prode (pro; pro')
L'originario valore aggettivale del vocabolo, nato dal tardo latino prode, aggettivo invariabile tratto da prodest, " giova ", è sentito solo nella locuzione ‛ esser p. ' attestata in Cv IV XXX 4 con il significato di " esser giovevole ", " giovare ": non si deono le margarite gittare innanzi a li porci, però che a loro non è prode; e, come dice Esopo poeta ne la prima Favola, più è prode al gallo uno grano che una margarita. E questo l'unico esempio in cui p. compaia come aggettivo nel D. canonico; con tale funzione è invece frequente nel Fiore e nel Detto, per lo più con il significato di " valoroso ", " valente " che gli è peculiare nel linguaggio della tradizione cortese e cavalleresca.
Nel Fiore p. nella quasi totalità degli esempi compare inserito in dittologie codificate da una tradizione ampiamente documentata, quali quella ‛ p. e saggio ', presente in un sonetto di Beroardo notaio (Monaci, Crestomazia 308) e in G. Patecchio (Contini, Poeti I 572), o ‛ p. e franco ', che è nel Tristano Riccardiano (Segre-Marti, Prosa 560); e si veda anche Guittone: " pugnante forte e pro', nel gran monte de vertù montando " (ibid. p. 49). Si hanno i seguenti esempi: XIII 8 quel valletto... è pien di larghezza / e prode e franco, sanza villania; CXXXV 14 servirebbevi a dritto e a torto, / come que' ch'è cortese e prode e saggio; XVIII 6, CLII 13. Vale invece " dabbene ", " onesto ", in XCVII 14 son santo e prod'uomo tenuto.
Qualche difficoltà esegetica è presentata dagli esempi del Detto. Ai vv. 403 e 404 il vocabolo compare in una rima equivoca di non facile lettura: Cortese e franco e pro' / convien che sie, e pro' / salute e doni e rendi; per la prima occorrenza il significato di " valoroso " è evidente, mentre la seconda si sottrae a un'esegesi pienamente convincente: il Parodi considera doni un verbo (" dai ") e, nel glossario, per pro' salute. offre l'interpretazione " molti saluti "; il Morpurgo, invece, nella sua edizione del poemetto, accoglie un testo diverso (e pro', / salute e doni e' rendi) e chiosa " e renda a lui grazie e saluti tributi ", partendo dall'ipotesi che sia pro' che doni siano due sostantivi. Diversa è anche l'interpretazione proposta dai due editori per il v. 298 i' so ben chi pro' caccia, / convien che bestia prenda: il Parodi spiega " chi ben caccia ", mentre il Morpurgo parafrasa:." ben so che prode cacciatore conviene aggiunga la preda ". Entrambi sono concordi nel ritenere un avverbio avente il valore di " bene " il pro' del v. 124 Di' tu, se pro' posat'hò, " di tu se ho discorso bene " (Morpurgo), " se ho posto bene la questione " (Parodi).
Largamente attestato nel lessico duecentesco (G. Patecchio; Ruggieri Apugliese; Guittone d'Arezzo; Detto del Gatto lupesco; ecc.) è anche l'uso di p. quale sostantivo avente il valore di " utilità ", " gióvamento ", " vantaggio ". , Con questo significato esso compare nel D. canonico specie nella locuzione ‛ far prode ', ‛ far pro ', che vale " giovare ", " compiere qualcosa di proficuo ": If II 110 Al mondo non fur mai persone ratte / a far lor pro o a fuggir lor danno, / com'io (la stessa contrapposizione in Guittone Lettere XIV " non honore, non prode, non onta né danno alcuno ànno vostri vicini ", in Segre-Marti, Prosa 215); Cv I VI 4, Pg XXI 75; anche Fiore CLVII 3 dov'ella si creda su' pro fare, fare " il suo vantaggio ". Con la stessa accezione ricorre anche in altri sintagmi: sanza pro, " inutilmente " (If XI 42); in prode d'altrui, " a vantaggio di altri " (Cv IV XXVII 2); Pg XXXII 103; a suo prode, " nel suo interesse o vantaggio " (Pd VII 26). Col verbo ‛ avere ', in Fiore XLII 8, e Detto 74. Cfr. anche Cv IV Le dolci rime 135.
L'accezione di " interesse ", " frutto del capitale " è già attestata nella Carta Picena del 1193 (Monaci, Crestomazia 26) e nel Libro di banchieri fiorentini (" promise di pagare... prode e kapitale quant'elli stessero ", ibid., p. 38); secondo una suggestiva ipotesi esegetica del Mattalia a quest'uso si riallaccerebbe Pg XV 42 io pensai, andando, / prode acquistar ne le parole sue, dove il sintagma prode acquistar, " usato metaforicamente in un significato affine a quello del chiesastico ‛ lucrae ' ", varrebbe " guadagnare mettendo a buon frutto (il capitale-tempo) ".