PROTOGENE (Πρωτογένης, Protogĕnes)
Pittore greco, nato a Cauno nella Caria, forse poco innanzi la metà del sec. IV a. C., contemporaneo, quindi, di Alessandro e, nella pittura, di Apelle, che lo riconosceva come suo rivale. Ma da Apelle P. era molto lontano, per la sua incontentabilità e per l'esecuzione tormentata delle sue opere. Era povero, e sino all'età di cinquant'anni esercitò il mestiere di decoratore di navi. Lo si trova attivo in Atene fra il 330 e il 320, più tardi a Rodi, ed era celebre nella prima città una pittura rappresentante l'eroe marinaresco Paralos e Ammonias (nomi portati da due grandi triremi sacre dello stato ateniese), interpretata però dal popolo per Ulisse e Nausicaa. Fece il ritratto della madre di Aristotele e di un Filisco, forse il maestro di Alessandro.
Per consiglio di Aristotele, Alessandro si fece figurare da lui quale conquistatore dell'India sotto l'aspetto di un nuovo Dioniso, in compagnia di Pan. In Rodi dipinse Tlepolemo e l'eroe locale Ialiso con un cane; pittura famosa cui P. lavorò per sette anni, ridipingendola quattro volte. Fece pure colà un Satiro in riposo con il flauto; egli era intento a questa pittura durante l'assedio posto da Demetrio a Rodi, onde Plinio la dice eseguita sub gladio. Era ricordata fra le tavole di P. anche una Cidippe, la madre di Ialiso. P. era anche scultore in bronzo (si rammentano di lui figure atletiche) e autore di trattati dell'arte sua. Alcuni notano in lui una predilezione per i motivi idillici, altri quella per le figure nude, insistendo sugli atleti che P. non scolpì solamente, ma anche dipinse. Certo egli si può ritenere come uno dei due massimi pittori della seconda fioritura della scuola ionica.
È molto istruttivo l'aneddoto riferito da Plinio (Nat. Hist., XXXV, 81) a proposito di Protogene, perché esso illumina il carattere disegnativo e lineare che la pittura greca conservò sempre. Si narra dunquè che P. fu vinto da Apelle, il quale, recatosi a visitarlo e non trovandolo in casa, tracciò su una tavola preparata per essere dipinta una sottilissima linea. Tornato P. conobbe alla sottigliezza che non altri che Apelle poteva aver tracciato quel segno, e, preso il pennello, lo divise in due con una linea ancor più sottile d'altro colore. A sua volta Apelle divise in due anche la linea di P., con altra così sottile che non v'era più possibilità di dividerla. L'aneddoto mostra che ancora in questa età si giudicava della valentia dei pittori dalla sottigliezza delle linee; e conferma che lineare doveva essere, a fortiori, la pittura propriamente classica del periodo precedente.
Bibl.: E. Pfuhl, Malerei und Zeichung der Griechen, Monaco 1923, par. 839 segg.