promettere
Ricorre in tutte le opere canoniche e anche nel Fiore.
Nella sua accezione fondamentale vale " assumere l'impegno " di fare o dare ad altri cosa a lui gradita o da lui chiesta: Cv IV XXVI 14 Enea, quando fece li giuochi in Cicilia... ciò che promise per le vittorie, lealmente diede poi a ciascun vittorioso; Fiore XVIII 7 Promettili un basciar; X 10 mi promise fermamente / ched e' mi metterebbe in alto grado; LII 7. Ha lo stesso valore nelle parole con le quali D. dà ragione ai tre Fiorentini sodomiti del suo viaggio attraverso l'aldilà: If XVI 62 Lascio lo fele e vo per dolci pomi / promessi a me per lo verace duca; poiché, in senso metaforico, i dolci pomi / promessi a D. da Virgilio sono il bene che il cammino oltremondano riserba al poeta (cfr. I 112 ss., II 126), se la metafora viene risolta nel suo significato letterale, il verbo acquista il senso di " far sperare ", con il quale è più volte attestato (v. oltre).
Usato assolutamente vale " fare una promessa ", e la natura dell'impegno assunto è ricavabile dal contesto: Pg VI 12 Tal era io in quella turba spessa / ... e promettendo mi sciogliea da essa, " impegnandomi " a pregare per loro; Fiore LXXXVI 7 ciascuna largo sì prometta, di dare amore; CLXXI 1 s'egli viene alcun che ti prometta [di esserti fedele], / e per promessa vuol ch'a lui t'attacci...
In senso più limitato vale " impegnarsi " a fare qualche cosa: Fiore V 2 promisi a Amor a sofferir sua pena; Vn. XXIII 29 dico.... come io fui levato d'una vana fantasia da certe donne, e come promisi loro di dirla; Cv IV VI 1 nel terzo capitolo.., promesso fue di ragionare de l'altezza de la imperiale autoritade. E così Rime XLVIII 3, Cv I VII 16, II VI 6, IV II 12, 14, 15 e 16, talora nella forma impersonale.
Quando il soggetto è un sostantivo astratto o un oggetto inanimato personificato, con uno sviluppo semantico chiarito dall'esempio di If XVI 62 già riferito, assume il significato di " far balenare al desiderio ", " far sperare ": If II 126 'l mio parlar tanto ben ti promette (t'impromette nella '21); Cv IV XII 4 Promettono le false traditrici [le ricchezze] sempre, in certo numero adunate, rendere lo raunatore pieno d'ogni appagamento. E così II VII 11, X 11, IV XII 3 e 5, XXII 17. Ha lo stesso valore in Pd XXV 87, dove la '21 legge emmi a grato che tu diche / quello che la speranza ti promette, mentre il Petrocchi (v. ad l.) adotta ti 'mpromette.
Con un'accezione non del tutto scomparsa, talvolta p. acquista il senso di " assicurare " (circa la verità di un'asserzione). Sebbene in D. esempi espliciti di questo valore manchino, è possibile che esso abbia contribuito a determinare la pregnanza semantica del verbo in Pg XII 99 [l'angelo] mi batté l'ali per la fronte; / poi mi promise sicura l'andata, per il quale il commento di Casini-Barbi (" mi assicurò che la salita si sarebbe compiuta senza impedimenti ") va inteso nel senso che l'angelo non si limitò ad affermare che la sua asserzione era veridica, ma tolse a D. ogni apprensione sulla sicurezza del cammino intrapreso.
Un significato più grave (" obbligarsi ") il verbo assume quando è usato in rapporto alla professione dei voti religiosi, com'è confermato da s. Tommaso Sum. theol. II II 88 1c " Ad votum tria ex necessitate requiruntur: primo quidem, deliberatio; secundo propositum voluntatis; tertio, promissio, in qua perficitur ratio voti ". Come spiegherà Beatrice (Pd V 25-30), la parte formale e più importante del voto consiste nell'impegno liberamente assunto di fronte a Dio a rinunciare all'uso della libertà di volere in ciò di cui con il voto si assume l'obbligazione; a un impegno cogente e in nessun modo rescindibile il verbo quindi allude in Pd III 105, quando Piccarda narra in che modo si era fatta suora nell'ordine fondato da santa Chiara: nel suo abito mi chiusi / e promisi la via de la sua setta.
Per esprimere la totalità di offerta e l'ardente carità con le quali Carlo Martello si era dichiarato pronto a soddisfare qualsiasi desiderio di D., in Pd VIII 43 è usata l'espressione la luce che promessa / tanto s'avea; è questo l'unico esempio di uso pronominale, così chiarito dalla chiosa del Buti: " la quale luce tanto s'avea profferto [cioè " si era offerta "] a me "; l'uso dell'ausiliare ‛ avere ' nelle forme pronominali e la concordanza del participio con il soggetto sono costrutti più volte attestati in D. (cfr. avere 3.2., e " Bull. " XXIII [1916] 55).