MANARA, Prospero Valeriano
Nacque a Borgo Val di Taro, nel Ducato di Parma, il 14 apr. 1714, primogenito di Marcello e Caterina Pellegrini. Famiglia di notabili di provincia, i Manara erano stati nobilitati nel 1705. Il nonno paterno, Domenico, aveva poi ricevuto il titolo di marchese nel 1709, insieme con i piccoli feudi di Ozzano, Sivizzano e Triano. L'infanzia e l'adolescenza del M. si svolsero nel difficile periodo seguito all'estinzione della dinastia farnesiana e alle complesse vicende politico-diplomatiche e militari della successione borbonica nei Ducati di Parma e Piacenza. Studiò, dal 1725 fino, almeno, al 1733, nel collegio dei nobili di Parma, dove fece parte dell'Accademia letteraria degli Scelti, palestra di esercizio poetico aperta ai migliori convittori. Risalgono a quegli anni le prime composizioni, scritte, secondo l'uso del tempo, per celebrare eventi della vita di corte. Tornato a Borgo Val di Taro verso la metà degli anni Trenta, iniziò una vita tranquilla e appartata di possidente dedito alla cura delle proprie terre, allo studio dei classici greci e latini e alla pratica della poesia.
L'irrompere nel Ducato della guerra di successione austriaca lo vide protagonista di un episodio riportato da tutti i biografi, ma del quale si trovano solo conferme indirette. Nel settembre del 1747, a seguito di un'incursione franco-ligure a Borgo Val di Taro, fu portato in ostaggio a Genova con alcuni parenti (Mecatti, I, pp. 446-451). La cattività fu comunque breve e senza conseguenze, anche se la guerra può non essere stata estranea alla crisi patrimoniale della famiglia, che nel 1748 lasciò la Val di Taro per trasferirsi a Parma, dove il M. sposò nel 1750 Anna Antini Stavoli, dalla quale ebbe numerosi figli.
Con il trattato di Aquisgrana Filippo di Borbone prese possesso del Ducato (1749), rinverdendo la tradizione farnesiana di magnificenza cortigiana e di mecenatismo che permise, tra l'altro, al maturo e affermato C.I. Frugoni di tornare a Parma e di farne la sua patria d'elezione. Già alla fine degli anni Trenta Frugoni aveva creato, insieme con J. Sanvitale, la colonia arcadica parmense, nella quale figurò anche il M., almeno dal 1745, con il nome di Tamarisco Alagonio. Come poeta subì fortemente, "non senza una ingegnosa destrezza" (Calcaterra, p. 375), l'influenza dell'esile poetica frugoniana, destinata alla declamazione nelle frequenti riunioni delle effimere accademie di corte (Prose e rime degli Accademici Inaspettati, Parma 1770), alla stampa in raccolte poetiche d'occasione, ai festeggiamenti per matrimoni e monacazioni. Gli scontati temi arcadici della natura si affiancano, nella sua poesia, agli argomenti religiosi e alla celebrazione di eventi lieti o tristi della casa ducale in una produzione accurata nella forma, ma spesso mediocre nell'ispirazione.
Ebbe tuttavia larga fama tra i contemporanei, e alcuni suoi componimenti (Nel giorno della commemorazione dei morti, La tomba di Alessandro) continuarono a comparire in antologie poetiche per buona parte dell'Ottocento. Nel 1752 il duca Filippo fondò l'Accademia delle Belle Arti, con Frugoni quale segretario perpetuo; il M. fu accolto tra gli accademici con voto. Nel 1768, alla morte di Frugoni, gli fu offerto il segretariato, che rifiutò a favore di C.G. Della Torre di Rezzonico, con il quale ebbe dal duca l'incarico di raccogliere e pubblicare l'immensa e dispersa produzione di Frugoni.
Nel 1757 fu pubblicato a Parma un suo primo saggio di traduzione dell'opera virgiliana: la decima egloga delle Bucoliche utilizzata da G. Bartoli nel suo Il vero disegno delle due tavolette d'avorio chiamate Dittico Quiriniano ora per la prima volta riunite, con tre ragionamenti che ne difendono l'antichità contro il march. Maffei( S'aggiunge una traduzione del march. Prospero Manara, un poema del signor abate Frugoni(. Nel 1764 seguì l'edizione completa delle Bucoliche, in terzine, con i tipi di Monti. L'opera fu accolta con grande favore, ebbe recensioni laudative e segnalazioni su gazzette italiane e straniere e una serie di ristampe (Parma, Padova, Milano) fino agli anni Trenta dell'Ottocento.
La vita del M. subì una svolta nel 1760, con l'inizio di una lunga e prestigiosa carriera pubblica. Fu introdotto a corte, quasi certamente per interessamento di Guillaume-Léon du Tillot di cui godeva la stima, come gentiluomo della Casa reale, e in seguito come maggiordomo di settimana (1764). In questi anni aveva fatto parte del personale di corte incaricato della cura e dell'educazione del principe ereditario, e dal 1765 duca Ferdinando. La sua mitezza di carattere, che bilanciava il rigore dell'istruzione impartita all'erede dai precettori, l'abate E. de Condillac e A. de Keralio, fu probabilmente all'origine della benevolenza che Ferdinando gli testimoniò sempre in seguito.
Nei Ducati parmensi gli anni '60 furono quelli, cruciali, dell'esperienza riformatrice e propulsiva di du Tillot. Questi nel 1766 decise la nomina del M. a commissario per la costruzione della strada per Genova, grande progetto di collegamento tra il Ducato e la costa ligure. La designazione non sembrò appropriatissima e il progettista G.B. Tamburini, nella corrispondenza con du Tillot, giudicò il M. non all'altezza della controparte genovese, il marchese P. Gentile (Arch. di Stato di Parma, Carteggio Borbonico, lett. del 7 maggio 1766). In complesso, questi furono anni affannati e di tensione per il carattere mite del M., che dovette combattere su molti fronti: sovrintendere al lavoro dei progettisti e degli ingegneri che si susseguivano nella conduzione dei lavori, mantenere contatti sempre problematici con le popolazioni coinvolte nel passaggio della strada, organizzare il difficile reclutamento della manodopera. Ma il versante più insidioso fu quello della politica parmense, sempre più critica nei confronti di du Tillot, tanto che il progetto della strada ebbe parte nell'accelerare la sua caduta nel 1771. Dopo quella data il M. continuò a essere commissario, anche se l'iniziativa di fatto si interruppe senza giungere a conclusione e il successivo decennio vide solo modesti interventi di manutenzione delle opere realizzate.
Dopo l'allontanamento dei gesuiti da Parma (1768), du Tillot aveva dato il via a una travagliata riorganizzazione degli studi affidata al teatino P.M. Paciaudi e al magistrato dei Riformatori dello Studio, del quale fu chiamato a fare parte il M., che con A. Bernieri divenne conservatore del collegio dei nobili. La sua direzione non fu esente da critiche, delle quali rimane traccia nelle satire dell'epoca; collaborare con du Tillot rendeva molto esposti e fu merito del M., uomo dal carattere schivo e di poca ambizione, l'essersi impegnato su questo fronte. Dal 1771 fu nel Consiglio di Stato, creato da du Tillot per coadiuvare il sovrano nella direzione della cosa pubblica, ma che, dalla partenza del ministro, rimase asservito alla volontà di Ferdinando di decidere personalmente ogni più minuta materia di governo.
La cacciata di du Tillot non ebbe conseguenze sulla carriera politica del M., tanto le sue doti di grande modestia, mitezza, la fervente religiosità e la cristallina onestà continuarono a essere gradite al duca, che gli affidò ancora incarichi di grande prestigio e responsabilità, sebbene egli non rinnegasse mai i debiti di stima e di favori che lo legavano al ministro caduto, riconoscendoli anzi privatamente in lettere a du Tillot e pubblicamente, con Rezzonico, nell'introduzione all'edizione delle Opere di Frugoni. Nel 1772 il M. divenne gentiluomo di camera del sovrano, con incarico di servizio. L'anno seguente fu inviato a Torino per porgere a Vittorio Amedeo III le condoglianze della corte di Parma per la morte di Carlo Emanuele III e le felicitazioni per la sua successione. Nel 1779 fu creato aio dell'erede Ludovico di Borbone, il futuro re d'Etruria.
Il punto più alto della sua carriera giunse però nel 1781 con la nomina a ministro di Stato, incarico che era stato di du Tillot. Ormai anziano, il M. accettò con riluttanza, né dette grandi prove di iniziativa e autonomia. Se Filippo di Borbone aveva scelto la via della modernizzazione dello Stato, lasciando governare il suo ministro riformatore, Ferdinando, antilluminista e clericale fino alla bigotteria, fu invece interventista e decisionista in ogni campo, relegando gli apparati di Stato al ruolo di meri esecutori della sua volontà. Durante il ministero del M. si completò l'opera di restaurazione religiosa, con il ritorno dei gesuiti e dell'Inquisizione, la riapertura dei conventi e la restituzione dei loro beni. In cambio di una sottomissione ossequente e quasi del tutto priva di autonomia il M. godette della stima, della fiducia e, in qualche misura, anche dell'attaccamento del duca, come testimonia la copiosa corrispondenza dell'Archivio Manara (Stanga, pp. 199 ss.).
Finalmente, dopo molte suppliche, nel 1786 ottenne di potersi ritirare dalla vita pubblica.
Socio di numerose Accademie, non solo letterarie, come il Collegio di pittura di Venezia, la Società Agraria di Torino e la R. Accademia delle Belle Arti di Firenze, frequentò e corrispose con molti letterati, tra i quali Frugoni, Sanvitale, A. Mazza, A. Cerati, G.B. Giovio, G.M. Pagnini. Gli ultimi anni furono dedicati allo studio e alla poesia. La predilezione per il Virgilio agreste, che per tutta la vita aveva rappresentato per lui una "guida spirituale" e "l'oggetto di un sereno vagheggiamento" (Turchi, p. 327), lo portò alla traduzione in rima delle Georgiche, pubblicata postuma dal Bodoni nel 1801. Nello stesso anno l'amico Cerati pubblicò a Parma il corpus della sua produzione poetica (Poesie del marchese Prospero Manara fra gli arcadi Tamarisco Alagonio, in due volumi).
Il M. morì a Parma il 18 febbr. 1800.
Fonti e Bibl.: Il corposo archivio privato del M. potrebbe trovarsi ancora in possesso degli eredi (cfr. I. Stanga, La famiglia di P. e Irmina Manara, Cremona 1949). Tra le principali fonti: Arch. di Stato di Parma, Parrocchia di S. Antonino, Liber baptizatorum 1712-1723; Archivio famiglie, Manara; Arch. comunale, Autografi, f. 20; Farnesiano, Istruzione pubblica, b. 9; Carteggio Borbonico, Istruzione pubblica, bb. 1-6, 8-11, 30; Casa e corte borbonica, b. 46; Decreti e rescritti, lettera M; Patenti, lettera M; Arch. du Tillot, C, bb. 11, 20, 26-45, S, bb. 85-87; Parma, Arch. Borbonico dell'Ordine Costantiniano di S. Giorgio, cass. 6/1,7,8; Ibid., Biblioteca Palatina, Mss., Parmense, 658, cc. 111-136, Sonetti e Bucoliche; Relazione della danza a cavallo nel grande real teatro di corte, Parma 1732, p. XVIII; G.M. Mecatti, Guerra di Genova o sia Diario della guerra d'Italia tra i Gallispan-liguri, e i Sard-austriaci, I-II, Napoli 1749; C.G. Della Torre di Rezzonico, Opere, X, Como 1830, pp. 67, 69-71, 74, 205, 208, 237-243, 263; L. Bramieri, Necrologio del marchese P. M., in Memorie per servire alla storia letteraria e civile, Venezia 1800, semestre I, parte I, pp. 105-112; [A. Cerati], Elogio del signor marchese P. M., Parma 1801; C. Ugoni, Della letteratura italiana, I, Brescia 1820, pp. 309-329; I. Affò - A. Pezzana, Memorie degli scrittori e letterati parmigiani, VII, Parma 1833, ad vocem; E. De Tipaldo, Biografia degli italiani illustri, VI, Venezia 1838, pp. 161-163; A. Avoledo, La vita e le opere di P. M. e la corte di Parma nella seconda metà del secolo XVIII, Piacenza 1899; G. Capasso, Il collegio dei nobili di Parma. Memorie storiche, in Arch. storico per le provincie parmensi, n.s., I (1901), pp. 1-287 passim; C. Calcaterra, Storia della poesia frugoniana, Genova 1920, ad ind.; U. Benassi, Guglielmo du Tillot. Un ministro riformatore del sec. XVIII, in Arch. storico per le provincie parmensi, n.s., XXIII (1923), pp. 63, 66-68, e XXV (1925), pp. 23-25; A. Boselli, Rimpianti parmigiani di Guglielmo du Tillot (con due lettere inedite), in Aurea Parma, X (1926), pp. 42-46; M. Maylender, Storia delle accademie d'Italia, Bologna 1926-30, III, pp. 184 s., H. Bedarida, Les premiers Bourbon de Parme et l'Espagne (1731-1802), Paris 1928, ad ind.; C. Pariset, Un breve capitolo della vita di P. M., Parma 1930; G. Micheli, P. M.: commissario per la strada di Genova, in Aurea Parma, XV (1931), pp. 241-243; G. Micheli, L'opera di P. M., nella costruzione della strada di Genova, in Crisopoli, III, marzo-aprile 1935, pp. 3-10; C. Pariset, Sonetti inediti di P. M., ibid., pp. 132-139; G. Natali, Il Settecento, Milano 1950, ad ind.; A. Brugnoli, P.V. M. e la sua Borgo Val di Taro, Parma 1959; G. Allegri Tassoni, P. M., un ministro di Ferdinando di Borbone, in Arch. stor. per le provincie parmensi, s. 4, XVII (1965), pp. 345-359; G. Cusatelli, L'opera poetica di P. M., ibid., pp. 361-365; F. da Mareto, Bibliografia generale delle antiche provincie parmensi, Parma 1974, ad vocem; M. Petroboni Cancarini, Camillo Ugoni, letterato e patriota bresciano. Epistolario, I-IV, Milano 1974-78, ad ind.; M. Turchi, Problemi politici e rapporti umani nella corrispondenza tra il duca Ferdinando di Borbone e il marchese P. M., in Archivio storico per le provincie parmensi, s. 4, XXXVII (1985), 1, pp. 315-328; H. Bedarida, Parma e la Francia, 1748-1789, Parma 1986, ad ind.; G.B. Jannelli, Dizionario biografico dei parmigiani illustri, Genova 1877, pp. 233 s. (A. Pezzana); L. Mensi, Dizionario biografico dei piacentini, Piacenza 1899, pp. 262 s.; R. Lasagni, Dizionario biografico dei parmigiani, Parma 1999, III, pp. 324 s.