RENDELLA, Prospero
RENDELLA, Prospero. – Nacque a Monopoli, presso Bari, nel 1533 e fu battezzato il 21 dicembre, ultimogenito di Iacopo, giurista originario di Atella in Basilicata, e di Faustina Sandalaro della nobiltà monopolitana.
Rimase presto orfano (nel 1564 morì il padre e due anni dopo la madre), ma non gli venne meno l’appoggio dei fratelli: Donat’Antonio (morto nel 1599), avviatosi alla carriera delle armi, e gli ecclesiastici Francesc’Antonio e Giovan Paolo, quest’ultimo giurista. Spese gli anni della sua formazione universitaria e professionale a Napoli, dove si giovò di un ambiente di grande distinzione culturale e sociale: frequentò la cerchia del filosofo Francesco Antonio Vivolo, al quale intitolò dei distici, che il dedicatario volle ad apertura del proprio Quaesitum impresso nel 1578. Negli studi giuridici beneficiò dell’insegnamento di Giovan Antonio Lanario e Giovan Vincenzo d’Anna; mentre nella pratica legale si avvantaggiò degli ammaestramenti di Francesco Maranta nipote, nonché della stimolante vicinanza dei coetanei Fabio d’Anna, figlio di Giovan Vincenzo, e Scipione Rovito.
Si legò alla distinta famiglia della Ratta dei conti di Caserta, ammogliandosi con Antonia, figlia di Geromino e cugina di Camillo giudice di Vicaria. Privo di eredi, allevò il nipote Cola Maria Sandalaro, che sposò Giovanna, figlia di Camillo della Ratta, rinnovando così il legame con quella nobile prosapia. Se nella capitale Rendella continuò a mantenere forti i legami con gli ambienti culturali e la migliore società – come prova la sua appartenenza dal 1612 all’Accademia dei Sileni e la scelta di Napoli come luogo di pubblicazione delle prime due sue opere –, in un momento imprecisato egli dovette spostare la sua residenza prevalente nella natia Monopoli, traendo dalla provincia stimoli e forza per alimentare le sue scelte intellettuali. Quell’ambiente, d’altronde, gli era tutt’altro che sfavorevole, appartenendo egli a una famiglia imparentata con illustri personaggi, fra i quali Nicola Tarsia e il figlio di questi Donato Maria, uomini di legge al servizio degli Acquaviva e dell’Impero, parenti per via materna: al secondo è dovuto l’elegante epitaffio apposto sulla tomba di Rendella.
Autore di più scritti su temi insoliti, non è dato sapere se le opere di Rendella si basassero o meno su un cosciente disegno unitario: certo è che nelle sue ricerche egli considerò diritto e storia inscindibilmente congiunti; i suoi sforzi per acquisire una profonda formazione tecnica ed erudita, cosmopolita e locale al contempo, furono messi al servizio dello studio del diritto del Regno, ancora valido o che tale era stato nel passato.
Il primo scritto a vedere la luce, a Napoli nel 1609, fu il Proloquium in reliquias iuris Longobardi che, pur significativo, per la piccola mole e per la tiratura probabilmente assai esigua, ebbe scarsissima diffusione (fu nuovamente impresso solo nel 1739 e nel 1742).
Concepito come un’introduzione al sistema delle fonti del diritto patrio, nel cui ambito il diritto longobardo aveva rivestito e ancora manteneva una posizione di risalto, il saggio era da considerare quasi una premessa di un’opera, non pervenuta, in cui l’autore si proponeva di raccogliere le norme longobarde ancora vigenti collegandole organicamente al sistema giuridico del Regno.
Sempre a Napoli, nel 1614, fu pubblicato il Tractatus de iure prothomiseos sive congrui, relativo ai complessi problemi legati alla protimesi, ovvero al diritto di prelazione, che nel passato aveva attirato le riflessioni, oltre che di famosi giuristi, del praticamente sconosciuto Antonio Caputo da Molfetta. Con l’opera di quest’ultimo, Rendella – dandone chiaro riconoscimento fin dal frontespizio – intrecciò la sua sino a trasformare l’insieme di glosse più o meno lunghe in un commento compiuto e continuo, integrato da un dottissimo apparato di citazioni giuridiche, storiche e letterarie.
Quindici anni dopo, nel 1629, a Venezia fu edito il suo trattato di maggior giro, il De vinea, vindemia et vino, e l’anno successivo, a Trani, un insieme di scritti singolarissimi, ove egli profuse il suo sapere di giurista, georgofilo e letterato: il Tractatus de pascuis, defensis, forestis et aquis regum, baronum, universitatis et singulorum, il Tractatus de columbis et columbariis e il Tractatus de olea et oleo. Sono tutti testi che, accanto agli aspetti giuridici, descrivono con sapiente profusione le consuetudini agrarie locali, le tecniche agronomiche, la commercializzazione, le qualità e le varietà dei prodotti.
Nel 1630, dopo aver testato il 3 gennaio 1629, Rendella morì a Monopoli.
Lasciò incompiuta l’opera sulla città natale, di cui gli ultimi due trattatelli sopra nominati erano delle sezioni, nelle intenzioni dell’autore il sedicesimo e il diciassettesimo libro. Quale estensione avesse questa summa della vita monopolitana passata e presente non è dato di sapere esattamente: non fu pubblicata dagli eredi e, salvo qualche fortunato ritrovamento, risulta perduta. Giuseppe Indelli, che nel Settecento rintracciò solo il tomo I, riferisce di un’opera in dodici tomi, in cui fra l’altro si trattava di leggi, statuti e consuetudini della città, e trae qualche medaglione e altre notizie dal libro I dedicato agli illustri monopolitani.
Accanto a questi scritti è nota una sua produzione poetica che costituisce un’ulteriore testimonianza dei legami con gli ambienti letterari del suo tempo; mentre sono indirette le tracce della sua attività forense che, se svolse certamente, non fu però il suo interesse principale.
Rendella non godette di immediata fortuna: le sue opere erano troppo erudite e ricche di argomentazioni storiche e rinvii letterari per solleticare l’interesse dei pratici; riguardo ai dotti, esse furono in definitiva fortemente penalizzate dal fatto di provenire dalla provincia e di essere nate fuori dall’ambiente accademico-culturale della capitale. Solo a partire dal Settecento la loro diffusione si fece più incisiva, tanto che furono ripetutamente stampate.
Fonti e Bibl.: L. Russo, Per P. R., amico delle muse, Fasano 1977 (con edizione e traduzione di componimenti poetici); D. Maffei, P. R. giureconsulto e storiografo. Con note su altri giuristi meridionali, Monopoli 1987 (poi in Studi di storia delle università e della letteratura giuridica, Goldbach 1995, pp. 405-467, con addenda et emendanda alle pp. 546-547); D. Morgante, La musica in Puglia tra rinascite e rivoluzioni, Bari 1991, p. 58 (v. anche on-line in http://www. domenicomorgante.it/berchem.htm; contiene la riproduzione delle prime righe dell’atto di battesimo; 26 luglio 2016); D. Cofano, P. R., in Puglia neolatina: un itinerario del Rinascimento fra autori e testi, a cura di F. Tateo et al., Bari 1994, pp. 334-347; G. Indelli, Istoria di Monopoli, con note da C. Tartarelli, a cura di M. Fanizzi, Fasano 2000, pp. 510-516; S. Barbacetto, Cultura giuridica e vita agreste nel “Tractatus de pascuis” di P. R. (secolo XVII), in La pastorizia mediterranea. Storia e diritto (secoli XI-XX), a cura di A. Mattone - P.F. Simbula, Roma 2011, pp. 296-318; Id., R., P., in Dizionario biografico dei giuristi italiani, Bologna 2013, p. 1671; R. Novielli, La vite e il vino nell’opera enologico-letteraria di P. R., in Cibo e/è cultura, a cura di S. Ghiazza, Bari 2015, pp. 145-159 (anche on-line http://www.uniba.it/ ateneo/editoria-stampa- e-media/linea-editoriale/quaderni-di-ateneo/ quaderni-di-ateneo-15; 26 luglio 2016).