SANTACROCE, Prospero
– Nacque a Roma, in data non precisabile, da Valeriano, fratello dell’avvocato concistoriale Andrea, e da Iacobella figlia di Fiorenzo Alzatelli.
Il padre, che nel 1442 è ancora definito «vir providus et discretus», è menzionato negli Statuti dei mercanti di Roma (a cura di G. Gatti, 1885) per il 1444 come facente parte del Collegium artis merchantie pannorum Urbis e nel 1448 come camerario della dogana di Ripa e Ripetta. Risulta defunto nel 1457 (una copia del suo testamento, del 1450, è nell’Archivio di Stato di Roma, Archivio Santacroce, b. 770, cc. 42r-43r).
Esponente della fascia più dinamica del ceto mercantile romano, Santacroce dimostrò di possedere capacità imprenditoriali e spirito d’iniziativa. In un primo tempo insieme con lo zio Paolo, poi da solo, fu tra gli importatori più nominati nei registri doganali del secondo Quattrocento per seta, lino, tessuti, (prevalentemente fustagni), pepe, guado ecc., mentre dai coevi registri della ‘grascia’ emerge un suo spiccato interesse per il commercio dei prodotti alimentari, soprattutto per il grano e il vino. Si occupò di diversi settori economici e imprenditoriali, spaziando dalle attività finanziarie e bancarie all’erogazione di capitali per l’apertura o la gestione di osterie e locande (in particolare la taverna del Falcone, posta nelle vicinanze di Campo de’ Fiori, e l’osteria alla Ripa nelle vicinanze del porto sul Tevere) e la fornitura di vino a queste strutture, in particolare per il giubileo del 1475. In tali esercizi probabilmente era venduto anche il vino proveniente dai vigneti di Santacroce e da quelli dei suoi parenti.
Oltre al commercio (nel 1470 e nel 1489 risulta consul artis mercantie pannorum Urbis), anche la gestione dei casali entrava tra i settori d’investimento di Santacroce, soprattutto alla morte dello zio Andrea, che lo aveva nominato tra gli eredi dei suoi beni immobili. Si ha notizia della consistenza del patrimonio ereditato dalle divisioni dei beni fondiari (casali e tenute) che si succedettero dal 1475 al 1496, dapprima tra Santacroce e il cugino Bartolomeo, figlio di Pietro Santacroce, e quindi – dopo la morte di Bartolomeo – con i figli di costui, Pietro e Andrea.
Indubbiamente però, «il dinamismo economico di Prospero [...] sembra avere proprio nell’attività bancaria il suo centro propulsore, attività svolta nelle sue diverse forme – dal credito di esercizio e commerciale, al conto di deposito fino alla girata cambiaria» (Ait - Esch, 1993, p. 410). La sua intensa attività di banchiere (esercitata in un banco a Campo de’ Fiori) attraversò peraltro una crisi piuttosto seria intorno agli anni Ottanta, come rivela lo scrittore Sigismondo dei Conti (Storia de’ suoi tempi, dal 1475 al 1510, a cura di D. Zanelli, 1883, p. 135): Santacroce, intento a preparare la vendetta per l’uccisione del cugino Francesco di Paolo da parte di Francesco Della Valle, «negotiationes, quam maximas habebat, dissolvere paullatim coepit», fino ad arrivare al fallimento, «maxima cum iactura multorum, qui propter opinionem divitiarum et fidei grandem pecuniam ei crediderant». La crisi fu superata negli anni seguenti, come mostra una serie di atti notarili relativi alla concessione di mutui, anche cospicui: per fare un solo esempio, nel 1490 nominò due procuratori per riscuotere 3000 ducati d’oro prestati al vescovo di Catania Giovanni Gatti.
Fautore degli Orsini (come altri membri della famiglia), anche Santacroce fu implicato nelle lotte tra le consorterie cittadine, in particolare contro i Della Valle e i loro alleati, i Margani e i Crescenzi, che erano di parte colonnese. Negli anni Ottanta lo scontro tra queste famiglie – che deve essere inquadrato nel più grave conflitto scoppiato in quegli anni tra Orsini e Colonna schierati a fasi alterne ora con il papa ora con gli aragonesi nelle diverse fasi della guerra tra Roma e Napoli – diede origine a una serie di scontri e di delitti. Il 15 settembre 1480 Santacroce pugnalò a morte Pietro Margani, non essendo riuscito a colpire (secondo il cronista Iacopo Gherardi) Francesco, figlio di Lelio Della Valle, genero di Margani e capo della fazione avversaria, che nel 1478 aveva assassinato Francesco Santacroce mentre partecipava a un banchetto proprio in casa di Prospero (Sigismondo dei Conti, Storia de’ suoi tempi..., cit., pp. 134 s.). Il 18 novembre 1480 venne conclusa la pace da parte di Stefano Margani, figlio del defunto Pietro in favore di Santacroce e i suoi figli ma, per ordine di Sisto IV, Santacroce fu bandito da Roma e gli venne confiscato il casale di Selva della Rocca (Archivio di Stato di Roma, Archivio Santacroce, b. 262, c. 54r). Due anni più tardi Stefano Margani pagò un sicario per ucciderlo, ma l’iniziativa fallì; nonostante una tregua conclusa tra i Santacroce e i Della Valle e i loro alleati nel 1484 (Il diario romano..., a cura di D. Toni, 1907-1908, pp. 43 s.), nel 1485 Paolo figlio di Stefano Margani, camuffato da contadino e con la spada nascosta in un fascio d’erbe, s’introdusse in casa dei Santacroce uccidendo un altro cugino di Prospero, Bartolomeo di Pietro. Nello stesso anno un figlio di Santacroce, Valeriano, assalì con un pugnale avvelenato Paolo Della Valle. La catena di vendette continuò fino al 1486, quando per volontà di Innocenzo VIII fu stipulato un accordo di pace che si rivelò più duraturo (Il diario romano..., cit., p. 65).
Sisto IV – oltre al bando e alla confisca di parte dei beni – ordinò di «far ruinare» le case di residenza di Santacroce site presso la chiesa di S. Maria de Publico (giuspatronato della famiglia e successivamente denominata in Publicolis dai Santacroce per stabilire un collegamento con il mitico avo Valerio Publicola). Sui resti delle case distrutte Antonio figlio di Santacroce fece costruire il bel palazzetto con la facciata a bugne di diamante, ancor oggi esistente nel rione Arenula.
Come lo zio Andrea, Santacroce costituì «una ricca raccolta d’iscrizioni di diversa natura, lapidi sacre e funerarie, viste nella sua casa da fra Giocondo da Verona e Pietro Sabino alla fine del ‘400», e di «sculture assai apprezzabili sia dal punto di vista estetico che archeologico» (Vicarelli, 2007, pp. 69 s.), come la Venere pudica, il Pan, il gruppo dell’Amazzone. È stato ipotizzato da Kathleen Wren Christian (2002, pp. 262 s., 271) che le statue della collezione Santacroce riprodotte da Maarten van Heemskerck negli anni Trenta del Cinquecento costituissero il nucleo della collezione di Prospero, passate poi al figlio Antonio e collocate nel cortile del suo palazzo. Forse, proprio per la sua passione antiquaria, Pierio Valeriano (Giovanni Pietro Dalle Fosse) dedicò a Santacroce il libro XI degli Hieroglyphica (1556).
Nel 1495 ricoprì la carica di conservatore di Roma, la più importante magistratura cittadina, e nel 1496 quella di priore del rione Arenula.
Si unì in matrimonio con Livia di Lelio di Paolo Della Valle e di Brigida de’ Rustici, da cui ebbe tre figli maschi (Valeriano, Tarquinio e Antonio) e tre femmine (Aurelia, Sigismonda, Lucrezia). Aurelia venne data in sposa nel 1477 a Carlo di Paluzzo Mattei, Sigismonda nel 1490 a Pietro di Palutio de Subaractis, Lucrezia nel 1495 a Lorenzo fratello di Marco Antonio Altieri. Valeriano, Tarquinio e Antonio ebbero come mogli rispettivamente Antonina Muti, Ersilia Massimi, Dianora dell’Anguillara.
La morte va posta poco dopo la redazione del suo ultimo testamento, il 14 maggio 1511 (Archivio di Stato di Roma, Collegio dei Notai Capitolini, reg. 1868, cc. 332r-333v), con il quale nominò eredi universali, per eguali porzioni, due dei suoi tre figli maschi: lo «strenuus miles armate militie» Antonio e l’«eximius iuris doctor » Tarquinio avvocato concistoriale. Non si fa menzione del terzo figlio, Valeriano, perché nel luglio del 1495 costui aveva ceduto ai fratelli tutti i suoi diritti sull’eredità paterna e materna, riservandosene solo l’usufrutto in vita (ibid., reg. 263, c. 243r).
In precedenza Santacroce aveva fatto redigere almeno altri tre testamenti. Di due (non rintracciati) viene fatta menzione nel terzo, rogato dal notaio Silvestro di Blasio ser Simone il 4 febbraio 1511 e conservato in copia (Archivio di Stato di Roma, Archivio Santacroce, reg. 261, cc. 23r-25r), dove si esplicita che egli era malato aegritudine gallica.
Santacroce volle essere sepolto nella chiesa di S. Maria delle Grazie, nella cappella dove era posto il monumento funebre del padre Valeriano «in conspectu tabernacoli Corporis Christi per ipsum testatorem constructi», e dispose che il suo anniversario (come quello del padre) fosse celebrato dalla confraternita di S. Maria delle Grazie e Consolazione, di cui fu guardiano negli anni 1487, 1492, 1500.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Roma, Collezione pergamene, Famiglia Santacroce, cass. 283, n. 25 (a. 1475), n. 36 (a. 1490), n. 41 (a. 1475); 284, n. 11 (a. 1511), n. 17 (a. 1475); n. 47 (a. 1502); Archivio Santacroce, b. 262, cc. 10v, 16r, 54r; b. 274, int. 54, 77, 90; reg. 770, cc. 59r-61v; Collegio dei Notai Capitolini, regg. 1117, cc. 97r-98r; 1151, cc. 195r-198v, 209r-211r; 1664, c. 64r; 1671, cc. 369r, 400r, 452v, 470v-471r, 474r; 1868, cc. cc. 164r,187r-190, 332r-333v; Ospedale di S. Maria della Consolazione, regg. 33, cc. 41r, 55v, 91r, 99r, 102r, 115r; 1300, cc. 11r, 22r, 58rv; Statuti, n. 81 (S. Maria delle Grazie), cc. 12r, 19rv, 20r; P. Valeriano, Hieroglyphica, Basilea 1556, p. 79; Li Nuptiali di Marco Antonio Altieri, a cura di E. Narducci, Roma 1873 (ed. anast., a cura di M. Miglio - A. Modigliani, Roma 1995), pp. 27 s., 64; Sigismondo dei Conti, Storia de’ suoi tempi, dal 1475 al 1510, a cura di D. Zanelli, I, Roma 1883, pp. 134-136; Statuti dei mercanti di Roma, a cura di G. Gatti, Roma 1885, pp. 147, 150; S. Infessura, Diario della città di Roma, a cura di O. Tommasini, Roma 1890, pp. 87 s.; Il diario romano di Jacopo Gherardi da Volterra, a cura di E. Carusi, in RIS, XXIII, 3, Città di Castello 1904-1911, pp. 26, 44, 94; Il diario romano di Gaspare Pontani (30 gennaio 1481- 25 luglio 1492), a cura di D. Toni, in RIS, III, 3, Città di Castello 1907-1908, pp. 5, 30, 43, 50, 65; R. Lanciani, Storia degli scavi di Roma e notizie intorno le collezioni romane di antichità, Roma 1989, pp. 157-160.
P. Paschini, Roma nel Rinascimento, Bologna 1940, p. 208; A. Esposito, Famiglia, mercanzia e libri nel testamento di Andrea Santacroce, in Aspetti della vita economica e culturale a Roma nel Quattrocento, Roma 1981, pp. 195-220; C. Benocci, Il palazzo Santacroce tra via in Publicolis e via del Pianto, in L’Urbe, XLVII (1984), pp. 225-233; I. Ait - A. Esch, Aspettando l’Anno Santo. Fornitura di vino e gestione di taverne nella Roma del 1475, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, LXXIII (1993), pp. 387-417; S. Bombardi, Valerio Publicola e la famiglia Santacroce, in Archeologia classica, XLVI (1994), pp. 169-198; K. Wren Christian, From ancestral cults of art: the Santacroce collection of antiquities, in Senso delle rovine e riuso dell’antico, a cura di W. Cupperi, in Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa, ser. 4, XIV (2002), pp. 260, 262 s., 268 n. 50, 269 n. 51, 271; A. Esch, Economia, cultura materiale ed arte nella Roma del Rinascimento. Studi sui registri doganali romani 1445-1485, Roma 2007, pp. 53-56, 69, 153; F. Vicarelli, La collezione di antichità della famiglia Santacroce, in Collezioni di antichità a Roma fra ’400 e ’500, a cura di A. Cavallaro, Roma 2007, pp. 67-74, 80; A. Esposito, I Santacroce: dalla mercatura alla signoria di Vejano (secc. XV-XVI), in Oeconomica. Studi in onore di Luciano Palermo, a cura di A. Fara et al., Viterbo 2016, pp. 67-79.