Proserpina
Dea degl'Inferi nella mitologia romana (Persefone in quella greca). La figura compare tre volte nella Commedia, e precisamente in If IX 44 (la regina de l'etterno pianto), in X 80 (la faccia de la donna che qui regge), in Pg XXVIII 50 (Tu mi fai rimembrar dove e qual era / Proserpina nel tempo che perdette / la madre lei, ed ella primavera), ed è sempre evidente l'eco di luoghi classici che di P. celebrarono il mito e le funzioni di divinità femminile degl'Inferi, regina del Tartaro, pari a ciò che nell'Olimpo era Giunone (è difatti appellata ‛ Iuno inferna ', in Virg. Aen. VI 138; ‛ Iuno infera ', in Sen. Herc. fur. 214).
In ognuno di questi brani D. caratterizza in modo diverso P., secondo i tre diversi significati che la cultura classica e medievale ha codificato: " Tria virginis ora Dianae " (Aen. VI 511); distinzione che è ripresa e ampliata alla luce della simbologia trinitaria di tipo cristiano da Prudenzio (Contra Symm. I 363 ss.), Isidoro (Etym. VIII XI 57-58) fino a Remigio d'Auxerre (Comm. in Martianum Capellam VII 733), Eberardo di Béthune (Graecismus VII 56), Arnolfo d'Orléans (Glos. super Lucanum VI 737).
D. qualifica P. nell'Inferno secondo due perifrasi: nella prima P. appare come regina dell'Inferno attorniata dalle sue ancelle, le Furie; nella seconda come luna e insieme regina dell'Inferno, quasi a far risaltare con tutta la polivalenza della sua figura l'importanza della profezia di Farinata.
Il Renucci si stupisce del fatto che le Furie siano indicate da D. come ancelle di P. e avanza dubbi sul significato delle espressioni regina de l'etterno pianto e la donna che qui regge, e cioè etterno pianto e qui indicherebbero non l'Inferno tutto, ma solo il sesto cerchio, quello degli eretici. È vero che generalmente, secondo l'iconografia mitologica classica, Plutone è colui che comanda alle Furie, ma è altrettanto vero che l'immagine delle Furie ancelle di P. deriva dall'Eneide e dalla Tebaide, ed è attestata in Prudenzio: " Cum subnixa sedet solio, Plutonia coniunx / imperitat Furiis et dictat iura Megaerae " (Contra Symm. I 367-368), versi questi di sicura diffusione tanto che si ritrovano citati ad esempio nelle Origini di Isidoro e nel De Universo di Rabano Mauro. Significativo poi che l'espressione le meschine / de la regina de l'etterno pianto ricalchi il v. 100 dell'Hercules furens di Seneca, dove le Furie sono chiamate " famulae Ditis ": qualificazione che può essere stata percepita da D. direttamente (qualora si ammetta la conoscenza da parte di D. di Seneca tragico) o indirettamente.
Del resto proprio perché D. non può rinunciare alla figura di Lucifero come re dell'Inferno per un evidente obbligo al verbo cristiano (relega Plutone al rango di semplice demonio dopo averlo spodestato dal trono che la tradizione classica gli aveva assegnato) è comprensibile che abbia accentrato le prerogative di Plutone sulla sua consorte.
La discussione se si debba intendere etterno pianto e qui come l'Inferno o non il sesto cerchio, mi sembra sia stata esagerata dal Renucci, che appare influenzato dalle precedenti polemiche (Ferretti, Gigli, ecc.); con ogni probabilità le locuzioni qualificano P. come regina di tutto l'Inferno. Infatti la designazione dell'Inferno come il luogo dell'etterno pianto è un ‛ topos ' che ritroviamo in Prudenzio (" aeternos gemitus ", Hamar. 838) che lo ricalca su moduli consueti all'ideologico cristiano (cfr. Marc. 9, 47 " supplicium aeternum "; II Paul. Thess. 1, 9 " poenas... aeternas ").
La raffigurazione di P. come regina è di stampo classico (Orazio Carm. II XIII 21 " furvae regna Proserpinae "; Epod. XVII 2 " et oro regna per Proserpinae ") con continue riprese nella letteratura medievale, ad esempio in Fulgenzio (Con/. verg., ediz. Helm, p. 102: " Inferni Proserpina regina est ") e in Bernardo Silvestre (Comm. super sex Libros Aen. VI 138, ediz. Riedel, p. 59: " regina Herebi "). Inoltre lo stilema etterno pianto ricorda da vicino altre espressioni usate da D. per indicare l'Inferno con perifrasi aventi evidente funzione di messaggio; basti ricordare l'iscrizione di If III 1-3, e le ancor più significative parole di Virgilio a D. (I 114-120), in cui il poeta latino prefigura il cammino che D. dovrà seguire; qui i tre regni ultraterreni sono indicati mediante efficaci perifrasi: il Purgatorio è il mondo di color che son contenti / nel foco, perché speran di giungere al cielo, il Paradiso è il luogo delle beate genti, l'Inferno è il loco etterno in cui si odono le disperate strida dei dannati. Etterno pianto è modulo sintetico di questa più analitica locuzione.
P. appare nel girone di coloro che l'anima col corpo morta fanno proprio perché è in antifrastica corrispondenza con Matelda: P., qualificata attraverso due perifrasi, è collocata all'inizio del viaggio di D. nel mondo ultraterreno, Matelda (che D. rassomiglia a P.) chiude il ciclo di purgazione e apre idealmente l'esperienza celeste di D. con Beatrice.
D. nomina P. col suo vero nome e senza far ricorso a perifrasi solo in Pg XXVIII, e questo perché il poeta annette al nome P. dei significati che trovano la loro validità nel filone esegetico che fonda il suo credo metodologico nell'analisi etimologica. Presso questo filone, che è il setaccio più importante attraverso cui i miti e i valori della letteratura vengono filtrati per essere, dopo essere stati assorbiti e integrati in un corpus ideologico cristiano, riproposti al pubblico medievale, la figura di P. è spiegata secondo l'etimologia (proserpinare = " germinare ", " crescere ", " fructificari ": Osbern di Gloucester, Panormia, ediz. Mai, p. 469), da una parte in senso proprio appunto come segno del processo di sviluppo, di crescita dal seme al frutto: così in Arnobio (Nat. III 33); Fulgenzio (Myt. I 10); Remigio d'Auxerre (Comm. in Mart. Capellam I 81 ss.), dall'altra parte in senso figurato, per cui P. è simbolo e allegoria del cammino di perfettibilità dell'uomo di fede e di cultura come in Giovanni di Salisbury (Pol. VIII XXV 420, 28-421, 4): " Hoc ipsum forte sensit et Maro, qui, licet veritatis esset ignarus et in tenebris gentium ambularet, ad Eliseos campos felicium et cari genitoris conspectum Aeneam admittendum esse non credidit, nisi docente Sibilla, quae quasi siosbole consilium Iovis vel sapientia Dei interpretatur, ramum hunc Proserpinae, quae proserpentem et erigentem se a vitiis vitam innuit, consecrearet ".
Nella raffigurazione di Matelda assimilata a P. s'intrecciano motivi di ripresa di una tradizione esegetica espressi in un tessuto lessicale e semantico che ripropone al lettore le suggestioni e gli echi delle varie fonti, soprattutto Ovidio e forse Claudiano (v.). Ma altre immagini come la variazïon di freschi mai possono far pensare a Firmico Materno (Err. VII 1, in Corpus Script. Eccl. Lat. II 87, 2-4) e come i vermigli fioretti possono ricordare Arnobio (Nat. V 24, ibid. IV 195, 22-25), echi questi percepiti da D. attraverso fedeli tramiti (su queste possibili fonti e sul valore di tutto l'episodio cfr. R. Mercuri, citato in bibl.).
Per concludere, P. è dunque segnale del cammino progressivo dell'intellettuale dall'oscura selva del peccato alla luminosa selva del Paradiso terrestre, e della capacità di D. di portare, insieme con Beatrice, a completa maturazione il processo di acquisizione di cultura e di fede iniziato con Virgilio: e di questa raggiunta capacità è specchio il sapiente giuoco di D. che intarsia auctoritas classico-pagana e auctoritas cristiana con raffinatezza stilistica e sicurezza ideologica.
Bibl. - G. Gigli, Di una nuova questioncella dantesca, in " Studi Filol. Romanza " VII (1894) 84-88; C. Zacchetti, La primavera di P., in Note dantesche, Roma 1899, 33-37; L. Pietrobono, Il poema sacro, I, Bologna 1915, 93 ss.; G. Ferretti, I due tempi della composizione della D.C., Bari 1935, 119 ss.; P. Renucci, D. disciple et juge du monde gréco-latin, Parigi 1954, 220; A. Ronconi, D. e i poeti latini, in " Studi d. " XLI (1964) 5-44; G. Brugnoli, La primavera di P., in " Trimestre " II (1968) 236-239; R. Mercuri, Conosco i segni de l'antica fiamma, in " Cultura Neolatina " XXXI (1971) 237-293; E. Brown, P., Matelda, and the Pilgrim, in " D. Studies " LXXXIX (1971) 33-48.