PROMISSIONE DUCALE
. I consoli dei comuni italiani giuravano, all'atto di assumere il potere, certi capitoli nei quali erano comprese da un lato regole riguardanti la condotta politica, dall'altro norme concernenti l'esercizio della giurisdizione. Il Liber iuris civilis di Verona è esempio evidente di tale consuetudine. Così a Venezia vediamo il doge giurare le "promissioni", delle quali la più celebre, quella che si mantenne sino alla caduta, è di natura politica; accanto però ad una riguardante la giurisdizione criminale. Di queste ultime, la più antica, almeno in parte conservata, è quella del doge Orio Malipiero, cioè la "promissione del maleficio" del 1181, riformata poi sotto il dogado di Enrico Dandolo nel 1195: essa è un complesso di norme penali. La promissione ducale di natura politica contiene invece una serie di promesse di governare e giudicare rettamente, di serbare il segreto sugli affari di stato, di eseguire le deliberazioni del consiglio e così via; ma, sin dalla prima che ci è conservata, cioè quella del doge Enrico Dandolo, del 1193, contiene pure una serie di restrizioni al potere ducale, come quella di non corrispondere direttamente col papa né con altri principi, di non intromettersi nella nomina del patriarca, di non disporre dei beni del comune, ecc. Tali restrizioni vanno via via aggravandosi col procedere dei tempi, e appunto per meglio formare i capitoli, alla morte del doge Ziani fu istituita nel 1229 una commissione composta di cinque "correttori della promissione ducale". A opera di essi venne progressivamente ristretto il potere del doge e vennero inoltre pogte restrizioni di natura politica ai parenti di questo: così nel 1473 si vieta ai figli e nipoti del doge d'aver ingresso nei consigli della repubblica, eccettuato il Maggior Consiglio, e nel 1476 si toglie loro di poter essere eletti savî. Queste restrizioni rispondono al timore di tentativi diretti a rendere ereditaria la carica ducale. Soltanto negli ultimi anni della repubblica qualche mitigazione fu concessa; così nel 1763 fu concesso al fratello e a due figli del doge di sedere in senato, se anche senza voto durante la vita del doge. La promissione conteneva anche prescrizioni relative alla moglie del doge, (dogaressa), alle sue vesti e al cerimoniale a lei relativo.
Bibl.: V. Sandi, Principî di storia civile della repubblica di Venezia, Venezia 1755 segg.; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, 2ª ed., Venezia 1912; R. Cessi, Venezia ducale, Padova 1929-31.