prolatio
Il termine ricorre quattro volte nel De vulg. Eloq.: della locutio vulgaris fa uso tutto il mondo, licet in diversas prolationes et vocabula sit divisa (I I 4); con Adamo e in Adamo Dio ‛ concreò ' una ben determinata forma locutionis: Dico autem ‛ formam ' [locutionis] et quantum ad rerum vocabula et quantum ad vocabulorum constructionem et quantum ad constructionis prolationem (VI 4); la parlata dei Romagnoli è muliebre... propter vocabulorum et prolationis mollitiem (XIV 2), di contro al dialetto di una zona lombardo-veneta vovabulis accentibusque yrsutum et yspidum (§ 4); il volgare illustre magistratu... sublimatum videtur, cum de tot rudibus Latinorum vocabulis, de tot perplexis constructionibus, de tot defectivis prolationibus, de tot rusticanis accentibus, tam egregium, tam extricatum, tam perfectum et tam urbanum videamus electum, ut Cynus Pistoriensis et amicus eius ostendunt in cantionibus suis (XVII 3).
Negli ultimi due casi il Marigo interpreta e traduce senz'altro " pronunce ", mentre per gli altri due ritiene che D. si riferisca alla morfologia e glossa " espressione delle forme ", un po' faticosamente. Secondo il Pézard invece anche in VE I I 4 e VI 4 il significato è quello di " pronuncia ". La tradizione grammaticale e retorica consente in verità ambedue le interpretazioni, anche se il significato di " pronuncia " è quello più ampiamente e immediatamente attestato; se ad esempio p. vale indubbiamente " pronuncia " in luoghi delle Institutiones di Prisciano come I 25 e II 3, diversa accezione il vocabolo assume nello stesso testo, XVII 65, dove si parla di " personarum et casuum prolationes "; venendo a testi più vicini, in Pietro Elia il senso è certo quello di " pronuncia " nel seguente passo: " ignorantia regulae construendi et accentuandi forsitan peccaret in constructione vel prolatione dictionum " (presso Ch. Thurot, Notices et extraits de divers manuscrits pour servir à l'histoire des doctrines grammaticales au moyen âge, in " Notices et Extraits de la Bibliothèque Imperiale " XXII II, Parigi 1868, e rist. anast. Francoforte 1964, 123), ma si avvicina a " desinenza " in quest'altro: " Barbari... unius casus prolatione contenti sunt " (p. 165); troviamo prolacio (" pronuncia ") due volte nella Poetria di Giovanni di Garlandia (ediz. Mari, in " Romanische Forschungen " XIII [1902] 923), ma di nuovo il senso è morfologico in Vincenzo di Beauvais Speculum doctr. II 55 " Numerus vero secundum vocem est communis vocum proprietas, quia nomen huiusmodi formae vel terminationis est si ex vocis forma ad unum vel plura sub prolatione una dicatur "; e così via. Un po' neutra la chiosa di Uguccione da Pisa (e Giovanni da Genova): " Proferre, id est manifestare vel offerre; et proferre quasi procul ferre; et secundum hoc pertinet ad verba; nam verba proferuntur quasi procul, id est extra feruntur vel emittuntur; unde prolatus... et... prolatio, onis ".
Bisogna dunque interpretare secondo le esigenze dei singoli contesti. Non c'è dubbio allora che nell'esempio di VE I XIV 2 il significato di " pronunce " è garantito dal parallelismo, frequente nella tradizione grammaticale e retorica, con accentus, mentre per lo stesso motivo si resta incerti, o si propende per " desinenze ", nel passo di XVII 3: poiché D. con i quattro diversi sostantivi (vocabula, constructiones, prolationes, accentus) e la relativa opposizione termine a termine degli aggettivi a essi riferiti con quelli predicati del volgare illustre, sembra proprio voler individuare quattro diversi aspetti della lingua, e un pleonasmo sembrerebbe improbabile. Quanto al primo caso, pare preferibile l'interpretazione del Pézard: sia per la ragione da lui addotta, cioè che con vocabula e prolationes D. indicherebbe compendiariamente i due aspetti fondamentali del linguaggio, razionale e sensibile di cui in VE I III 3; sia perché è possibile che D. non sia estraneo al convincimento, tipico dei grammatici medievali e soprattutto della cosiddetta ‛ grammatica speculativa ', di una struttura sintattico-grammaticale fondamentalmente simile nelle varie lingue, come elemento intellettuale stabile del linguaggio (cfr. ad es. un passo del commento al Priscianus minor di Giordano di Sachsen, citato da M. Grabmann, Mittellateinisches Geistesleben, Monaco 1926-56, III 236); a una nozione del genere sarà comunque dovuta l'assenza nel passo in questione delle constructiones. Per il secondo esempio infine propenderei, contrariamente al Pézard, per l'interpretazione morfologica: a parte il riscontro con Cv II XIII 10 certi vocabuli, certe declinazioni, certe construzioni sono in uso che già non furono, appare improbabile che D. annetta alla nozione di ‛ forma concreata ' da Dio anche il dominio così poco strutturabile della pronuncia, che sarà lasciato all'iniziativa e all'uso libero di Adamo, il quale ricevette quella data forma da Dio e tuttavia la ‛ fabricavit ' (VE I VI 7). Per un significato morfologico sembra giocare anche l'espressione constructionis prolationem (§ 4): sennonché si tenga presente che qui D. organizza il brano secondo il modulo stilistico della metalempsis o gradatio, che consiste nella ripresa dell'ultimo elemento di un membro sintattico all'inizio o all'interno del successivo (cfr. L. Arbusow, Colores rhetorici, Gottinga 1963², 47).
Frequente nel trattato è anche il verbo ‛ proferre ' (si confronti in volgare il " profferer " del sonetto del Cavalcanti Da più a uno face un sollegismo, v. 5, che varrà, come chiosa il Contini, " espressione "): VE I VIII 7 proferentes ‛ oc '; XII 4 quicquid nostri praedecessores vulgariter protulerunt; § 6 [il siciliano mediocre] non sine quodam tempore profertur; XIV 3 [i Romagnoli] ‛ oclo meo ' et ‛ corada mea ' proferunt blandientes; § 5 [i Trevigiani] ‛ u ' consonantem per ‛ f ' apocopando proferunt; II I 1 confitemur latium vulgare illustre tam prosayce quatti metrice decere proferri; III 2 vulgariter poetantes sua poemata multimode protulerunt; VIII 4 nunquam dicimus, ‛ Haec est cantio Petri ' eo quod ipsam proferat, sed eo quod fabricaverit illam. Il significato varia da quello più specifico di " pronunciare " a quelli di " manifestare ", " esprimere ", " dire " o simili (" recitare " nell'ultimo caso).
Bibl. - Marigo, De vulg. Eloq. 9-10, 35-36, 116-117, 146-147, 330-331; A. Pézard, " La rotta gonna ". Gloses et corrections aux textes mineurs de D., II, Firenze 1969, 8-9.