PROVANA DEL SABBIONE, Prospero
PROVANA DEL SABBIONE, Prospero. – Figlio del nobile piemontese Nicolò Provana del Sabbione e fratello di Troiano, nacque probabilmente a Collegno, in Piemonte. La data di nascita è ignota, ma può essere collocata verosimilmente all’inizio degli anni Venti del XVI secolo.
Mentre il suo parente Celio Secondo Curione lasciò l’Italia nel 1542 a seguito dell’instaurazione dell’Inquisizione romana, Provana emigrò una decina di anni dopo. Lo sappiamo da un passo del diario di viaggio del cardinale Ippolito Aldobrandini, futuro papa Clemente VIII, che, mentre era inviato in Polonia nel 1588 per negoziare la pace tra l’imperatore Massimiliano III d’Asburgo e Sigismondo III Vasa, fece tappa a Będzin, feudo polacco dei Provana. Oltre a darci informazioni sulle misere condizioni di vita del villaggio e sulla presenza di una chiesa di rito cattolico, il testo offre una precisa indicazione sulle circostanze in cui Provana lasciò il Piemonte per la Polonia: «mentre regnavano le guerre in Piemonte» – il riferimento riguarda le persecuzioni attuate dal duca Emanuele Filiberto contro i riformati all’inizio degli anni Cinquanta – «li signori Provana, appoggiati alla servitù della regina Bona Sforza della quale il signor [Troiano] era segretario, passarono, mentre ella fu maritata a Sigismondo I, in Polonia, conducendone parte delle loro facoltà» (Roma, Biblioteca Vallicelliana, Mss., 34, cit. in Caccamo, 1970, p. 76 n. 45).
È dunque molto probabile che Provana sia emigrato assieme con altri riformati piemontesi, come Gian Paolo Alciati e Matteo Gribaldi Moffa all’inizio degli anni Cinquanta, mentre il fratello era già in Polonia dalla metà degli anni Trenta, prima al servizio del canonico di Curzola Francesco Niconizio, e poi (1550) di re Sigismondo II Augusto (Mazzei, 2011, p. 488) cui rimase fedele fino alla morte, avvenuta nel 1568. Oltre all’attività di Troiano come segretario della regina Bona Sforza, alla scelta di emigrare in Polonia non sarà stata estranea la sua fama di Paese che la frammentazione politica e la compresenza di cattolici, protestanti, antitrinitari, anabattisti, ebrei e musulmani avevano reso un’isola di tolleranza.
In Polonia le «facoltà» di Provana erano destinate ad aumentare in primo luogo grazie alla sua attività di banchiere (per un elenco delle famiglie beneficiarie dei suoi prestiti si veda Caccamo, 1970, p. 77) e poi grazie alla concessione in appalto delle saline di Wieliczka, nelle vicinanze di Cracovia. Egli si rivelò un ottimo amministratore, tanto da raddoppiare gli introiti e, anche grazie a una gestione trasparente, ottenere il monopolio dell’esportazione del sale a Bydgoszcz e venire nominato prefetto delle saline reali. Tale ascesa economica fece sì che sia lui sia il fratello sposassero due nobili polacche e ottenessero feudi da re Sigismondo Augusto. A Troiano andò la tenuta di Łętkowice, vicino a Cracovia, a Prospero (che pure continuò a risiedere nella capitale Cracovia, centro culturale e universitario di prima grandezza in Europa) la cittadina di Będzin, in posizione strategica per i traffici tra Polonia e Slesia. I contatti con la madrepatria dovettero comunque continuare, tanto più che a partire dal 1558 i Provana organizzarono il primo servizio postale tra Venezia e la Polonia.
Dal punto di vista religioso i due fratelli ebbero vedute simili: se, infatti, Troiano scacciò il sacerdote cattolico dai suoi territori, facendo «di sua autorità permutare una sua chiesa di catholica in luterana» (lettera di Ludovico Monti al duca di Modena dell’aprile 1559, cit. in Mazzei, 2006, p. 98), la casa di Prospero, al n. 14 di via Floriańska a Cracovia, fu il punto di ritrovo degli eretici italiani trasferiti in Polonia. Come riferì nel 1583 il nunzio apostolico in Polonia Alberto Bolognetti, Prospero era «fra gli altri heretici italiani che non sono stipendiati da S. M.tà, il più stimato per ricchezze et per parentele» e «per stare quasi sempre in letto indisposto dalle gotte et per dilettarsi di lettere, è visitato da molti, et in specie da altri heretici italiani. Onde in casa sua si fanno varii discorsi in diverse professioni, et è credibile che si faccino anco in materia di teologia, trovandovisi spesso il Bruto [Giovanni Michele Bruto, eterodosso e storiografo del regno di Ungheria], il Soccino [Fausto Sozzini] quando è in Cracovia» (Monumenta Poloniae Vaticana, VI, Alberti Bolognetti nuntii apostolici in Polonia epistolae et acta 1581-1585, Pars II, a cura di E. Kuntze, Cracoviae 1938, cit. in Mazzei, 2011, p. 490). Altri antitrinitari italiani, come Dario Senese e Giampaolo Alciati, in casa Provana discutevano «theses prope viginti de Deo trino et uno» (Firpo, 1977, p. 213 n. 729). Anche Giovanni Bernardino Bonifacio marchese d’Oria, uno dei più facoltosi tra gli esuli italiani religionis causa, affidò il suo capitale a Provana, al momento di intraprendere un rischioso viaggio in Bulgaria (Welti, 1974, p. 292), mentre l’antitrinitario saluzzese Giorgio Biandrata gli consegnò la propria biblioteca, prima di trasferirsi in Transilvania nel 1563 (Sozzini, 1986, p. 356). Tale posizione, così influente economicamente e socialmente, dovette suscitare invidia, se nel 1568, durante un viaggio in Transilvania, scampò a un attentato ordito da due italiani.
A questo intreccio tra vita economica e religiosa andrà aggiunto un altro aspetto: l’influenza di Provana come organizzatore culturale. Sua infatti è la dedica della seconda edizione del volgarizzamento in versi sciolti delle Georgiche, composto dal ferrarese Antonio Maria Nigrisoli e pubblicato nel 1552 a Venezia da Niccolò Bascarini (la prima edizione era uscita sempre a Venezia nel 1543 con lettera dedicatoria dell’umanista ed eterodosso ferrarese Fulvio Pellegrino Morato a Ercole II d’Este, denunciando «un preciso intento di divulgazione e un atteggiamento didascalico in genere peculiari delle istanze della Riforma», Mazzei, 2011, p. 477).
Che anche la riedizione del volgarizzamento delle Georgiche avesse delle finalità religiose lo dimostra innanzitutto il fatto che fosse uscita da un editore come Bascarini, non estraneo a operazioni editoriali di alto rilievo politico-religioso, come l’edizione della traduzione italiana dell’Alfabeto cristiano di Juan de Valdés. La dedica delle Georgiche era inoltre indirizzata a Francesco Lismanini da Corfù (1504-1566), ex provinciale dei francescani di Polonia e confessore della regina Bona Sforza, passato al calvinismo nel 1554 dopo una sosta a Ginevra, ma già da tempo propagandista nicodemitico della Riforma e vicino alle sue ali più radicali, avendo favorito la circolazione in Polonia del De amplitudine di Celio Secondo Curione (in cui si sostenevano tesi vicine alla salvezza universale) ed essendosi adoperato per la conciliazione tra le Chiese protestanti polacche e l’Ecclesia minor degli antitrinitari.
Il medesimo intreccio di iniziativa culturale e proselitismo religioso emerge da un’altra impresa editoriale incoraggiata da Provana, cioè la stesura della prima grammatica polacca – la Polonicae grammatices institutio (Cracovia 1568) – composta dal calvinista francese Pierre Statorius alias Piotr Stoiński e dedicata al diplomatico ed ex vescovo italo-ungherese Andreas Dudith-Sbardellati, il quale, negli stessi mesi in cui riceveva la dedica di Statorius, abbandonò la tonaca e si sposò con una dama di compagnia della regina di Polonia, avvicinandosi alle posizioni antitrinitarie sostenute dall’Ecclesia minor.
Dietro gli inviti di Provana intravediamo squarci preziosi sulla condizione degli esuli italiani in Polonia: accolti dalla «Polonorum prope incredibilis humanitas et summae libertatis amor», ma «Sarmatici sermonis asperitate absterritos», gli italiani erano costretti a parlare sempre nella loro lingua, vedendosi così privati della possibilità di comunicare (e, implicitamente, fare propaganda religiosa) in una lingua che però non doveva essere «negligenda» in quanto «vaga, incontans, nullique legibus comprehensa», ma poteva rivelarsi «comprehensione facilem, verum etiam ipso usu iucundam suavemque» (Polonicae grammatices institutio, cit., p. 2).
Questo intreccio tra lettere, economia ed eresia era evidente anche ai nemici dei Provana. Dall’Italia, infatti, si continuavano a tenere gli occhi sui due fratelli. Su Prospero si appuntarono le attenzioni del S. Uffizio veneziano, che interrogò l’eterodosso Oddo Quarto da Monopoli in merito ai suoi rapporti con lui e chiese conto al mercante e banchiere fiorentino Giovanni Battista di Tommaso Michelozzi del denaro che si era fatto prestare da un eretico notorio come Provana (Archivio di Stato di Venezia, Sant’Uffitio, b. 38, inserto Ballarin, 6 novembre 1574, cit. in Mazzei, 2006, p. 189). Il fratello Troiano, invece, che aveva maggiori interessi nella zona tra Mantova e Modena, dove si sarebbe recato spesso nei suoi viaggi tra la Polonia e l’Italia, si trovò al centro delle indagini del modenese Ludovico Monti, il quale, dopo iniziali simpatie per il movimento eterodosso raccolto attorno all’Accademia della sua città, era divenuto informatore del restauratore del cattolicesimo in Polonia, il cardinale Stanislao Osio, e di diversi nunzi pontifici. Dopo aver dato dei «lutherani» alla «magior parte […] dei nostri italiani che sono qui», Monti si scagliò contro un «Provana, che non lesse mai Cicerone nonché la Scrittura e predica la Chiesa romana essere bararia» (Mazzei, 2006, p. 108). Il nazionalismo ante litteram di Monti emerge dalle contumelie scagliate contro chi evidentemente egli considerava un traditore della patria non meno che della religione: «ignoranti et bastardi italiani, poiché volete voi ancor aiutare chi ci vole ancor levare questo poco che ci resta di grandezza di poi toltoci l’Imperio?» (p. 108). Il destinatario della lettera era il cardinale di Mantova Ercole Gonzaga, noto protettore di eterodossi, con il quale Troiano si era incontrato a Mantova tra la primavera e l’estate del 1553.
Più che la linea dura inquisitoriale, con Provana ebbero però successo strategie più graduali. Nel 1584 il rettore del collegio gesuitico di Cluj, Ferrante Capecci, si recò in casa sua, dove si impegnò in un lungo discorso religioso di fronte a Provana e ai suoi ospiti, tra cui erano ancora Bruto e un giovane «sedotto da gl’anabattisti» (Caccamo, 1970, p. 78). Sul momento al gesuita non parve di avere molta fortuna, tanto che non poté parlare direttamente a Provana, il quale, nonostante fosse stato avvisato della visita dal nunzio in persona, gli fece fare anticamera. Tuttavia, il suo tentativo o quello di qualche altro confratello dovette avere effetto, se nello stesso anno, secondo la testimonianza di Dudith-Sbardellati, Provana si mise dalla parte dei gesuiti, perché diceva che «tutte le altre sette, che si facevano passare sotto il nome di evangeliche, erano incostanti e sempre in contraddizione tra loro sugli articoli di fede» (Caccamo, 1970, p. 167).
Il ritorno di Provana al cattolicesimo non fu dunque un semplice episodio di stanchezza (anche se sarebbe morto l’anno dopo e i suoi beni sarebbero passati al fratello Abramo, cattolico e membro dell’ordine equestre dei Ss. Maurizio e Lazzaro), ma anticipava una tendenza più generale della seconda generazione di esuli italiani per motivi religiosi che, dopo essersi staccati dal Papato, tornarono a riconoscere in esso l’unica possibilità per riunire tutta la cristianità sotto un unico potere e superare le divisioni confessionali inaugurate dalla Riforma. Condivisero questa speranza non solo personaggi celebri come Tommaso Campanella e Giordano Bruno (che la pagarono con la prigione e il rogo), ma anche intimi amici di Provana, come o il già citato Bruto, oppure il più famoso Francesco Pucci. Negli stessi mesi della conversione di Provana, Pucci era a Cracovia, dove incontrava «persone assai amorevoli e manco parziali e più capaci di ragione che io abbia incontrato fino ad ora» e, tra gli «amici e conoscenti di vita esemplare e divota», si intratteneva a lungo «con il signor Prospero Provana, gentiluomo piamontese e pollacco molto da bene e catolico, che mi ha tirato in casa sua e mi tratta da amico, per non dir da fratello» (Pucci, 1959, pp. 63 s., 70). Non è perciò da escludere che all’origine della decisione di Pucci di ritornare nel grembo della Chiesa cattolica, maturata a Praga nell’estate dell’anno successivo, ci sia stata proprio l’impressione in lui suscitata dagli effetti della predicazione gesuitica sull’amico Provana.
Diversi furono però gli esiti: se Pucci pagò il suo tentato ritorno con il rogo in Campo dei Fiori nel 1597, Provana morì a Cracovia nel suo letto, con tutti i conforti religiosi, nel 1585.
Fonti e Bibl.: F. Pucci, Lettere, documenti, testimonianze, a cura di L. Firpo - R. Piattoli, I, Firenze 1959, pp. 63 s., 70; D. Caccamo, Eretici italiani in Moravia, Polonia, Transilvania, Firenze 1970, ad ind.; M. Welti, L’economia di un esilio. Il caso di Giovanni Bernardino Bonifacio, in Eresia e Riforma nell’Italia del Cinquecento, Firenze-Chicago 1974, p. 292; M. Firpo, Antitrinitari nell’Europa orientale del Cinquecento, Milano 1977, p. 213 n. 729; L. Sozzini, Opere, a cura di A. Rotondò, Firenze 1986, p. 356; D. Cantimori, Eretici italiani del Cinquecento e altri scritti, a cura di A. Prosperi, Torino 1992, ad ind.; J. de Valdés, Alfabeto cristiano, a cura di M. Firpo, Torino 1994, p. CLVI; C. Vasoli, Il processo per eresia di Oddo Quarto, in Id., Civitas mundi. Studi sulla cultura del Cinquecento, Roma 1996, p. 141 n. 8; R. Mazzei, La trama nascosta. Storie di mercanti e altro (secoli XVI-XVII), Viterbo 2006, ad ind.; Ead., Alle origini dell’immagine di Cracovia come città di esilio. Il ferrarese Antonio Maria Nigrisoli alla corte di Bona Sforza (1550-1555), in Rivista storica italiana, CXXIII (2011), 2, pp. 461-509.