Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Cicli di affreschi, che si sono salvati solo in parte in palazzi e castelli, sviluppano temi cortesi e profani rivelando un altro aspetto della cultura e della società medievale. La letteratura cavalleresca si affianca a temi ispirati alla storia antica, in particolare romana, mentre ci si avvia verso una rinascenza degli studi e dell’interesse per l’età classica.
Esiste un Medioevo, a torto ritenuto minore, più segreto, che racconta storie non di santi, ma di uomini, eroi e prodi dipinti nelle sale di palazzi gentilizi e nelle corti. È uno specchio vivace di un mondo che intreccia, alla volontà politica e dinastica, orgogli letterari e di costume. Purtroppo il tempo ci ha privato di gran parte di questi cicli ad affresco, vanto di una committenza laica che cercava – anche attraverso questa via – una nobilitazione e una legittimazione.
Una delle perdite più dolorose è certamente il ciclo che Giotto dipinge nel palazzo milanese di Azzone Visconti , ma anche l’analoga serie di Uomini famosi realizzati dallo stesso Giotto per Castel Nuovo a Napoli ha subito la medesima sorte, vittima dei rifacimenti che troppo spesso hanno interessato edifici e residenze. La serie di Uomini famosi affrescati da Altichiero nella reggia carrarese di Padova sopravvive per esempio solo nel rifacimento cinquecentesco, che ha risparmiato unicamente il ritratto di Francesco Petrarca seduto al suo scrittoio, immagine destinata a eternare la figura dello studioso delle humanae litterae in un’epoca che si sta aprendo all’umanesimo.
Il tema degli Uomini famosi, che conosce larga fortuna nel Medioevo anche grazie al De viris illustribus di Francesco Petrarca, è parallelo a quello dei Nove prodi, il ciclo di tre eroi pagani, tre ebrei e tre cristiani, le cui gesta si pongono come paradigmatiche all’interno di uno sviluppo storico volutamente semplificato. Il castello della Manta presso Saluzzo presenta una sequenza tra le più note. Su una zolla erbosa, intervallata da alberelli che reggono ciascuno uno scudo araldico, si presentano, variati nelle pose e nei costumi, gli eroi del tempo antico e moderno accompagnati da nove eroine. La prima codificazione letteraria del tema è ne Les voeux du paon di Jacques de Longuyon (1312), la cui fortuna giunge fino allo Chevalier errant, scritto da Tommaso III, marchese di Saluzzo, tra il 1394 e il 1396, probabile fonte del pittore per l’iconografia degli affreschi.
Una parata di figure, soddisfatte e compiaciute, che esibiscono uno scettro o una spada, ritratte non senza una certa ingenuità e con un gusto fiabesco proprio del gotico internazionale. Il tema dei Nove prodi è qui affiancato alla rarissima iconografia della Fontana della giovinezza. Un tema colto e pseudo-classicheggiante viene dunque coniugato con una tematica cortese, desunta dai topoi della letteratura cavalleresca.
Ancora intatto nel suo fascino e restituito al pubblico da un restauro recente è il Palazzo dei Trinci, signori di Foligno. La residenza sorge nella contrada della piazza Vecchia, in un contesto urbanistico particolarmente significativo a fianco della cattedrale di San Feliciano e del palazzo comunale. Ugolino III Trinci acquista il palazzo nel 1388 e dà avvio ai lavori di ampliamento e di decorazione dell’interno, trasformandolo in una residenza degna del ruolo che la sua famiglia avrebbe presto assunto nella storia politica della città. Ne è prova anche la decisione di rivolgersi al pittore più conosciuto e apprezzato del momento, ovvero Gentile da Fabriano, anche se l’artista probabilmente si limita a fornire disegni e modelli senza intervenire personalmente nella realizzazione degli affreschi.
Le sale presentano una summa del sapere medievale a partire dalla cosiddetta Camera delle Rose, dipinta con le Arti liberali del trivio e del quadrivio accompagnate dai Pianeti e dalle Età dell’Uomo. Un programma complesso che ha la sua fonte in parte nel Quadriregio di Federico Frezzi, mediato a Foligno dall’umanista Francesco da Fiano; il tutto tradotto con un gusto spiccatamente gotico nelle architetture, memori dei virtuosismi prospettici del veronese Altichiero e nelle fanciulle agghindate alla moda e compostamente sedute mentre attendono all’esercizio della loro professione. Nel corridoio del palazzo è oggi parzialmente visibile il più antico ciclo ad affresco monocromo con le Età dell’Uomo, poi nascosto nel primo Quattrocento da un rifacimento dedicato, ancora una volta, ai Nove prodi, qui affiancati da due uomini famosi, Romolo e probabilmente Scipione l’Africano. La tematica classicheggiante e colta guida il signore di Foligno nella scelta dei temi per la Sala degli Imperatori, dove sfilano in dimensioni maggiori del vero i Cesari, tradotti in un linguaggio che mostra una certa ingenuità e una vis quasi popolaresca. Le Storie di Romolo e Remo sono raccontate con un accento narrativo parimenti cortese nella loggia antistante la cappella, affrescata da Ottaviano Nelli con un bellissimo ciclo di storie mariane.
Il castello, fatto edificare dai fratelli Beraldo e Federico, signori di Vanga, viene acquistato nel 1385 da Franz e Niklaus Vintler che ne promuovono la decorazione degli interni con cicli a carattere profano.
I temi scelti variano dai giochi, quali il torneo alla mazza o alla lancia accompagnato da danze e canti, fino alla rappresentazione dei romanzi del ciclo arturiano. Sulle pareti di una sala infatti si dispiegano le Storie di Tristano e Isotta, che è possibile leggere attraverso una sequenza continua realizzata a monocromo. I personaggi maggiori sono identificati da didascalie in eleganti lettere gotiche. Nella cosiddetta Casa d’Estate tornano protagonisti i Nove prodi, organizzati, secondo il modello più diffuso, in triadi, con Ettore, Alessandro Magno e Giulio Cesare per l’età greco-romana, Giosuè, Davide e Giuda Maccabeo per l’età giudaica e, per il Medioevo cristiano, Artù, Carlo Magno e Goffredo di Buglione. Il ciclo è qui aggiornato con gli eroi della tradizione arturiana e delle saghe nordiche. La letteratura cavalleresca quindi, oggetto delle divagazioni dell’aristocrazia e lettura quasi obbligata, fornisce uno specchio nel quale la corte si identifica volentieri.
Eroi e dame dei romanzi cortesi finiscono per rivivere anche sulle pareti delle residenze signorili, come negli affreschi, da poco riscoperti, nella Torre di Frugarolo presso Alessandria, o nel ciclo dipinto da Pisanello nella reggia dei Gonzaga a Mantova.
Uno specchio altrettanto composito della vita di corte, dei suoi ritmi, delle sue occupazioni e passatempi ci è offerto dal bellissimo ciclo ad affresco che, all’inizio del Quattrocento, viene a ricoprire le pareti di Torre Aquila nel castello del Buonconsiglio a Trento. Committente è Giorgio di Lichtenstein, nominato vescovo della diocesi trentina nel 1390. Il presule riserva una speciale attenzione proprio al castello del Buonconsiglio, residenza vescovile fin dal 1255, facendo apportare una serie di modifiche alla struttura architettonica e, soprattutto, trasformando Torre Aquila, lungo la cinta muraria, da semplice porta urbica in una nuova residenza, una struttura a tre piani illuminati da finestre e collegati da una scala a chiocciola. Del rivestimento ad affresco si conserva il Ciclo dei Mesi nella sala mediana e alcuni frammenti con scene cortesi nella camera soprastante. Il pittore è stato identificato con il maestro Venceslao, ricordato in quegli anni al servizio del vescovo. Sottili colonnine tortili sono dipinte sulle pareti a scandire le storie e a fingere una sorta di loggia aperta sulla sala, entro la quale scorrono le immagini del lavoro dell’uomo, ordinate secondo la successione dei mesi nell’anno. Il tema dei Mesi è un soggetto caro alla cultura medievale, ricorrente anche nella decorazione scultorea dei portali delle cattedrali, nei capitelli di chiese e chiostri.
A Torre Aquila tuttavia il tema del lavoro, visto nella quotidiana fatica di contadini e artigiani, si intreccia, con una sensibilità tutta cortese, con gli svaghi dell’aristocrazia, in un contrasto che si fa sempre più netto e talvolta ingeneroso tra abitudini e classi sociali differenti. Giovani si sfidano in una battaglia a palle di neve nel mese di Dicembre, Febbraio è occupato da un torneo che si svolge all’esterno di un castello, mentre incontri amorosi tra cavalieri e giovani dame sono protagonisti del racconto nel mese di Maggio.
Tra gli svaghi dell’aristocrazia non può ovviamente mancare la caccia al falcone, alla quale è dedicato il mese di Settembre. L’affresco sembra tradurre su larga scala qualche pagina miniata del Livre de la chasse di Gaston Foebus.
Ogni mese è poi legato a una specifica attività agricola: dall’aratura e semina del mese di Aprile, alla mietitura in Agosto, alla vendemmia in Ottobre. Il pittore sfrutta tutti questi spunti per una resa realistica e minuta del mondo, indagato con quello spirito di osservazione che si afferma proprio con il gotico internazionale sulla scia di rinnovati studi dal vero e della diffusione di manoscritti ad argomento botanico e non solo, come per esempio i Tacuina sanitatis.
Il velario che oggi occupa lo zoccolo lungo le pareti della sala è frutto di un rifacimento cinquecentesco che ha nascosto e in parte distrutto gli affreschi del Quattrocento. I pochi frammenti che si intravedono dell’originaria decorazione fanno immaginare una sequenza di specchiature marmoree alternate a nicchie, entro le quali erano presentate figure allegoriche a completamento del programma degli affreschi con intento moraleggiante.