PROVA civile (XXVIII, p. 390)
L'istituto trova oggi la sua disciplina in parte nel cod. civ. 1942 (essenzialmente nel titolo II del Libro della tutela dei diritti, artieoli 2697-2739) e in parte in quello di procedura civile (articoli 115-118 e 202-266). Nell'elaborazione dei progetti preliminari era prevalso il concetto che tutte le norme sulla prova dovessero essere dettate dal codice di rito, in conformità della natura esclusivamente processuale dell'istituto, affermata dalla prevalente dottrina; tale tendenza fu però successivamente e gradatamente abbandonata, col ritorno al tradizionale criterio legislativo e sistematico, che attribuisce alla sfera del diritto civile le norme relative alla efficacia sostanziale dei varî mezzi di prova. È degna di rilievo l'attuale migliore collocazione e struttura sistematica dell'istituto della prova nel cod. civ. del 1942, nei confronti di quello del 1865, che contemplava la materia solo a proposito delle obbligazioni, sotto l'angolo visuale della loro prova ed estinzione (articoli 1312-1377), mentre le nuove norme si riferiscono in genere all'accertamento dei diritti di qualsiasi specie.
La disciplina sostanziale dei singoli mezzi di prova è preceduta nel codice civile da due articoli (2697-2698) riguardanti il problema fondamentale dell'onere della prova. Il primo di essi distingue in linea generale, in corrispondenza dei concetti di azione ed eccezione, fatti costitutivi del diritto (1° comma), da provarsi da chi intende fare valere il diritto stesso in giudizio, cioè dall'attore, e fatti estintivi o circostanze impeditive o modificative del diritto medesimo, da provarsi dal convenuto (2° comma). L'articolo 2698 consente alle parti d'invertire o modificare consensualmente l'onere della prova. Trattasi di una espressione dell'autonomia contrattuale, la quale però incontra due opportuni limiti: 1) che il diritto da provare non sia sottratto alla libera disponibilità delle parti (l'indisponibilità di un diritto può derivare dalla sua natura intrinseca o da espressa disposizione di legge: cfr. art. 1966 cod. civ.); 2) che l'inversione o modificazione non abbia per effetto di rendere ad una delle parti eccessivamente oneroso l'esercizio del diritto. Questo secondo limite mira ad evitare il pericolo che, attraverso preordinate difficoltà di prova, vengano posti praticamente nel nulla i diritti del contraente economicamente più debole.
Mentre il concetto di inversione dell'onere della prova è intuitivo, meno chiaro riesce il concetto di modificazione; secondo l'interpretazione prevalente, esso sembrerebbe riferirsi all'esclusione pattizia di determinati mezzi di prova (per es. prova testimoniale).
Circa i poteri del giudice civile rispetto alla prova, l'art. 115, 1° comma, stabilisce che, salvo i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero. Tale norma si riconnette al cosiddetto principio dispositivo, imperante nel processo civile, in contrapposto al principio inquisitorio, proprio del processo penale, e significa essenzialmente che il giudice non può, salvo casi particolari, tenere conto se non dei fatti allegati dalla parte a proprio specifico favore e provati nei modi di legge dalla parte stessa. Cosicché viene escluso che il giudice possa tenere conto della propria eventuale scienza privata dei fatti di causa.
Il secondo comma dell'art. 115 deroga a questo concetto, stabilendo che il giudice possa senz'altro tenere conto dei fatti relativamente ai quali l'onere della parte di allegare e di provare viene meno, in particolare delle "nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza". Tale espressione si riferisce principalmente ai "fatti notorî", cioè a quelli conosciuti da tutti gli individui di media condizione e cultura, in un determinato momento storico; ma per un certo verso possono rientrarvi le cosiddette "regole d'esperienza", che differiscono dai "fatti notorî" in quanto non rappresentano una nozione, ma il mezzo per giungervi, e partecipano sia delle presunzioni sia del processo logico che il giudice segue per giungere alla pronuncia.
L'art. 116, 1° comma, afferma il principio del libero apprezzamento delle prove da parte del giudice, salvo che la legge disponga diversamente (caso delle prove legali o vincolanti, quali il giuramento o la confessione). Il 2° comma del medesimo articolo 116 attribuisce al giudice la potestà di desumere "argomenti di prova" dalle risposte che le parti gli dànno in sede d'interrogatorio non formale (nuovo istituto, per cui il giudice può ordinare la comparizione personale delle parti in contradditorio, per interrogarle liberamente sui fatti di causa: art. 117), dal rifiuto ingiustificato di consentire le ispezioni ordinate (art. 118) e in genere dal contegno processuale delle parti stesse.
"L'argomento di prova" è di per sé qualcosa di diverso dalla vera prova, cioè solo un elemento concorrente, idoneo a rafforzare il convincimento che dalle altre prove potrebbe desumersi, prescindendo dagli "argomenti"; questi tuttavia potrebbero assurgere a dignità di prova autonoma, qualora integrassero gli estremi delle presunzioni semplici, e nei limiti dell'ammissibilità di queste (art. 2729 cod. civ.).
Il già citato art. 118 allarga poi i poteri del giudice rispetto all'acquisizione della prova, concedendogli, con opportune cautele e limiti, una potestà d'ispezione non solo sulle cose e sulle persone delle parti, ma anche sulle cose e sulla persona del terzo estraneo alla causa, sempre che ciò sia "indispensabile per conoscere i fatti di causa". A tale articolo si riconnette l'art. 210 cod. proc. civ., che, superando gli angusti limiti tradizionali della cosiddetta "azione esibitoria" prevede un obbligo generale non solo delle parti, ma anche dei terzi, di produrre (su ordine del giudice, provocato da istanza di parte) le cose e i documenti di cui sono in possesso e di cui sia "necessaria" l'acquisizione al processo ai fini della prova.
Nella nuova struttura del processo davanti al tribunale l'ammissione dei mezzi di prova (prove precostituende) spetta, pur nel contrasto delle parti, all'organo direttivo del processo, cioè al giudice istruttore, il quale provvede con ordinanza, che egli stesso può revocare e modificare, salvo e impregiudicato (art. 178 cod. proc. civ.) il giudizio definitivo sulla concludenza e ammissibilità delle prove da parte del collegio, quando la causa è rimessa a questo, cioè normalmente dopo l'assunzione. Prove possono essere disposte, con ordinanza revocabile e modificabile, anche direttamente dal collegio che sospenda la decisione della causa, perché ritenga necessaria un'ulteriore istruzione (art. 279, 1° comma, cod. proc. civ.). L'assunzione della prova è in ogni caso demandata al giudice istruttore (art. 280), salvo che il collegio ordini la rinnovazione dinanzi a sé di prove già assunte (art. 281).
Il tempo, il luogo e il modo dell'assunzione sono stabiliti nel provvedimento del giudice istruttore (e di regola anche in quello del collegio) che dispone il mezzo di prova. Se l'assunzione non si esaurisce nell'udienza fissata, il giudice ne differisce la prosecuzione a un'altra udienza istruttoria (art. 202 cod. proc. civ.).
È stato così abolito quel groviglio di termini legali che, con i relativi complessi calcoli, costituivano, secondo il vecchio codice, specie in tema di prova testimoniale, fonti di infiniti cavilli ed incidenti. Circa l'assunzione della prova fuori della sede del tribunale o in territorio estero cfr. rispettivamente gli articoli 203 e 204, i quali dimostrano che il giudice istruttore conserva il dominio del processo anche quando l'assunzione delle prove è da lui delegata ad altra autorità. Gl'incidenti che possono sorgere in sede di assunzione di prove sono risolti con ordinanza dal giudice che presiede a tale assunzione (art. 205). Sono così scomparsi i deprecati e rituali rinvii immediati dal giudice delegato al collegio, per la risoluzione degl'incidenti di prova, secondo il sistema dell'art. 209 cod. proc. civ. 1865, che importava il frazionamento all'infinito della causa. Tale frazionamento è, per questo riflesso, evitato anche nel decr. legisl. pres. 5 maggio 1948, n. 483, (contenente modificazioni e aggiunte al cod. proc. civ., che avranno vigore dal 31 marzo 1949), il quale nega per le ordinanze in tema d'incidenti di prova il reclamo immediato al collegio, ammesso invece, in generale, dallo stesso decreto per le ordinanze del giudice istruttore aventi diverso e più sostanziale contenuto (art. 6).
Se nessuna delle parti si presenta all'udienza fissata per l'inizio la prosecuzione della prova, il giudice le dichiara decadute dal diritto di farla assumere; analogamente provvede, su istanza della parte comparsa, se non si presenta quella su istanza della quale deve iniziarsi o proseguirsi la prova (art. 208, 1° e 2° comma); ma la parte interessata può richiedere nell'udienza successiva la revoca dell'ordinanza, adducendo gravi motivi che giustifichino la mancata comparizione (art. 208, 3° comma). Si ritiene che le accennate decadenze valgano solo per le prove addotte in assolvimento dell'onere della prova, e precisamente solo per la prova testimoniale; per le altre prove l'assenza di tutte le parti dovrebbe comportare la dichiarazione di estinzione del processo (art. 309), mentre la non comparizione di una delle parti non dovrebbe ostacolare l'assunzione della prova.
Sono infine da segnalare due importanti disposizioni di carattere generale. La prima, molto discussa (art. 207), dà al giudice il potere, quando lo ritenga opportuno, nel riportare in verbale le dichiarazioni delle parti e dei testimoni, di descrivere il loro contegno, evidentemente perché ciò possa servire quale elemento concorrente di valutazione della prova. L'altra (art. 209) faculta il giudice a dichiarare chiusa l'assunzione, non solo perché esauriti i mezzi ammessi, o perché dichiarata la decadenza, ma anche quando egli ravvisi superflua, per i risultati già raggiunti (per es. lunga serie di testimonianze uniformi), ogni altra assunzione.
Singoli mezzi di prova sono: il riconoscimento e la verificazione di scrittura, la querela di falso, la confessione giudiziale e l'interrogatorio formale, il giuramento, i testimoni, le ispezioni, le riproduzioni meccaniche e gli esperimenti, il rendimento di conti. In tale enumerazione non è compresa la perizia, data la nuova concezione del legislatore, che alla figura del perito ha sostituito quella del consulente tecnico (v. in questa seconda App., I, p. 678) inquadrando il nuovo istituto tra gli organi ausiliarî del giudice.
Bibl.: R. De Ruggiero, F. Maroi, Istituzioni di diritto privato, II, 6ª ed., Milano 1947, pp. 543-547; A. De Micheli, L'onere della prova, Padova 1942; P. D'Onofrio, in Commento del codice civile, Libro della tutela dei diritti, Firenze 1943, pp. 359-369; S. Satta, Diritto processuale civile, Padova 1948; M. T. Zanzucchi, Diritto processuale civile, Milano 1947.