PROFESSIONE di fede
Storia delle religioni. - È la dichiarazione solenne delle proprie credenze religiose, per dimostrarne la conformità a un corpo di dottrine, specie da parte di chi entri per la prima volta a far parte di una comunità religiosa. Perciò una professione di fede presuppone un dogma, o per lo meno una dottrina, che abbia un carattere di verità assoluta: sia, in altre parole, rivelata. Non v'è quindi professione di fede, ma solo - al più - ammissione ai riti del culto domestico o cittadino da una parte, e accettazione dei medesimi, dall'altra, nelle religioni naturali, sia dei primitivi sia etniche, le quali non hanno carattere dogmatico. Per contro la professione di fede, per chi vuol entrare - o continuare - a farne parte, è indispensabile nelle religioni che hanno un fondatore e un libro sacro, talvolta completato da una tradizione ortodossa: perché l'adesione al fondatore importa un'adesione alla sua dottrina, la quale spesso è in contrasto con quella dell'ambiente da cui il fondatore si è distaccato; mentre il rito non ha qui quel valore totalitario, che ha nelle religioni naturali.
Le religioni di mistero a causa della loro origine magico-agraria non hanno avuto un corpo coerente di dottrine teologiche e perciò neppure una professione di fede; si può tuttavia ravvicinare a questa la formula che si trova con tanta insistenza nelle laminette orfiche: "la mia stirpe è celeste", che l'anima deve pronunziare dinnanzi ai guardiani che stanno a custodia della fonte che esce dal lago di Mnemosine. Questa formula racchiude in realtà la dottrina fondamentale dell'orfismo e insieme il pegno della sorte futura riservata all'orfico.
Il buddhismo ha una formula tradizionale di fede: "Io mi rifugio nel Buddha, nella sua dottrina, nella sua comunità", formula generica non accompagnata da riti né implicante adesione perpetua, giacché il Buddha volle che la fede dei suoi seguaci avesse fondamento unicamente sulla loro coscienza individuale. Ma è chiaro, non ostante questa larghissima tolleranza, che non si poteva ritenere vero buddhista chi non ammetteva l'esistenza delle quattro sante verità e quella dell'ottuplice sentiero che conduce alla salvezza nirvanica.
Anche il manicheismo ha avuto la sua professione di fede, che si può rilevare dal Khuastuanift "Confessione", dove a ognuna delle 15 colpe elencate segue la formula: "Se abbiamo trascurato questa pratica o negato questa dottrina siamo colpevoli e dobbiamo esclamare: lava le nostre macchie!". Particolarmente il paragrafo 8 può esser considerato come un compendioso credo della dottrina manichea,
Il mazdeismo, in quanto è stato una riforma, in senso monoteista, diretta contro il naturismo iranico, ha avuto un corpo preciso di dottrine, di cui ci è stata conservata nello Yasna XII come un sunto che si può considerare la professione di fede di chi entrava a far parte della comunità: "Io rinnego i daeva. Io mi professo adoratore di Mazda, seguace di Zarathustra, nemico dei daeva, dedito alla dottrina di Ahura, lodatore degli Amesha Spenta, devoto agli Amesha Spenta... Come un mazdeista, come un seguace di Zarathustra, votato alla fede, pronunziatosi per la fede, io voglio prestare la mia dichiarazione di fede. Io faccio voto di pensiero ben pensato, io faccio voto di parola ben parlata, io faccio voto di azione ben compiuta, io dichiaro di professare la religione mazdea".
Nell'islamismo la professione di fede è condensata nella formula: "Non v'è altro Dio che Allāh e Maometto è il profeta di Allāh". Le due idee fondamentali che Maometto contrappose al paganesimo delle tribù arabe furono infatti l'unità assoluta di Dio (con esclusione di trinità e incarnazione) e la veracità della sua missione profetica, garantita dal libro sacro (Corano) e dalla tradizione (hadīth). A chiarire i casi dubbî e a interpretare queste due fonti religiose con un criterio che fosse riconosciuto legittimo dalla comunità musulmana sorsero poi, durante l'epoca abasside, le quattro scuole ortodosse della confessione sunnita: ḥanafita, malikita, shāfi‛ita, ḥanbalita.
Diritto canonico. - È la pubblica dichiarazione di adesione alle verità insegnate dalla Chiesa come materia di fede. Ordinariamente si fa leggendo o sottoscrivendo una determinata formula, a cui per metonimia si dà il nome di professione di fede, e toccando il libro dei Vangeli o il crocifisso; talvolta vi si aggiunge il giuramento. La formula oggi in uso è quella stabilita da Pio IV con Bolla del 13 novembre 1564 e inviata al concilio di Trento, donde il suo nome di "tridentina".
Emettono la professione di fede tutti i battezzandi: i neonati per bocca dei loro padrini, gli adulti con atto proprio. Anche quelli che vengono alla fede cattolica dallo scisma o dall'eresia devono emetterla. In virtù del disposto dal canone 1406 del codice di dir. can., sono tenuti a emetterla quanti prendono parte ai concilî e sinodi; i nominati a dignità e cariche ecclesiastiche; i rettori e professori nei seminarî e nelle facoltà teologiche e filosofiche; quelli che ricevono il suddiaconato; i sacerdoti prima di ricevere le facoltà per le confessioni e la predicazione. Chi senza giusto impedimento non soddisfa a quest'obbligo, oltre ad altre pene, non può percepire i redditi del suo uffizio. Anche i sommi pontefici, dopo la loro elezione, sogliono pronunziare la professione di fede, in qualità di maestri in essa. Anticamente, dopo aver deposto la copia originale sulla tomba di S. Pietro, solevano mandarne altre ai principi e vescovi, insieme con la notizia della loro elezione. Anche gl'imperatori, prima di essere solennemente incoronati dal papa o dal suo legato, facevano la professione di fede: se ne conservano molte formule antiche, emanate sia dai concilî ecumenici sia dai regionali, come anche dal vescovo neoeletto ai vescovi della sua provincia ecclesiastica, quale prova della sua comunione di fede con essi. Qualcuna prende il nome speciale di simbolo (degli Apostoli, Niceno, Costantinopolitano; v. credo), perché non contiene diffusamente tutte le verità da credersi, ma solo gli articoli fondamentali di fede.