MARZIANI, Prospero
MARZIANI (Marziano, Martianus), Prospero. – Nacque nel 1567 da Leonardo e da Vincenza di Rinaldo de’ Rinaldi con ogni probabilità a Reggio Emilia, dove il 12 marzo fu battezzato col nome di Prospero Giovanni. Il padre discendeva da un’antica famiglia nobile di Sassuolo che vantava tra i suoi membri due capi del Comune; un militare della famiglia fu ucciso durante l’assedio di Zara del 1571. La madre era cittadina reggiana. Al momento della nascita del M., la coppia si trovava a Reggio per ragioni legate alla professione di Leonardo, che esercitava la mercatura. Oltre al M. ebbero almeno un’altra figlia, Laura.
Egli trascorse l’infanzia e l’adolescenza a Sassuolo, dove intraprese gli studi umanistici, probabilmente sotto la guida di G. Briani, illustre grammatico e allievo di C. Sigonio. Si trasferì quindi a Bologna, dove frequentò la facoltà di arti e medicina e ricevette i gradi di dottore il 1° luglio 1593. Dopo la laurea tornò nuovamente a Sassuolo, dove il 9 nov. 1593 fece testamento in favore della madre e della sorella. Il 14 dicembre dello stesso anno il M. si trovava già a Roma; è ricordato, infatti, in qualità di testimone nel testamento del concittadino P. Teggia, redatto dal notaio A. Mainardi. Fu proprio grazie all’intercessione di Teggia, già segretario di Giacomo Boncompagni, che il M. fu introdotto negli ambienti curiali. I rapporti tra i due si protrassero fino al 1620, anno in cui il M. gli prestò le sue cure in occasione della malattia che condusse Teggia alla morte.
Il M. elesse a sua dimora stabile Roma, dove, attorno al 1600, sposò la romana Margherita, dalla quale ebbe quattro figli: Francesco, che avrebbe intrapreso la professione paterna, Giuseppe, Vincenzo e Faustina. A Roma ottenne fama e riconoscimenti, tra i quali la cittadinanza, conferitagli il 22 febbr. 1601. Il M. non rivestì mai cariche istituzionali, non entrò a far parte del Collegio dei medici e non ebbe alcuna lettura nello Studium Urbis, tuttavia esercitò assiduamente la professione ricavandone grande profitto economico. Alcuni consulti medici epistolari indirizzati a un cugino dimorante in Sassuolo e a un esponente della nobiltà locale testimoniano, inoltre, che il M. continuò a mantenere rapporti anche professionali con la sua terra d’origine. Oltre all’attività professionale, si dedicò a un ambizioso lavoro di riedizione, traduzione e commento di numerosi loci obscuri del corpus ippocratico che diede origine a diverse opere.
Il M. morì a Roma il 20 nov. 1622. Una descrizione della malattia che lo condusse alla morte precede un necrologio contenuto all’interno dell’Epistola de helleboro del suo medico e amico P. Castelli. Dai sintomi descritti, il morbo appare come un’affezione polmonare, che Castelli riteneva generata dall’indebolimento del fisico causato dallo studio eccessivo.
Gli stretti rapporti del M. con diversi esponenti dell’ambiente medico-scientifico romano, quali i medici Castelli, M. Cagnati, G. Manelfi, E. Cleto, i chirurghi G.M. Castellani e P. Cecchini e il medico-matematico F. Coccanario, sono ben attestati all’interno delle opere. Tuttavia, queste relazioni non furono prive di complicazioni sul piano scientifico. La prima opera del M., In Hippocratis Aphorismum XXII sectionis primae expositio (Roma 1617) fece scaturire un’accesa disputa che animò l’ambiente medico romano e dette luogo alla produzione di diversi trattati.
L’opera del M. è un commentario a tre passi di Ippocrate, tradizionalmente noti per le difficoltà di interpretazione: aforisma XXII, parte I; un passo tratto dal De morbis mulierum; un brano del VII libro del De epidemicis. Oggetto della controversia fu l’interpretazione dell’aforisma riguardante l’opportunità di ricorrere all’espurgazione degli umori nella cura dei morbi. Nel suo commento, il M. avanzava alcune obiezioni a un’interpretazione troppo «subtilis et ingeniosa» che era stata fornita da un esponente di spicco dell’ambiente romano della generazione precedente, Cagnati, lettore di medicina teorica della Sapienza dal 1588 al 1603, interpretazione a sua volta mutuata dall’insegnamento di A. Petroni. A Cagnati, il M. rimproverava un’eccessiva libertà interpretativa e una macchinosità che lo portava a travisare l’autentico pensiero ippocratico. Alle critiche del M. risposero in momenti diversi tre ex allievi di Cagnati, che ricoprivano ormai cariche di spicco nella città: F. Coluzza, Cleto e Manelfi. Nel 1619 Coluzza pubblicò in risposta al M., ampiamente biasimato nella dedica, una presunta opera inedita del maestro che avrebbe dovuto contenere la summa del suo pensiero sull’aforisma XXII (In Aphor. Hyppoc. XXII sectionis primae germana quamvis nova expositio). Pronta la reazione del M. che redasse una Brevis annotatio (Roma 1619), brillante esempio del suo acume filologico, volta a rinvigorire la sua posizione. Le due opere del M. e l’opera postuma di Cagnati furono dedicate al protonotario apostolico e medico personale di Paolo V, V. Merullo eletto a supremum medicinae arbitrum (Brevis annotatio, dedica). Furono Manelfi e Cleto che, contro le reiterate critiche del M., presero le difese di Cagnati attraverso la pubblicazione di due ulteriori commenti (rispettivamente Responsio brevis disceptatio e Dilucidatio in Aphor. XXII primae sectionis, entrambi editi a Roma nel 1621). Fu a questo punto che il M. decise di tirarsi fuori dalla disputa, affidando la reazione al figlio Francesco, che compose un nuovo trattato sull’argomento (Antiparalogismus ad ea quae excellentissimi dd. Aetius Cletus et Ioannes Manelphus scripsere contra Annotationem d. Prosperi Martiani, ad Marsilium Cagnatum, Romae 1622). Diversi biografi hanno ipotizzato che dietro la mano di Francesco, allora ancora studente del ginnasio romano, vi fosse quella più esperta del genitore. Del resto egli stesso afferma che all’origine del trattato vi fu una conversazione tra il M. e l’allora lettore di matematica dello Studio F. Coccanari, da lui occasionalmente ascoltata. L’opera indirizzata ai condiscepoli della facoltà romana riprende in linea generale il commento paterno e si scaglia più in generale contro l’abuso del salasso. Un’ultima eco della disputa si trova in un’opera di Castelli (Epistola… In qua agitur nomine hellebori simpliciter prolato, Romae 1622). Seppur a sua volta discepolo del Cagnati, egli si schierò contro le modalità che aveva assunto la reazione dei suoi compagni. L’Epistola fu accorpata alle due opere del M. e all’Antiparalogismus in un’unica raccolta: l’Apologeticus liber (Roma 1622). Con quest’ultimo atto e con il sopraggiungere della morte del M. la disputa si esaurì.
Al di là del dibattito nel quale si inserirono, le due opere del M. denotano una profonda adesione al pensiero ippocratico e un approccio caratterizzato dalla profondità dell’analisi testuale e filologica. Esse costituirono solo i primi frutti di un’ambiziosa impresa di annotazione e commento dell’opera del medico di Kos alla quale il M. consacrò più di vent’anni («In assiduaque Hippocratis lectione diu, noctuque viginti annorum spatio, atque ulterius etiam versatus»: Magnus Hippocrates, c.*2v). Le due prime opere costituirono infatti il nucleo originario di quella che fu l’opera più celebre del M., Magnus Hippocrates Cous… notationibus explicatus, pubblicata postuma (Roma 1626). Nella dedica dell’imponente commentario, l’autore polemizza contro le distorsioni che l’opera del medico greco aveva subito nel corso del tempo e contro quegli interpreti che, invece di risalire all’autentica parola di Ippocrate, si erano avvalsi delle interpretazioni successive e in particolare di quella di Galeno. Riconoscendo poi che le conseguenze più pesanti di una scarsa conoscenza o di una distorsione dell’opera ippocratica riguardavano l’esercizio della medicina pratica, mostrò anche quale fosse il profondo insegnamento di Ippocrate riguardo alla vera ratio medendi. I passi ai quali il M. rivolse la sua attenzione sono tratti da diversi luoghi dell’opera di Ippocrate (De morbis, De morbis mulierum, Epidemiorum…, Praedictionum, Coacarum praenotionum…). L’opera denota anche un alto grado di aggiornamento sui commenti che del corpus ippocratico furono redatti in epoca recente. Degni di nota, tra gli altri, sono i diversi riferimenti all’edizione dell’opera omnia di Ippocrate di Fabio Calvo, stampata a Roma nel 1549.
All’accurato lavoro che il M. compì per dare alle stampe il suo Magnus Hippocrates è legato anche l’avanzamento della sua candidatura all’Accademia romana dei Lincei. Infatti, quando nel 1621 si decise di aggregare un nuovo membro, fu fatta una rosa di nomi tra i quali quello del M., proposto dal medico, naturalista e cancelliere dell’Accademia G. Faber, come si evince da una lettera a Galilei e da un verbale delle adunanze dell’Accademia. La stima accordatagli dal medico tedesco, che peraltro lo citò a più riprese nella sua opera Animalia Mexicana, non fu sufficiente tuttavia a garantirgli l’accesso alla celebre Accademia, e la sua candidatura non fu accettata.
Se la produzione del M. fu prevalentemente incentrata sulla riscoperta, l’interpretazione e il commento dell’opera di Ippocrate, il suo rapporto con la medicina, tuttavia, non si limitò all’approccio testuale e filologico. Non solo infatti esercitò assiduamente la professione, ma alcuni riferimenti all’interno delle opere rivelano la partecipazione del M. ad alcune anatomie effettuate negli ospedali romani. La prima fu una dimostrazione anatomica compiuta da Castellani presso il S. Spirito in Saxia, la seconda da Cecchini presso l’ospedale di S. Maria della Consolazione. Le osservazioni compiute in quelle occasioni sono riferite nel testo a sostegno di una nuova interpretazione di alcune tesi ippocratiche. Una certa attenzione all’observatio è presente anche nel Magnus Hippocrates, che contiene un numero consistente di osservazioni effettuate in prima persona e volte a rafforzare l’interpretazione testuale fornita. Tra gli interessi del M., i contemporanei ricordano anche quelli astrologici. P. Castelli gli attribuì, infatti, una grande perizia in questa disciplina che gli consentì di prevedere con esattezza il giorno della sua stessa morte (De helleboro, p. 6).
Come il giudizio dei contemporanei sul M. non fu unanime, così non lo fu neanche quello dei posteri. Senza dubbio la fortuna del Magnus Hippocrates fu considerevole e si ebbero edizioni stampate a Venezia nel 1652 e ancora a Padova nel 1718. Le due edizioni, come le numerose testimonianze dei medici successivi, attestano la circolazione dell’opera anche al di fuori dell’ambiente romano. G. Baglivi ne loda la sapienza e la finezza interpretativa (p. 160). Tuttavia, particolarmente dure furono alcune critiche avanzate nei suoi confronti. Spietato e forse ingiusto il giudizio di De Renzi, che – riprendendo Haller – lo definì nient’altro che «un appassionato adoratore d’Ippocrate», privo di spirito critico (p. 307).
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Reggio Emilia, Popolazione, Vacchette dei battezzati, anno 1567, c. 75r; Arch. di Stato di Modena, Fondo notarile di Sassuolo, n. 37, cc. 296-297 (testamento del M.); Arch. per materie, Medici e Medicina, bb. 7, n.n. (consulto epistolare del M. al cugino Vincenzo, 15 genn. 1613; Consilium a Furio Camillo, s.d.); 19, n. 135 (consulto epistolare del M. al cugino Vincenzo, 25 nov. 1620); Arch. di Stato di Roma, Notai del tribunale dell’A.C., vol. 3958, c. 659 (testamento di P. Teggia, 14 dic. 1593); Roma, Arch. stor. Capitolino, Camera Capitolina, Credenzone I, t. 31, c. 41r (creazioni di cittadini romani, 22 febbr. 1601); ibid., Credenzone IV, t. 72, c. 23r (memoriale di cittadini romani creati); P. Castelli, Epistola II De helleboro, Romae 1622; J. Faber, Animalia Mexicana. Descriptionibus, scholiisque exposita, Romae 1627, pp. 652, 766 s.; J.A. van der Linden, De scriptis medicis libri duo, Amstelredami 1662, I, pp. 178, 546; G. Baglivi, De praxi medica ad priscam observandi rationem revocanda. Libri duo. Accedunt dissertationes novae, Romae 1696, pp. 46, 160; A. Vallisneri, Memorie e iscrizioni sepolcrali del conte M.M. Boiardo, in Raccolta di opuscoli scientifici e filologici, III, Venezia 1730, pp. 353-376; A. Haller, Bibliotheca medicinae practicae, Bernae-Basileae 1776-77, I, pp. 56, 94; II, p. 504; C. Baggi, Lettera… intorno a P. M. illustre medico del XVII sec., in Continuazione del Nuovo Giorn. de’ letterati d’Italia, 1778, art. II, pp. 41-61; G. Tiraboschi, Biblioteca modenese, III, Modena 1783, pp. 171-174; Id., Storia della letteratura italiana, Milano 1833, IV, p. 494; S. De Renzi, Storia della medicina italiana, IV, Napoli 1846, pp. 307, 477, 533; G. Gabrieli, Verbali delle adunanze e cronaca della prima Acc. Lincea (1603-1630), in Atti della R. Acc. nazionale dei Lincei. Memorie, cl. di scienze morali stor. e filologiche, s. 6, II (1927), 6, p. 502; Id., Scritti di G. Faber Linceo, in Atti della R. Acc. nazionale dei Lincei. Rendiconti, cl. di scienze morali storiche e filologiche, s. 6, IX (1933), p. 303; Id., Il carteggio linceo della vecchia Accademia di Federico Cesi…, Roma 1941, parte II, sez. 2ª, pp. 541, 736; Id., Contributi alla storia della Acc. dei Lincei, Roma 1989, I, pp. 457, 541; II, pp. 1081, 1197, 1207, 1246; S. Conforti - S. De Renzi, Sapere anatomico negli ospedali romani: formazione dei chirurghi e pratiche sperimentali, in Rome et la science moderne entre Renaissance et Lumières, a cura di A. Romano, in corso di pubblicazione; L.-G. Michaud, Biographie universelle ancienne et moderne, XXVII, pp. 102 s.