ROTONDO, Prosdocimo
– Nacque a Gambatesa, in Molise, il 14 aprile 1757 da Antonio e da Rosina Giannessi.
Apparteneva a una famiglia di prospera borghesia provinciale, dotata di molte proprietà in grado di assicurare buone rendite («vive nobilmente» si legge del padre nel catasto onciario). Ebbe vari fratelli maschi, tre dei quali ‘giacobini’ convinti e attivi nei movimenti rivoluzionari degli anni Novanta: il maggiore Giambattista (1749-1837), sacerdote, denunciato come partecipante a una congiura molisana nel 1794 ed esiliato, poi di nuovo condannato a quindici anni di esilio nel 1799; Eligio (1751-1817), anch’egli sacerdote, comandante nel 1799 di alcune forze rivoluzionarie attive in Molise, che sfuggì all’arresto; Policarpio (1755), probabilmente il fratello che al momento della proclamazione della Repubblica Napoletana, secondo lo stesso Rotondo, «da molti mesi languiva in una carcere» (Autodifesa, in Leggi, atti, proclami..., 2000, I, p. 333), perché implicato nei fatti del 1794; scappato a Marsiglia dopo il ritorno dei Borbone nel 1799, vi morì in data ignota.
Prosdocimo studiò diritto all’Università di Napoli e, conseguita la laurea, si dedicò all’avvocatura; ebbe «larga clientela in gran parte proveniente dal natio Molise e dalla provincia di Lucera» (Gifuni, 1949, p. 150).
Di lui si conoscono tre allegazioni forensi databili tra il 1788 e il 1789 e due del 1796: Per l’Università di Ripabottoni contro il reverendo arciprete, e clero di quella terra, s.n.t. [1788?]; Per l’illustre attual duchessa dello stato di Diano contro i fratelli D. Vincenzo, e D. Gaetano Calà che colla qualità di figliuoli spurj del fu duca di Diano D. Carlo Calà, pretendono esser dichiarati legittimi, s.n.t. [ma dopo il 1788]; G. Starace - P. Rotondo, Per li signori d. Raimondo, d. Pasquale, e d. Rachele de Sanctis. Contro la prelatura Bonito, e l’illustre principe di Strongoli, Napoli s.d. [1789?]; Per li preti partecipanti della città di Montepeloso contro il Capitolo di quella chiesa nella Real Camera di S. Chiara, s.n.t. [1796?]; Difesa del S. Seminario di S. Bartolomeo in Galdo contro d. Lorenzo Rossi, s.l. 1796.
Inoltre fu procuratore dell’Università di Forino e nel 1791-92 con Domenico Tata fu l’avvocato dell’Università di Casacalenda in un’importante vertenza contro il feudatario locale, Scipione di Sangro, per la proprietà di fondi allodiali usurpati. Giuseppe Maria Galanti non lo ebbe in gran stima e lo definì «un paglietta de’ comuni», che si era «fatto strada nel foro per la protezione che Tontoli [Andrea, marchese di fede massonica e importante avvocato] gli ha accordata» (Galanti, 1970, p. 127). In realtà, invece, in queste vesti si distinse per l’importante impegno antifeudale, quello stesso in cui si cimentava in quegli anni il giovane avvocato molisano Vincenzo Cuoco, nella cui «formazione professionale (e politica)» (De Francesco, 1997, p. 27) Rotondo ebbe un ruolo rilevante; entrambi furono patrocinatori, insieme a Carlo Chiarizia, dell’Università di Civitacampomarano contro il duca di Sant’Andrea, Carlo Mirelli, nel 1797-98.
Rotondo frattanto frequentava i ‘giacobini’ e i massoni molisani, in particolare quelli che si radunavano a Castelbottaccio nel palazzo della baronessa Olimpia Frangipane Cardone. Nel 1798 a Napoli fu sospettato di attività cospirativa e perciò sospeso dalla professione forense e costretto a ritirarsi a Gambatesa tra il gennaio e l’aprile di quell’anno. Tornato a Napoli, nel gennaio 1799 fu con Nicola Fasulo, Giuseppe Albanese e altri fra i più attivi organizzatori di un comitato rivoluzionario che si proponeva di sostenere l’arrivo dei francesi in città. Dopo l’ingresso del generale Jean-Étienne Championnet, il 24 fu inserito nel governo provvisorio della Repubblica Napoletana; il 28 fu messo a capo di uno degli organi di governo, il Comitato delle finanze, composto anche da Vincenzo Porta, Giovanni Riario Sforza e Melchiorre Delfico (che però era assente perché rimasto nella sua Teramo).
A fine gennaio, nel clima politico arroventato della Repubblica, fatto di rivalità, opportunismo, sospetti e delazioni, Rotondo fu accusato dal sacerdote rivoluzionario Nicola Palomba di essersi appropriato di ingenti somme percepite con la riscossione delle tasse. L’accusa però non ebbe alcun seguito perché Palomba non aveva prove e si limitava a dare risalto ed enfasi rivoluzionaria a dicerie probabilmente senza fondamento.
Non è escluso – come ipotizza Claudia Rotondo Chieco (1978) – che avessero pesato «le malignità intenzionalmente sparse da Scipione duca di Sangro» (p. 11), ispiratore degli attacchi sanfedisti nel febbraio contro Casacalenda e contro Gambatesa, dove fu saccheggiato il palazzo Rotondo.
Il 23 marzo davanti al governo provvisorio furono denunciati Rotondo, che dal 18 dello stesso mese era stato spostato dal Comitato delle finanze a quello della polizia, Fasulo e Cesare Paribelli, perché «malversavano le rendite e l’amministrazione della Repubblica» (De Nicola, 1906, p. 86). La denuncia era stata presentata da Giuseppe Nicola Rossi e Giuseppe Laghezza in rappresentanza – a loro dire – di ottomila patrioti. Il 28 successivo una nuova deputazione chiese al generale Jacques-Étienne Macdonald, che aveva sostituito Championnet a metà febbraio, di non inserire Rotondo nel nuovo governo. Inoltre, egli veniva attaccato in modo durissimo, insieme ad altri «falsi giacobini», da un certo Ciriaco Lamparelli, autore di un «manifesto apologetico del vero patriottismo» (De Francesco, 1997, p. 30). Perciò il 14 aprile Rotondo fu escluso dal governo, a opera del commissario André-Joseph Abrial, insieme a Fasulo e Paribelli, e a Carlo Lauberg, che aveva ricevuto analoghe denunce (e scontò alcuni giorni di prigione).
In risposta alle accuse, Rotondo pubblicò un’Autodifesa (Napoli s.d.; ora in Leggi, atti, proclami..., 2000, I, pp. 332-339), in cui reclamava «il dritto di opporre alla cabala de’ miei nemici il giudizio della legge, alle voci vaghe, fatte spargere con artificio, i fatti veri [...] il dritto di domandare dal Governo le disposizioni perché la mia condotta sia soggettata al giudizio di una Commissione, la qual proceda col massimo rigore all’esame di tutte le operazioni da me fatte nel tempo dell’esercizio della carica di Rappresentante del Popolo Napoletano» (p. 332). Ricostruendo la vicenda, Rotondo assolveva quasi Palomba perché lo considerava «vittima della sua credulità» (p. 334) e si scagliava – senza fare nomi – contro quegli opportunisti che si erano fatti ‘giacobini’ dopo la vittoria delle armi francesi. Costoro non si erano curati del fatto che «Palomba continuasse o non l’accusa; ad essi bastava che la mia reputazione si oscurasse: spargevano delle voci, ed eran sicuri che siccome il male si crede più facilmente del bene, così avrebbero o presto o tardi conseguito il loro oggetto» (p. 335). Quindi, riferendosi sia alla prima sia alla seconda accusa, sfidava chiunque a fornire prove contro di lui e prometteva di trarne le più gravi conseguenze: «venga tra voi un solo il quale giuri sull’onore di buon repubblicano, che un solo de’ fatti asseriti sia a lui noto, ed io rinuncio ad ogni difesa: rinuncio anche volentieri alla mia esistenza» (p. 338).
A suffragio della sua difesa diede alle stampe un Rendiconto dello stato delle finanze della Repubblica Napoletana effettuato da Prosdocimo Rotondo, Napoli s.d. (Leggi, atti, proclami..., 2000, I, pp. 492-529), considerato dagli storici di «enorme importanza perché è il primo ed unico documento che ci possa introdurre nell’intricato groviglio della finanza repubblicana, in modo estremamente analitico» (p. 493). Introducendo il rendiconto, egli invitava «chiunque a fargli quell’onesta censura alla quale ogni buon cittadino costituito in carica soggiacer deve» (p. 492).
Dopo l’uscita dal governo provvisorio, rimase in disparte, ma ciò non valse a evitargli la condanna a morte dopo il ritorno di Ferdinando IV sul trono. L’esecuzione fu emanata dalla giunta di Stato il 27 settembre ed eseguita a Napoli il 30 settembre 1799.
Fonti e Bibl.: Per la situazione patrimoniale della famiglia: Archivio di Stato di Napoli, Onciario, ff. 7433-7434.
Cenni biografici assai sommari e approssimativi sono in M. d’Ayala, Vite degl’italiani benemeriti della libertà e della patria. Uccisi dal carnefice, Torino-Roma-Firenze 1883, pp. 538-540. Sommaria è anche la biografia di G.B. Gifuni, P. R., eroe dimenticato della Repubblica napoletana del ’99, in Samnium, XXII (1949), 3-4, pp. 150-155. Ben documentata è invece quella di C. Rotondo Chieco, P. R.. Un ‘intruso’ nella Repubblica partenopea del ’99, Bari 1978, che riporta la precisa data di nascita tratta dall’atto di battesimo e le notizie sui fratelli. Sulla difesa dell’Università di Casacalenda e le frequentazioni giacobine nel Molise, oltre alla biografia di Rotondo Chieco: A. Perrella, L’anno 1799 nella provincia di Campobasso, Caserta 1900, ad ind.; A Simioni, Le origini del risorgimento politico dell’Italia meridionale, I, Palermo 1925, pp. 269, 331, II, 1925, pp. 213, 218 s. Sui rapporti con Cuoco, l’attività cospirativa prima dell’arrivo dei francesi, la sua partecipazione al governo e gli attacchi ricevuti: A. De Francesco, Vincenzo Cuoco. Una vita politica, Roma-Bari 1997, ad ind. Il giudizio di Galanti è nelle memorie postume: G.M. Galanti, Memorie storiche del suo tempo, a cura di D. Demarco, Napoli 1970, ad ind.; gli attacchi di Lamparelli sono in C. Lamparelli, Apologetico-masonico-giacobinico-patriottico, s.n.t. [ma 1799], passim. Sulle accuse contro Rotondo per la gestione delle imposte e la sua difesa: C. De Nicola, Diario napoletano dal 1798 al 1825, I, Napoli 1906, pp. 41 s., 81, 85 s.; V. Cuoco, Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799, a cura di N. Cortese, Firenze 1926, ad ind.; P. Colletta, Storia del reame di Napoli, a cura di N. Cortese, Napoli 1969, ad ind. La documentazione sulle cariche ricoperte nel 1799, l’autodifesa, il rendiconto e altre notizie sono in Leggi, atti, proclami e altri documenti della Repubblica Napoletana. 1798-1799, a cura di M. Battaglini - A. Placanica, I-IV, Cava dei Tirreni 2000, ad indices.