PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA.
– Problemi e soluzioni. Migliorare le stimolazioni ovariche. Evitare le gravidanze multiple. Perfezionare la diagnosi di sterilità. Conseguenze negative dei trattamenti. Conservazione della fertilità. Indagini genetiche preimpianto. Ingegneria genetica. Il problema italiano. La discussione sulle tematiche etiche. Bibliografia. Sitografia
Nel 2014 la prima bambina nata da una fecondazione medicalmente assistita ha compiuto 36 anni, e quella che inizialmente da alcuni è stata considerata un’avventura eticamente discutibile delle scienze biologiche si è trasformata in un’importante e innovatrice terapia della sterilità o nella proposta di un nuovo paradigma relativo alla fertilità e alla genitorialità, in aperto conflitto con la tradizione. Comunque, alla fine del 2014 i nati da p. m. a. nel mondo superavano i 5,5 milioni e attualmente si eseguono ogni anno 1.500.000 cicli di trattamento, che consentono la nascita di 350.000 bambini. Il numero di centri e di servizi ospedalieri nei quali si eseguono queste tecniche è aumentato costantemente fino ad alcuni anni or sono, ma nel 2015 la crescita si è arrestata, in relazione a una lieve flessione della domanda, che si ritiene in crisi soprattutto per ragioni economiche, considerati gli alti costi dei trattamenti (che in molti Paesi sono a totale carico degli utenti). La distribuzione di questi centri è tutt’altro che uniforme. Dal registro dell’ESHRE (European Society of Human Reproduction and Embryology, società scientifica che raccoglie e analizza i dati delle p. m. a.) risulta, per es., che il Paese con il maggior numero di centri è l’Italia (più di 200, contro i 107 della Francia), un numero considerato eccessivo se si considera che nel 2011 in Italia sono stati eseguiti 63.777 cicli di trattamento, relativamente pochi rispetto agli 85.433 cicli francesi. È tra l’altro possibile che questa eccessiva frammentazione dei trattamenti sia responsabile dei mediocri risultati che si ottengono nel nostro Paese. L’Europa esegue oltre il 55% dei trattamenti riportati dalla letteratura internazionale: il maggior numero di cicli viene eseguito in Francia e in Germania, ma le nazioni più attive nel mondo sono gli Stati Uniti e il Giappone.
La p. m. a. è stata considerata, fin dai suoi esordi, una tecnica poco generosa di risultati, e questo malgrado i suoi costanti progressi, che sembrano essersi arrestati solo in questi ultimi anni: la sua scarsa efficacia dipende certamente dal fatto che la nostra specie è di per sé poco fertile e che, mentre la fertilità della donna, massima intorno ai 20 anni, declina poi rapidamente, esiste una crescente tendenza di parte della popolazione femminile a cercare figli in età avanzata, quando le probabilità di concepire sono notevolmente ridotte. Non è comunque semplice accertare la reale consistenza dei risultati, espressi frequentemente in modo ambiguo: considerare il numero di cicli iniziati è molto diverso dal valutare solo i trasferimenti embrionali eseguiti, mentre il numero di gravidanze accertate con un semplice test di laboratorio è naturalmente molto più alto del numero di bambini nati (gli aborti sono tra il 20 e il 30%). Se si tiene conto delle sole nascite, i dati europei più recenti si assestano intorno al 22% (se il calcolo viene eseguito sul numero di trasferimenti), con una lieve superiorità della tecnica FIVET (Fertilization In Vitro Embryo Transfer) rispetto alla ICSI (IntraCytoplasmatic Sperm Injection). Negli USA i dati più recenti (2010) sono significativamente migliori (36,8% di parti; erano 33,4% nel 2001). I dati relativi al nostro Paese sono certamente peggiori, ma è impossibile riferirli con precisione perché oltre il 25% delle gravidanze è sfuggito al controllo, almeno a quanto risulta dai dati resi noti nel 2014.
I risultati ottenuti utilizzando embrioni e gameti scongelati sono peggiori rispetto a quelli sino a qui riferiti, mentre sono di gran lunga migliori quelli relativi alle ovodonazioni, che in alcuni centri raggiungono e superano il 50% di gravidanze per trasferimento embrionale (risultati che sembrano dipendere esclusivamente dall’età delle donatrici). In linea di massima i risultati di tutte le tipologie di p. m. a. sono costantemente migliorati fino ad alcuni anni or sono, ma sembrano al momento subire un arresto. Continuano invece a migliorare i dati relativi alle gravidanze trigemine, che in Europa erano salite fino al 3,6% nel 1977 e che a partire dal 2007 si sono assestate intorno all’1%.
Problemi e soluzioni. – In questi ultimi dieci anni lo sviluppo di nuove tecniche di p. m. a. è stato relativamente modesto, tanto che vale la pena di ricordare solo due acquisizioni: la cosiddetta IMSI (Intracytoplasmic Morphologically-selected Sperm Injection), un metodo di selezione a fortissimo ingrandimento dei nemaspermi, che ha migliorato la prognosi delle sterilità maschili particolarmente gravi; una nuova tecnica di congelamento degli oociti, la cosiddetta vitrificazione, che ha sostituito in molti laboratori la crioconservazione tradizionale. Si è invece assistito a una ricerca sistematica di miglioramenti, resa necessaria dal fatto che nel corso degli anni si sono evidenziati problemi di vario genere. Tra i più rilevanti: 1) i trattamenti di stimolazione ovarica, se da un lato sono necessari per migliorare la prognosi, sono troppo spesso responsabili di effetti collaterali clinicamente importanti; 2) il numero di gravidanze multiple continua a essere molto elevato, soprattutto in alcuni Paesi, con conseguente aumento delle patologie congenite e della mortalità perinatale e con incremento percentuale degli aborti e delle gravidanze a rischio; 3) i dati relativi a un possibile aumento delle malconformazioni dei nati da p. m. a. continuano a essere confusi e contraddittori; 4) è sempre più evidente la necessità di migliorare la selezione dei gameti e soprattutto degli embrioni; 5) poiché il miglioramento dei risultati non ha mai riguardato in modo significativo le donne in età più avanzata e la richiesta di trattamenti di queste pazienti continua a crescere, è necessario pensare a nuove strategie originali per offrire risultati accettabili anche alle ultraquarantenni.
La lista dei problemi non finisce qui: emerge la necessità di migliorare i criteri diagnostici utilizzati per la diagnosi di sterilità e di ipofertilità e si sono rese evidenti alcune carenze nell’organizzazione dei servizi e nella regolamentazione giuridica delle donazioni di gameti e di embrioni, naturalmente nei Paesi nei quali queste tecniche sono legali. Problemi di vario tipo sono poi emersi nei confronti della diagnosi e della terapia della patologia andrologica e della prevenzione della sterilità e dell’ipofertilità, temi che non sono stati ancora affrontati con il necessario impegno. Problemi del tutto particolari ha dovuto certamente affrontare l’Italia, a causa delle turbolenze indotte dai primi anni di applicazione della l. nr. 40 del 19 febbr. 2004, ma di questi problemi conviene trattare separatamente.
Migliorare le stimolazioni ovariche. – La stimolazione delle ovaie ha lo scopo di indurre la maturazione di numerosi follicoli, per essere fecondati: alcuni sono trasferiti subito nel grembo materno, mentre altri – i cosiddetti residuali – possono essere crioconservati per un impiego futuro. Questo processo è necessario per la scarsa efficacia delle tecniche di p. m. a. rispetto alla (non elevata) fertilità naturale, problema al quale si cerca di ovviare utilizzando più di un embrione. Per molti anni i protocolli in uso hanno presentato elevati rischi di iperstimolazione ovarica, una sindrome carica di conseguenze negative per la salute femminile, allo scopo di trasferire in utero almeno due embrioni nelle don ne di età inferiore ai 36 anni e tre o più embrioni nelle classi di età superiori. Iperstimolazioni a parte, il costo più importante di questa scelta è stato un inaccettabile aumento delle gravidanze multiple (20-30% di gemellari, 3-4% di trigemine, senza tener conto delle cosiddette grandi gravidanze multiple). Per queste stimolazioni sono utilizzati ormoni ipofisari (gonadotropine) di origine estrattiva (dalle urine di donne in menopausa) o ricombinante (prodotti in vitro con tecniche di ingegneria genetica); recentemente sono stati impiegati ormoni ibridi ad azione prolungata nel tempo. Oltre alle gonadotropine si impiegano analoghi dell’ormone ipotalamico GnRH (Gonadotropin-Releasing Hormone), con effetti di stimolo e di inibizione che consentono un totale controllo del ciclo da parte del medico. Esistono numerosi protocolli che, in teoria dovrebbero essere scelti sulla base delle caratteristiche ormonali e biologiche della donna: quelli che comportavano maggiori rischi di stimolazione sono stati abbandonati a favore delle cosiddette mild stimulations, stimolazioni molto controllate e praticamente prive di rischi. In casi specifici (fase di transizione verso la menopausa, assenza di risposta ovarica, riserva ovarica in via di esaurimento documentata da esami specifici, ma anche giovane età e condizioni ormonali che fanno prevedere una risposta ovarica molto generosa) si può eseguire la p. m. a. su ciclo naturale, utilizzando il solo follicolo prodotto naturalmente, con lo scopo e con il limite di generare e trasferire un solo embrione.
Evitare le gravidanze multiple. – Tutte le gravidanze plurime, incluse quelle gemellari, comportano significativi aumenti del rischio di complicazioni materne e fetali ed elevate probabilità di aborto. Studi recenti eseguiti negli Stati Uniti (W. Kuohung, E.S. Ginsburg, C. Racowsky, Strategies to control the rate of high order multiple gestations, Up-ToDate, 2015, http://www.uptodate.com/contents/strategies-to-control-the-rate-of-high-order-multiple-gestation?s ource=search_result&search=multiple+gestations&selectedTitle=3~150) hanno dimostrato che per molte famiglie la nascita contemporanea di due o più bambini rappresenta un impatto psicologico ed economico particolarmente pesante e che molti di questi bambini sono destinati a ricevere cure parentali inadeguate. Molte di queste gravidanze terminano prematuramente e molti di questi bambini hanno bisogno di lunghi ricoveri in ambienti specializzati a causa di patologie – non sempre curabili – dovute alla prematurità e al basso peso alla nascita. Il problema è molto avvertito negli USA e in tutti i Paesi nei quali le spese dei trattamenti sono a totale carico dei cittadini, che chiedono di ridurre il numero di cicli di trattamento necessari aumentando il numero di embrioni trasferiti ogni volta. Per vari anni dopo l’approvazione della l. nr. 40 del 2004 anche l’Italia ha avuto un problema di aumento di gravidanze multiple (le trigemine hanno superato il 3% e l’aumento più significativo è stato osservato nelle donne più giovani), a causa della norma che costringeva a trasferire contemporaneamente tutti gli embrioni prodotti: il numero di gravidanze multiple è sceso a valori europei (1% circa) dopo che la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità di alcune delle norme più irrazionali.
In questi ultimi anni molti Paesi, soprattutto in Europa, hanno approvato leggi e linee guida che obbligano a trasferire un solo embrione nelle donne di età inferiore ai 35-36 anni; contemporaneamente sono state messe in campo strategie utili per selezionare gli embrioni migliori (ossia quelli con maggiori probabilità di impianto e di sviluppo), la più diffusa delle quali comporta un prolungamento della coltura in vitro dei prodotti del concepimento (dal 2°-3° giorno, fase di morula, si è passati al 5°-6°, fase di blastocisti). Sono anche utilizzate tecniche che consentono una valutazione dell’intero genoma dell’embrione (CCS, Comprehensive Chromosome Screening), per evitare il trasferimento di embrioni portatori di anomalie cromosomiche, causa molto frequente di mancato impianto e di aborto. Le indagini sono esegui te su cellule prelevate mediante biopsia dalle morule o dalle blastocisti, ed è bene ricordare che i vantaggi che possono derivare da questi esami sono ancora messi in discussione. Altri metodi di selezione sono rappresentati dallo studio metabolico del mezzo di coltura nel quale si sviluppa l’embrione, dall’analisi delle cellule che circondano l’oocita e dall’uso della tecnologia Time-lapse, basata sulla ripresa di immagini in serie durante lo sviluppo embrionale. Nessuna di queste tecniche, secondo gli esperti, può però considerarsi uscita dalla fase sperimentale.
Perfezionare la diagnosi di sterilità. – Con il passare degli anni si è reso evidente che la percentuale di sterilità idiopatica (ossia dovuta a cause non conosciute) è troppo elevata, spesso superiore al 30% delle coppie indagate. Questo dato, e il fatto che in molte circostanze i medici non riescono a distinguere tra sterilità e ipofertilità (molte coppie alle quali è stata diagnosticata una sterilità idiopatica riescono ad avere un figlio naturalmente), dipendono soprattutto dalla scarsa affidabilità delle tecniche di indagine sulla sterilità meccanica femminile (esiti di flogosi pelvica, endometriosi, sindromi aderenziali). Poiché la maggior parte dei medici preferisce non affidarsi a tecniche invasive, come le laparoscopie, i protocolli diagnostici stanno tornando alle iniziali valutazioni radiodiagnostiche, che sostituiscono le indagini basate sull’uso della sonografia.
Conseguenze negative dei trattamenti. – Sebbene non sia mai stata dimostrata l’esistenza di rischi significativi per la salute delle donne (iperstimolazioni ovariche a parte) come conseguenza delle terapie di stimolo, esistono ancora alcune perplessità in merito a possibili effetti collaterali relativi alla salute e alla normalità dei bambini. Se molte gravidanze si interrompono prematuramente e un certo numero di bambini nasce con un peso inferiore alla norma, ciò potrebbe essere conseguenza della condizione di sterilità e non dei trattamenti e delle tecniche. I dati più significativi in questo campo vengono dall’Australia, dove un gruppo di ricercatori (M.J. Davies, V.M. Moore, K.J. Wilson et al., Reproductive technologies and the risk of birth defects, «The New England journal of medicine», 2012, 366, pp. 1803-13) ha verificato la frequenza di malformazioni in 300.000 bambini nati da p. m. a. e ha trovato la presenza di qualche forma di patologia nell’8,3% dei casi (ICSI+FIVET), contro il 5,8% registrato tra i bambini concepiti naturalmente. Il problema non riguarda tanto la FIVET, quanto l’ICSI, ossia l’iniezione dello spermatozoo nella cellula uovo (tecnica utilizzata nei casi più gravi di infertilità maschile), con la quale il rischio di malformazioni è del 9,9%, rispetto al 5,8% delle gravidanze naturali. L’aumento di anomalie è probabilmente (ma non sicuramente) correlato all’infertilità maschile. La sensazione attuale è che i dati delle differenti realtà geografiche non siano sempre confrontabili tra loro, ma le ragioni di queste difficoltà non sono note. In ogni caso, l’aumento del rischio fetale non è considerato dal-l’OMS una controindicazione all’uso delle tecniche.
Conservazione della fertilità. – Da quando esistono banche del seme, ossia dal 1953, si è cominciato a ragionare sulla possibilità di conservare la fertilità degli uomini che devo no sottoporsi a terapie chirurgiche demolitive dei testicoli.
La possibilità di congelare oociti ha aperto la strada alla conservazione della fertilità femminile, che può permettere la maternità alle molte donne sottoposte, in età fertile, a interventi chirurgici di castrazione o a terapie radiologiche o farmacologiche che consentono di sopravvivere a malattie molto gravi, ma che contemporaneamente distruggono tutto il patrimonio oocitario; un’ulteriore possibilità riguarda le ragazze portatrici di una tendenza ereditaria a entrare prematuramente in menopausa. Come conseguenza, in questi ultimi anni è stata offerta alle donne la possibilità di ‘mettere via’ la propria fertilità per ragioni sociali (problemi economici, carriere impegnative, ogni sorta di motivo che renda ragionevole un rinvio della decisione di avere un figlio). Molte donne hanno così lasciato i propri gameti in una banca degli oociti, ma poche sino a oggi sono tornate per riprenderli e iniziare una gravidanza: è troppo presto per capire se questa scelta – divenuta necessaria, considerati i molti fallimenti registrati nei tentativi di migliorare i risultati delle p. m. a. nelle donne meno giovani – avrà reale successo.
Indagini genetiche preimpianto. – Le principali indicazioni per eseguire un’analisi genetica sull’embrione prima di trasferirlo nell’utero della madre sono rappresentate dall’elevato rischio che una coppia trasmetta una malattia genetica ai propri figli (per es., la fibrosi cistica o l’anemia mediterranea) o da un rischio generico, ma particolarmente elevato, di generare embrioni con anomalie cromosomiche (per es., un’aneuploidia, ossia un’alterazione del numero dei cromosomi come la sindrome di Down, nei casi di età materna elevata). Per la prima indicazione si parla di diagnosi genetica preimpianto (PGD, Pre-implantation Genetic Diagnosis), per la seconda di screening genetico pre-impianto (PGS,Pre-implantation Genetic Screening): in un certo senso lo scopo della PGD è di far nascere bambini sani a coppie con uno specifico rischio genetico, mentre l’obiettivo della PGS è soprattutto di aumentare l’efficacia delle tecniche evitando di trasferire embrioni malati. Le analisi possono essere eseguite su materiale derivato da oociti (globuli polari), morule e blastocisti (cellule); le tecniche più recenti consentono di eseguire lo screening analizzando l’intero genoma embrionale, laddove le diagnosi comportano la ricerca di specifiche mutazioni geniche. Esistono ancora alcune cause di errore e perplessità di vario genere (in ogni caso le indagini devono essere ripetute in gravidanza), ma i progressi di queste analisi sono continui e importanti.
Ingegneria genetica. – Con questo termine (o, in alternativa, con quello di terapia genica) sono indicati i primi, timidi tentativi di modificare il genoma embrionale per evitare la nascita di bambini che abbiano ereditato un’anomalia genetica dai genitori. Niente in questo settore ha, al momento, caratteri che non siano sperimentali, fatta eccezione per le tecniche che consentono di sostituire il genoma mitocondriale degli oociti. Il DNA (DeoxyriboNucleic Acid) dei gameti femminili è inserito per il 99,9% nel nucleo e per il rimanente 0,1% nell’ooplasma (cosiddetto genoma mitocondriale). Contrariamente a quanto accade per il DNA nucleare, quello mitocondriale materno passa interamente all’embrione, che non può ricevere quello paterno, localizzato in una parte del nemasperma che non entra nell’oocita. Le anomalie del genoma mitocondriale (riarrangiamenti, mutazioni puntiformi, anomalie qualitative e quantitative) sono causa di un grande numero di malconformazioni fetali, alcune delle quali gravissime, altre incompatibili con la vita, e il particolare tipo di trasmissione di questo genoma fa sì che alcune donne siano condannate alla sterilità. Tecniche di sostituzione preimpiantatoria del DNA alterato sono state eseguite (almeno in una trentina di casi) negli USA alla fine del secolo scorso, ma sono sta te poi sospese per un intervento della FDA (Food and Drug Administration) motivato da complicazioni e insuccessi (in particolare per alcune malconformazioni presumibilmente dovute alla tecnica). Attualmente sono proposte tre differenti tecniche di trapianto nucleare, una delle quali è stata recentemente approvata dalla Camera dei comuni inglese (febbr. 2015). Questa decisione ha suscitato molte critiche, soprattutto da parte delle istituzioni religiose che hanno molto insistito sull’aberrazione e sull’immoralità fondamentale di tecniche che consentono la nascita di bambini con tre genitori: un padre e due madri. In realtà è bene ricordare che il DNA mitocondriale umano codifica per l’RNA (RiboNucleic Acid) e le proteine che fanno parte dei complessi enzimatici destinati alla fosforilazione ossidativa e non ha il minimo rapporto con la formazione somatica e neurobiologica dell’individuo. Più razionali sono le sollecitazioni, provenienti dagli stessi ambienti, a una maggiore attenzione alla salute dei bambini nati con l’aiuto di questa nuova tecnologia.
Il problema italiano. – Nel 2004 il Parlamento italiano ha approvato una legge (nr. 40) che intendeva regolare i trattamenti di p. m. a. e che conteneva una serie di divieti che hanno suscitato un notevole malcontento tra le coppie sterili e in una parte consistente della classe medica. Queste proibizioni – delle quali è stata sottolineata, da molte parti, l’ispirazione ideologica, in quanto chiaramente ispirate alla morale cattolica – avevano lo scopo precipuo di proteggere l’embrione, considerato un essere umano e portatore degli stessi diritti dei genitori. Se ne vietava così ogni tipo di manipolazione e se ne limitava la produzione in vitro, obbligando il medico al trasferimento simultaneo di tutti quelli prodotti. I risultati dell’applicazione di queste norme sono stati di diminuire di circa 3 punti la percentuale di gravidanze (diminuzione importante, considerate le basse percentuali di successo della p. m. a.) e di far crescere significativamente le quote di gravidanze multiple (dall’1% al 3,6%) come conseguenza del trasferimento obbligatorio di tutti gli embrioni prodotti. Il divieto di donazioni di gameti (impropriamente definite eterologhe) ha poi determinato quello che è stato definito turismo riproduttivo, un esodo che ha convogliato verso centri stranieri migliaia di coppie italiane; l’esodo ha riguardato anche chi cercava centri migliori o era costretto da alcune specifiche proibizioni, come quella che esclude dai trattamenti donne sole, coppie omosessuali e coppie portatrici di malattie genetiche o infettive.
Dopo il fallimento del referendum abrogativo del 2005, le ulteriori iniziative per modificare almeno alcune delle norme della l. nr. 40 non hanno avuto successo; a demolirne gran parte della struttura ha provveduto la magistratura, attraverso numerose sentenze dei Tribunali ordinari, ma soprattutto con un importante intervento del TAR (Tribunale Amministrativo Regionale) del Lazio (ottobre 2007) e con tre decisive sentenze della Corte costituzionale (aprile 2009, aprile 2014 e giugno 2015). Il TAR ha annullato, per eccesso di potere, le disposizioni delle linee guida che limitavano le indagini sulla salute dell’embrione alla sola osservazione e ha sollevato una questione di legittimità costituzionale relativamente alle norme limitanti il numero di embrioni che si possono produrre per ogni ciclo, norme che escludevano la possibilità di crioconservarli e di distruggerli. La prima sentenza della Consulta ha modificato in modo radicale la legge, ricordando che la salute della donna deve essere il punto dirimente di ogni questione in materia e dichiarando illegittimi sia il divieto di produrre più di tre embrioni (rendendo così legale la loro crioconservazione) sia l’obbligo di trasferire contemporaneamente tutti gli embrioni prodotti. Negli anni successivi vari tribunali italiani hanno preso decisioni in favore delle coppie che chiedevano di poter eseguire indagini genetiche sugli embrioni, in un’occasione affermando anche il diritto delle coppie non sterili ad accedere alle tecniche. Di notevole interesse in questo campo è anche una sentenza (agosto 2012) della Corte europea per i diritti dell’uomo (CEDU), secondo la quale il divieto contenuto nella l. nr. 40 di eseguire indagini sull’embrione viola l’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che sancisce il rispetto della vita privata e familiare di ciascun cittadino; la sentenza afferma inoltre che nel sistema legislativo italiano esiste un difetto di coerenza riconoscibile nel divieto di ricercare una malattia genetica in un embrione e nella contemporanea autorizzazione ad abortire embrioni e feti affetti da quella stessa malattia genetica.
Recentemente (decisione del 9 aprile 2014) la Corte costituzionale ha accolto il ricorso relativo all’illegittimità della donazione di gameti. La sentenza, dopo aver rilevato che il divieto di p. m. a. eterologa incide su beni costituzionali estremamente rilevanti (come la libertà di autodeterminarsi) precisa come questo non sia «sufficiente a farlo ritenere illegittimo, occorrendo a questo scopo accertare se l’assolutezza che lo connota sia l’unico mezzo per garantire la tutela di altri valori costituzionali coinvolti dalla tecnica in esame». L’esito cui tale accertamento perviene comporta una grave censura di tale divieto assoluto che contrasta con fondamentali principi sanciti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, risultando inoltre affetto da un’insanabile irragionevolezza. Nello stesso documento la Consulta ha affermato che la p. m. a. di tipo eterologo mira a favorire la vita e le problematiche che pone sono riferibili soprattutto al tempo successivo alla nascita, dovendosi in sostanza escludere finalità illegittime o eugenetiche. Inoltre, la p. m. a. «coinvolge ‘plurime esigenze costituzionali’ (sentenza nr. 347 del 1998) e, conseguentemente, la l. nr. 40 del 2004 incide su una molteplicità di interessi di tale rango. Questi, nel loro complesso, richiedono ‘un bilanciamento tra di essi che assicuri un livello minimo di tutela legislativa’ a ognuno (sentenza nr. 45 del 2005), avendo, infatti, questa Corte già affermato che la stessa ‘tutela dell’embrione non è comunque assoluta, ma limitata dalla necessità di individuare un giusto bilanciamento con la tutela delle esigenze di procreazione’ (sentenza nr. 151 del 2009)».
Questa decisione della Consulta ha suscitato molte polemiche, la più importante delle quali riguarda la necessità di riaprire una discussione sulla l. nr. 40 in Parlamento, nonostante la stessa Corte costituzionale abbia più volte dichiarato che la sua pronuncia non apre un vuoto legislativo. L’intento dei parlamentari contrari alla donazione di gameti sembra soprattutto quello di eliminare il diritto al segreto dei donatori e delle coppie, presumibilmente per creare anche in Italia una situazione analoga a quella dei Paesi nei quali questa abolizione ha praticamente azzerato le donazioni. Al momento, in effetti, le molte incertezze che ancora gravano sulle donazioni hanno impedito un regolare decollo dei trattamenti. Da parte loro le persone favorevoli alla liberalizzazione dell’accesso alla p. m. a. ritengono utile (ma pericoloso) un ritorno alle Camere per modificare i punti della l. nr. 40 considerati ancora inaccettabili, come il divieto di accesso alle donne sole e la maternità surrogata.
Nel suo ultimo intervento (5 giugno 2015, sentenza nr. 96) la Corte costituzionale ha stabilito l’illegittimità degli artt. 1 (1° e 2° co.) e 4 (1° co.) della l. nr. 40 del 2004 nella parte in cui non consentono il ricorso alle tecniche di p. m. a. alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili, rispondenti ai criteri di gravità di cui alla l. nr. 194 del 1978 e accertate da apposite strutture pubbliche. In questo modo la demolizione della l. nr. 40 si può considerare totale e definitiva.
A portare opportuni (e saggi) cambiamenti a una legge effettivamente del tutto sbagliata sta quindi provvedendo, in Italia, la magistratura, ed è impressione generale che si tratti di un’operazione che si ispira quasi completamente al buonsenso. Questo intervento di progressiva demolizione di una normativa inutilmente crudele non accenna a terminare: recentemente (febbraio 2015) il tribunale di Bologna ha autorizzato una vedova a chiedere il trasferimento in utero di embrioni congelati per quasi 20 anni e prodotti prima del decesso del consorte, disubbidendo così a una norma della l. nr. 40 che prevede l’accesso alle tecniche solo alle coppie «di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi».
La discussione sulle tematiche etiche. – Il dibattito sui problemi morali proposti dalla p. m. a. si è notevolmente modificato in questi ultimi tempi. In effetti alcuni temi (come quello relativo alla dignità della procreazione) non sono più presenti, altri vengono discussi su differenti basi. Particolarmente interessante è la tracimazione degli interessi: i biologi affrontano molto spesso (e con risultati non proprio brillanti) i problemi filosofici e teologici e i teologi tendono (con risultati ancora peggiori) a discutere di biologia. Una discussione molto interessante si sta svolgendo intorno a una dichiarazione della CEDU (sentenza del 2011 sulla proibizione austriaca di eseguire donazioni di oociti) che afferma che su questi temi è necessario legiferare con grande prudenza, tenendo conto del fatto che il diritto è in costante evoluzione e che questo richiede un esame sistematico dei mutamenti della morale di senso comune, per adeguare a queste modificazioni le nuove normative. In altri termine la CEDU ha chiesto ai legislatori di riconoscere l’origine della regola etica nella morale collettiva e non nelle dottrine.
In ultima analisi, i nuovi problemi posti dalla fecondazione assistita possono richiedere a molti di noi un cambiamento delle opinioni ereditate dall’etica tradizionale. Sembra necessario riconoscere che una trasformazione così profonda come quella che si profila circa la funzione riproduttiva della famiglia può comportare una nuova etica, con parametri diversi da quelli tramandati dalla tradizione. D’altra parte, se è vero che la rivoluzione biomedica comporta fondamentali trasformazioni per l’umanità, allora è ragionevole pensare che la scienza stia aprendo una fase storica nuova e che gli antichi paradigmi debbano essere messi in discussione.
Bibliografia: Medicina della riproduzione umana, a cura di A. Borini, F.M. Ubaldi, Roma 2010; C. Flamigni, A. Borini, Fecondazione e(s)terologa, Roma 2012; E. Cittadini, L. Carrillo, La preservazione della fertilità. Concepire dopo la malattia, Roma 2014; C. Flamigni, M. Mori, La fecondazione assistita dopo dieci anni di legge 40. Meglio ricominciare da capo!, Torino 2014; In-fertilità umana. Principi e pratica, a cura di G.B. La Sala, G. Colpi, S. Palomba et al., Milano 2014; L’illegittimità costituzionale della ‘fecondazione eterologa’. Analisi critica e materiali, a cura di M. D’Amico, M.P. Costantini, Milano 2014.
Sitografia: I dati relativi alla p. m. a. sono reperibili, per l’Italia, nel Registro nazionale gestito dall’Istituto superiore di sanità(http://www.iss.it/rpma/); per l’Europa nel registro curato dall’ESHRE (http://www.eshre.eu/Data-collection-and-research/Consortia/EIM.aspx); per gli Stati Uniti nei registri curati dai Centers for disease control and prevention (www.cdc.gov/ART/ART2003/index.htm), realizzati in collaborazione con la Society for assisted reproductive technology e l’American Society for reproductive medicine.