Protocollo di Kyoto
Protocòllo di Kyòto. – Strumento attuativo della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (United Nations framework on climate change, UNFCCC), elaborato nel 1997 ed entrato in vigore nel 2005, è uno dei più importanti strumenti giuridici internazionali volti a combattere i cambiamenti climatici causati dal riscaldamento globale. Il Protocollo di Kyoto contiene gli impegni dei paesi industrializzati a ridurre le emissioni di alcuni gas serra, responsabili del riscaldamento del pianeta, e rappresenta un importante passo avanti nella lotta contro il riscaldamento planetario perché contiene obiettivi vincolanti e quantificati di limitazione e riduzione dei gas nocivi. Per raggiungere queste finalità, il Protocollo di Kyoto propone di rafforzare o istituire politiche nazionali di riduzione delle emissioni (miglioramento dell’efficienza energetica, promozione di forme di agricoltura sostenibili, sviluppo di fonti di energia rinnovabili) e di cooperare con le altre parti contraenti (scambi di esperienze o di informazioni, coordinamento delle politiche nazionali attraverso i diritti di emissione, attuazione congiunta e il meccanismo di sviluppo pulito). Siglato in prima stesura da 84 firmatari (83 paesi, compresi gli USA, più la UE nel suo complesso) e ratificato successivamente da 192 entità autonome dette Parti (191 paesi più la UE) per le quali è in vigore, ma non dagli USA, il documento prevedeva per un primo periodo legalmente vincolante (CP1, Commitment period 1), 2008-2012, la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra almeno del 5% per 37 paesi industrializzati (più la UE), rispetto ai loro valori del 1990 complessivamente calcolati. Concluso il CP1 con risultati non soddisfacenti, considerata l’entità della riduzione delle emissioni necessaria a limitare l’aumento della temperatura atmosferica entro 2 °C (v. ), il Protocollo di Kyoto si è dimostrato comunque valido esempio di una forma della politica contemporanea in cui la dimensione globale diventa un orizzonte di collaborazione concreta fra entità politiche differenziate e intenzionate a farsi carico di responsabilità globali. Nella Conferenza delle parti di Doha (dicembre 2012), il documento è stato pertanto confermato, individuando un secondo periodo di validità (CP2, Commitment period 2, 2013-2020), in quanto prima fase per la determinazione di un regime effettivo finalizzato alla riduzione globale delle emissioni, e di una loro successiva stabilizzazione, e paradigma per gli sviluppi degli accordi internazionali sui cambiamenti climatici (di cui è stata stabilita per il 2015 una revisione complessiva). Permangono tuttavia aspetti critici che ne indeboliscono le prospettive, acuiti dalla crisi economica globale in corso dal 2008. Alla posizione ostile degli Stati Uniti, già motivata dalla conflittualità con i grandi paesi emettitori in rapido sviluppo (Cina, India, Brasile, ecc.) finora esentati dai vincoli alle emissioni, si sono aggiunte le defezioni di Giappone, Canada, Nuova Zelanda e Russia che per diverse ragioni, in ultimo riconducibili a costi di adesione considerati troppo onerosi, non parteciperanno al CP2. Particolarmente critica la Russia, insieme ai paesi del blocco ex sovietico (Polonia compresa), per non aver ottenuto il riconoscimento all’estensione dell’uso del surplus di crediti di emissione derivati dal collasso economico-industriale del Paese successivo al 1989, che aveva visto crollare conseguentemente il rilascio di gas a effetto serra. Inoltre, gli stessi obiettivi di riduzione del CP2, che coinvolgono paesi responsabili soltanto del 15% delle emissioni globali, sono considerati troppo deboli implicando una riduzione del 18% rispetto ai livelli di emissioni del 1990, quando secondo le analisi scientifiche dell’Intergovernmental panel on climate change, IPCC i paesi industrializzati dovrebbero diminuire il proprio carico emissivo del 25 - 40% entro il 2020 per mantenere nei 2 °C l’aumento di temperatura atmosferica (in linea con il livello complessivo di 44 Gt di CO2eq su scala mondiale ritenuto compatibile con l’obiettivo per quella data). Peraltro i dati dell’United Nations environment programme (UNEP) sulle emissioni globali appaiono inequivocabili, marcando un aumento da 35 Gt di CO2eq del 1990 a 49 Gt di CO2eq del 2010, prevalentemente alimentato dai paesi in rapido sviluppo e senza obblighi di riduzione (in particolare Cina e India), con proiezioni al 2020 variabili tra 52 e 58 Gt di CO2eq in relazione alla diversa efficacia dei vincoli imposti. Di scarso spessore si ritengono infine i risultati conseguiti nella Conferenza di Doha per disincentivare l’allontanamento dagli impegni del Protocollo di Kyoto, consistenti in misura prevalente nel limitare per i paesi fuoriusciti dal CP2 la partecipazione al mercato dei crediti di emissione (v. CDM; ET).