Qanawāt) comprendeva nel suo ampio territorio agricolo alcuni villaggi autonomi della Batanea e il santuario di Seia (Sīʽ ), che risale al periodo di Erode, meta dei pellegrinaggi da tutta la regione. A spese di Kanatha nella seconda metà del II sec. fu fondata la città di Dionysias, nel luogo del villaggio di Suwaydaʽ. La maggior parte dei monumenti dello Ḥawrān si datano al I e al II sec., come i templi rurali di Slaym, Mušennef, 'Atīl, Ḥebrān, Sanamayn, fondato quest'ultimo nel 191. Per il periodo successivo, in cui la regione apparteneva all'Arabia, va ricordata in primo luogo la città di Philippopolis (v.), fondata, come detto, dall'imperatore Filippo l'Arabo; si tratta dell'unica fondazione romana nota in Arabia, a pianta quadrilatera con due vie perpendicolari, dotata di santuario imperiale (il c.d. kalỳbe), di teatro e di terme e, infine, con un importante complesso di mosaici rinvenuto in una villa del III secolo. Ugualmente tardi sono i monumenti conservati a Oboda (Avdat), un centro nabateo del Negev, sebbene la città non sia stata distrutta al momento dell'annessione, come proponevano alcuni. Il Tempio di Zeus-Obodas del 258 vi sostituì senza dubbio un edificio anteriore poiché il culto del re Obodas divinizzato è attestato a partire dagli anni tra la fine del I sec. a.C. e l'inizio del I d.C. Il sito conserva soprattutto importanti edifici cristiani, sia religiosi che civili.
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(M. Gawlikowski)
PROVINCIE AFRICANE. - La parte settentrionale del continente africano, oltre ai due territori che costituivano casi peculiari, e cioè la Cyrenaica (di cui si è detto) e l’Aegyptus (di cui si dirà), comprendeva due grandi provincie: l’Africa Proconsularis, o più semplicemente Africa (v. vol. I, p. 106) e la Mauretania (v. vol. IV, p. 930), con le sue articolazioni, denominate Caesariensis, Tingitana e Sitifensis (frutto, quest'ultima, di una suddivisione ulteriore).
Africa Proconsularis. - A partire dalla seconda metà degli anni '50, si assiste, per quanto riguarda le provincie romane d'Africa, a un'internazionalizzazione delle ricerche, che fino ad allora erano rimaste una prerogativa quasi esclusiva della scuola francese e, per quanto riguarda la Tripolitania, di quella italiana.
Dal punto di, vista della storia della provincia, l'interesse degli studî si è concentrato sulla definizione del confine tra Africa vetus e Africa nova, confermando la proposta, che era stata avanzata al momento della scoperta dei cippi di confine della Tunisia centrale, di identificarlo con la Fossa Regia, tracciata tra il territorio di Cartagine e il regno numida nel periodo compreso tra le due guerre puniche. Si sono, registrati alcuni progressi anche per quanto riguarda la delimitazione tra le varie provincie di età tardo-imperiale: p.es. è ormai assodato che Ammaedara (v.) faceva parte dell'Africa e Pupput della Bizacena. Il problema della contrazione dell'occupazione romana nel corso della tarda età imperiale è oggi trattato in forma del tutto diversa rispetto alle tesi «catastrofiche» sostenute negli anni '50, e si tende piuttosto ad ammettere che le frontiere non subirono sensibili cambiamenti fino alla piena età bizantina, il che è valido anche per una parte della Tripolitania. L'ipotesi di una mancata colonizzazione da parte romana dei territori montagnosi è smentita delle prospezioni archeologiche o dagli scavi (spesso anche abusivi) degli ultimi trent'anni in questi territori.
Per quanto riguarda la storia municipale, un grande interesse ha suscitato, a seguito della scoperta di numerose iscrizioni, il problema del passaggio dalle istituzioni puniche o numidiche a quelle romane: i Romani rispettarono a lungo, anche al di fuori delle «città libere» alleate di Roma nel corso della III guerra punica, gli statuti locali con magistrature di tipo punico alle quali erano preposti dei suffeti. Allo stesso modo, l'esteso territorio della nuova colonia di Cartagine conservò a lungo uno statuto particolare, di cui restano tracce sino alla fine della prima età imperiale. Degno di nota è anche il fatto che le scoperte in campo epigrafico portano di continuo nuovi dati per l'identificazione di città che non erano ancora state localizzate.
Le istituzioni municipali sono state oggetto di nuove monografie (Mactar, Hadrumetum, Mustis, Belalis Minus, Sufetula, Ammaedara, Sabratha, Leptis Magna, ecc.), mentre, da un punto di vista più generale, gli specialisti del campo si sono indirizzati sia alla storia delle fondazioni e dello sviluppo delle città, sia allo studio delle funzioni municipali e alla prosopografia delle classi dirigenti locali. L'esame dello statuto dei municipî di diritto latino, in Africa come in altre provincie, ha compiuto notevoli progressi grazie alla scoperta delle «leggi municipali» spagnole di età flavia, il cui significato e il cui valore non sono ovviamente limitati all'ambito locale. Per quanto riguarda la tarda età imperiale, l'ultimo trentennio di studî ha determinato una vera e propria rivoluzione. Sulla base di alcune monografie di carattere archeologico e soprattutto della documentazione epigrafica, è stato dimostrato che le istituzioni municipali sopravvissero in larga misura nel IV sec. d.C. e che le città, lungi dall'entrare in un processo di rapida decadenza nel III sec., come generalmente si pensava, conobbero invece un nuovo sviluppo, con nuove fasi edilizie e di ricostruzione. La documentazione archeologica (resti di anfiteatri, di circhi e di teatri, così come i mosaici) e quella epigrafica (il mosaico di Smirat, gli elogi dei responsabili di atti di evergetismo o le tabellae defixionum), oltre ad alcune fonti scritte, attestano l'importanza dei giochi che si tenevano nelle città o nel corso delle feste provinciali: spettacoli teatrali, giochi di gladiatori, soprattutto corse di carri e venationes, di cui resta un'abbondante documentazione iconografica fino in età tardo-imperiale.
Il problema dell'importanza e della sopravvivenza del sostrato indigeno è stato studiato tanto attraverso la diffusione dei culti tradizionali (come quello di Saturno), quanto attraverso l'onomastica e l'uso della lingua punica (e libica?) che si manteneva ancora all'epoca di S. Agostino. Si registra una polemica tra coloro che sostengono l'esistenza di una forte «resistenza» indigena che si manifesterebbe ancora, tra il IV e il VI sec., per mezzo dello scisma donatista e coloro che invece aderiscono alla tesi tradizionale di una profonda romanizzazione, in gran parte spontanea, anche se rispettosa dei particolarismi. Su questo punto alcuni storici contro le tesi marxiste o «anticolonialiste» arrivano, di fatto, alle stesse conclusioni, talvolta esageratamente ottimistiche, dei pionieri della storia africana del XIX secolo.
Sono state assai numerose le ricerche sulla religione effettuate sia attraverso l'iconografia (scultura e mosaici) e l'epigrafia, sia grazie all'archeologia (catalogazione o studio dei templi di un particolare tipo).
L'economia è stata studiata attraverso le iscrizioni (donazioni, evergetismo) da parte di numerosi specialisti; anche in questo caso però i progressi, evidenti pur se meno organici, costituiscono piuttosto il risultato di monografie di carattere archeologico e di prospezioni sul terreno, facilitate da una classificazione più precisa e da una migliore datazione della ceramica. Le ricerche dimostrano l'importanza dell'occupazione del suolo, della produzione agricola (cereali, olio) e quasi industriale (ceramica, soprattutto nella regione compresa tra Kairouan, el-Ğem e Hağeb el-Ayun) e delle esportazioni che determinarono uno stato di prosperità nell'apparato monumentale, mantenutosi attraverso le vicissitudini politiche, talvolta fino all'età bizantina. È stato oggetto di dibattito un particolare problema, sul piano strettamente archeologico, ossia la natura dei «monumenti a vasche» di età tardo-imperiale, rivelatisi nella maggior parte dei casi mercati pubblici, spesso assai lussuosi, piuttosto che scuderie come era stato ipotizzato.
L'importanza della fioritura del cristianesimo a partire del III sec. e la sua rapida diffusione, la costruzione delle chiese di IV sec. all'interno del centro urbano (con un uso assai precoce delle inumazioni nelle chiese urbane), la considerevole diffusione del culto dei martiri dimostrano l'adesione profonda dell'Africa, anche se non mancano esempî di alcune durature resistenze (si conoscono casi di rivolte popolari a Cartagine e a Sufes e S. Agostino si preoccupa, alla fine del IV sec., della conversione di pagani nel territorio di Ippona, come testimoniano alcune omelie inedite). La transizione peraltro dovette essere lenta: lo si constata nel campo dei riti funerari, con il mantenimento per tutto il IV sec., e forse oltre, dell'uso dei banchetti comunitarî o familiari sulle tombe dei martiri o dei semplici fedeli. Ma il paesaggio delle città africane, come lo cogliamo oggi, è contrassegnato dall'abbondanza di monumenti cristiani (salvo alcune rare eccezioni come quella di Dugga) e dall'estensione delle necropoli di tale periodo. Questa architettura, ovunque presente, è caratterizzata da alcuni usi particolari, come quello delle contro-absidi, e dalle disposizioni liturgiche che vi sono state adottate più che dalla ricchezza degli elementi decorativi: numerosi sono i casi di reimpiego di materiale anteriore nella scultura architettonica. Nel panorama generale si distinguono soltanto alcune manifestazioni regionali di un'arte veramente cristiana come quella della «scuola» di Tebessa, e il gusto per le pavimentazioni, in cui si fa un largo uso del mosaico, con realizzazioni di buon livello, soprattutto in epoca bizantina, e con alcune caratteristiche locali. L'abbondante numero di epigrafi cristiane rende possibile, in alcuni casi privilegiati, lo studio della popolazione in centri quasi del tutto ignorati dagli storici (Sufetula, Mactar, Ammaedara) 0, al contrario, un'analisi più precisa di comunità ben note nei testi contemporanei (come Cartagine, Ippona e Sabratha).
Il periodo vandalo, oggetto già in passato di studî che avevano riabilitato questo popolo e minimizzato gli effetti dell'occupazione dell'Africa, nonché la portata delle persecuzioni subite dal cristianesimo, è stato valutato più obiettivamente, soprattutto per quanto riguarda la decadenza economica del III e IV secolo. Quanto al problema dell'intensità della romanizzazione, oggi si ha la tendenza a insistere sulla continuità delle istituzioni, delle relazioni politiche (che si mantengono a lungo, tanto con l'impero di Occidente che con Bisanzio) e persino della vita economica, con la persistenza delle esportazioni, soprattutto nel campo della ceramica, e della circolazione monetaria. Le discussioni restano però aperte circa l'esatto status giuridico di quella monarchia, che si proclamava autonoma rispetto all'impero, che batteva moneta (anche se piuttosto tardi e soltanto in argento e bronzo) e che mantenne un culto monarchico identificato da alcuni, con molta probabilità erroneamente, con il culto imperiale. In realtà sembra che questo popolo, di non grande consistenza numerica, abbia lasciato scarse impronte di sé in Africa, soprattutto sul piano religioso. Di recente si sono identificate indubbie tracce di distruzione a Cartagine, ma si ricercano invano, nonostante alcuni testi ampiamente studiati (in particolare le opere del poeta del V sec. Draconzio) e gli epigrammi dell’Antologia che si riferiscono alle costruzioni dei re vandali, le prove materiali di questa occupazione. Restano solo alcune tombe i cui corredi possono essere datati nel periodo vandalo. Anche le epigrafi, così abbondanti in Africa, documentano raramente nomi germanici (e per tale motivo dobbiamo attribuire a questo periodo un gruppo di inumazioni della basilica di Ippona). Pure il vescovo «dei Vandali» sepolto ad Ammaedara ha un nome latino.
La successiva occupazione bizantina ha lasciato testimonianze archeologiche assai numerose: la maggior parte delle chiese scavate è nota nella fase di VI secolo. E stato anche ripreso lo studio delle fortificazioni bizantine.
La fine del periodo bizantino in Africa ha ricevuto alcuni, se pur piccoli, chiarimenti sia grazie agli Studî archeologici, come nel caso di Cartagine e di Sufetula, sia grazie alla scoperta di un ripostiglio di monete d'oro nel territorio di el-Ğem.
Merita di essere ricordata la prolungata sopravvivenza delle comunità cristiane successivamente alla conquista musulmana, ben evidente in Tripolitania (Leptis, Sabratha, en-Nğila, 'Ain Zara) e probabile in Tunisia, dove si sono ritrovate iscrizioni dell'XI sec. a Kairouan. Essa è attestata inoltre dal mantenimento, per numerosi secoli, di una gerarchia ecclesiastica.
La ricerca archeologica è stata molto attiva in Tunisia a partire dagli anni '60, in seguito all'apertura di numerosi cantieri che hanno cambiato l'aspetto di alcune località, in particolare quello di Bulla Regia (v.); ma soltanto pochi scavi di quel periodo sono stati pubblicati. Dopo la fine della guerra di Algeria alcune missioni straniere, associate all'Institut National d'Archéologie et Arts, hanno inoltre ripreso lo studio di numerosi siti archeologici già precedentemente scavati: Bulla Regia, Šemtu, Mactar (v.), Sufetula, Ammaedara (v.), il ninfeo di Zaghwan, la zona di Capo Bon, mentre lo stesso Istituto si è assunto l'iniziativa di numerosi scavi di emergenza o programmati a Thina, el-Ğem, Lemta, Sousse, Pupput, Nabeul, Ksar Lemsa, Kelibia, Belalis Minus, Segermes, Agger, ecc. e di lavori di restauro a Sbeitla e a el-Ğem, Mustis (quest'ultimo in particolare con il sostegno della Fondazione Gulbenkian). Per quanto riguarda Cartagine è stato varato un programma inizialmente coordinato dall'UNESCO: esso ha dato vita a una cooperazione internazionale di oltre dieci missioni impegnate in saggi di scavo o in lavori di valorizzazione, e ha consentito la delimitazione di un perimetro tutelato, la presentazione di numerosi monumenti e la creazione di diversi antiquaria locali. Questi lavori hanno modificato profondamente la conoscenza della storia e della topografia di Cartagine (delimitazione tra divisione catastale urbana e rurale, cinta muraria di età tardo-imperiale, porti, soprattutto quello circolare, quartiere «di Magone» vicino alla terme di Antonino, quartiere punico-romano di Byrsa, ville romane della collina dell'Odeon, planimetria e datazione del circo, identificazione di due complessi cristiani sulla collina dell'Odeon e vicino all'attuale supermercato: v. Cartagine). Per quanto riguarda gli altri scavi, a eccezione di quelli che incominciano a essere pubblicati, tanto localmente quanto in collane internazionali, è assai difficile formarsi un'idea precisa dello stato delle ricerche. Merita di essere sottolineato anche il considerevole sforzo compiuto per l'ampliamento e la ristrutturazione di musei, a Tunisi (Bardo), Cartagine, Sousse, Sfax, e per la creazione di nuovi complessi museali a Utica, Mactar, Nabeul, Enfida, Sbeitla, ecc.
La prospezione archeologica, che non era mai stata abbandonata del tutto, è stata ripresa con intensità con un nuovo progetto di atlante archeologico; a esso si aggiungono alcune operazioni specifiche di missioni francotunisine (Meğerda), britanniche (Sufetula) o americane (Kasserine), mentre non si sono potuti utilizzare i risultati delle esplorazioni effettuate dall'esercito nel corso degli ultimi anni del protettorato francese e quelli di numerosi scavi abusivi eseguiti successivamente, soprattutto nelle necropoli per l'avvenuta vendita dei materiali. Si tratta di una grave perdita dal punto di vista storico, in quanto riguardavano zone non frequentate dagli archeologi del XIX secolo.
Anche se sono state pubblicate guide di numerose località, i cataloghi sistematici di materiali e di documenti non sono molti e si limitano all'edizione delle lucerne cristiane, della scultura di Sousse, dell'epigrafia latina del Bardo; la ceramica, invece, è stata ampiamente studiata. Il Corpus signorum è ai suoi inizî con il catalogo di Sousse; al contrario molto attivo è il Centro Tunisino per il Mosaico (KTEMA), che si avvale della collaborazione di gruppi di ricerca americani e francesi e che sta curando l'edizione di un nuovo Corpus des mosaïques de Tunisie, di cui due serie di volumi sono in parte ultimate (Utica) e in parte in corso di completamento (Thuburbo Maius, molto importante anche per ciò che concerne l'architettura).
Per quanto riguarda la zona dell'attuale Algeria che faceva parte della provincia di Africa, l'attività archeologica è molto meno intensa. Anzi, si può dire che le ricerche più recenti riguardano esclusivamente Theveste: lo studio della basilica cristiana e dei suoi annessi, gli scavi di emergenza nelle necropoli, gli scavi nell'anfiteatro, le iscrizioni.
Non molto intensi, ma in alcuni casi notevoli sono poi i lavori negli antichi centri della Tripolitania. A Sabratha (v.) gli scavi sono continuati per numerosi anni. Specialisti italiani e inglesi hanno pubblicato numerosi monumenti di Sabratha e di Leptis Magna (v.), dei quali a suo tempo avevano effettuato lo scavo. A Leptis Magna sono in corso restauri all'arco dei Severi sotto la responsabilità di una missione italiana, mentre una missione francese è stata incaricata dell'esplorazione del porto. Il museo centrale di Tripoli è stato smantellato e quindi riedificato sotto il patronato dell'UNESCO. Una parte delle collezioni è ora nuovamente accessibile. Degna di menzione è la scoperta a Silin, a E di Leptis, di una nuova villa marittima con mosaici di grande importanza che presentano rapporti con quelli di Zliten. Nel retroterra, prospezioni archeologiche sono state condotte per molti anni da una missione inglese e da una francese, mentre numerose campagne sono state dedicate allo scavo della fortezza e dell'agglomerato di Bu Nğem. L'insediamento di Ghirza e la sua necropoli, famosa per i mausolei e la decorazione scultorea di carattere locale, sono in corso di pubblicazione.
L'architettura domestica, se si fa eccezione per la casa dei Laberii di Oudna, la villa di Zliten, alcune case di Sousse, di el-Ğem, Utica, Dugga e Cartagine, era stata poco trattata negli studî della prima metà del secolo. Da qualche anno a questa parte si sono registrati considerevoli progressi, con pubblicazioni sommarie nelle guide e nelle relazioni di scavo, ma anche con monografie comparse nel Corpus des mosaïques. Si deve segnalare a questo proposito lo scavo di una villa a Sidi Ghrib (SO di Tunisi), con terme private decorate da stupendi mosaici.
Lo studio dell'architettura e degli elementi decorativi cristiani, che aveva conosciuto una prima fioritura nel XIX sec., ha nuovamente ripreso vigore, con la pubblicazione delle chiese a doppia abside e di varí altri monumenti, soprattutto a Sbeitla e Haidra, con lo studio del complesso di Tebessa e del suo territorio, con lo scavo di el-Fawar, con numerosi scavi attualmente in corso a Cartagine e nel resto della Tunisia e infine con lo studio delle chiese III e IV di Sabratha effettuato da una missione dell'Università di Palermo. ι
Le lucerne cristiane continuano ad attirare l'interesse di numerosi studiosi.
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Sugli eventi storici: Ch. Courtois, Les Vandales et l'Afrique, Parigi 1955; G. Camps, Massinissa et les débuts de l'histoire, in Libyca, VIII, i960, pp. 3-320; id., Aux origines de la Berbérie, Parigi 1961; H. G. Pflaum, La romanisation de l'ancien territoire de la Carthage punique à la lumière des découvertes épigraphiques récentes, in AntAfr, IV, 1970, pp. 75-117; A. Chastagnol, N. Duval, Les survivances du culte impérial en Afrique du Nord, in Mélanges d'histoire ancienne, offerts à W. Seston, Parigi 1974, pp. 87-118; J. Gascou, Les curies africaines. Origine punique ou italienne?, in AntAfr, X, 1976, pp. 33-48; C. Lepelley, Les cités africaines au Bas-Empire, I, Parigi 1979 e II, Parigi 1981; F. M. Clover, Carthage and the Vandals, in Excavations at Carthage, 1978, Conducted by the University of Michigan, VII, Ann Arbor, 1982, pp. 1-22; P. A. Février, Approches récentes de l'Afrique byzantine, in Revue de l'Occident musulman et de la Méditerranée, XXXV, 1983, pp. 25-53; N. Duval, L'état actuel des recherches sur les fortifications de Justinien en Afrique, in CorsiRavenna, XXX, 1983, pp. 149-209; P. Trousset, Les «fines antiquae» et la reconquête byzantine en Afrique, in BAParis, XIX, 1983, pp. 361-375; F. M. Clover, Felix Carthago, in DOP, XL, 1986, pp. 1-16.
Età imperiale romana: M. Leglay, Saturne Africain, Monuments, I. Afrique proconsulaire, Parigi 1961; P. Romanelli, Topografia e archeologia dell'Africa Romana (Enciclopedia classica. Sezione III, 10. Archeologia, 7), Torino 1970; N. de Chaisemartin, Les sculptures romaines de Sousse et des sites environnants, Roma 1987. - Per i mosaici si veda la bibl. di mosaico, Africa settentrionale.
Età cristiana e bizantina: J. B. Ward Perkins, R. G. Goodchild, The Christian Antiquities of Tripolitania, Londra 1953; N. Duval, P. A. Février, Le décor des monuments chrétiens d'Afrique (Algerie, Tunisie), in Actas del VIII Congreso Internacional de arqueología cristiana, Barcelona 1969, Roma 1972, pp. 5-55; id., Les églises africaines à deux absides, Parigi 1973; id., La mosaïque funéraire dans l'art paléochrétien, Ravenna 1976; J. Christern, Das frühchristliche Pilgerheiligtum von Tebessa. Architektur und Ornamentik einer spätantiken Bauhütte in Nordafrika, Wiesbaden 1976; A. Ennabli, Lampes chrétiennes de Tunisie. Musées du Bardo et de Carthage, Parigi 1976; Ν. Harrazi, Chapiteaux de la Grande Mosquée de Kairouan, Tunisi 1982; J. W. Saiomonson, Voluptatem spectandi non perdat sed mutet. Observations sur l'iconographie du martyre en Afrique romaine, Amsterdam 1979. - Relazioni riguardanti l'Algeria, la Tunisia e Sabratha, insieme a una bibliografia relativa all'ultimo decennio, sono contenute negli Actes du Xle Congrès international d'archéologie chrétienne. Lyon, Vienne, Grenoble, Genève, Aoste 1986, Roma 1989 e in REA, XCIII, 1991 ss.
(N. Duval)
Mauretania. - Organizzata amministrativamente in due provincie, Tingitana e Caesariensis, subì un'ulteriore suddivisione a opera di Diocleziano che distinse la Caesariensis in due parti, di cui l'una sarà detta ancora Caesariensis, l'altra Sitifensis.
Tingitana. - Scavi recenti hanno fornito testimonianze riguardanti soprattutto i contatti con Roma, in relazione alla penetrazione commerciale nel corso del I sec. a.C.: frequente è infatti la presenza di ceramica a vernice nera e di anfore vinarie provenienti dalla Campania o dalla Apulia et Calabria.
Fra le città che si sviluppano in età imperiale, hanno particolare importanza le colonie augustee di Banasa, Zilil (v.), Babba (il cui sito non è stato ancora identificato), Tingi (che già dal 38 a.C. godeva del diritto di municipio; in questo caso però lo scavo è reso assai arduo dalla presenza della moderna Tangeri), nonché Lixus (v.), colonia di Claudio. Non colonie, ma municipia erano invece (e in ciò sono da considerarsi erronee le indicazioni dell'Itinerarium Antonini) Sala e Volubilis (v.). L'indagine archeologica ha fornito anche indicazioni sull'organizzazione della presenza militare che nel II sec. d.C. consisteva in una guarnigione di 5 ali di cavalleria e 9 cohortes (di cui due milliariae): in tutto 9.000 uomini. Si conoscono 12 castra sparsi sul territorio; ve ne dovevano essere ovviamente anche altri, e il sistema (che doveva essere già operante nella seconda metà del I sec. d.C., e che restò in vigore sostanzialmente invariato fino alla fine del III) era integrato da una rete di torri di guardia. Notevole la presenza, a S di Sala, di un fossato lungo 10 km, accompagnato all'esterno da un muro: più che un vero e proprio tratto di limes, era forse un brachium, una linea di trincea di rilevanza «locale».
Recenti scoperte documentano alcuni aspetti della vita economica e, soprattutto, della produzione agricola: in particolare, numerose presse rinvenute in varie località attestano un'abbondante produzione di olio di oliva, destinato essenzialmente al mercato locale o regionale. Notevoli anche gli stabilimenti per la produzione di conserve di pesce o di garum.
Dopo i disordini successivi alla morte di Probo (282 d.C.) e l'abbandono - da parte dell'amministrazione romana - della zona meridionale della provincia, sembra (in base a scoperte archeologiche anche recenti) che l'occupazione della parte settentrionale della Tingitana sia rimasta piuttosto intensa nel corso del IV sec. d.C.: Zilil, in particolare, fu ricostruita intorno al 350. Ma della storia tarda di quest'area non si conosce in realtà molto di più; né sembra si possa dire ancora nulla sulla sorte a cui essa andò incontro dopo il passaggio dei Vandali.
Bibl.: M. Tarradell, Marruecos púnico, Tétouan i960; A. Jodin, Mogađor. Comptoir phénicien du Maroc atlantique, Rabat 1966; M. Ponsich, Recherches archéologiques à Tanger et dans sa région, Parigi 1970; D. Fishwick, The Annexation of Mauretania, in Historia, XX, 1971, pp. 473-484; M. Corbier, Le discours du prince d'après une inscription de Banasa, in Ktema, II, 1977, pp. 211- 232; J. Gascou, La succession des bona vacantia et les tribus romaines de Volubilis, in AntAfr, XII, 1978, pp. 109-124; J. Boube, Les origines phéniciennes de Sala de Maurétanie, in BAParis, XVII, 1981, B, pp. 155-170; A. Hesnard, M. Lenoir, Les négociants italiens en Maurétanie avant l'annexion, ibid., XIX, 1983, Β, pp. 49-51; R. Rebuffat, L'implantation militaire romaine en Maurétanie Tingitane, in A. Mastino (ed.), L'Africa romana. Atti del IV convegno di studio. Sassari, 1986, Sassari 1987, pp. 31-78.
(M. Lenoir*)
Caesariensis. - La provincia romana, creata nel 42-43 d.C., è compresa tra il fiume Ampsaga, che a E la divideva dalla Numidia, e il fiume Mulucha, che distingueva a O la Caesariensis dalla Mauretania Tingitana, ricalcando un antico confine. Meno definito era invece il limite meridionale che andò progressivamente ampliandosi verso l'interno, con successive linee di città e forti, congiunti da strade secondarie, distese a guardia di quelle regioni dell'interno che rimasero fuori da un sicuro controllo romano (Leveau, 1975).
La zona costiera, ricca di porti naturali, fu interessata fin dal IX sec. a.C. dalla colonizzazione fenicia; quindi, a partire dal VI a.C., passò sotto il controllo di Cartagine. Più complessa era invece la situazione all'interno del paese, dove il territorio si trovava nelle mani dei dinasti libici.
Unificato nel 38 a.C. dall’Ampsaga all'Atlantico sotto lo scettro di Bocco II, il regno di Mauretania fu da questo lasciato in eredità, nel 33 a.C., a Ottaviano, che lo affidò a Giuba II (figlio di Giuba I di Numidia) solamente nel 25 a.C. In questo interregno, durante il quale la Mauretania fu amministrata direttamente da Roma, Ottaviano Augusto fondò una serie di colonie, per la maggior parte costiere. L'esistenza del regno di Mauretania cessò nel 40 d.C., quando il figlio di Giuba II, Tolemeo, venne fatto assassinare da Caligola. Soltanto Claudio portò a termine, nel 42 o nel 43, la pacificazione del territorio e la sua divisione in due provincie, la Tingitana a O e la Caesariensis a E (Dio Cass., LX, 8-9).
Claudio intraprese nella nuova provincia un'ampia opera di municipalizzazione, proseguendo nella linea politica inaugurata da Augusto, e concedendo inoltre il diritto romano o latino alle comunità indigene che si erano maggiormente romanizzate.
Sotto il principato di Nerva (96-98), vennero fondate nella parte orientale della Mauretania Caesariensis (la futura Sitifensis) le due colonie di Sitifis e Mopth[...] (v. infra).
Il II e il III sec. d.C. sono caratterizzati da una grande instabilità, causata dai ricorrenti attacchi delle tribù maure. Questa situazione è resa in qualche modo evidente dalla frequente costruzione di cinte murarie (seconda metà del II sec.). Nel 201 Settimio Severo creò la c.d. nova praetentura, nuova linea difensiva molto più avanzata a S rispetto al limes traiano-adrianeo; sempre all'inizio del III sec. appaiono castella nella piana di Setif, che vanno a costituire una cintura difensiva a S e a SO della colonia. Una nuova riorganizzazione amministrativa e territoriale avvenne con Diocleziano che separò dalla Mauretania Caesariensis la zona interna a Setif, creando una nuova provincia: la Mauretania Sitifensis. Il IV sec. fu caratterizzato dall'ascesa di grandi famiglie che, pur conservando il loro potere sulle tribù, possedevano vasti domini e comandi militari o magistrature: è il caso della famiglia di Nubel, due figli del quale, Firmo e Gildone, scatenarono le rivolte che sconvolsero la Cesariense nel 375-396. La conquista vandala del 429-430 non fece che esasperare questa situazione: la sparizione del potere di Roma finì col determinare «la nascita o la trasformazione dei poteri locali o regionali» (Février, 1989,11, p. 153). Questi regni romano-africani, che sorsero nel periodo della dominazione dei Vandali e si consolidarono in età bizantina, fusero la tradizione romana, basata sul principio urbano, con l'organizzazione tribale maura. Secondo il Camps (1984), in opposizione alle più antiche ipotesi frazioniste, la Mauretania Caesariensis, almeno nel VI sec., avrebbe costituito un unico regno che coincideva con la Mauretania Secunda dei Bizantini, i quali occupavano realmente soltanto Cesarea (con cui comunicavano esclusivamente via mare) e i territori a E di Setif.
La complessa morfologia di queste zone condizionò probabilmente la costituzione del confine meridionale del territorio romano. Si tratta infatti di un territorio estremamente diversificato, in cui pianure si alternano a montagne. La parte costiera, con insenature e porti naturali da Igilgili a Siga, presenta fertili piane alluvionali interessate allo sfruttamento agricolo. Tra le più importanti quelle della Mitiga, alle spalle dell'odierna Algeri, circondata da basse colline e, più a O, la pianura del fiume Selif che, scorrendo tra i massicci del Dahra e dello Warsenis, sfocia nel mare a Mostaganem.
Dietro la costa si stende un primo fronte montuoso continuo: a E sono i massicci del Babor e del Mons Ferratus (piccola e grande Cabilia, Ğurğura), interrotti dalla fertile valle dello wādī Summam che a Saldae sfocia in mare. Questi rilievi continuano verso O con l'Atlante di Mitiğen e i massicci del Dahra e del Tessala. Una seconda linea di montagne comprende la catena dello Hodna e il massiccio del Titteri, prolungandosi verso occidente con il rilievo irregolare dello Warsenis.
Nella regione di Setif, fra i monti della Cabilia e il bacino dello Hodna, si aprono pianure e valli favorevoli all'insediamento dove si svilupparono soprattutto le coltivazioni di ulivo, vite e cereali. Le zone coltivabili si stendono quindi dal bordo meridionale dei Monti Hodna sino al margine Ν settentrionale dello šott Melgir e alla soglia di Biskra, limite Ν degli altopiani, per lungo tempo zone di transumanza, digradanti a S verso una zona stepposa fino a raggiungere i laghi salati (šott) che costituiscono il limite settentrionale del deserto.
Risale al II sec. d.C. la prima linea di difesa interna che, dopo aver toccato i centri di Rapidum e Auzia, proseguiva lungo la pianura del Šelif (passando per Thanaramusa Castra, Tigava Castra, Zucchabar, Oppidum Novum, Castellum Tingitanum, Gadaum Castra), sino ad arrivare all'altro capo della provincia, dove era il praesidium Sufative. Tale frontiera, che lasciava ancora senza controllo tutta la zona compresa tra i monti di Hodna e quelli di Daia e Tlemcen, venne successivamente rinforzata con Commodo mediante la costruzione o il restauro di turres e burgi (Salama, 1955, pp. 329-363).
Fu Settimio Severo a porsi il problema di integrare la zona montuosa, popolata da tribù ostili, con il resto del territorio governato dai Romani (Lassère, 1977). Tra il 198 e il 205 d.C. una serie di fortini ampliò verso S il controllo romano: prima tra Tatili e Boghar, lungo il bordo meridionale dei monti di Hodna, di Bibans e di Titteri; quindi vennero costruiti i campi di Aras, Cohors Breucorum, Ala Miliaria, le fortezze di Lucu e Caput Tasaccora. Agli inizî del III sec. d.C., la creazione di Oppidum, a controllo del monte Frenda, rinforzò la difesa sud-occidentale, sino ad arrivare al confine settentrionale con gli altipiani (Salama, 1955, p. 355 ss.; Lassère, 1977).
Rispetto alle provincie dell'Africa Proconsolare, della Numidia e delle Tripolitania, nella Mauretania Caesariensis il sistema stradale sembra semplificarsi, concentrandosi su poche direttrici che si diramano da E verso O, a causa della presenza di rilievi che rendono particolarmente difficili le comunicazioni.
Lungo il mare era la grande via costiera che partendo dalla Cirenaica arrivava sino alla Tingitana, toccando nella Mauretania Caesariensis i centri di Igilgili, Saldae, Rusuccuru, Tipasa, Cesarea, Portus Magnus. Una via più interna, parallela a quella costiera, ebbe definitiva sistemazione nel corso del II sec. d.C. Passando per Sitifis, Auzia, Rapidum, Sufasar, imboccava la valle dello Šelif (toccando i centri di Zucchabar, Tigava Castra, Gadam Castra), per giungere sino al limite occidentale della provincia. Sotto Settimio Severo venne realizzata la strada più interna, legata alla nova praetentura portata sino all'alto Warsenis, che passava per i centri di Aras, Uzinas, Cohors Breucorum, Ala Miliaria sino a Numerus Syrorum, nella valle del Siga. Numerose vie trasversali collegavano tra loro le principali linee di comunicazione e di difesa (Salama, 1960).
L'urbanizzazione sarà sempre poco intensa, caratterizzata da una presenza romana discontinua e, come sottolineato da Leveau (1977, p. 290), si protrarrà «la coesistenza di un Ager Romanus formato dai territori delle città romane o romanizzate e di territori sotto organizzazione tribale». In questo la Mauretania Caesariensis si differenzia nettamente dalla Proconsolare, romanizzatasi in modo più lento, ma molto più esteso e profondo. Questo contrasto è reso evidente dalla diversa consistenza dell'edilizia urbana e monumentale nelle due regioni: se la situazione di continua instabilità giustifica l'alta percentuale di borghi o città fortificate e l'abbondanza di costruzioni militari della Mauretania, in tutte le altre categorie di edifici (soprattutto gli archi e gli edifici di spettacolo) il rapporto si rovescia a favore delle regioni orientali.
Per quanto riguarda la distribuzione degli insediamenti, la maggior parte delle città sorse lungo la costa (e tra esse Saldae, Rusuccuru, Iomnium, Portus Magnus, che raggiunsero una certa importanza proprio grazie alle loro attività portuali). Sulla costa sono anche localizzate le due città più importanti e di più antica urbanizzazione: la capitale Iol-Caesarea (v. cherchel) e Tipasa (v. vol. VII, pp. 871-872). La prima già durante il regno di Giuba II (e quindi in età augustea) è dotata di cinta muraria, di un teatro e, probabilmente, anche di un anfiteatro. A Tipasa lo sviluppo urbano coincise con la formazione del municipio latino a opera di Claudio (I sec. d.C.: sistemazione del foro), per continuare nel II sec. con la costruzione della cinta muraria (145-147), del teatro (posteriore alla cinta) e di alcuni templi.
I siti dell'entroterra avevano principalmente funzione strategica (a partire dalle due colonie augustee di Zucchabar e Aquae Calidae, poste a protezione della capitale Cesarea, come il più tardo centro di Oppidum Novum, divenuto colonia con Claudio): fra questi si possono ricordare le città di Auzia, sorta nel I sec. d.C. e circondata da una cinta non datata, ma corredata di una serie di monumenti (tra cui un circo) d'età severiana, e di Rapidum, campo militare sorto nel 122 lungo il limes adrianeo e fiancheggiato da un agglomerato civile, che nel 167 venne fortificato da una cinta muraria. Con la creazione della nova praetentura, Rapidum diminuì il proprio ruolo militare, sviluppandosi dal punto di vista economico e accedendo così pienamente al rango di città, secondo un processo ricostruibile anche in altri siti posti lungo il vecchio confine come Albulae e Regiae. Rapidum viene ricostruita in età tetrarchica, dopo i disordini della fine del III secolo.
Ancora nell'entroterra, nella regione dei fertili altopiani della parte orientale delle provincia, è situata Setif (v. sitifis), che nel IV sec. conosce il suo momento di massimo splendore in connessione con il suo nuovo ruolo di capitale della Mauretania Sitifensis. In quest'epoca si costruiscono le mura, l'anfiteatro e il circo.
Nel I sec. d.C., lo sforzo costruttivo si concentra esclusivamente nelle due città di Cesarea e Tipasa, mentre nel II sec. è decisamente più diffuso, anche se si tratta ancora soprattutto di opere difensive (cinte di Tipasa, Rapidum, Iomnium). In questo periodo ha inizio lo sviluppo delle città della futura Sitifensis, che nel secolo successivo si arricchirà di castella. Il III sec. è probabilmente il periodo di massima fioritura della Caesariensis, mentre nel IV l'attività edilizia si concentra nella zona di Setif, e soltanto in minima parte a Cesarea e Tipasa.
Per quanto riguarda l'insediamento rurale, è stato ben indagato dal Leveau il territorio di Cherchel, costellato da numerose fattorie dedicate alla produzione dell'olio. Anche la regione di Tipasa è caratterizzata da una fitta rete di ville: importante esempio è il sito di Nador, dove è stata recentemente scavata una fattoria fortificata di cui sono state accertate due fasi: la prima va dal I sec. d.C. agli inizî del III, la seconda dal IV al VI secolo.
Bibl.: In generale: J. M. Lassère, Ubiquepopulus. Peuplement et mouvements de population dans l'Afrique romaine de la chute de Carthage à la fin de la dynastie des Sévères (146 av.C.-2S5 a. C.), Parigi 1977; J. Gascou, La politique municipale de Rome en Afrique du Nord. I. De la mort d'Auguste au début du 3e siècle, e II. Après la mort de Septime-Sévère, in ANRW, II, 10, 2, 1982, pp. 136-227 e 230-320; P. A. Février, Approches du Maghreb romain. Pouvoirs, différences et conflits, Aix-en-Provence 1989; E. Fentress, La Mauretania, in Storia di Roma, III. L'età tardoantica, II, Torino 1993, pp. 367-378. - Eventi storici: C. Courtois, Les Vandales et l'Afrique, Parigi 1955; H. D'Escurac-Doisy, Un soulèvement en Maurétanie Césarienne sous Sévère Alexandre, in R. Chevallier (ed.), Mélanges d'archéologie et d'histoire offerts à A. Piganiol, Parigi 1966, pp. 1191-1204; P. Salama, Occupation de la Maurétanie Césarienne occidentale sous le Bas-Empire romain, ibid., pp. 1291-1311; M. Bénabou, La résistance africaine à la romanisation, Parigi 1976; E. Frézouls, La résistance armée en Maurétanie de l'annexion à l'époque sévèrienne. Un essai d'appréciation, in Cahiers de Tunisie, XXIX, 1981, 3-4, pp. 41-69; G. Camps, Rex gentium Maurorum et Romanorum. Recherches sur les royaumes de Maurétanie des Vie et Vile siècles, in AntAfr, XX, 1984, pp. 183-218; P. A. Février, L'Histoire Auguste et le Maghreb, ibid., XXII, 1986, pp. 115-128; id., Masuna et Masties, ibid., XXIV, 1988, pp. 133- 147. - Confini: P. Salama, Nouveau témoignage de l'oeuvre des Sévères dans la Maurétanie Césarienne, in Libyca, III, 1955, pp. 329-363; id., Les voies romaines de l'Afrique du Nord, Algeri 19602; id., Les déplacements successifs du limes en Maurétanie Césarienne (essai de synthèse), in Limes. Akten des 11. Internationalen Limeskongresses, Székesfehérvar 1976, Budapest 1977, pp. 577-596; id., Les voies romaines de Sitifis à Igilgili, un exemple de politique routière approfondie, in AntAfr, XVI, 1980, pp. 101-133; P. Trousset, Limes et frontière climatique, in Histoire et archéologie de l'Afrique du Nord, Actes du 3e Colloque International, Montpellier 1985, Parigi 1986, pp. 55-84. - Territorio e insediamento: Ph. Leveau, Un nouveau témoignage sur la résistance maure en Maurétanie Césarienne centrale, in AntAfr, VIII, 1974, pp. 103-110; id., Paysans maures et villes romaines en Maurétanie Césarienne centrale, in MEFRA, LXXXVII, 1975, pp. 857-871; id., Recherches historiques sur une région montagneuse de Maurétanie Césarienne. Des Tigava Castra à la mer, in MEFRA, LXXXIX, 1977, pp. 257- 311; R. Rebuffat, Au-delà des camps romains d'Afrique Mineure. Renseignement, contrôle, pénétration, in ANRW, II, 10, 2, 1982, pp. 474-513; S. Salama, Vulnérabilité d'une capitale. Caesarea de Maurétanie, in A. Mastino (ed.), L'Africa romana. Atti del V Convegno di Studio, Sassari 1987, Sassari 1988, pp. 253-269. - Su Tipasa: S. Lancel, Tipasa de Maurétanie: histoire et archéologie, in ANRW, II, 10, 2, 1982, pp. 739-786. - Su Nador: L. Anselmino e altri, Il castellum del Nador. Storia di una fattoria tra Tipasa e Caesarea (I-IV sec. d. C.), Roma 1989. - Su Sitifis, v. la relativa voce.
(M. Baggio - S. Toso)
Sitifensis. - Creata in seguito alla riorganizzazione dioclezianea delle Provincie, la Mauretania Sitifensis comprendeva la parte orientale di quella che era stata la Caesariensis, delimitata rispettivamente a E e a O dallo wādī el-Kebir (flumen Ampsaga) e dallo wādī Summam. Del periodo preromano si conosce pochissimo: in pratica, solo necropoli puniche (con stele) nelle zone di Igilgilis e di Saldae. Con l'occupazione romana (che risale, in quest'area, al II sec. d.C.), insieme con le colonie di Sitifis (v.), destinata a divenire in seguito capitale della provincia dioclezianea, e di Mopht[...], fu creato il municipium di Satafis a ridosso dei monti Kabili, laddove si iniziano (per poi estendersi verso S) le pianure ondulate che costituivano una delle principali riserve di grano per l'impero. Verso N, i monti stessi rendevano poco agevoli le comunicazioni con la costa e con Tupusuctu, il principale porto fluviale sullo wādī Summam; ma nelle valli si praticava intensamente la viticoltura, finalizzata anche all'esportazione (una importante serie di anfore vinarie reca impresso proprio il nome di Tupusuctu).
I terreni coltivabili a S di Sitifis (che per la maggior parte, presumibilmente, appartenevano direttamente all'imperatore) furono muniti alla fine del II sec. d.C., per ordine del procuratore imperiale, di fortificazioni che alcune epigrafi definiscono castella, destinate a offrire protezione ad affittuari o coloni. Alcuni toponimi noti nella regione (Horrea, Caput Saltus Horreorum) testimoniano poi un'estesa attività cerealicola.
La presenza dei castella, e anche il fatto che venissero fortificati contemporaneamente centri come Aquae Flavianae sui monti Kabili, fanno pensare che le condizioni di vita dell'entroterra non dovessero essere sicure. In effetti, si ricordano alcuni momenti di crisi, come le scorrerie barbariche che nel secondo venticinquennio del III sec. d.C. resero necessario l'intervento dell'esercito, o la rivolta delle popolazioni delle montagne, capeggiate da Firmus, nel 373.
Si conosce la residenza di un esponente «romanizzato» delle aristocrazie locali tribali, Sammac, fratello dello stesso Firmus, che combatté contro di lui. Ammiano Marcellino riferisce (XXIX, 5, 13) che questi prìncipi indigeni vivevano in castelli fortificati costruiti in montagna un modum urbis»: il castello di Sammac, ubicato in località Petra ad A'laku presso Tupusuctu, è dotato di peristilio colonnato. Nell'iscrizione dedicatoria, lo stesso Sammac si propone come punto di riferimento per le tribù della regione nell'alleanza con Roma. Sammac e gli altri esponenti delle aristocrazie tribali, dunque, pur integrati nell'impero, erano dotati di una non trascurabile autonomia operativa.
Le invasioni dei Vandali causarono nella Sitifensis gravi danni sia nelle città, sia nell'apparato amministrativo. Con il trattato del 442 d.C., gran parte del territorio venne (almeno nominalmente) restituito all'impero, e alcune delle proprietà terriere (forse ricavate dalle vecchie proprietà imperiali) furono ridistribuite ai senatori che avevano subito espropriazioni; ma la presenza dello Stato romano (malgrado la sopravvivenza di una rete di villaggi) andò attenuandosi, fino a scomparire alla fine del VI secolo.
Bibl.: S. Gsell, Atlas archéologique d'Algérie, Parigi 1911, fig. 16; P. Α. Février, Inscriptions inédites relatives aux domaines de la région de Sétif, in R. Chevallier (ed.), Mélanges d'archéologie et d'histoire offerts à A. Piganiol, Parigi 1966, pp. 217-228; id., Aux origines de l'occupation romaine dans les hautes plaines de Sétif, in Cahiers de Tunisie, XV, 1967, pp. 51-64; J. Matthews, Mauretania in Ammianus and the Notitia, in Aspects of the Notitia Dignitatum (BAR, Suppl. S., XV), Oxford 1976, pp. 157-168; P. Romanelli, Storia delle province romane dell'Africa, Roma 1979 (Ia ed. Roma 1959).
(E. W. Β. Fentress*)
AEGYPTUS. - Quando l'Egitto venne a far parte del mondo romano, con un particolare stato giuridico (kràtesis dell'imperatore), iniziò un processo di cambiamento interno in molte delle istituzioni sociali e amministrative: infatti l'urbanizzazione del paese era inferiore rispetto a quella di altre monarchie ellenistiche assoggettate a Roma, e ciò richiese da parte del governo romano un trattamento diverso (sistema monetario chiuso, ecc.).
L'Egitto è comunque inquadrabile nella sfera orientale dell'impero romano, anche se le specifiche forme di governo delle capitali dei nòmoi e delle altre città e villaggi si differenziano da quelle delle altre provincie: gli strateghi dei varí nòmoi eletti dall'amministrazione centrale esercitavano infatti un forte controllo sia sulle metropòleis, sia sui villaggi attraverso i loro rappresentanti, gli scribi. Nelle metropòleis e nei villaggi, però, esistevano forme di associazione tra cittadini maggiorenti di origine greca (o comunque ellenizzati, e legati al ginnasio), che denotano l'esistenza di una qualche forma di governo locale e di autonomia che consentiva la designazione dei magistrati incaricati delle liturgie, del controllo sul pagamento delle tasse e della coltivazione della terra, compiti di cui erano ritenuti responsabili dalle autorità dei nòmoi. E noto che questi magistrati poterono agire ufficialmente come collegio (koinòn) solo dopo il 200, e che questo riconoscimento giuridico di una forma associativa già esistente e di sistemi elettivi venne promosso da Settimio Severo per potenziare il meccanismo di reperimento di cittadini disposti ad assumere le magistrature e gli onerosi doveri finanziari connessi.
Queste classi dirigenti manifestano notevole interesse per la cultura greca, documentato p.es. dai papiri di Ossirinco (testi di Pindaro, Archiloco, Eschilo, ecc.) e testimoniato anche dalla continuità dell'istituzione del ginnasio; rispettano però aspetti particolari legati alla vita della popolazione d'origine egizia, come la funzione dei templi nel contesto sociale che presenta numerose analogie con l'Asia Minore e soprattutto con la Siria.
Anche in età imperiale il sistema degli abitati rimase condizionato dalla valle del Nilo, il cui corso costituiva l'asse dell'urbanizzazione, a eccezione della zona del Delta, del Fayyūm, del Sinai e delle grandi oasi: oltre «alla logica tradizionale del popolamento egiziano, in parte naturale e in parte dipendente dalla dislocazione di santuarî di varia importanza» (Mansuelli), si riscontrano in età tolemaica e imperiale modelli di urbanizzazione diversi. Nel Basso Egitto, oltre a Naukratis, Terenuthis, Heliopolis, Busiris, Sebennytos, Sais, Buto, Tanis e Heroonpolis, vanno ricordati alla base del Delta Athribis e Leontopolis, quest'ultima, colonia militare giudaica dell'età tolemaica, distrutta nel 73 d.C. da Vespasiano. Ad Athribis fu ricostruito in età imperiale il Tempio di Horus ed era noto un tetrapilo dedicato a Valente; vi è stato inoltre scavato un grande complesso termale. Con il Delta è connessa la zona dello stretto: un ruolo militare ebbe la città di Pelousion dotata di una grande cinta muraria e di un teatro; Adriano provvide a restaurare il Tempio di Zeus Kàsios; sulle coste orientali dello stretto era attivo un sistema di porti con Arsinoe e Klysma, entrambe importanti per i viaggi di esplorazione nel Mar Rosso. L'area a O del Delta presentava un numero minore di città, tra cui Taposiris Magna, Antiphrae, Derris, Catabathmos Maior: porto principale della zona, in uso per tutta l'età imperiale, fu Paràitonion (v. marsaì matruh), chiamata anche Ammonia in quanto vi si originava la strada più breve per l'oasi di Ammone. Tra le grandi oasi dell'Egitto occidentale, al confine con la Libya, quella di Slwa, detta anche di Ammone per la presenza del famoso santuario, conserva resti di costruzioni romane monumentali, sia civili sia funerarie (tomba di Gebel el-Mutah), che testimoniano la continuità del traffico carovaniero e la sua importanza economica.
Erano in collegamento con la zona immediatamente a ridosso del Delta: Babylon, con un'importante fortezza e unita alla piccola isola di Roda (con il famoso nilome- tro) e Memfi, ancora frequentata per il Serapèion e con l'importante necropoli tardo-romana di Saqqära; e inoltre tutta una serie di piccole città e villaggi situati intorno al lago Moeris (Fayyūm) noti per i ritrovamenti di papiri e a causa di ciò male scavati nei primi decenni del secolo (Philadelphia, Bakchias, Soknopaiou-Nesos, Dionysiàs, Euhemeria, Theadelphia, Kerkeosiris, Tebtynis, Herakleopolis Magna, la capitale Arsinoe/Krokodilopolis, Ptolemais-Hormou, Karanis). Si tratta di città per lo più di fondazione tolemaica, quasi sempre sviluppate intorno al santuario principale dedicato al dio coccodrillo a cui si accedeva con il consueto dròmos, e spesso conservanti le tracce di un'urbanizzazione a impianto ortogonale di tipo ellenistico (Philadelphia, Tebtynis, Dionysias).
Nel Medio Egitto da Hermopolis Magna si diramava un importante nodo stradale, mentre la fondazione di Antinoe servì a rafforzare il nucleo ellenistico della popolazione anche attraverso il trasferimento di gruppi di persone da Ptolemais: la città, con porto sul Nilo, faceva capo alle vie carovaniere verso il Mar Rosso; la sua urbanistica e l'architettura richiamano le città microasiatiche e siriane. Più a S, sempre sul Nilo, vi erano Lykòpolis (Asyūt) ancora importante in epoca tardo-antica, Panopolis, nota per la produzione di tessuti e la lavorazione della pietra, Aphroditopolis e Ptolemais, quest'ultima fondata dai Tolemei con lo scopo di esercitare attraverso la sua popolazione greca un controllo su questa zona.
Seguono più a S, sempre lungo il Nilo, altri centri che conoscono importanti fasi in età imperiale: Abido, Diospolis Mikra, Tèntyra (Dendera), Koptos (importante nodo stradale per le vie verso il Mar Rosso, la zona mineraria e le cave orientali e ricostruita da Diocleziano dopo la distruzione della fine del III sec.), Hermonthis, Diòspolis Megàle (Karnak), Latopolis, Hierakonpolis, Apollinòpolis Megàle (v. edfu), Ombos e Syene, presso la prima cataratta. Lungo il Mar Rosso vi era a Ν il porto di Myos Hormos, in collegamento con Antinoe e con Koptos, a S forse Philotera e sicuramente Leukòs Limèn (Qoseir), collegato anch'esso con Koptos e con Apollinopolis; più a S ancora Berenice, presso il Capo Bonas, non solo porto, ma anche stazione militare e centro del culto della dea del Mons Smaragdus (Gebel Hameta), in quanto situata presso le cave di pietre e le miniere di smeraldo e di autrifodine. Questo monte, il Mons Claudianus (Gebel Fatire), il Mons Porphyrites (Gebel Doka), lo Umm Torwat, lo Umm Balad, lo wādī Hammämät, lo wādī Barud e lo wādī Furaki, località tutte ubicate nel deserto orientale, costituivano la zona mineraria principale sfruttata fin dall'epoca faraonica; essa era percorsa da una serie di vie principali e di piste e da una rete di stazioni di sosta, spesso caratterizzate dalla presenza di un fortino, disposte secondo la distanza giornaliera percorsa dalle carovane provenienti dai porti del Mar Rosso e dalle spedizioni per il trasporto delle pietre e dei varî minerali.
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(P. Pensabene Perez)
arte di tradizione faraonica. - La tradizione artistica dell'Egitto romano è quanto mai complessa. Nuovi apporti vitali, come quello della cultura greca e romana in un ambiente che ha con Alessandria un'apertura nel Mediterraneo e si pone così al centro di scambi commerciali a larghissimo raggio, attivano incontri fra civiltà eterogenee. Sul piano artistico ciò determina una compresenza di linguaggi e di filoni diversi, ma con profonde, vicendevoli interferenze.
Uno di questi filoni è quello che si esprime nelle convenzioni adottate dall'Egitto faraonico, in piena adesione di intenti e continuità nella scelta dei temi, degli schemi iconografici, dei moduli stilistici. All'interno di questo filone si individuano sottoinsiemi diversi; il primo è di pura derivazione faraonica, sia pure attraverso la lettura tolemaica, e attiene al sovrano nella sua relazione con il tempio; l'altro è di modulo commisto: il linguaggio egiziano, cioè, si mescola con quello greco e con quello romano, in una miscela il cui dosaggio può dar luogo a soluzioni diverse a seconda dei tempi, dei luoghi e dei diversi mezzi di espressione. Ciò riguarda per lo più la sfera del privato e la documentazione è relativa a oggetti della vita quotidiana, ma soprattutto è connessa con l'ideologia funeraria. I diversi centri di produzione adottano temi e schemi iconografici sostanzialmente omogenei; si differenziano, invece, per la realizzazione stilistica, che appare più legata a differenti tradizioni locali.
L'organizzazione augustea del governo dell'Egitto, che è la radice della vitalità di questo filone artistico, sarà confermata senza cambiamenti di sostanza fino alla riforma tetrarchica, sia nelle sue peculiarità (l'Egitto stesso è posto sotto il diretto controllo del principe ed è perciò governato da un prefetto di rango equestre), sia nel suo assetto organizzativo. I Tolemei, pur risiedendo nel paese e pertanto con maggiori possibilità di controllo su di esso, si erano appoggiati nel governarlo al clero; editti in greco e demotico rivolti a tutta la popolazione venivano custoditi nel tempio che aveva dunque recuperato un ruolo centrale nella vita del paese. Augusto pose serie limitazioni al potere del clero con l'istituzione di un magistrato, l'ideologo, che fu attivo fino a Traiano con il compito di operare una sorveglianza sui culti e su tutto quanto accadeva attorno al tempio, che conservò comunque, anche in epoca romana, una funzione di primo piano. Le festività religiose erano mantenute vive, in forma solenne, proprio come momento di aggregazione della parte egiziana della popolazione; ed è evidente che è rivolto proprio a quest'ultima quel linguaggio figurativo che muove su linee tradizionali. Si tratta di una produzione ufficiale, centrata sulla monarchia teocratica e realizzata a cura del sacerdozio. Le eccezioni sono rare: una è costituita dall'erezione di due obelischi da parte del centurione T. Aurelius Restitutus ad Assuan intorno al 166 d.C. (Zawadzki, 1969). I membri della famiglia imperiale, e perfino la sposa stessa del princeps, restano esclusi da queste manifestazioni figurative e questa è la sostanziale novità rispetto al passato (le spose regali avevano sempre avuto notevole rilevanza nelle figurazioni egiziane fino a tutta l'epoca tolemaica; così pure i familiari del sovrano, anche se con diversa incidenza da epoca a epoca). La regola è così severa che quando alcuni temi e schemi iconografici richiederebbero la presenza della sposa regale (come nel caso della processione maschile dei Nili guidata dal sovrano e quella femminile guidata dalla sposa) è il sovrano a essere reduplicato, assommando così in sé i due termini della fertilità. In tal modo si verifica nel tempio di Dendera, dove nella parte tolemaica (p.es. nella stanza IV a lato della sala ipostila interna e nel vestibolo esterno) compaiono il re e la regina, mentre nella parte romana (p.es. sul lato esterno del muro O del santuario) Nerone è raffigurato due volte, a guidare entrambe le processioni. Anche qui è da sottolineare che le eccezioni sono rare: proprio a Dendera (v.) l'imperatrice Plotina (che pure nel 100 d.C. aveva rifiutato il titolo di Augusta) accompagna Traiano, ed è inoltre associata a Nea Afrodite e assimilata a Ḥathọr; in un rilievo di Luxor l'imperatrice Giulia Domna - singolare personalità cui facevano capo eclettici circoli culturali - è rappresentata come Nephtis accanto a Settimio Severo, raffigurato a sua volta come Anteo; nel tempio di Esna la stessa Giulia Domna è rappresentata con l'imperatore e con i figli Geta e Caracalla (anzi, è da registrare la cancellazione mediante stuccatura del nome di Geta da parte del fratello Caracalla che lo aveva eliminato: Sauneron, 1952); a Kom Ombo Macrino, in una scena di offerta, è accompagnato dal figlioletto Diadumeniano. Di membri della famiglia reale raffigurati da soli (non associati, cioè, all'imperatore stesso) è conosciuto poi un solo esempio: quello di Germanico, che si era recato in Egitto senza il permesso di Tiberio e in Alessandria era stato accolto da acclamazioni e onori quasi divini.
Sono state avanzate serie obiezioni al fatto che Augusto e gli imperatori romani venissero considerati faraoni (Geraci, 1983); in effetti nei testi, almeno inizialmente, nessuno di essi è mai definito come tale anche se sui monumenti i nomi degli imperatori sono scritti in geroglifici entro un cartiglio. L'appellativo si trova più tardi e solo per Commodo, Settimio Severo, Alessandro Severo e Aureliano. Tuttavia, fin dal primo momento, per quel che mostrano le figurazioni dei templi, l'imperatore compie le azioni e i rituali che erano stati propri del faraone.
Quasi tutti gli imperatori da Augusto a Massimino Daia usarono cartigli, anche in casi in cui la permanenza sul trono fu brevissima (Galba, Otone): il che significa che il nuovo imperatore compariva come sovrano d'Egitto e commissionava edifici fin dalla sua ascesa al potere.
L'architettura templare. - In conformità con il ruolo di capo religioso di cui è investito il sovrano dell'Egitto, il tempio è il luogo in cui essenzialmente gravita l'attività del princeps e poi dell'imperatore di Roma. Si interviene, dunque, sulle architetture del periodo tolemaico proseguendone la costruzione o completandone la decorazione, anche qui non diversamente da quanto era sempre accaduto in passato: si dota il tempio di una nuova sala ipostila che si affaccia all'esterno (Dendera, Esna e poi Medīnet Habu e File); si edificano un nuovo mammisi (Dendera), un nuovo chiosco (File), nuove cappelle (Kom Ombo, File), bacili e fontane (Dendera), o nuovi moli e nilometri. Ma si procede anche a restauri degli edifici preesistenti, con interventi sia sulle strutture (muri di cinta di Dendera, Karnak, File), sia sulle decorazioni incise e dipinte.
Per quanto riguarda i templi costruiti ex novo, si può rilevare che sono di norma di dimensioni inferiori a quelle dei grandi templi tolemaici e che la parte figurata presenta un'esecuzione più secca e spoglia. Procedure e materiali sono largamente attinti alla tradizione, non senza tuttavia elementi di innovazione nel progettare e nel costruire. Al canone di Vitruvio sembra sia ispirata la costruzione del tempio di Mandulis a Kalabša; la posa in opera e la legatura dei blocchi era attuata per strati sovrapposti, con malta cementizia. Dopo la posa in opera dei blocchi grezzi veniva eseguita in situ la lisciatura che dava pareti piane pronte a ricevere i testi e le figurazioni. Molti edifici di epoca romana (come era accaduto in epoca tolemaica) sono rimasti incompiuti: su certe pareti (p.es. nel mammisi romano di Dendera) la lisciatura non è stata ultimata, e la decorazione è eseguita per settori di piccole dimensioni disseminati per tutta la superficie, al punto che la metà di un cartiglio o di una figura risulta perfettamente eseguita mentre l'altra metà non è nemmeno accennata. Le raffigurazioni e le iscrizioni sulle pareti dei templi sono di contenuto religioso e solo assai di rado civile - tratto questo che distingue l'uso romano da quello tolemaico. I temi sono diversi, ma tutti riconducibili a un principio: il tempio è il cosmo, specchio del suo ordine. Immagini e iscrizioni sono disciplinate da un rituale il cui rispetto è garanzia che quest'ordine è mantenuto. L'assetto triadico delle divinità, il dio, la sposa, il figlio, è finalizzato al rinnovarsi eterno dell'ordine cosmico. Il faraone, identificato con il dio figlio, come anche in quest'epoca si sottolinea, rappresenta il garante della stabilità che sempre si rinnova e che è la sola condizione perché il paese sia prospero. Per questo le raffigurazioni sono quelle tradizionali; e lo stesso si può dire dei temi che completano queste scene, con allusione al valore cosmico del tempio: i pianeti, le ore del giorno e della notte. L'intensa policromia che ravviva i rilievi e le membrature architettoniche è ispirata anche (come la scelta dei diversi materiali) a motivi di carattere simbolico; si pensi ai capitelli di disegno diverso che coronano le colonne nei templi di questo periodo, con un ricco repertorio di soluzioni da riportarsi a prototipi vegetali: fasci di papiro, ombrelle aperte, fiori di loto, corolle aperte. Ampio è l'uso dell'oro, impiegato con particolare profusione a Dendera: qui tale uso sembra strettamente connesso con la dea Hathor, mentre nel mammisi esso sottolinea la nascita solare del figlio divino.
I templi egiziani che presentano un intervento romano sono numerosi in tutto il paese; non altrettanto quelli di costruzione interamente romana: importanti sono però quelli dell'alta valle del Nilo (Dendera, Esna, Kom Ombo, File e - in Nubia - Kalabša) e delle grandi oasi del deserto occidentale. L'apporto romano, invece, è relativamente modesto nel Tempio di Ammone a Karnak.
Quasi del tutto assente è a Edfu, dove è attestato il solo nome di Tiberio. Nel Basso Egitto si rintracciano solo sporadici interventi di Augusto, Nerone, Caracalla. A Esna il Tempio di Khnum (di fondazione tolemaica) conserva soltanto la sala ipostila, costruita in epoca romana a somiglianza di quella di Dendera. Il tempio di Esna costituisce un paradigma dell'arte romana dell'Egitto faraonico, per le numerose attestazioni di imperatori romani e per il modo di procedere graduale nell'esecuzione delle figurazioni.
Tra le scene sono degne di nota quella in cui Commodo, con Horus e Khnum, tira la rete colma di uccelli e di pesci, e l'uccisione rituale dei nemici da parte di Domiziano, alla presenza delle divinità del tempio; una scena simile ha come protagonista Traiano, cui Khnum porge la falce per l'esecuzione.
Il Tempio di Sobek e Haroeris a Kom Ombo in epoca romana fu dotato di una corte e provvisto di due ingressi, nel rispetto della struttura binaria dell'edificio, con pareti e colonne che presentano raffigurazioni di Augusto e Tiberio. Il tempio è racchiuso da due cinte che creano due corridoi; in quello interno sono raffigurati Nerone e Vespasiano; Domiziano compare sulla cinta esterna del tempio; Marco Aurelio e Commodo sono raffigurati nella parte occidentale del corridoio esterno in scene di oblazione, accanto alle quali compare Macrino seguito dal figlioletto, Diadumeniano. Caracalla edificò entro il recinto del tempio una cappella in onore di Sobek.
Per quanto riguarda la zona tebana, Domiziano è raffigurato a Karnak nel piccolo tempio di Thutmosis IV. Un tempio in onore di Iside fu edificato a Deir eš-Šelwit; di dimensioni ridotte, riveste una certa importanza in quanto documenta la presenza di Galba e di Otone, che a quanto sembra ne furono gli iniziatori; vi sono inoltre i cartigli di molti Flavi e Antonini. Sulle pareti interne della cella si vede Adriano che offre un obelisco; sui muri esterni, ai lati della porta, Antonino Pio di fronte a Iside.
Il santuario più importante dell'Egitto romano era quello di Iside a File (v.), ora spostato sull'isola di Agilkia, con i suoi cortili annessi, mammisi, con il dròmos su cui si allineavano altri templi, e ancora con il nilometro, il chiosco di Nectanebo, il vestibolo, il Tempio di Hathor. Numerosissimi furono gli interventi degli imperatori romani da Augusto a Diocleziano.
Augusto e Tiberio figurano sul muro esterno del Tempio di Iside nel mammisi, nel Tempio di Ḥathọr e in quello di Aresnuphis. Fu costruito ex novo il tempio alla divinità di Augusto (13 a.C.) posto fuori della cinta del tempio maggiore. Sembra risalire a Claudio la costruzione di un tempio di Harendoles nel lato S della cinta del Tempio di Iside. A Tiberio si deve il programma figurativo del «passaggio di Tiberio» con scene di oblazione; esso fu completato da Claudio e da Nerone. Traiano fece costruire il chiosco per il riposo della barca sacra durante le processioni.
Di fronte alla vicina isola di Biga Adriano fece erigere una porta di collegamento con il Tempio di Iside presso il secondo pilone; vi sono anche immagini di Marco Aurelio e cartigli di Commodo. Nella ricostruzione attuale ha trovato collocazione un muro con colonne recuperato nelle vicinanze e recante i cartigli di Marco Aurelio e Lucio Vero. Infine, il muro di fortificazione fatto innalzare da Diocleziano con la porta a tre fornici è l'ultima costruzione concepita in stile romano, e in tal senso costituisce un momento di cesura.
Il tempio augusteo di Mandulis a Kalabša, con varie scene di offerta e di processioni aventi per protagonisti Augusto e Traiano, è stato sommerso dopo la costruzione della Grande Diga. Nel 1960 è stato smontato a opera dell'Istituto Germanico del Cairo e ricostruito presso Assuan, 50 km a Ν della sua sede. Una porta monumentale reimpiegata, venuta alla luce durante lo smontaggio, è stata donata alla Germania e si trova attualmente a Berlino.
Scultura. - Nell'ambito della scultura di tradizione faraonica, le stele (una cinquantina) sono prevalentemente espressione di un intento celebrativo e commemorativo. Usuale è lo schema della stele centinaia con figurazione nel campo superiore e testo (in geroglifico e greco, oppure in demotico) nella parte inferiore. Il tema più frequente è l'omaggio alle divinità, ma se ne conoscono anche altri: p.es., le numerose (ventuno) stele di Tiberio rinvenute, che documentano costruzioni, riparazioni o altri varî interventi edilizî. Tra le altre stele di imperatori romani, dodici riguardano Augusto (da Dendera, Hermonthis, Memfi e File), ma per la maggior parte sono relative alla dinastia giulio-claudia. Una stele di Traiano del Museo Egizio del Cairo, proveniente da Kom Ombo, presenta accanto all'imperatore anche la sua sposa, come abbiamo visto nei rilievi del tempio di Dendera; una delle due stele di Vespasiano pervenuteci, conservata nel Museo Archeologico di Firenze, rappresenta l'imperatore con doppia corona, stante, di fronte alla triade di Elefantina: Khnum, Satis e Anukis.
Il monumento che ha restituito stele di imperatori romani relative al più ampio arco di tempo, da Augusto a Diocleziano, è il «Bucheum» (necropoli di tori sacri, così denominata dal toro Buchis) di Hermonthis: si tratta di stele dedicate ai tori defunti. Buchis è raffigurato con numerosi attributi, testimonianti la sua associazione con Min e con altre divinità, fra cui il Nilo. Una classificazione di queste stele, che è stata tentata dal Fairman, distingue un tipo «Early Roman» (epoca di Augusto e Tiberio) e un «Later Roman» (da Domiziano a Diocleziano). Caratteristica delle stele romane è quella di mostrare talvolta Buchis mummificato.
Le statue di imperatori rinvenute sono dodici: l'ultima attestazione di attività è del 295. Nelle stele funerarie «private» il rispetto dei moduli formali faraonici non è scrupoloso come nelle stele imperiali e si fa ricorso per lo più a un linguaggio commisto in cui è fortemente attestata la componente ellenistica. Particolarmente rilevante è il complesso di stele funerarie posto in luce nella necropoli di Kom Abu Billu, l'antica Terenuthis (v.), nel Delta occidentale, attiva dall'epoca tolemaica a tutta l'epoca romana.
Esiste poi una versione romana di statue di divinità: basti pensare al dio Horus in veste di legionario. Di statue di sacerdoti esiste una ricca documentazione (Graindor, 1936): si tratta per lo più di personaggi stanti, a volte con pilastro dorsale, le mani appoggiate a un bastone tenuto in verticale al centro della figura. I tratti del volto sono fortemente caratterizzati, con rughe marcate. Talvolta sono conservate solo le teste: queste immagini, prive delle caratteristiche più marcatamente egiziane come il pilastro dorsale, potevano essere sentite come affini ai ritratti romani. Le statue di sacerdoti si possono presentare con caratteristiche egiziane o più spesso simili a busti romani (Rupprecht Goette, 1989).
Un capitolo a parte è costituito dalla statuaria imperiale che comprende raffigurazioni dell'imperatore stesso e (in un numero minore) dei suoi familiari. In genere vengono rispettate le convenzioni del ritratto romano, ma esistono anche alcune statue che rappresentano l'imperatore in abito e atteggiamento di tradizione faraonica. Per quanto riguarda la resa dei tratti fisionimici, nella statuaria l'impersonalità lascia spazio a qualche tipizzazione, propria della scultura romana e provinciale, o addirittura a una caratterizzazione fisionomica che rende i personaggi in certa misura riconoscibili. In una statua in granito da Karnak conservata nel Museo del Cairo Michalowski riconosce Augusto, raffigurato inoltre, secondo Kiss, in una testa in basalto conservata a New Haven. La statua colossale in granito (Museo del Cairo, inv. 701) detta di Alessandro IV, oggetto di discussione tra gli studiosi, secondo il Kiss rappresenta Tiberio: di sicuro essa risale alla fase iniziale della dominazione romana in Egitto. Una statua del palazzo ducale di Mantova raffigura Nerone stante in abito faraonico, probabilmente in ricordo dell'incoronazione del 54 d.C. (Kiss, 1975 e 1987). L'effigie di Nerone giovane è riconosciuta da Kiss in una testa in granito grigio del Museo Civico di Bologna e in una in granito nero a Varsavia. Una statua in granito rosa, trovata presso Roma e ora conservata al Museo Nazionale Romano, in cui S. Curto aveva riconosciuto l'immagine giovanile dell'imperatore, sembra invece non avere nulla a che fare con l'Egitto proprio per il materiale in cui è realizzata.
Vespasiano fu acclamato imperatore ad Alessandria e dall'Egitto provengono alcuni suoi ritratti. I tratti del volto, che offrono l'immagine di un uomo attempato, con rughe profonde sulla fronte e fra il naso e la bocca e mento rotondo, hanno indotto H. Jucker (1961) a riconoscere l'imperatore in una singolare statua di sfinge a testa umana (Museo del Cairo, inv. 36500), identificazione che non è condivisa da tutti gli studiosi. La fioritura del ritratto romano in Egitto dopo Vespasiano conosce una stasi che s'interrompe con Adriano. Non si conoscono raffigurazioni di imperatori in abito egiziano per il successivo periodo degli Antonini, se si eccettua una statua di tipo faraonico, conservata nel Minneapolis Institute of Art (Kiss, 1984), che porta il nome di Commodo, ma il Kiss ritiene rappresentazione di un sovrano tolemaico. Con Settimio Severo si accentua nella statuaria di ispirazione faraonica la caratterizzazione fisionomica e si adotta la dimensione del colossale, come rivela una statua in granito rosso del Museo del Cairo (inv. 703) nella quale si è riconosciuto l'imperatore.
Al figlio Caracalla appartiene il maggior numero di statue di tradizione faraonica giunteci. In particolare egli è riconoscibile in quattro statue (Kiss, 1979) che non si ispirano però ai medesimi canoni. Al tipo ritrattistico degli anni 215-16 si riferiscono una statua in granito proveniente da Mendes, nel Museo del Cairo (inv. 702), una testa in granito del Museo Greco-Romano di Alessandria (inv. 3233) e una testa dello stesso materiale dal Tempio di Iside a Koptos, conservata nell'University Museum di Filadelfia (inv. E 976; Kiss, 1984). Con Caracalla ha termine il fenomeno della statuaria imperiale di tradizione faraonica.
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(L. Del Francia Barocas)
ARTE DI ISPIRAZIONE GRECO-ROMANA. - Se fino a pochi decenni fa l'interesse prevalente degli scavatori era rivolto ai monumenti di età o di tradizione faraonica e all'architettura e all'arte cristiana dell'interno dell'Egitto («copta»), ultimamente si sta riscontrando una maggiore attenzione anche per i resti di età imperiale e di tradizione greco-romana: in particolare si ricordano i lavori delle missioni inglesi a Hermopolis Magna (Ašmunein), degli Italiani ad Antinoe, dei Polacchi a Kom ed-Dik in Alessandria, a Marina (presso el-'Alamayn dove è stata recentemente rinvenuta una nuova città con la sua necropoli) e ad Athribis, degli Egiziani a Marea, dei Francesi a Dendera, Luxor e nel Mons Claudianus, dei Giapponesi ad Akoris, e ancora dei Tedeschi ad' Abu Mena, Saqqāra e Bawit.
Urbanistica e architettura. - È noto come ad Alessandria sia le fonti, sia le testimonianze archeologiche confermino l'esistenza di una pianta «ippodamea»; tuttavia la rete stradale a essa pertinente è nel complesso scarsamente nota, soprattutto per ciò che concerne la sua storia; tra l'altro il reticolo viario individuato da Mahmoud Bey ci dà informazioni soprattutto per l'Alessandria del periodo imperiale. Da numerose fonti tarde è ricordato un tetràpylon, collocato al centro della città, probabilmente all'incrocio tra le due strade principali.
Le città egiziane i cui resti ci forniscono elementi utili per ricostruirne l'organizzazione urbanistica sono Marina, Hermopolis Magna, Antinoe, Athribis, Tebtynis, Dionysiàs, Philadelphia e il grande complesso cristiano di Abu Mena. In alcuni casi i resti archeologici hanno mostrato chiaramente l'esistenza non soltanto di un sistema assiale, ma anche di una struttura urbanistica a reticolato (Antinoe, Dionysiàs, Philadelphia) in analogia con Alessandria e con altre città orientali, come Antiochia, Apamea, Gerasa, Damasco e Palmira.
Per Hermopolis (v.), le proporzioni regolari dell'originario impianto faraonico hanno favorito la trasformazione della città secondo i canoni urbanistici greco-romani, consentendo un facile inserimento nel reticolo stradale del «dominio sacro». Infatti il lato S del grande recinto quadrangolare di questo, risalente alla XXX dinastia, coincideva con un lungo tratto della grande strada che attraversava da E a O la città, la Via Antinoitica: questa era tagliata da una strada N-S, il «dròmos di Hermes», posta sull'asse del Tempio di Thot-Hermes, il santuario principale (risalente alla XIX dinastia) del «dominio sacro». L'incrocio tra le due strade doveva essere sottolineato da uno dei tanti tetrastili che si trovavano sulla Via Antinoitica, noti dai papiri. Alle estremità della Via Antinoitica erano collocate la Porta del Sole e quella della Luna, in analogia con Alessandria, e su di essa si affacciavano importanti edifici civili e di culto, come i templi di Adriano e di Antinoo, il màkellon, l’agorà, il Serapèion, il Neilàion, il Komastèrion, un ninfeo orientale e uno occidentale. Recentemente si è proposto di identificare il Komastèrion in una costruzione che si affaccia sulla Via Antinoitica e che era anche collegata con il «dròmos di Hermes»: nella prosecuzione di questo, oltre la via, è il santuario tolemaico, rinvenuto sotto la basilica cristiana, e nel quale si può forse riconoscere un Serapèion. Oltre agli edifici che bordavano la strada antinoitica, nella città ne esistevano altri, di cui si conosce approssimativamente l'ubicazione, come il Tempio di Augusto nel «dominio sacro», o altri finora non individuati, come le Terme di Adriano, il ginnasio con il suo porticato, l’agorà e il mercato.
In modo più evidente la struttura urbanistica reticolata in insulae pressoché regolari è ricostruibile ad Antinoe (v.), dove ormai sono noti gli assi viari e l'imponente circuito murario. La strada principale N-S, affiancata da colonnati dorici, presentava alle estremità due porte monumentali ed era intersecata da due strade E-O e da altre minori sempre parallele, con i punti di intersezione principali sottolineati da tetrapili. Un'altra città, apparentemente strutturata secondo uno schema ortogonale facente capo a due assi principali, era Athribis (Tell Atrib, a NE dell'odierna Benha).
Una struttura urbanistica abbastanza regolare si riscontra a Tebtỳnis (Umm el-Braygat) nel Fayyūm: anche in questo caso si tratta dell'ampliamento di età tolemaica di un nucleo più antico (il «villaggio» risalente alla XII dinastia).
A O di tale nucleo fu creato un mercato identificato con una grande spianata di m 120 X 40, e a O di quest'ultimo, venne costruito un nuovo quartiere con strade perpendicolari distanti l'una dall'altra m 25, in modo da formare insulae rettangolari; con gli stessi criteri venne impiantato un grande quartiere a E del villaggio e, per collegare questi due nuovi nuclei tra loro e con il mercato, fu costruita un'ampia arteria trasversale E-O, adatta per il grande traffico, che sboccava sul margine Ν del mercato. In armonia con questo sviluppo razionale della città, i Tolemei posero mano anche alla ricostruzione del nuovo grandioso Santuario di Soknebtynis, in sostituzione di quello più antico, con un'imponente via processionale. Tebtynis dunque costituisce la testimonianza di come si sia inserito il preesistente nucleo, tra l'altro probabilmente ancora abitato dalla popolazione egiziana, in un nuovo assetto urbanistico.
Al periodo dei Tolemei deve risalire la fondazione di Dionysiàs (Qaṣr Qarun) nel nòmos arsinoita, spesso associata a Bakchias che già risulta esistente nel 249 a.C. Un ruolo notevole nella fondazione della città rivestì probabilmente l'esistenza, nelle sue vicinanze, di miniere di rame alle quali conduceva una strada che ne costituì l'asse trasversale principale. Dionysiàs possedeva un impianto urbanistico ortogonale che subì nel corso dell'età imperiale diverse modificazioni: il sito era diviso in isolati quasi quadrati, in modo analogo, osserva lo Schwarz, a Philadelphia, e con distanza uniforme di m 50 tra una via e l'altra. Il territorio limitrofo della città era percorso da una fitta rete di canali per l'irrigazione.
A Philadelphia sono state individuate chiare attestazioni di una struttura urbanistica a reticolo: si è rinvenuto parte di un quartiere suddiviso in insulae regolarmente rettangolari di circa m 100 X 50, separate da vie larghe da m 5 a m 10 che si incrociavano ad angolo retto. Anche a Soknopaiou-Nesos, fondata sotto il regno di Tolemeo Filadelfo, è stato riconosciuto, nel settore O, un quartiere regolare attraversato da un reticolo di vie; lo stesso a Tine, dove i resti più antichi sono datati al I sec. a.C.
Per il periodo tardo-imperiale e bizantino un'importante testimonianza ci è restituita dal complesso di Abu Mena, che risulta organizzato secondo un preciso impianto urbanistico. È stato rilevato un asse principale N-S corrispondente a una grande strada colonnata che nel suo tratto terminale, simile a un dròmos, conduceva al grande santuario tripartito (Grande e Piccola Basilica, Battistero). Essa è attraversata da un'altra grande strada E-O, senza che il colonnato s'interrompa in corrispondenza dell'incrocio, all'altezza del quale però gli intercolumni risultano più larghi. È comunque rilevante notare la ripresa parziale di schemi urbanistici tipicamente orientali nella sistemazione a via colonnata della strada e nella monumentalizzazione, tramite una grande corte a peristilio, dell'area che precede immediatamente a Ν la parte principale del santuario tripartito, dove cioè era situata la tomba del martire.
Tra i principali monumenti dell'architettura ufficiale dell'Egitto romano, inquadrabili nella tradizione architettonica classica, elementi di interesse offre il tempietto di File che presenta trabeazioni e capitelli riconducibili alla tradizione alessandrina, a cui rimanda anche la mescolanza degli ordini che, dopo il classicismo augusteo, diverrà sempre più estranea all'architettura ufficiale; anche l'articolazione della parete frontale della cella, con portale e nicchie laterali, rimanda direttamente ad Alessandria, collocandosi in una tradizione greco-tolemaica documentata, p.es., in alcune facciate di tombe di Tuna el-Gebel e nelle pareti di alcuni ipogei alessandrini.
Anche il portale della fortezza di Babylon, pur ricollegandosi a una tipologia monumentale che ha confronti con la Siria e l'Asia Minore, presenta nel timpano un gèison con le tipiche mensole a travicello di tradizione alessandrina. Lo stesso si verifica nella cornice del Serapèion del Mons Porphyrites, del 118 d.C., la cui pianta conserva un'eco, anche se molto semplificata, della forma dei santuarî di Serapide in Egitto e delle modalità del sincretismo architettonico greco-egizio: cella con ambienti laterali e vasta corte antistante. Così le fontane contrapposte della via d'accesso al Tempio di Ḥathọr a Dendera, attribuite al II sec., pur ricollegandosi a tipi generici di fontane di età imperiale, presentano capitelli tipicamente alessandrini. All'architettura alessandrina rimandano inoltre gli elementi dei portali del recinto del Serapèion di Alessandria.
Agli elementi di continuità rispetto alla tradizione alessandrina si affiancano caratteristiche che richiamano la produzione artistica orientale, come già accennato per la porta della fortezza di Babylon che per la sua struttura d'insieme evoca una tipologia che ha ampi riscontri in Oriente.
Lo stesso vale per la porta O e la via colonnata di Antinoe, note dai disegni dello Jomard. La prima s'inserisce nella tradizione delle grandi porte e degli archi monumentali siriani e microasiatici, testimoniati nell'arco trionfale e nella porta monumentale di Gerasa e nell'arco della via colonnata di Palmira.
La fondazione adrianea di Antinoe deve aver certamente richiamato maestranze di varia origine, come pure il rinnovamento edilizio di Alessandria, intrapreso da Adriano dopo le distruzioni conseguenti alla rivolta giudaica. Significativo è il fatto che i capitelli marmorei più antichi delle terme di Athribis sono d'importazione dalle cave del Proconneso.
Nel III e IV sec. continuano le testimonianze di tipi edilizî legati all'architettura imperiale, come l'Arco di Diocleziano a File; tuttavia la classe di monumenti più rappresentativa del periodo è forse costituita dai campi militari fortificati.
La monumentalizzazione di queste fortezze, con tetrapili e colonnati interni, attestati a Luxor, a Nag el-Hagar e a Dionysiàs, si inserisce nella tradizione dell'architettura militare, per la quale i castra sono frequentemente dotati di basiliche absidate con colonne e di porte monumentali d'accesso. I campi dell'Egitto richiamano tuttavia più da vicino esempî orientali, come l'impianto fortificato di Anazarbos in Cilicia, del III sec. d.C., e possono far pensare a modelli, tipici del III sec., di fortezze con architetture di apparato, di cui un forte riflesso ci è restituito dal palazzo fortificato di Diocleziano a Spalato. Questa tradizione, in base agli esempî di Luxor, di Dionysiàs e di Nag el-Hagar, mostra anche, come elemento caratteristico, un lungo colonnato, che conduce a una corte con la cappella delle insegne, absidata sul fondo, secondo un modello che si ritrova anche nel campo dioclezianeo di Palmira.
Sempre nel III sec. ad Antinoe, all'incrocio delle due vie trasversali con la grande via colonnata che attraversa da N a S tutta la città, vi erano due tetrapili, uno dei quali è noto dai disegni dello Jomard.
Altri tetrapili, noti solo dalle citazioni dei papiri, erano ad Arsinoe, Tebtynis e a Hermopolis Magna, sulla Via Antinoitica. Anche in questo caso il richiamo è alla Siria (Gerasa) e all'Asia Minore (Efeso). Ma la koinè architettonica con la Siria si spinge oltre anche per l'uso di colonne con basi d'acanto, p.es. ad Apamea o Gerasa, che certamente sono da considerare di origine alessandrina. Una conferma che i centri più importanti dell'Egitto erano nell'orbita dell'architettura ufficiale della parte orientale dell'impero anche nel III e IV sec. d.C. ci viene dai capitelli marmorei asiatici degli edifici di Kom ed-Dik, da quelli già ricordati delle terme di Athribis, poi reimpiegati ad Abu Mena nelle basiliche del V e VI sec. d.C.
Il V e il VI sec. rappresentano il periodo in cui, anche per l'abbondanza della documentazione fornita dalle chiese cristiane, diventa più chiaramente avvertibile la separazione dei centri costieri, o non lontani dal mare, come Abu Mena, dai complessi religiosi dell'interno e da quelli del Sinai. Le ragioni storiche di questo distacco sono ricollegabili alle lotte religiose dell'epoca e all'adesione definitiva, dopo il concilio di Calcedonia del 451, dell'Egitto al monofisismo.
La pianta della Grande Basilica di Abu Mena si ricollega direttamente a esempî delle coste dell'Egeo; anche la Chiesa a tetraconco che nel VI sec. sostituisce la Piccola Basilica e la Chiesa Orientale ancora a tetraconco, mostrano diretti rapporti con l'architettura bizantina e con quella della Siria. All'architettura pubblica imperiale rimandano le terme di Kom ed-Dik, per il loro impianto assiale e per il collegamento con le strade vicine tramite portici colonnati.
Lo stesso può dirsi per il complesso termale di Abu Mena, dove la grande sala a doppia abside ha una lunga tradizione nell'architettura romana: basti pensare alla Basilica Ulpia nel Foro di Traiano a Roma e, in età paleocristiana, alle basiliche cruciformi.
Infine l’auditorium di Kom ed-Dik, dapprima ristrutturato con ampliamento della cavea tramite elementi marmorei di reimpiego (seconda metà del V-inizî del VI sec. d.C.), mostra, nella sua ultima ristrutturazione con una grande cupola, l'avvenuta trasformazione più che in una chiesa o in un'esedra o in semplice luogo di ritrovo, forse in una sala conciliare se si pensa al gran numero di concili, circa ventisette, che si tennero ad Alessandria dal IV al VI secolo.
Tutti gli edifici finora menzionati sono caratterizzati dall'impiego di grandi colonne, prevalentemente di granito di Assuan e di marmo proconnesio (ma non mancano esempî di verde antico e di altri materiali, come bigio antico lumachellato da Lesbo), e ancora di capitelli corinzî, sempre nel marmo proconnesio, sia importati già rifiniti, sia, ed è questo in un certo senso la novità, lavorati in un numero maggiore rispetto al III e ai primi due terzi del IV sec., direttamente dalle officine alessandrine che avevano assimilato lo stile bizantino.
Va rilevato, infine, come nell'architettura cristiana dell'interno dell'Egitto venissero recepiti i modelli metropolitani, ma come presto si verificassero trasformazioni locali: appaiono elementi caratteristici che permettono di comprendere i processi di trasformazione alla base delle forme architettoniche e della produzione decorativa «copta». L'arte ornamentale dei varî centri religiosi egiziani, infatti, non prescinde mai da un continuo rapporto con l'arte bizantina, di cui riprende continuamente elementi tipologici e ornati: tuttavia, rispetto a essa si deve riscontrare anche un chiaro intento di autonomia e di differenziazione, e invece una stretta dipendenza della committenza costituita dai conventi egiziani.
Arti figurative. - Che l'arte alessandrina sia stata un'importantissima componente del mosaico artistico-culturale dell'impero romano, e abbia esercitato un influsso sul resto del mondo mediterraneo anche dopo la fine dell'età ellenistica, ormai non è più messo in dubbio; tuttavia, al momento di documentare con precisione l'entità di tale influsso, ci si scontra da un lato con la scarsità di resti documentabili in Egitto, e dall'altro con la difficoltà di attribuire a officine alessandrine le diverse opere d'arte diffuse nell'impero. In età romana, la pittura delle tombe egiziane risente soprattutto dell'influenza della tradizione egizia, ormai senza più alcun rispetto delle proporzioni antiche, come nell'ipogeo della Via Tigrane ad Alessandria e nelle tombe di Petosiri e Petubasti nell'oasi di Dakh- la; il contatto con iconografie diffuse nel territorio dell'impero si avverte poi nella rappresentazione di due zodiaci sul soffitto della stessa tomba a Dakhla, in cui emergono motivi tratti da analoghi monumenti mitraici di età imperiale. Si è cercata la sopravvivenza dello stile nilotico e paesaggistico ellenistico nelle testimonianze della pittura romana in Egitto, ma a giudicare dalle pitture conservate, nella maggior parte dei casi sembra siano state abbandonate le scene di genere e la raffigurazione prospettica tipiche della pittura ellenistica, come nella rappresentazione della saqīya nella tomba trovata a Wardian nel i960.
Il genere del ritratto privato non è limitato ai «ritratti di mummia» del Fayyūm (v.), ma si trova anche in affreschi tombali; come nelle pitture di divinità a Karanis, le figure sono isolate e presentate di prospetto, con i tratti tipici della pittura ellenistica, ma che già lasciano intravedere il futuro sviluppo dell'arte copta. Restano isolati, finora, esempi come l'affresco sulle pareti dei principia del campo di Diocleziano a Luxor, relativo al culto imperiale (noto solo da acquerelli del XIX sec.), in cui la resa prospettica delle scene di massa tipica della tradizione ellenistica viene espressa ancora in una scena di processione; e i resti di un fregio figurato da Alessandria di III-IV sec. d.C. con scene omeriche, che ha fatto richiamare la tradizione paesaggistica alessandrina attestata dalle fonti.
Motivi paesaggistici «nilotici» e iconografie ellenistiche coesistono ancora con figure ieratiche di defunti in una lastra per chiusura di un loculo, di età romana, dalla necropoli alessandrina di Šatby, con raffigurazione di Nèkyia. L'imitazione di pannelli marmorei di incrostazione delle pareti, che sostanzialmente continua la tradizione ellenistica delle tombe alessandrine, è visibile sia nell'affresco di Luxor, al di sotto del fregio figurato, che in alcune tombe di Hermopolis, ove è utilizzata come decorazione principale. Per quanto riguarda i mosaici, è stato proposto che la creazione e l'esportazione di emblèmata policromi su telai di terracotta o pietra costituisse una tipica attività artigianale di Alessandria, documentata sia da esempî egiziani, ultimamente rivisti e sistemati, sia da esempî in vari centri del mondo romano, tra cui Ostia e, su base epigrafica, Apateira in Lidia. In ogni caso, le scene sui mosaici trovati in Egitto presentano temi mitici diffusi (scene dionisiache, Medusa) o raffigurazioni di animali (uccelli), e non scene paesaggistiche o nilotiche che sono molto rare in età romana, anche nei mosaici (un solo esempio dal Cairo); tuttavia la continuità di questo tema, sia pure riscontrabile in casi isolati, nell'Egitto dal I al IV sec. d.C., induce a ipotizzare che tale rarità sia da addebitare alla carenza di documentazione.
Nel campo della scultura, l'attenzione si è rivolta soprattutto al ritratto romano in Egitto e al suo rapporto con le esperienze ellenistiche e con quelle egizie antiche. Numerosi articoli, cataloghi di musei e di mostre, oltre a opere d'insieme, consentono ormai di seguire lo sviluppo dei tre filoni del ritratto romano d'Egitto: in marmo, in pietra dura di tradizione egizia, in stucco dipinto (le «maschere di mummia»). Il ritratto in marmo è di tradizione ellenistica e ha origini al di fuori dell'Egitto, come da regioni esterne all'Egitto veniva il materiale utilizzato; invece la scultura egiziana in pietra dura aveva una lunga storia alle spalle, visto che sia il tipo di pietra sia la tecnica particolare necessaria per scolpirla, erano già patrimonio degli scultori di età faraonica.
Questo filone si riduce fortemente in età romana, per lasciare spazio al ritratto marmoreo legato ai centri ellenizzati, che comunque sembra risentire di certe tradizioni tecniche legate all'uso della pietra dura, come la lisciatura delle superfici, l'uso moderato del trapano nei capelli e nelle barbe, e una certa tendenza al monumentale e al colossale. Comunque, dal punto di vista formale gli artisti seguirono i vari mutamenti di gusto della plastica imperiale, ma con soluzioni a volte estremamente originali: l'inserimento di pupille in pasta vitrea ne è un esempio, come in un ritratto di giovane di età traianea da Alessandria, che è stato anche interpretato come tardo-antico, e che invece trova confronti in maschere di mummia di II sec. d.C. Tra i ritrovamenti di sculture di tipo non iconico in Egitto, va segnalato quello di una statua marmorea di Afrodite, con policromia ben conservata, e di un gruppo di statue marmoree di età imperiale, per lo più di divinità, che sentono l'influenza dell'ultimo ellenismo. Una statua romana in calcare da Teli Atrib attesta una produzione meno colta, ma ancora partecipe del patrimonio culturale dell'arte ellenistica.
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(P. Pensabene Perez)