PROPRIETÀ (XXVIII, p. 339)
1. - La proprietà è l'istituto maggiormente sensibile alle mutazioni della vita sociale ed è concetto relativo a tempi e a luoghi. Accanto ad una nozione più ristretta di proprietà, quale si ricava da ogni particolare sistema positivo, ve ne è una più lata, che comprende tutti i casi in cui il modo di godimento dei beni tende ad attuarsi nella maniera più generale e più ampia possibile. Né va escluso il concetto di proprietà anche in quei momenti della storia giuridica e riguardo a quegli istituti di diritto reale in cui non sempre appare chiaro se proprietario sia un soggetto oppure un altro. Vi è, in questo senso, un'insopprimibile realtà della proprietà avuto riguardo alla relatività e variabilità delle sue forme.
V'è una diversa importanza della proprietà a seconda dell'ambiente e delle concezioni etico-politiche in esso vigenti; e, nella storia giuridica, si rilevano alcuni momenti in cui la proprietà si manifesta con un peculiare rilievo. Così è, ad es., nelle civiltà primitive, allorché il rapporto coi beni (con alcuni beni in modo particolare) per lo più intimamente legato al possesso, appare come una estrinsecazione, una parte dell'individuo stesso e ne segue la sorte anche dopo morte: ciò, in relazione a particolari concezioni mistiche. Così nel diritto quiritario, in cui la proprietà è un rapporto politico-religioso, quasi una sovranità del pater su tutti gli elementi afferenti alla vita del gruppo familiare. E, vicina a noi, la codificazione napoleonica, in cui si concretano le idee che sono alla base della civiltà liberale e del fenomeno capitalistico quale legato allo sviluppo della moderna impresa. Il diritto assoluto e illimitato, specie nell'ambito dell'impresa, fu espressione di signoria economica.
2. - È stato detto che la radice dei mali del capitalismo è proprio nel concetto di proprietà quale nell'art. 544 del Code Napoléon. Nessun ostacolo impediva che si estendesse all'impresa il concetto di proprietà secondo la definizione del Code: gli effetti di tale estensione sono stati investimenti disordinati, distruzioni di ricchezze, sterilizzazione di mezzi di produzione. La legislazione sociale ha operato ai margini, senza toccare l'essenza del diritto; così la legislazione limitatrice, nel corso del secolo, ha specialmente inferito sulla proprietà immobiliare, mentre le fortune mobiliari, in cui veramente si esprime il carattere antisociale della proprietà capitalistica, sono rimaste. Era stato proclamato il carattere sacro e inalterabile della proprietà, fondamento dell'ordine nella moderna società. Oggi si sostiene invece che il Code, per gli abusi che ha legittimato, è stato fonte di disordine e che la proprietà del Code è al centro della odierna crisi della civiltà (Multzer).
3. - Oggidì appare messo da parte il principio della illimitatezza. Ciò è il risultato di una vasta legislazione che via via ha posto una serie sì ampia di limiti che in nessun modo avrebbero potuto più considerarsi quali eccezioni. Le esigenze sociali che sono alla base di tale legislazione hanno in pari tempo influito sulla giurisprudenza e sulla dottrina in Francia e in Italia, a tal punto che, pur essendo rimasta (in Francia, e in Italia sino al 1942) la definizione dei codici, possono già da tempo dirsi superate le vecchie impostazioni.
4. - La proprietà resta pur sempre un diritto. Incongrue sono le formule della proprietà-funzione, della proprietà-dovere, e così quelle che avvicinano la definizione di "proprietario" a "produttore". La proprietà ha oggi un significato nuovo che deriva non già da formulette posticce e improvvisate, bensì da una considerazione sistematica complessiva e dall'abbandono di concetti o preconcetti superati.
Così non può dirsi che esista un onere o condizione di carattere generale, secondo cui la proprietà sarebbe attribuita in vista di un dato scopo, mancando il quale verrebbe meno anche il titolo stesso dell'attribuzione. Vi è una norma, l'art. 838 del nuovo codice italiano, riguardante l'ipotesi che il proprietario abbandoni la coltivazione o l'esercizio di beni che interessano la produzione nazionale, nel qual caso può farsi luogo all'espropriazione. Ma tale norma e altre similari non stabiliscono un principio di carattere generale. Così sono casi particolari quelli in cui l'attribuzione è fatta ad un determinato scopo (es., ad meliorandum, com'è nell'enfiteusi). Qui possiamo ricordare anche tutte le varie ipotesi di determinazioni accessorie che possono essere apposte in un titolo negoziale attributivo di proprietà (patto di riscatto, di riservato dominio, ecc.; e i varî casi di proprietà temporanea; menzioniamo ancora: proprietà dotale, proprietà fidecommissaria, proprietà fiduciaria).
5. - Inoltre la proprietà è un concetto nettamente distinto da ricchezza, nozione economica; anzi può ben dirsi che la proprietà è la forma giuridica di tutela della ricchezza. Identica è giuridicamente, quale forma iuris della tutela, la proprietà uno e la proprietà cento. Ma anche la quantità della ricchezza può ad un certo momento nelle moderne prospettive di sviluppo, determinare un nuovo limite di carattere generale, riferito a ciò che può essere sufficiente allo sviluppo di una persona o di una famiglia (o qualche altro criterio).
La moderna coscienza giuridica è preparata a compiere anche questo decisivo passo innanzi verso una sempre più accentuata determinazione sociale della proprietà. I varî progetti della riforma agraria muovono da tale esigenza. E vi è poi il generale problema che riguarda i limiti, diretti e indiretti, alle disposizioni di ultima volontà.
6. - Resta però pur sempre impenetrabile la cittadella dell'impresa. La pressione di varie forze opera sinora solo dall'esterno. L'impresa (la grande impresa capitalistica) è legata alle prospettive dell'epoca in cui viviamo ed è tuttora l'espressione di una signoria assoluta. Solo allorquando le forze del lavoro entreranno nell'interno della cittadella si potrà operare una più profonda trasformazione di istituti e di concetti.
L'art. 2085 del codice civile fa riferimento al controllo e alla vigilanza dello stato sulle imprese; il che sposta il problema, non lo risolve. Al contempo il codice, art. 2086, sancisce che "l'imprenditore è il capo dell'impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori". Per cui oggi l'impresa, l'impresa capitalistica, è un ordinamento a sé stante con una struttura autoritaria. Il "capo" (una o più persone) è anche il "proprietario", specie di sovrano dell'impresa; e lo è o direttamente o attraverso quello che suol chiamarsi dominio o controllo (inglese: control); il quale concetto indica l'influenza che qualcuno può esercitare sulle cose nominalmente di altri, pesando con la propria volontà sulla sorte di tali cose (Messineo). Non è esatto che il controllo sia mera situazione di fatto. Esso è il vero equivalente della proprietà, che si sostituisce alla proprietà azionaria frazionata e polverizzata, la quale non è certo partecipazione effettiva alla proprietà dell impresa, ma praticamente riguarda solo posizioni creditizie, la proprietà restando circoscritta al possesso del titolo di credito. Solo chi ha il controllo ha la massa dei poteri di gestione, disposizione e praticamente anche di godimento illimitato. Il carattere antisociale dell'assolutezza resta, quindi, nella proprietà d'impresa. Solo un allargamento alla partecipazione in comune alla gestione può avviare il problema a soluzione. E un problema politico e sociale di assai largo rilievo. Occorre procedere a formare i presupposti legislativi di una tale soluzione. Vedasi l'art. 46 della Costituzione italiana, in cui è stabilito il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende nei modi e limiti di legge. Si ricorda qui l'altra affermazione di massima contenuta nella Costituzione, nell'articolo 42, ove è detto che la legge determina i modi e i limiti per assicurare la funzione sociale della proprietà privata e per "renderla accessibile a tutti".
7. - Le modeme prospettive non hanno mutato i termini del problema che attiene alla distinzione tra proprietà individuale e proprietà collettiva. Il riferimento all'individuo resta pur sempre essenziale e del tutto preminente. Anzi si sostiene che ogni forma di proprietà in definitiva si riduce al godimento individuale dei più partecipanti al gruppo o collettività. Non si può trascurare però di caratterizzare i casi in cui l'uso in comune di una certa cosa è veramente indivisibile. Una recente dottrina tali casi sottrae alla nozione di proprietà, la quale dovrebbe essere esclusivamente individuale. L'uso o anche la gestione collettivi sarebbero relativi alle comunità, ove non possono venire in considerazione situazioni di titolarità giuridica o anche di godimento individuali. Proprietà e comunità riguarderebbero, in tal senso, due campi nettamente distinti anche se paralleli (Multzer).
8. - Diversa è la proprietà pubblica: proprietà di cui è titolare un ente pubblico, allo stesso modo come lo è, nella proprietà privata, un individuo o un ente privato. Diversa ancora è la pioprietà pubblica dei mezzi di produzione, allorché il privato resta titolare di un diritto di godimento o anche di gestione di dette cose, diritto del privato che è pur sempre un equivalente di proprietà. Nessuna feconda prospettiva di sviluppo in senso sociale vi è per questa via.
9. - Deve infine dirsi che una precisa determinazione del concetto della proprietà, anche con riguardo alla proprietà privata individuale appare oggi alquanto ardua fino a che non sarà compiuta una più vasta rielaborazione di concetti. Così un punto della dottrina tradizionale che pareva acquisito è la netta distinzione della proprietà dal possesso (a differenza delle civiltà primitive): quella che fu detta la "spiritualizzazione" del diritto di proprietà, una possibilità di considerare e tutelare il nomen iuris del titolo di proprietà. Ma tale procedimento porta ad un certo momento ad identificare "proprietà" con "titolarità" di diritti (di ogni diritto): la proprietà si confonde col "mio". Si cerca allora di distinguere proprietà da appartenenza ma la precisazione dei concetti non è, al riguardo, molto avanzata.
Il più notevole tentativo di riportare la proprietà in un ambito circoscritto in connessione col possesso, cioè con l'effettivo rapporto di godimento diretto, è quello già menzionato (Multzer) che restringe la proprietà ad una considerazione rigorosamente individuale e umana. Ma non pare che siffatte determinazioni restrittive siano compatibili con quella che è la fase odierna di sviluppo della proprietà. Così non si sa ancora quale giustificazione dogmatica dare ad un concetto ristretto di proprietà distinto da appartenenza, mentre è anche certo che appartenenza è termine troppo vago e comprensivo. Ad un dipresso sarebbe proprietà ciò che è proprio della persona per ragione di godimento, consumo e sviluppo individuale nonché gli immobili. (A parte sta il problema della proprietà di impresa, di cui retro). Appartenenza riguarderebbe la titolarità di ogni altro bene materiale o immateriale, il "mio": il mio brevetto, il mio credito, il mio usufrutto e anche la mia locazione; ma altresì il mio lavoro. La difesa è assoluta, cioè come suol dirsi erga omnes, sia dei diritti di proprietà sia di quelli di appartenenza. Un altro aspetto del tema è quello che riguarda il problema dei requisiti del possibile oggetto di proprietà. Il diritto antico mai avrebbe concepito una proprietà dei beni immateriali. Oggi si parla di "proprietà intellettuale", "proprietà commerciale", ecc.; e si intendono tali rapporti come di vera proprietà. Un particolare studio richiederebbe la precisazione del concetto di proprietà con riguardo ai titoli di credito e in genere ai mezzi di scambio (azioni, fedi di credito, titoli rappresentativi di merci, moneta, ecc.).
10. - Allorché si postula l'esigenza di dare un più preciso rilievo all'aspetto sociale della tutela giuridica, il punto di considerazione si sposta sul diverso modo di essere della tutela stessa in dipendenza delle più varie finalità anche particolari che vengono assunte come rilevanti. Così, nei diritti reali, diversità dei beni per quanto attiene al loro impiego, destinazione, possibilità di utilizzazione possono assumere un significato in quanto, con riguardo a detti caratteri, può variamente differenziarsi la disciplina giuridica. Così oggi si afferma un concetto relativo della proprietà. Le plurime proprietà secondo l'oggetto o, più in generale, secondo il modo e la direzione e l'ambito di delimitazione dei diritti del proprietario non sono una invenzione del legislatore o della dottrina, ma sono l'effetto di una naturale evoluzione dell'esperienza giuridica e della coscienza sociale.
Nel nuovo codice italiano appaiono in piena evidenza le conseguenze dell avvenuto svincolamento dalle premesse che avevano portato nei vecchi codici non solo una definizione ma anche una disciplina unica della proprietà. Così vi è un regolamento separato della proprietà fondiaria e molteplici sono anche le categorie di beni mobili per cui sono fissate regole particolari per ciò che attiene all'ambito e alle modalità di esercizio dei poteri del proprietario. Ma il problema è assai vasto e riguarda tutta la disciplina normativa e l'applicazione giurisprudenziale (v. ancora oltre). Piuttosto qui si deve far presente che vi è un problema di carattere generale che riguarda tutta l'impostazione da seguirsi nell'interpretare gli sviluppi della moderna giurisprudenza. È stato rilevato che l'esperienza giuridica contemporanea è caratterizzata dal maggior rilievo che si tende a dare nella definizione dei diritti all'elemento oggettivo, esprimendo ciò - si dice - il prevalere degl'interessi generali su quelli particolari: "il soggetto in funzione di beni, non i beni in funzione del soggetto". Con riguardo alla proprietà è stato detto che i beni hanno statuti giuridici diversi in relazione all'interesse diverso che lo stato mette nel riconoscere ai privati la proprietà (Finzi). Deve peraltro dirsi che la nozione delle proprietà plurime si accorda perfettamente con la insostituibile considerazione soggettiva del diritto e quindi anche della proprietà. Ciò però, ben inteso, in senso normativo, in quel senso cioè che supera la tradizionale dottrina del diritto soggettivo; per cui si può dire che, se vi sono tante proprietà, non è nel senso in cui la vecchia dottrina parla di tanti diritti sogettivi dei concreti individui, bensì in quel senso in cui, dal punto di vista delle differenze del regolamento normativo, val distinguere, ad es., la proprietà di una foresta dalla proprietà di un giardino. La impostazione normativa, epurando il tema dalle vecchie incrostazioni sociologiche appare la più adatta a comprendere gli odierni sviluppi.
11. - Deve altresì dirsi che mentre prima la proprietà era una nozione qualitativamente diversa da quella di usufrutto, ecc., oggi si è in presenza di un livellamento sempre più accentuato; per cui, salve le differenze funzionali dei varî ingranaggi del meccanismo giuridico, la proprietà si trova sullo stesso piano con numerosi altri istituti, né può dirsi che la proprietà si sia abbassata né che gli altri istituti si siano elevati. Così, superato il concetto che ravvisava un'assoluta preminenza della proprietà rispetto agli altri diritti, deve pur dirsi che nulla esclude di poter concepire la coesistenza sulla stessa cosa di due tipi di proprietà diversi, ma non incompatibili fra loro.
Quanto all'enfiteusi, che il vecchio codice aveva considerato con un certo disfavore ravvisando in essa residui feudali, deve dirsi che, oggi, ritornandosi sia pur in luce di modernità a prospettive del passato, la vecchia tesi dei due dominî va risolta nel senso dell'unica proprietà, quella dell'enfiteuta, proprietà caratterizzata dallo scopo dell'attribuzione e da varie altre determinazioni. L'usufrutto è stato già costruito come proprietà temporanea (Allara). Noi assumiamo il problema dal punto di vista dei poteri dello usufruttuario. Nella proprietà vera e propria vi è una maggiore indistinzione nella determinazione dei poteri del titolare; mentre la determinazione è più specifica nell'usufrutto; ciò però non ha importaza, stante quanto abbiamo visto circa la relatività e varietà della moderna nozione di proprietà. La posizione dell'usufruttuario non è in alcun modo accessoria o subordinata ad altri diritti: è un modo di essere di rapporto reale con una massa di poteri sì ampia che ben può dirsi una specie di proprietà, un diritto il quale non dipende che da sé stesso, per il periodo in cui dura, e a parte gli obblighi dell'usufruttuario. Per altro verso non si può negare la qualifica di proprietario anche al cosiddetto nudo proprietario: è questa una proprietà in cui l'ambito di esercizio di giuridici poteri è, per un dato periodo di tempo, ridottissimo. Ben distinta è la nozione delle servitù, situazioni giuridiche per sé stanti con riguardo a singoli poteri. L'azione di servitù ha per oggetto una specifica possibilità giuridica relativa ad una cosa; mentre l'azione di proprietà ha per oggetto la cosa (rei vindicatio), cioè il complesso delle possibilità non predeterminate che sono connesse con la titolarità. L'azione di difesa dell'usufrutto è più simile all'azione di proprietà che all'azione di servitù.
Si avvicinano alla proprietà anche alcuni rapporti di possesso giuridico. Da ipotesi più dubitabili si stacca il problema dell'affitto, nei casi di lunghe locazioni (per cui è richiesta la trascrizione sui registri immobiliari) o anche, più in generale, con riguardo al regime dei "blocchi" che sospendono nel locatore il diritto di sfratto. Non siamo al punto di classificare l'affitto come un diritto reale, ma è certo che la nozione si va spostando dal campo puramente contrattuale dei rapporti personali o obbligatorî a quello in cui il rapporto con la cosa appare sempre più prevalente, riducendosi talora il diritto del locatore ad un semplice credito ob rem per la somma - peraltro talora anch'essa bloccata - del canone d'affitto.
Ma il prototipo dell'evoluzione in corso è costituito dal diritto di concessione (es., di sfruttamento minerario, di terre di bonifica, ecc.). La titolarità pubblica finisce col restare un nomen iuris e i diritti dei concessionarî sono, sia pur nella prospettiva pubblica, diritti civili, cui può applicarsi, se non il nome, certo il concetto di proprietà.
In alcuni casi, dunque, la proprietà reale o utile (del concessionario, così come dell'usufruttuario) coesiste con la proprietà nominale o virtuale (del concedente, così come del nudo proprietario); ma la stessa coesistenza a un certo momento non ha più significato e si opera una trasposizione, per cui unico proprietario è il concessionario (così è nell'enfiteusi ormai) e la posizione del concedente resta quella del titolare di un diritto di credito ob rem o di un diritto di controllo e ingerenza amministrativa e simili.
12. - Un importante risultato di questa mutazione di prospettive è l'art. 832 del nuovo codice civile italiano, che non contiene più una definizione generale della proprietà, ma la descrizione di ciò che il proprietario può fare: "Il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l'osservanza degli obblighi stabiliti dall'ordinamento giuridico".
Proprietà e diritti del proprietario. - Errore sarebbe identificare i diritti (poteri) del proprietario con la proprietà (pretesa sintesi dei poteri); né i diritti del proprietario possono intendersi definiti dalla vaga nozione di "contenuto o esercizio" della proprietà. a) La proprietà è il diritto reale (che significa attribuzione o titolarità con riguardo a un dato oggetto); i diritti, al pari degli obblighi che alcuno ha in quanto proprietario, non sono la proprietà, ma presuppongono la proprietà, e non sono diritti reali, ma diritti (o obblighi) personali (della persona cioè del proprietario). b) Ma deve anche dirsi che tra proprietà e diritti (poteri) del proprietario vi è una perfetta corrispondenza, perché i poteri non hanno ragion d'essere se non in relazione al "godimento giuridico" che essi appunto tendono ad attuare o a tutelare. c) Al contempo la proprietà ha un significato in dipendenza dei poteri che ha il proprietario. d) Ancora la connessione tra proprietà e poteri del proprietario non si esprime con una formula unica: i poteri relativi a un dato diritto di proprietà possono non essere quelli relativi ad una proprietà diversa. e) Deve altresì precisarsi che non vi può essere una predeterminazione, diciamo così, in fase statica, di atti che rilevano giuridicamente come poteri: un potere viene in considerazione giuridica solo allorché, in un contrasto d'interessi (collisione), si domandi se alcuno, in quanto proprietario di una cosa, ha o non ha dati diritti. f) Diciamo infine che la determinazione di poteri si trae dal sistema della legge e si apprezza nelle concrete fattispecie in sede giudiziale.
Nei rapporti fra proprietà la determinazione dei poteri indica quella che è volta a volta la situazione di equilibrio fra gl'interessi collidenti: l'equilibrio giuridico che può anche sacrificare l'interesse economico. L'affermazione di un potere indica anzi in sé un sacrificio da una parte, correlativo all'esercizio del potere dall'altra (esclusività nell'esercizio del potere del proprietario). L'antigiuridicità si ha allorché si agisce fuori dall'ambito di esercizio dei giuridici poteri: allora un danno economico si assume quale torto, cioè quale danno giuridico. Tutti gli equivoci, gli errori, le incertezze nella storia della dottrina e della giurisprudenza sui "rapporti di vicinato" sono derivati dalla pretesa di far riferimento al concetto unitario della proprietà. Erano destinati a isterilirsi gli sforzi volti a ricercare criterî onde possa dirsi che un fatto si presenti come normale o come eccezionale rispetto a quel quid astratto che era la proprietà.
Entro i limiti volta a volta stabiliti, i diritti di godimento e di disposizione possono attuarsi "in modo pieno ed esclusivo". Non si tratta più del carattere dell'assolutezza (art. 436 cod. 1865: "nella maniera più assoluta") riferito ad un concetto unico e astratto di proprietà e contrapposto, quale un prius, alle eventuali limitazioni stabilite. Nel senso della nuova legislazione i diritti del proprietario si attuano entro ambiti normativi determinati: ciascun diritto, nell'ambito che è suo, può ben esercitarsi in modo pieno ed esclusivo secondo quella che è la sua giuridica ragion d'essere. In modo pieno, cioè senza limiti; ché i limiti sono già quelli che circoscrivono l'ambito di giuridico esercizio.
13. - Limiti. - Ciò richiama il concetto dei limiti. I limiti, non più riferiti alla proprietà unica indistinta assoluta (quindi, limitazioni, deroghe alla assolutezza), ma riferiti ai singoli poteri (diritti), anzi determinazione, delimitazione dell'ambito di esercizio delle varie giuridiche possibilità, esprimono quella esigenza di compenetrazione dell'elemento sociale nella proprietà che segna l'abbandono delle vecchie posizioni individualistiche. È questo il punto in cui culmina lo sviluppo della moderna dottrina della proprietà: i limiti affermano e in certo senso definiscono la proprietà. Deve precisarsi che limite è una variabile dipendente dall'esistenza nonché dall'esercizio dei poteri del proprietario. (Ma è anche vero il reciproco). Il problema dei limiti comporta un possibile allargamento della sfera di condotta del proprietario per quanto concerne il giuridico godimento di una data cosa, anche al di là dei confini materiali della cosa; nonché, per altro verso, può significare il restringere le possibilità del proprietario in un ambito che permetta un godimento altrui sulla stessa cosa. La disciplina delle proprietà è un sistema di limiti. Neppure è concepibile, giuridicamente, una disponibilità illimitata. Quando non vi sono, perché non v'è ragione vi siano, limiti alla disponibilità di una data cosa (es., dell'aria che si respira) allora siamo fuori dal campo del diritto e della proprietà.
Il concetto di limite è equivalente a quello di confine in senso giuridico: determinazione di un ambito che delimita la giuridicità della condotta riguardo a un dato bene. La legge, nella disciplina dei diritti di proprietà fondiaria, assume talora un riferimento a confini materiali (topografici, territoriali, spaziali). Questi non sono i confini del diritto, ma solo uno dei criterî, esterni alla definizione del diritto, cui la legge si rifà per delimitare l'ambito, cioè i confini giuridici dei poteri di cui si tratti.
Quale carattere della proprietà la dottrina tradizionale aveva costruito la nozione di elasticità: la proprietà riacquista automaticamente la sua pienezza quale precedente alla compressione limitatrice. (Diversa è la risorgenza o riviviscenza che si ha allorché i poteri sono del tutto sospesi, nei casi di proprietà quiescente; com'è della proprietà della quota conferita dal socio nelle società con personalità giuridica, proprietà quiescente durante la vita della società e che risorge al momento della liquidazione). L'elasticità viene applicata ai casi di proprietà virtuale (es., nuda proprietà), ma in genere ad ogni forma di proprietà, limitata secondo i tradizionali concetti. Ma il problema è mal posto. Eventuali mutazioni di norme regolatrici non rendono il diritto più o meno compresso, ma semplicemente operano una trasformazione di un regime di delimitazione in uno diverso. Per quanto poi riguarda i rapporti fra proprietà e altri diritti reali, dei quali si dice che sono limitazioni o compressioni della proprietà, siamo nel campo d'esercizio dei poteri dispositivi del proprietario: il diritto reale non diminuisce giuridicamente ("economicamente" è un altro discorso) la proprietà e i poteri del proprietario, anzi ne afferma l'esistenza e l'efficienza. Il proprietario dispone a favore altrui di determinate utilità e possibilità per un tempo determinato o in relazione a date condizioni, venendo meno le quali, nella sfera lasciata libera dal terzo, subentra di nuovo l'esercizio dei poteri del proprietario. Deve anche dirsi che oggi non ha più significato la distinzione che fu fatta fra limiti e limitazioni: è tutto un problema di limiti, cioè di delimitazione.
Già una parte della dottrina aveva intuito che le cosiddette servitù legali non sono limitazioni, ma delimitazioni, cioè particolari modi di essere della proprietà fondiaria. Il punto più avanzato fu quello della distinzione fra limiti e limitazioni: le servitù legali, limiti; le servitù per fatto dell'uomo limitazioni. Intanto è certo che nessuna differenza appare, sotto questo riguardo, fra le servitù legali e quelle convenzionali senza determinazione di tempo. Ma è proprio tutta la distinzione che è incongrua: il titolo per la delimitazione dei poteri è pur sempre la legge, ché dal sistema si ricavano i modi e l'ambito delle giuridiche possibilità del proprietario anche per ciò che attiene - è ovvio - ai poteri di disposizione.
14. - Obblighi. - Il proprietario esercita i suoi diritti non solo entro i limiti, ma altresì "con l'osservanza degli obblighi stabiliti". Talora l'adempimento degli obblighi condiziona il permanere della proprietà (es., enfiteusi); talora no (es., imposte fondiarie). Talora gli obblighi consistono in un non fare o in un tollerare e allora mal si distinguono dalla generale nozione dei limiti; talora sono obblighi di fare, di dare, pagare, consegnare (es., i prodotti all ammasso) e allora sono obbligazioni vere e proprie (propter rem). Talora tali obblighi sono legati al titolo di proprietà come tale; talora al giuridico possesso della cosa (usufrutto, affitto, ecc.).
Il limite definisce l'essenza del diritto di proprietà, sia che con l'interesse di un singolo venga in rapporto l'interesse di un altro singolo, sia che venga in rapporto l'interesse della collettività (la quale è poi un insieme di singoli). Ciò esprime l'esigenza della socialità; la socialità è potenziamento e sviluppo della individualità. La sfera di alcuni potrà risultare ognor più circoscritta, ma si allarga la sfera di possibilità di altri moltissimi. La proprietà, scesa dal suo piedistallo ove appariva strumento spesso di signoria e di potenza, sarà un valido strumento per l'allargamento armonico ed equilibrato della vita sociale. Le nuove leggi esprimono ed esprimeranno i risultati del processo evolutivo dell'esperienza giuridica contemporanea che si mantiene entro i binarî maestri della nostra civiltà giuridica.
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