PRODICO (Πρόδικος, Prodĭcus) di Ceo
Sofista greco del secolo V a. C., alquanto più giovane di Protagora, ma tuttavia un po' più anziano di Socrate, che poté dalla tradizione essere considerato suo scolaro. Accanto a Protagora, a Gorgia, a Ippia fu uno dei maggiori rappresentanti della prima generazione della sofistica antica.
Le testimonianze e i frammenti superstiti si trovano raccolti in H. Diels, Die Fragmente der Vorsokratiker, II, 4ª ed., Berlino 1922, pp. 267-76 (trad. ital., da usarsi con cautela, di M. Timpanaro Cardini, I sofisti, Bari 1923, pp. 74-87). L'opera più importante di P. sembra fosse un Περὶ ϕύσεως (De rerum natura); ma le notizie che lo concernono sono così scarse, da far quasi dubitare che esso sia mai esistito (secondo la migliore delle testimonianze, che è quella di Galeno - B 4 Diels -, si tratterebbe del resto di un Περὶ ϕύσεως ἀνϑρώπου, "Sulla natura dell'uomo": il che quadrerebbe meglio con l'interesse prevalentemente antropologico del pensiero di P.). L'altro scritto, di cui si conosce il titolo, era quello intitolato ῟Ωραι: è in esso che compariva la favola di Ercole al bivio tra gli allettamenti della Felicità e le esortazioni della Virtù, che attraverso il superstite riassunto datone da Senofonte nei Memorabili (II, 1, 21-34 = B 2 Diels) ha poi esercitato così persistente influsso sulla letteratura e sull'arte posteriore. Dubbio è il significato del titolo: ῟Ωραι può infatti significare tanto "la giovinezza (di Ercole)" quanto "le stagioni (dell'anno)" quanto "le età (dell'uomo)", o infine esser soltanto un titolo di tipo alessandrino, come il nome di Muse dato in tale età ai nove libri di Erodoto (stando ora alle relazioni, in parte congetturali, stabilite dal Cataudella nello scritto sotto citato tra la favola di Prodico e le allegorie delle stagioni contenute nel Pastore di Ermia, sarebbe senz'altro da preferire la seconda delle quattro interpretazioni possibili). Nel suo contenuto moralistico, la favola è evidentemente un richiamo al valore utilitario della virtù, condotto sullo stesso piano soggettivistico-edonistico su cui la sofistica sembrava giungere alla svalutazione della medesima (da notare è la somiglianza della prosopopea di Felicità e Virtù con quella delle Leggi nel Critone platonico, in cui la necessità dell'obbedienza all'ordine giuridico è analogamente dimostrata su quello stesso piano eudemonistico e utilitario su cui la sofistica si basava per provare la loro convenzionalità).
Tra le altre dottrine attribuite a P. meritano particolare menzione quelle concernenti le divinità (considerate da P. come originarie ipostatizzazioni di beni naturali), la morte e la sinonimica. Quanto alla morte, lo pseudoplatonico Assioco attribuisce a P. quella tesi della sua inavvertibilità soggettiva, che appartiene alla tradizione cinica e accademica e soprattutto a Epicuro: si tende perciò a considerare tale attribuzione come falsa. Il problema è peraltro complicato dal fatto che tale concezione, stando al noto dilemma della fine dell'Apologia platonica, appare noto già in età socratica. Della sinonimica di P., cioè delle distinzioni che egli soleva compiere separando nettamente i significati di parole affini, c'informano principalmente alcuni passi di Platone, e in primo luogo il suo Protagora. Si è voluto variamente vedere in tale distinzione di termini un anticipo (o addirittura un superamento ante litteram) della socratica distinzione dei concetti. Né certo il problema è da escludere nel senso che la distinzione di P. fosse linguistica e quella di Socrate logica: i momenti linguistico e logico sono infatti indissolubili anche nel procedere socratico. L'uso logico del linguaggio, compiuto da P., era bensì antitetico a quello che ne faceva Socrate: e così si spiegano le ironie di cui Socrate lo fa segno nei dialoghi platonici.
Bibl.: Per la letteratura più antica resta caratteristico il saggio di F. G. Welcker, P., der Vorgänger des Sokrates, in Rheinisches Museum, I (1833), pp. 1-39 e 533-643 (riprodotto in Kleine Schriften, II, pp. 393-541), che accentua la tesi tradizionale della dipendenza di Socrate da P. Tra gli scritti d'insieme più recenti sia ricordato: H. Mayer, P. von Keos und die Anfänge der Synonymik bei den Griechen, Paderborn 1913. Per l'influsso della favola d'Ercole al bivio sulla cultura e sull'arte posteriore, v. E. Panofsky, Herakles am Scheidewege, Lipsia 1930 (e per il rapporto con il Pastore di Erma, vedi Q. Cataudella, in Giorn. critico d. filosofia italiana, XV, 1934, pp. 342-44). Per una singolare valutazione della sinonimica di P. dal punto di vista della logica antica, v. S. Ranulf, Der eleatische Satz vom Widespruch, Copenaghen 1924 (contra, G. Calogero, in Giorn. crit. d. filos. ital., VIII, 1927). Ulteriore bibliografia in Ueberweg-Praechter, Grundriss d. Gesch. d. Philosophie, I, 12ª ed., Berlino 1926, p. 54.