PROSSENIA (προξενία)
Era un'istituzione del mondo greco, la cui importanza dura fino al sec. III a. C., consistente nella protezione che il cittadino di una città esercitava sugli appartenenti a una città straniera dalla quale era formalmente designato a questo ufficio. Il prosseno doveva tutelare dinnanzi a tutte le autorità, sia militari, sia politiche gl'interessi dei cittadini appartenenti alla città che gli aveva conferito la prossenia e, in particolar modo, doveva ricevere e ospitare coloro che vi erano inviati con un incarico ufficiale.
L'origine di tale istituzione si fa risalire ai rapporti di ospitalità attestati nell'età eroica; però solo nel sec. VII a. C. abbiamo epigrafi che ci documentano l'esistenza della prossenia nella forma che si è detto.
L'esser prosseni era considerato un alto onore al quale molti aspiravano. Nonostante l'analogia di alcune funzioni, la figura del prosseno greco non si può ravvicinare a quella del console moderno, in quanto il prosseno non dipende dallo stato verso cui esercita il suo ufficio e non è quindi mai un funzionario ma un benefattore: perciò egli è sempre tratto dal popolo presso cui la prossenia viene esercitata. I rapporti fra i prosseni e la città che si valeva del suo ufficio erano fissati da una legge e ci appaiono diversi secondo i tempi e le regioni. In riconoscimento dei suoi servigi gli erano conferite attestazioni di benemerenza e privilegi. Una disposizione della legge che conferiva la prossenia determinava il minimo dei vantaggi accordati al prosseno ai quali, quasi sempre, se ne aggiungevano anche altri. I primi erano soprattutto di carattere onorifico, gli altri erano piuttosto designati ad assicurare vantaggi particolari: politici, religiosi e commerciali; anzitutto al prosseno era garantita la sicurezza della persona nel caso che le due città, quella in cui e quella verso cui si esercitava la prossenia, venissero in lotta; inoltre l'esenzione dalle tasse dovute dai meteci al loro servizio e, qualche volta, la completa esenzione dalle tasse e il diritto di proprietà sugl'immobili che normalmente non è riconosciuto che ai cittadini o persino il diritto di cittadinanza. Fra i privilegi religiosi sono particolarmente notevoli: l'ammissione diretta, cioè senza prostate, ai sacrifici e la προμαντεία, il diritto cioè di interrogare l'oracolo dinnanzi a tutti gli altri devoti.
Per ottenere l'ufficio di prosseno bisognava che il cittadino si rendesse benemerito di qualche grande servigio verso la città della quale desiderava essere il prosseno; per questo accanto ai prosseni riconosciuti si trovano altri cittadini che spontaneamente funzionano da prosseni per acquistarsi un merito dinnanzi alla città. Ma l'esercizio spontaneo dell'ospitalità non era sufficiente per ottenere il titolo desiderato; per tale scopo bisognava mettersi bene in vista; molto apprezzato era l'aver portato aiuto ai prigionieri e averne facilitato il riscatto; l'aver dato sepoltura ai morti sul campo di battaglia e altri servigi simili. Ad Atene, p. es., si apprezzavano molto i servigi politici ma, ancor più il contributo dato all'approvvigionamento granario. La prossenia, perciò, assunse aspetto diverso a seconda del carattere che aveva la vita dello stato nella città in cui la prossenia era esercitata. È naturale che una particolare importanza avesse la prossenia in quei centri religiosi che erano frequentati da cittadini di tutti gli stati greci (Delfo, Delo, Olimpia, ecc.). Il prosseno, oltre ad essersi distinto per servigi resi, doveva essere ricco, in modo da poter assolvere degnamente l'ufficio per il quale era stato scelto dalla città. Per avere un'idea di come era esercitata l'ospitalità pubblica, basterà notare ciò che dicono Platone e Diodoro, cioè che il prosseno di Sparta ad Atene doveva addirittura abbandonare case intere ai suoi ospiti e che un Siciliano una volta ospitò tutti insieme 500 cavalieri della città vicina.
Era raro che il conferimento della prossenia fosse di iniziativa della città; più spesso accadeva che l'aspirante alla prossenia si recasse nella città della quale desiderava essere il prosseno, esponesse i servigi che aveva reso e sollecitasse perciò il titolo di prosseno. Si ha notizia che a volte, invece di recarsi personalmente, l'aspirante prosseno incaricava un qualche oratore influente di perorare la sua causa.
Bibl.: P. Monceaux, in Daremberg e Saglio, Dict. d. ant. gr. et rom., s. v.; id., Proxénies grecques, Parigi 1885, passim; H. Schaefer, Staatsform und Politik, Lipsia 1932.