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PROIBIZIONISMO

di Giovanni Demaria - Enciclopedia Italiana (1935)
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PROIBIZIONISMO (fr. e ingl. prohibition; sp. prohibición; ted. Alkoholverbot)

Giovanni Demaria

Il termine "proibizione" indicò dapprima nel diritto inglese un atto, emesso a istanza di una delle parti, e dietro presentazione di garanzia, dall'alta corte di giustizia e diretto al giudice, con il quale veniva ordinata, per ragioni giurisdizionali, la cessazione del processo. Il giudice cui nel passato fu più spesso rivolto l'atto di proibizione fu quello ecclesiastico. Di recente il termine "proibizione" è stato usato nei paesi di lingua inglese, nella Svezia, nella Finlandia e nella Russia, per indicare i divieti legali alla produzione e allo spaccio di liquori e anche la stessa legislazione regolante il traffico degli alcoolici.

Il movimento proibizionista ha dato luogo a importanti avvenimenti sociali, soprattutto negli Stati Uniti. Cominciato con la proibizione statale del Maine nel 1871, esso ben presto si estese ad altri stati della Confederazione. A ciò concorsero varie ragioni di ordine morale ed economico. Tra le prime va ricordato, anzitutto, il diffondersi della conoscenza dei gravi mali prodotti dall'alcoolismo - che aveva trovato in America, nell'esistenza dei saloons (specie di grandi bettole), un terreno propizio all'intemperanza e all'organizzazione della delinquenza comune e politica - e quindi l'idea largamente diffusa che bastasse sopprimere i saloons perché fosse automaticamente e immediatamente accresciuto il benessere del popolo. Le ragioni economiche furono tuttavia quelle che più contribuirono a consolidare i varî movimenti statali in favore della proibizione federale; notevole soprattutto fu l'impulso dato dagl'industriali del nord (Nuova Inghilterra) e degli stati centrali i quali, come produttori di cotonate, automobili, commesfibili e in genere di beni di consumo, videro nella proibizione un mezzo per elevare il potere di acquisto disponibile per i proprî prodotti. Si aggiungano a ciò varî vantaggi indiretti come la maggior produttività del lavoro, la riduzione degli sprechi, il minor numero di assenze e d'infortunî industriali, connessi al fatto stesso della proibizione. La guerra mondiale, infine, imponendo la riduzione del consumo dei grani (in parte destinati alla distillazione nelle fabbriche di alcool) e un più grande potenziamento del fattore umano, fornì il motivo decisivo. Al sentimento patriottico, sul quale fecero leva i fautori del proibizionismo, si aggiunse l'azione del clero delle varie denominazioni religiose e quella delle donne, che votarono compatte a favore del proibizionismo.

La proibizione per tutto il territorio federale fu sancita con la approvazione del XVIII Amendment act della costituzione federale, che fu proposto dal senatore Sheppard del Texas e venne ratificato il 16 gennaio 1919 da 47 stati contro il voto di due stati "umidi" (wet). All'andata in vigore della proibizione federale già 33 stati erano "secchi" (dry), perché possedevano leggi di proibizione, e in 18 di essi, anzi, la proibizione era contenuta nella costituzione statale (tra questi ultimi sono da ricordarsi gli stati del sud membri del cosiddetto Solid South che tanta parte ebbe nel movimento proibizionista). Al XVIII Amendment act seguì una legge federale (The Prohibition Enforcement Law), conosciuta di solito sotto il nome di Volstead Act dal suo proponente, con cui si provvide a definire come bevanda alcoolica ogni liquido contenente 0,50% di alcool, eccettuati gli alcoolici a scopo medicinale.

Andata in vigore la proibizione, essa fu definita (T. N. Carver) come "il più grande esperimento sociale dell'evo moderno". Il presidente H. Hoover ne parlò come di un grande e nobile atto. Ma ciò tuttavia non valse a impedire vivacissimi dibattiti tra wets e drys in quanto che, se la proibizione legale indubbiamente diede per certi luoghi e strati sociali sicuri risultati positivi nel senso desiderato dai promotori del movimento, i saloons non furono senz'altro soppressi. Si formarono anzi in varî luoghi "aree umide" dove l'opposizione alla legge anziché diminuire si andò sempre più consolidando, come è provato dalle statistiche (le condanne per inosservanza della legge salirono da poco più di 4000 nel primo anno di proibizione a 9 volte tanto cinque anni dopo). Parallelamente crebbero su grande scala il contrabbando, la produzione clandestina e il trasporto di alcool da stato a stato (bootlegging). Si aprirono un po' dovunque locali per bere (speakeasies) che non soltanto furono tollerati dalle autorità municipali, ma vennero addirittura da queste concessi. I guadagni fatti con queste forme delittuose di traffico servirono a consolidare la criminalità dei gangsters che, divisa nei guadagni - e questo diede luogo a memorabili battaglie per l'esclusività di spaccio in certi luoghi (territories) - restò praticamente la sola alleata della "macchina" della proibizione. Si aggiunsero ancora le morti per avvelenamento dovuto ad alcool mal preparato e il diminuito rispetto della legge in generale prodotto dalla mancata osservanza della proibizione, e quest'ultimo certamente fu fra tutti il male più grave.

Per tutte le ragioni che abbiamo sopra nominate, dopo quattordici anni di proibizione legale della produzione e dello smercio delle bevande alcooliche, venne, nel 1933-4, soppresso il XVIII Amendment act con il passaggio di un nuovo atto di modifica della costituzione federale (Twenty-first Amendment act), il quale fu approvato successivamente da tutti gli stati dell'Unione. In seguito a questa votazione plebiscitaria, cui concorsero anche da ultimo ragioni politiche (campagna presidenziale di F. D. Roosevelt) e finanziarie (imposte sulle bevande alcooliche previste dall'Industrial Recovery Act del 1933), i 48 stati dell'Unione hanno ripreso il privilegio di decidere singolarmente del regolamento della produzione e del traffico dell'alcool. Allo stato federale è rimasto soltanto l'obbligo di proibire l'introduzione dell'alcool dagli stati "umidi" in quelli "secchi".

Bibl.: Voce Prohibition, in The Encyclopaedia Britannica; C. M. e G. Gordon, A Study of North American Prohibition, New York 1923; J. A. Krout, The Origin of Prohibition, New York 1925; G. Manz, Finnland ohne Alkohol, Berlino 1925; D. Leigh Corvin, Prohibition in the U. S. A., New York 1926; J. Hirsch, Das amerikanische Wirtschaftswunder, Berlino 1926; I. Fisher, Prohibition at its worst, New York 1927; H. Felman, Prohibition, New York-Londra 1927; W. Fellner, Das amerikanische Alkoholverbot vom Standpunkte der Volkswirtschatslehre, Berlino 1929; C. F. Stoddard, How Prohibition came to the U. S. A., Boston 1930; W. Bracht, Alkohol, Volk, Polizei, Berlino 1930; K. Baurichter, Amerika trocken?, Berlino 1931; Prohibition, in Annals of the American Academy of Political and Social Science, settembre 1932.

Vedi anche
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