proporzione
Il termine in D. vale " rapporto ", " convenienza " fra due o più realtà o aspetti della realtà.
In matematica, p. è il rapporto fra due numeri o, più generalmente, tra due quantità, e viene distinta da ‛ proporzionalità ', termine col quale si designa il rapporto tra più p., o rapporto di rapporti. La distinzione è in Boezio Inst. arithm. II 40, ed è poi ripresa nel Medioevo; molto concisamente è formulata da Guglielmo di Conches in Glossae in Tim. Platonis (ediz. E. Jeauneau, Parigi 1965, 60): " Proportio... est habitudo rei ad rem, ut duplum, sesquialterum, etc. Proportionalitas vero est comparatio habitudinum, et ad minus inter tria, ut cum dicitur: quemadmodum se habet primum ad secundum, ita secundum ad tercium ". Ma i termini p. e proporzionalità sono spesso usati l'uno in luogo dell'altro specie in senso traslato, quando cioè s'indicano rapporti tra entità di varia natura, non considerate in ragione della quantità. Illustrando i rapporti tra la creatura e il creatore, Tommaso precisa in questi termini il doppio uso, proprio e traslato, di p. (Sum. theol. I 12 1 ad 4): " dicendum quod proportio dicitur dupliciter. Uno modo, certa habitudo unius quantitatis ad alteram... Alio modo, quaelibet habitudo unius ad alterum proportio dicitur. Et sic potest esse proportio creaturae ad Deum, inquantum se habet ad ipsum ut effectus ad causam, et ut potentia ad actum ".
Il ricorso alla nozione di p. è frequente nella tradizione platonico-agostiniana. Guglielmo di Conches, a proposito della dottrina platonica (Tim. 41a-b) secondo la quale tutto ciò che è generato risulta di più elementi tra cui è stabilito un ‛ legame ' che è più o meno forte, e quindi più o meno dissolubile, usa il termine p. per glossare gli equivalenti " conditio " (op. cit., p. 134) e " ratio " (ibid., pp. 137, 205, 210), occorrenti nella traduzione di Calcidio a denotare il legame tra gli elementi.
Bonaventura si serve spesso del termine p.: in primo luogo, a illustrare i rapporti tra il creatore (o, meglio, le idee poste nel Verbo: " exemplar ") e la creatura (" exemplum "), secondo la dottrina dell'esemplarismo, per la quale Dio è considerato essenzialmente causa formale o esemplare dell'universo: cfr. Reductio artium ad theologiam, § 19 " principalis intentio [ naturalis philosophiae] versatur circa rationes formales in materia, in anima et in divina sapientia. Quas tripliciter contingit considerare, scilicet secundum habitudinem proportionis, secundum effectum causalitatis et secundum medium unionis ", e § 20 " Si consideremus eas secundum habitudinem proportionum, videbimus in eis Verbum aeternum et Verbum incarnatum ". Inoltre, un rapporto di p. corre tra anima e corpo nell'uomo, secondo Bonaventura Breviloquium II X 1 " corpus primi hominis sic conditum fuit et de limo terrae formatum, ut tamen esset animae subiectum et proportionabile: proportionabile, inquam, quantum ad complexionem aequalem, quantum ad organizationem pulcherrimam et multiformem et quantum ad rectitudinem staturae "; per la " complexio aequalis ", cfr. § 4 " Ut vero ibidem manifestetur Dei sapientia, [primum principium] fecit tale corpus, ut proportionem suo modo haberet ad animam. Quoniam ergo corpus unitur animae ut perficienti et moventi et ad beatitudinem sursum tendenti, ideo, ut conformaretur animae vivificanti, habuit complexionem aequalem non a pondere vel mole, sed ab aequalitate naturalis iustitiae, quae disponit ad nobilissimum modum vitae "; essa è quindi ordinata dalla natura alla piena realizzazione della vita umana; ma il discorso è approfondito in II Sent. XVII 2, 3, dove Bonaventura, riprendendo distinzioni correnti in filosofia della natura e in medicina (come egli stesso c'informa), afferma che la " aequalitas " della " complexio " non si fonda sull'eguaglianza di ‛ quantità ' o di ‛ virtù ' degli elementi componenti (poiché in questo caso la " mixtio " in cui la " complexio " consiste sarebbe impossibile, e comunque non avrebbe durata), e continua: " Est et alia aequalitas a iustitia, et haec aequalitas attenditur in commensuratione miscibilium secundum proportionem debitam et secundum exigentiam formae introducendae. Et haec aequalitas reperitur in his quae miscentur naturaliter, et inter omnia potissime reperitur in homine, quia nobilior debet esse in eius corpore proportio et harmonia miscibilium, secundum quod disponitur ad nobiliorem formam. Haec autem aequalitas non est aequalitas punctalis, sed latitudinem habet et gradus, et hoc secundum diversos status [stato di gloria, di miseria o d'innocenza] ".
Altra volta Bonaventura fa ricorso alla nozione di p. per rendere conto del ‛ diletto ' che segue all'apprendimento di un oggetto sensibile: premesso che " Omnis... delectatio est ratione proportionalitatis ", egli distingue: " proportionalitas aut attenditur in similitudine, secundum quod tenet rationem speciei seu formae, et sic dicitur speciositas... Aut attenditur proportionalitas, in quantum tenet rationem potentiae et virtutis, et sic dicitur suavitas, cum virtus agens non improportionaliter excedit recipientem, quia sensus tristatur in extremis et in mediis delectatur. Aut attenditur, in quantum tenet rationem efficaciae et impressionis, quae tunc est proportionalis, quando agens impri mendo replet indigentiam patientis, et hoc est salvare et nutrire ipsum, quod maxime apparet in gusto et tactu " (Itinerarium mentis in Deum II 5). Quest'ultima accezione di p., fondata sul rapporto agente-paziente, è di matrice aristotelica ed è fatta propria da D., come vedremo, che si richiama all'autorità di Aristotele (v. AGENTE; paziente; informare; informatore; informazione).
In Cv II VIII 13 D. formula il secondo argomento per dimostrare l'immortalità dell'anima, quello della " divinatio per somnium "; poiché nel sogno profetico il rivelante è immortale, immortale dev'essere l'anima umana che riceve la rivelazione, con ciò sia cosa che... quello ch'è mosso o vero informato da informatore immediato debba proporzione avere a lo informatore, e .da lo mortale a lo immortale nulla sia proporzione. L'argomento, come ha mostrato B. Nardi (L'immortalità dell'anima, in D. e la cultura medievale, Bari 1949², 292-299), è di origine stoica e neoplatonica; è da notare che il rapporto tra anima e rivelante, per il quale D. usa il termine p., è indicato da Avicenna (De Anima IV 2) e Pietro d'Abano (Conciliator diff. 157 pr. 2) col termine " comparatio ", e da Alberto Magno (De Natura et origine animae II 6) con " conformitas ", mentre Cicerone (De Divinatione I 49) allo stesso proposito usa " cognatio "; inoltre, il principio che D. pone a fondamento dell'argomentazione, e cioè che tra agente e paziente c'è un rapporto tale per cui il secondo è ‛ attuato ' dal primo e perciò stesso è ‛ assimilato ' a esso, è formulata da Aristotele per gli agenti immediati (Gener. I 6, 322b 21 ss. e 7, 323b 31 ss.; cfr. anche Anima II 2, 414a 11); v. B. Nardi, D. e Pietro d'Abano, in Saggi di filosofia dantesca, Firenze 1967², 55-58, e Raffronto fra alcuni luoghi di Alberto Magno e di D., pp. 65-66).
In Cv III I 7 D. riprende la dottrina aristotelica di Eth. Nic. IX (1, 1163b 28-35), secondo la quale ne l'amistade de le persone dissimili di stato conviene, a conservazione di quella, una proporzione essere intra loro che la dissimilitudine a similitudine quasi reduca. Tommaso glossa così il passo di Aristotele (cfr. Eth. Nic. Exp. ad 1): " Et dicit, quod in omnibus talibus amicitiis dissimilium personarum, puta patris ad filium, regis ad subditum, et sic de aliis, adaequat et conservat amicitiam hoc, quod exhibetur analogum, scilicet id quod est proportionale utrique. Et hoc manifestat per exemplum eius, quod est in politica iustitia, secundum quam in quinto dictum est [5, 1133a 5-14], quod coriario pro calceamentis quae dedit, retributio fit secundum dignitatem, quae est secundum proportionem; et idem est de textore, et de reliquis artificibus ". La trattazione aristotelica della giustizia distributiva è fondata sul concetto di p. [ἀναλογία]: cfr. Eth. Nic. V 3-5; in VIII 7, 1158b 11-8, 1159b 7, lo Stagirita afferma che l'amicizia tra persone di condizione diversa deve rispettare la ‛ norma della p. ', cioè ciascuno deve all'altro in rapporto al merito dell'amico (per quanto possibile, si precisa in 14, 1163b 15); solo così è fatta salva l'equità, e quindi si realizza una ‛ somiglianza ' quanto alla virtù (non è pensabile infatti un cambiamento di condizione, che solo realizzerebbe la perfetta somiglianza tra gli amici); in questo senso forse D. parla di ‛ quasi reducere ' la dissimiglianza a somiglianza.
Ancora, in Cv IV XXIV 7, D. afferma che la durata della vita umana negli ‛ ottimamente naturati ' (cioè in coloro in cui la complessione seminale, o rapporto tra le qualità elementari del seme, è ottima e perfetta) è di ottanta anni, mentre negli altri uomini (nei quali la complessione non è altrettanto ben armonizzata) si scosta da quella misura ideale; di conseguenza varia la durata delle singole età della vita: ma come elle [le età] siano in questa proporzione, come detto è, in tutti mi pare da servare, cioè di fare l'etadi in quelli cotali e più lunghe e meno secondo la integritade di tutto lo tempo de la naturale vita; spiega il Nardi: " qualunque sia la tesa dell'arco della vita di ciascun uomo, la proporzione nella durata delle singole età tra loro e per rapporto all'intero corso della vita naturale, cioè non troncata violentemente, resta invariato " (L'arco della vita, in Saggi, cit., p. 134).
Il termine occorre anche in Vn XXV 4 dire per rima in volgare tanto è quanto dire per versi in latino, secondo alcuna proporzione (cioè, il verso, fondato sulla quantità delle sillabe, sta al latino come la rima, fondata sull'accento, sta al volgare), e If XXXI 60 La faccia sua [di Nembrot] mi parea lunga e grossa / come la pina di san Pietro a Roma, / e a sua proporzione eran l'altre ossa, erano proporzionate alle dimensioni della faccia.