prolessi
Figura retorica (denominata anticipatio o praeoccupatio dai retori latini) consistente nel prevedere e anticipare la domanda o l'obiezione dell'avversario, rispondendo prima che egli l'abbia formulata. Originariamente propria dell'oratoria forense, la p. viene ovviamente utilizzata nel linguaggio dialettico e in questa funzione la ritroviamo ripetutamente in D. nella prosa e nella poesia dottrinale.
Già nella Vita Nuova, le parentesi riflessive si presentano come risposta a obiezioni del pubblico che l'autore controbatte: cfr. XII 17 (Potrebbe già l'uomo opporre contra me e dicere che non sapesse a cui fosse lo mio parlare in seconda persona), XXV 1 (Potrebbe qui dubitare persona degna da dichiararle onne dubitazione). Una p. è, sostanzialmente, l'allusione all'eventuale interpretazione maligna del pubblico, anche se non espressamente dichiarata, in XIX 20 E acciò che quinci si lievi ogni vizioso pensiero, ricordisi chi ci legge...
Analogamente nel libro IV del Convivio la polemica contro le ricchezze si articola in una serie di confutazioni introdotte dalla p. (Potrebbe dire alcuno calumniatore, XII 11; Ben puote ancora calumniare l'avversario, XIII 6; E se l'avversario, volendosi difendere, dicesse..., E se l'avversario pertinacemente si difendesse, dicendo..., XIV 5, 6).
Varia tuttavia la formula della p. nel Convivio, dove questo uso della tradizione scolastica viene ravvivato dalla particolare tensione dimostrativa dell'autore: E se l'avversario volesse dicere (XIV 11); Bene sono alquanti folli che credono (XVI 6); cfr. XXII 10 E non dicesse alcuno che ogni appetito sia animo; ché..., mentre ritorna nella prosa latina la p. nella forma più comune: Si quis vero fatetur contra obiciens... (VE I V 2). In talune trattazioni dottrinali del Paradiso la p. ha ancora la funzione di proporre una difficoltà da risolvere, ma la condizione di questo procedimento è che le obiezioni o la domanda del pellegrino non possono sfuggire ai suoi divini maestri. Così in Pd XXIX 70-75 Beatrice anticipa il richiamo di D. a una diffusa opinione filosofica (Ma perché 'n terra per le vostre scole / si legge che l'angelica natura / è tal, che 'ntende e si ricorda e vole, / ancor dirò...), e proprio all'inizio del medesimo discorso la guida aveva avvertito il poeta della sua divina facoltà (Io dico, e non dimando / quel che tu vuoli udir, perch'io l'ho visto / là 've s'appunta ogne ubi e ogne quando, vv. 10-12). Si vedano ancora IV 19 ss. (Tu argomenti: " Se 'l buon voler dura... ", e i versi in cui l'aquila interpreta, adducendo un esempio assai perspicuo, l'obiezione nascosta sotto la più vaga domanda del poeta: ché tu dicevi: " Un uom nasce a la riva / de l'Indo… "(XIX 70 ss.). Lo schema della p. è sostanzialmente al fondo di If II 13 ss. Tu dici che di Silvïo il parente..., dove la presupposta obiezione di Virgilio al timore di D. è una pura finzione per richiamare l'esempio classico cui contrapporre, o assimilare, il caso attuale. Si nasconde invece la p. in altri luoghi, che introducono una dimostrazione, sottintendendo l'obiezione relativa e sottolineando solo l'atteggiamento stupito del discepolo: E perché meno ammiri la parola, / guarda il calor del sol che si fa vino (Pg XXV 76-77); Tu, perché non ti facci maraviglia, i pensa / che 'n terra non è chi governi (Pd XXVII 139-140).
Per p. s'intende anche l'anticipazione di una o più parole rispetto all'ordine consueto. Essa è diffusa nella poesia soprattutto per evidenziare alcuni elementi, come in If II 11 (guarda la mia virtù s'ell'è possente), in Pg XXI 79 (Ora chi fosti, piacciati ch'io sappia). Già nella prosa della Vita Nuova un particolare effetto visivo era ottenuto attraverso uno schema analogo, quantunque esso si risolvesse propriamente nell'attrazione di un elemento della secondaria nella reggente: s'accorsero di me, che io piangea (XXIII 12).
La costruzione prolettica riveste un certo interesse nella prosa dottrinale, dove concorre a sostenere la complessità del periodo sintattico, sempre sul modello del linguaggio scolastico, e concorre ad attuare la costruzione ascendente. Così nella Monarchia si leggono frasi come Quod autem ille sensus omnino sustineri non possit, duplici via potest ostendi (III IV 13), e nel Convivio ricorre la medesima formula: E che ciò sia, per due apertissime ragioni vedere si può (IV IV 13). L'uso frequente di anteporre al verbo i suoi complementi, o di anticipare le proposizioni che chiariscono la proposizione principale (generalmente finali o modali), uso presente nella prosa dottrinale come nella Commedia e nelle Rime, si regge ovviamente soprattutto sull'esempio del latino.
Bibl. - C. Segre, Il ‛ Convivio ' di D.A., in Lingua, stile e società, Milano 1963, 247-248, 251-253; B. Terracini, Analisi stilistica, ibid. 1966, 259-260.