Procreazione assistita
Un altro modo di procreare: la scienza può sostituirsi alla natura?
La prospettiva bioetica
di Francesco D'Agostino
21 giugno
Il Senato, dopo un acceso dibattito in aula, decide di sospendere sine die l'esame del disegno di legge sulla procreazione assistita, già approvato dalla Camera dei Deputati il 26 maggio 1999. Fra i punti maggiormente controversi il riferimento ai diritti del concepito, la fecondazione eterologa, cioè con donatore di gameti esterno alla coppia, l'ammissibilità alle pratiche di procreazione assistita delle coppie di fatto, la maternità surrogata. L'Italia resta così ancora priva di regolamentazione giuridica su un problema la cui portata è evidenziata dal moltiplicarsi nella cronaca quotidiana di notizie che scuotono e dividono l'opinione pubblica.
La terapia della sterilità
Chi pensa alla procreazione assistita pensa inevitabilmente, di primo acchito, a una nuova, straordinaria vittoria della medicina contro la sterilità, cioè contro quella che tra tutte le patologie ha posseduto, almeno nel passato, le più forti e conturbanti valenze simboliche. In tante diverse culture (o forse anche in tutte), in tante diverse epoche (o forse anche in tutte), la sterilità è stata ritenuta un depotenziamento della stessa soggettività dell'io, in particolare dell'io della donna, tale da renderla debole, sia sul piano della sua realizzazione personale sia sullo stesso piano istituzionale (si pensi, per fare un solo esempio ben noto, all'istituto del ripudio). Pur se maggiormente mascherata, anche l'infertilità maschile è stata analogamente stigmatizzata nella storia; se il fenomeno non ha portato alla cristallizzazione di quelle che vanno ritenute vere e proprie violenze istituzionali, come quelle sopportate dalle donne, esso va comunque visto alla radice non solo di innumerevoli situazioni di infelicità individuale, ma anche di tante alterazioni di status psicologici e sociali. Ne consegue quindi che le nuove possibilità della biomedicina di dare un figlio a persone e a coppie che fino a pochi decenni fa non avrebbero avuto nemmeno la possibilità di pensare a sé stessi come ad autentici genitori biologici, e non solamente sociali, come nel caso dell'adozione, hanno dischiuso nuovi orizzonti non solo alla pratica medica, ma anche allo stesso immaginario sociale.
Peraltro, si è subito cominciato a comprendere - almeno da parte degli spiriti più avvertiti - che è impossibile ricondurre le pratiche di procreazione assistita a pratiche esclusivamente medico-terapeutiche, per quanto straordinariamente innovative nelle metodiche utilizzate. Nella procreazione assistita è doveroso distinguere un livello 'basso' da un livello 'alto': se per il primo non è scorretto utilizzare il paradigma terapeutico di terapia contro la sterilità, per il secondo bisogna ricorrere a un paradigma completamente diverso. Nelle sue forme più complesse, peraltro quelle che, non a caso, maggiormente suscitano l'interesse dell'opinione pubblica, la procreazione assistita non è una terapia, ma - per riprendere un'espressione molto efficace - un altro modo di procreare. Un altro modo che mette in gioco non solo le persone, per così dire, 'interessate', ma in qualche misura la società tutta, sotto diversi profili, e quindi richiede se non una legittimazione almeno un riconoscimento da parte di una società, come quella in cui viviamo, che si rivela costantemente impreparata alle pretese che su di essa si condensano. Le polemiche che accompagnano la procreazione assistita - particolarmente vivaci in Italia, ma in realtà aspre e continuamente riaperte in tutte le parti del mondo, anche in quelle che hanno già da tempo regolato per legge la complessa materia - dimostrano come siamo giunti a toccare con questa pratica uno dei nodi profondi dell'identità umana, che non siamo ancora in grado di fronteggiare pienamente.
Manipolazioni tecnologiche e valori personali
Che cosa propriamente crea problema nella procreazione assistita? Non certo quello che ne è l'ovvio presupposto, e cioè il desiderio procreativo. È infatti evidente come il desiderio di una donna e di un uomo di diventare genitori sia sicuramente un valore che merita di essere tutelato nel modo più pieno. Ed è altrettanto evidente che qualsiasi pratica medica al riguardo dovrà garantire il rispetto di corretti protocolli medici e di un principio assolutamente condiviso da tutti, come quello della tutela della salute. Ciò che crea problema è l'irruzione della tecnica e quindi la pubblicizzazione di un ambito, come quello della generazione, pensato da sempre come strettamente e irriducibilmente privato.
Non è questo il luogo per ricostruire, nemmeno per brevi cenni, come sia emerso alla consapevolezza il carattere problematico della tecnica. Limitiamoci a osservare come i più lucidi interpreti della coscienza filosofica e sociale del Novecento, a partire da H. Bergson fino a M. Heidegger e a M. Horkheimer, hanno colto e interpretato secondo modalità tematiche diversificate, ma comunque convergenti nell'essenziale, questo tema: l'esplodere della tecnica, la trasformazione dell'Homo sapiens in Homo faber, costituiscono il segno di un'alterazione della stessa identità dell'uomo. Secondo questa linea interpretativa, che ha suscitato infiniti dibattiti e che in questa sede è possibile solo menzionare ma evidentemente non presentare in modo adeguato né meno che mai argomentare, la tecnica non costituisce soltanto uno strumento, ormai potentissimo, a disposizione dell'uomo per soddisfare i suoi interessi più o meno legittimi e destinato a conoscere sempre nuovi e ulteriori perfezionamenti, ma la strada per la completa cosificazione del mondo, che gli toglie ogni significato e lo desertifica come ambito vitale di accoglienza non solo per l'uomo, ma al limite per ogni vivente. Simbolo adeguato della tecnica - intesa secondo questa prospettiva - è il meccanismo, cioè un artefatto integralmente scomponibile e ricomponibile in tutte le sue parti costitutive, dotato di un valore non intrinseco, ma conseguente al valore del progetto in base al quale è costruito e alla minuziosità con cui il progetto stesso è realizzato. Come simbolo alternativo a quello del meccanismo può invece essere scelto quello dell'organismo, unità vivente non artefatta, non progettata, dotata quindi di un valore intrinseco, composta anch'essa di parti che però non tollerano di essere scomposte o ricomposte, pena la morte dell'organismo stesso. L'intera storia dell'uomo può essere, ed è stata, interpretata come caratterizzata, fino all'avvento della modernità, da un grande equilibrio dialettico tra principio meccanicistico e principio organicistico, suscettibile anche di conoscere caratteristiche inversioni prospettiche (per es., è ben possibile attribuire al meccanismo, entro una certa misura, un valore intrinseco o, per dir così, organico, ma con il rischio di cadere nel feticismo; ed è ben possibile considerare l'organismo, entro una certa misura, in una prospettiva meccanicistica: infatti, gran parte del progresso e della spersonalizzazione della medicina sono dipesi proprio da questo). La novità dell'epoca moderna - secondo la linea interpretativa che qui si sta presentando - starebbe nell'avere rinunciato a mantenere in equilibrio questa dialettica, nell'avere assolutizzato il principio meccanicistico e cercato ostinatamente di ridurre a esso ogni dimensione organicistica. Se le pratiche di procreazione assistita vengono comprese in questo nuovo orizzonte epistemologico dominato dal primato della tecnologia, acquistano immediatamente una nuova e specifica valenza bioetica. Appare infatti chiaro che esse si differenziano radicalmente da qualsiasi prassi terapeutica in senso stretto: non hanno alcun carattere propriamente curativo, dato che non ridonano ai corpi la loro fecondità naturale, ma operano attraverso una manipolazione tecnologica dei soggetti chiamati alla generazione. Le conseguenze di questo dato sono di estremo rilievo.
Nella procreazione assistita, la scissione della dimensione unitiva dalla dimensione procreativa (per utilizzare una formula spesso ripetuta, da molti criticata, ma anche il più delle volte fraintesa) crea problemi etici non in quanto corrisponde a una violazione di supreme leggi divine o di leggi naturali che presiedono alla procreazione, ma in quanto depersonalizza la generazione umana: da effetto di un incontro diretto e immediato tra due persone, questa diviene l'effetto di una raffinata procedura tecnologica, ammirevole scientificamente, ma esistenzialmente impersonale e per questo solo motivo eticamente problematica. Nella procreazione assistita, per quanto grande sia il desiderio psicologico di una coppia sterile di avere comunque un figlio, la depersonalizzazione della procedura impoverisce il significato stesso della generazione (come si rende evidente nella frequente richiesta della coppia di mantenere la massima privacy in ordine all'avvenuto ricorso alla procreazione assistita) e altera in modo significativo quella valenza personale dei ruoli generazionali, ai quali è affidata la costruzione della stessa identità personale profonda dell'uomo.
Tutti i problemi strettamente etici che fanno nascere le pratiche di procreazione assistita si radicano in questo che abbiamo appena messo in luce e non possono essere considerati indipendentemente da esso. È indubbio, per es., che il rapporto di coppia - e in particolare quello coniugale, nella sua dimensione specificamente etica e non solamente giuridica - può essere significativamente alterato dalle pratiche di procreazione assistita, ancorché omologa, cioè effettuata ricorrendo a gameti provenienti dagli stessi membri della coppia. Comunque infatti si voglia tematizzare quello specifico fenomeno che definiamo coppia, esso possiede una caratteristica valenza antropologica: nella coppia - e massimamente in quella coniugale - l'incontro dell'uomo e della donna non possiede soltanto carattere istintuale, ma mette in gioco specifici valori personali, cioè affettivi, psicologici, sociali e giuridici, che hanno un carattere propriamente umano; nella coppia si realizza sempre e comunque l'incontro di un 'io' con un 'tu'. La coppia non si crea nell'ordine dell'artificializzazione dell'esistenza, nell'ordine del tecnologico; essa anzi costituisce una delle più significative linee di resistenza alla artificializzazione del mondo. Inserire nell'ordine della vita della coppia la dimensione tecnologica della procreazione assistita implica alterare la sua relazionalità costitutiva personale; in questa prospettiva va rilevata come significativa la differenza che passa tra la scelta di ricorrere alla procreazione assistita e la scelta da parte della coppia di adottare un bambino: l'opzione adottiva ha sempre uno spiccato carattere personale, perché implica esclusivamente la messa in gioco dell'affettività e dell'accoglienza e non della tecnologia.
La procreazione eterologa
Per quanto rilevante possa essere sul piano etico la decisione di una coppia di ottenere un figlio tramite procreazione assistita omologa, molto più problematica, ovviamente, sembra essere la scelta di ricorrere a procreazione assistita eterologa, cioè a un donatore (più raro è il caso in cui si ricorre a una donatrice) di gameti.
L'inserimento all'interno della dinamica della coppia della figura del donatore non può che portare al limite il carattere di depersonalizzazione della procedura al quale si è già accennato. Depersonalizzazione che si rende evidente nell'irresolubile paradosso che inerisce alla procreazione assistita eterologa. Perché infatti una coppia richiede la procreazione assistita eterologa e non, per es., l'adozione di un minore? Evidentemente perché, da parte di almeno uno dei due membri della coppia, si ritiene un valore essenziale e irrinunciabile avere un vincolo genetico col figlio che verrà così dato alla luce. Ma con altrettanta evidenza si deve pensare che per l'altro membro della coppia questo valore sia inessenziale e rinunciabile, al punto da fargli acconsentire a essere surrogato da un donatore di gameti. È chiaro che in una simile situazione emerge una profonda diversità nell'ordine dei valori e delle intenzioni all'interno della coppia che, vanificando l'indispensabile simmetria tra i partner, ne rende problematica la valenza specificamente antropologica e fa sorgere gravissime questioni etiche sulla procedura di procreazione assistita nel suo complesso.
Un breve accenno meritano altresì i problemi che nascono quando si rifletta sulla figura del donatore. Sul piano strettamente etico, la scelta di donare gameti viene in genere giustificata sottolineandone la generosità e l'altruismo. Ma per operare una valutazione etica adeguata di questo gesto è pur necessario riflettere a fondo su ciò che viene donato: non una cosa, non semplice materiale biologico, ma cellule germinali, una parte essenziale, cioè, della propria identità, quella parte che verrà trasmessa al figlio chiamato alla vita tramite procreazione assistita e che attiverà inevitabilmente in lui - ne sia o no consapevole il donatore - legami psicologici col suo genitore genetico, così come non è da escludere che anche nel donatore possano attivarsi problemi psicologici in riferimento ai possibili figli nati grazie alla donazione dei suoi gameti. Simili problemi, per quanto possano apparire meno rilevanti di molti altri inerenti alla procreazione assistita, non possono essere in alcun modo banalizzati o rimossi.
Ancora maggiori sono le perplessità che sorgono quando spostiamo la nostra attenzione alla figura del bambino chiamato alla vita tramite procreazione assistita. Vengono qui in rilievo gli interessi, in senso lato, del nascituro: di un soggetto, cioè, terzo rispetto alla coppia che chiede di essere ammessa alle pratiche di procreazione assistita e meritevole di particolare tutela, anche sul piano giuridico-sociale.
Il primo degli specifici interessi che hanno una valenza etico-sociale (oltre a quelli inerenti alla salute, che però coincidono con quelli della coppia che vuol darlo alla luce e pertanto non possiedono una loro rigorosa specificità) è che non venga recata offesa all'identità del nascituro. In un essere umano, sotto la parola identità si cela un denso e complesso nucleo di significati; ai nostri fini può essere sufficiente rilevare come l'identità abbia una valenza specificamente familiare e si costruisca attraverso il rapporto costitutivo, positivo o negativo, che unisce ciascun essere umano ai propri genitori, siano essi noti o ignoti.
È evidente che sotto questo profilo il ricorso alla procreazione omologa non crea particolari problemi etici, dato che l'identità personale del nascituro è assolutamente certa, sotto ogni punto di vista. Nel caso della procreazione eterologa invece si verifica il fenomeno, ormai ben noto perché molte volte sottolineato nei suoi esiti più paradossali e più conturbanti, della moltiplicazione delle figure genitoriali. Anche senza prendere in esame i gravissimi problemi psicologici e sociologici che conseguono a questa situazione, non si può non osservare come nella procreazione eterologa il desiderio di genitorialità di una coppia venga a trovare soddisfazione attraverso una pratica che obiettivamente indebolisce l'identità personale del figlio destinato a nascere, creandogli - almeno potenzialmente - una molteplicità di referenti esistenziali diversi, se non conflittuali tra loro.
Il problema si accentua in modo particolare quando alla procreazione assistita chieda di essere ammessa una donna priva di partner: in questa ipotesi si toglie al nascituro quello che viene efficacemente chiamato il diritto a una doppia figura genitoriale. Diritto questo, si badi bene, che possiede una pluralità di valenze: da quella psicologica (dato che per un'equilibrata crescita è indispensabile possedere un doppio referente genitoriale) a quella sociale (in quanto le garanzie di assistenza che due genitori possono dare a un figlio sono evidentemente migliori di quella che può dare un genitore solo) e soprattutto a quella antropologico-esistenziale. Il figlio di donna sola, ottenuto tramite procreazione assistita, è costitutivamente diverso, in virtù della sua nascita e in forza della tecnologia, dai bambini nati 'naturalmente': il suo non aver padre non dipende, come per gli orfani, dalla natura o, come per i bambini abbandonati, dalla cattiva volontà di un soggetto reale che li abbandona: ipotesi ambedue tragiche, ma in qualche modo socialmente non prevenibili e comunque dotate di un loro intrinseco significato: quello della sventura, che incombe su ogni vivente esponendolo in ogni istante alla possibilità della morte, nel primo caso; quello dell'ingiustizia, dimensione propriamente umana, anche se deformata, nel secondo caso. Il non aver padre di chi nasce da procreazione assistita di donna sola dipende invece da un progetto individuale, che richiede per la sua realizzazione il convergere di forze e di intenzionalità sociali diverse: in breve da una procedura tecnologica, che toglie al nato ineluttabilmente una parte della propria identità. L'orfano può sempre costruire un proprio rapporto ideale col padre scomparso; il bambino abbandonato può sempre ipotizzare un possibile rapporto col padre che lo ha abbandonato. Al figlio della procreazione assistita di donna sola, invece, sono precluse di principio l'una e l'altra possibilità. La problematicità dal punto di vista etico della procedura è, sotto questo profilo, particolarmente evidente.
L'artificializzazione del nascere
Considerazioni più rapide è possibile fare per quel che concerne il problema dell'ammissibilità a pratiche di procreazione assistita di coppie omosessuali, di donne in menopausa o comunque per altre finalità non strettamente procreative. Si tratta di ipotesi statisticamente meno frequenti, ma non immeritevoli di attenzione sia per la loro rilevanza etica, sia per il turbamento che suscitano nella pubblica opinione.
Cominciando dal riflettere sulle pretese delle coppie omosessuali di essere ammesse alla procreazione assistita, è essenziale sottolineare come questa riflessione non debba prendere le mosse da una valutazione etica dell'omosessualità. Si deve però rimarcare come il desiderio di genitorialità di una coppia omosessuale possieda un evidente - ed estremamente problematico - carattere mimetico della coppia eterosessuale, che fa sorgere sotto questo esclusivo profilo gravi problemi etico-sociali. L'esperienza di coppia di tipo omosessuale implica infatti l'alterazione esistenziale di uno dei due partner, che assume la funzione del sesso mancante, non avendone però la sostanza psicosomatica. I partner si collocano pertanto nella difficile situazione dell''esser-come', facendo riferimento, per la soddisfazione del loro desiderio mimetico, a una raffinata procedura tecnologica, che comunque non potrà mai sottrarli all'ambiguità costitutiva del loro rapporto. Tutti i problemi etici sopra analizzati con riferimento alle coppie che chiedono di essere ammesse a procreazione assistita eterologa si ripresentano, in questa circostanza, veramente ingigantiti. Ma ancor più grave, da un punto di vista etico, appare la questione se tale mimesi possa operare positivamente nei confronti del figlio che verrebbe alla luce tramite procreazione assistita e del suo diritto ad acquistare un'identità non incrinata sotto alcun profilo. Queste considerazioni inducono a ritenere - se non altro per forti ragioni prudenziali - che non si possa attribuire valore al desiderio di coppie omosessuali, anche se in sé stesso meditato e generoso, di essere ammesse a pratiche di procreazione assistita.
Consideriamo ora il problema della procreazione assistita richiesta da una donna in menopausa. Uno degli argomenti più frequentemente, e più ragionevolmente, addotti da chi critica questa pratica è il grave dislivello di età che si viene a determinare tra la madre e il figlio, accompagnato da tutti gli immaginabili problemi psicologici e sociali che l'una e l'altro dovranno inevitabilmente prima o poi affrontare. Tanto potrebbe bastare per ritenere molto problematica, da un punto di vista psicosociale, questa possibilità. Ma è opportuno aggiungere che, anche nel caso in cui non si avesse una ragionevole certezza scientifica su possibili danni sociopsicologici a carico del nascituro, resterebbe pur sempre aperta la possibilità di valutare questo caso in chiave strettamente etica. Il vero problema etico che nasce in tale ipotesi non è collegato infatti alla pura, per quanto rilevantissima, questione anagrafica, ma alla riduzione tecnologica del significato della gestazione. La donna anziana vuole ostentatamente negare, tramite la procreazione assistita, non solo i limiti connessi alla propria età anagrafica, ma anche quelli generalmente connessi a ogni gestazione in generale: l'artificialità entra nella sua gravidanza non solo come momento di avvio di un processo 'naturale', ma come necessario e ineludibile momento di continuo supporto. Sotto questo profilo, la procreazione assistita a carico di donne in menopausa realizza nel modo più compiuto - e paradossalmente coerente - l'artificializzazione del nascere.
La ricaduta giuridica
Condividere le valutazioni e le preoccupazioni sopra esposte non implica in alcun modo il cristallizzarsi di un giudizio etico negativo di carattere individuale a carico di coloro che chiedono di utilizzare le pratiche di procreazione assistita. Il giudizio sulle azioni e sulle scelte dei singoli non possiede mai un carattere logico-deduttivo, ma è reso possibile solo a partire dalla precisa conoscenza di un contesto esistenziale, che è evidentemente preclusa a chiunque operi riflessioni generali e di principio, come quelle sopra sviluppate. Deve però restare fermo che la lettura etica dei fenomeni e delle azioni umane è sempre e comunque legittima (anzi, doverosa), indipendentemente dal rispetto (anch'esso assolutamente doveroso) da nutrire nei confronti dei singoli soggetti agenti. Il valore etico non si radica e non coincide con gli interessi, con i desideri o meno che mai con le pulsioni dei singoli, ma possiede una sua obiettività, che lo rende suscettibile di riflessione e di analisi. Del resto, se non si assumesse questo presupposto, lo stesso pensiero etico perderebbe ogni consistenza obiettiva e si ridurrebbe a una semplice registrazione di cronaca di opzioni morali soggettive, sprovviste - proprio perché soggettive - di ogni rigore teoretico.
Condividere le valutazioni e le preoccupazioni sopra esposte non implica nemmeno, in alcun modo, la pretesa che l'ordinamento giuridico debba intervenire con la propria forza sanzionatoria per proscrivere in generale gli interventi di procreazione assistita. È infatti evidente che la sola valutazione etica di un qualsiasi fenomeno non ci consente, in quanto tale, di qualificarlo in senso positivo o negativo sul piano giuridico. La dimensione sanzionatoria del diritto, così come del resto quella promozionale, non trova le sue radici e le sue ragioni nei giudizi di carattere strettamente morale: il giurista non è al servizio del moralista, così come il diritto non è al servizio della moralità. Al diritto non sta a cuore la difesa dell'etica in generale, ma esclusivamente la difesa dell'etica che gli è propria: quella della socialità della coesistenza che si realizza individuando e proponendo ragionevoli modelli di azione sociale e promuovendo la difesa di soggetti socialmente più deboli nei confronti di ogni eventuale e indebita azione lesiva che si possa porre in essere nei loro confronti da parte di soggetti socialmente più forti. Di conseguenza, ogni valutazione bioetica nel campo della procreazione assistita potrà avere una ricaduta giuridica solo quando siano percepibili dinamiche sociali rilevanti per il diritto, quando - in buona sostanza - il diritto avvertirà che vengono messi in gioco valori coesistenzialmente rilevanti. Anche se in generale valori di questo tipo possiedono una duplice rilevanza, etica e giuridica, potrà ben darsi che una pratica eticamente riprovevole possa essere considerata lecita dall'ordinamento giuridico. E potrà anche darsi il caso inverso: che una pratica che un soggetto sarebbe disposto ad attivare mosso da un generoso spirito altruistico (e quindi definibile soggettivamente come morale) possa venire ritenuta illecita giuridicamente, fino a essere specificamente sanzionata.
Prendiamo rapidamente in considerazione i valori sociali che il diritto non può fare a meno di tutelare e di promuovere, pena l'infedeltà ai propri principi costitutivi. Appartiene di certo a questa categoria il valore della salute: appare quindi opportuno giuridicamente, oltre che eticamente indispensabile, che tutte le pratiche di procreazione assistita siano poste in essere in modo tale da garantire nel modo ottimale tutti i soggetti coinvolti nel processo, ivi compresi i soggetti nascituri. In tal modo la difesa di questo valore acquista quasi la valenza di un presupposto logico di ogni conseguente processo.
È molto dubbio che valori coesistenzialmente rilevanti siano in gioco nel caso della procreazione assistita omologa: per quanto gravi possano essere le obiezioni etiche che è possibile muoverle, essa va con ogni probabilità ritenuta assolutamente lecita da un punto di vista giuridico. Maggiori invece sono i dubbi che possono nascere a carico della procreazione assistita eterologa, sia sotto il profilo della tutela dell'istituto della famiglia (uno di quei modelli di azione sociale che l'esperienza giuridica di ogni tempo ha sempre trattato con particolare rispetto), sia sotto il profilo della difesa dei preminenti interessi del nascituro. Il legislatore dovrà muoversi in materia con estrema prudenza. Ma non vi è dubbio che egli possa, con un'accorta politica legislativa, operare in modo da rendere irrilevanti o almeno minimizzare entrambi i rischi, per es. ammettendo alla procreazione assistita eterologa solo coppie coniugate e precludendo al membro della coppia che non sia genitore genetico del bambino e che abbia dato un consenso libero e informato alla procreazione assistita la possibilità di ogni futura azione di disconoscimento nei confronti del nato.
Da parte di molti si suggerisce di considerare le coppie stabili analoghe a quelle coniugate, ai fini della loro ammissibilità alla procreazione assistita omologa ed eterologa. Il problema è molto delicato, ma supera l'ambito della riflessione bioetica: esso mette in gioco - lo si voglia o no - non solo il problema della obiettiva giuridicizzazione dei matrimoni di fatto, che proprio attraverso l'ammissione di 'coppie stabili' a pratiche di procreazione assistita acquisterebbero nuovi profili istituzionali, ma ancor più il complesso problema dell'identità stessa della famiglia "come società naturale fondata sul matrimonio" (art. 29 della Costituzione italiana). La scelta di fronte alla quale verrà a trovarsi il legislatore implicherà conseguenze molto significative, anche al di là delle problematiche bioetiche strettamente intese, e questo dato va posto nel dovuto risalto.
Molto grandi sono infine le perplessità che sorgono per quel che attiene all'ammissibilità giuridica di coppie omosessuali, di donne sole e di donne in menopausa a pratiche di procreazione assistita. Si tratta certamente di ipotesi molto diverse, per quel che concerne una loro valutazione etica, ma che in prospettiva giuridica possono essere accomunate sotto un solo profilo, che è poi l'unico rilevante. In ognuno di questi casi si favorisce infatti la nascita di un bambino al di fuori di una famiglia e al limite contro di essa: il che appare assolutamente inaccettabile, non solo per essenziali ragioni etiche, psicologiche, sociologiche e più generalmente antropologiche, ma per un'esigenza minimale di coerenza giuridica, che ha poi in sé stessa una propria valenza etica. Come potrebbe infatti il legislatore in un ordinamento come il nostro, che come abbiamo appena ricordato parla della famiglia come di una società naturale, introdurre il riconoscimento di queste nuove e alternative forme di familiarità senza contraddire sé stesso? L'esigenza giuridica di garantire i preminenti interessi del nascituro si fa sotto questo profilo molto forte e sembra necessario auspicare una preclusione generale di queste possibilità.
La maternità surrogata
Un'ultima considerazione merita la problematica della cosiddetta 'maternità surrogata'. È un'ipotesi che andrebbe ulteriormente articolata e che concerne particolari casi di infertilità femminile. Generalmente viene riferita alle donne che non possono - per svariate ragioni - portare avanti una gravidanza e che, dopo aver fatto fecondare in vitro un proprio ovocita (o un ovocita ottenuto in donazione) con gameti del partner (o eventualmente di un donatore) fanno impiantare l'embrione nell'utero di una donna disposta - per lucro o per pura solidarietà - a portare avanti la gravidanza, a partorire il bambino e successivamente a consegnare il neonato alla donna, o alla coppia, committente. Il neonato sarà quindi figlio genetico della donna che avrà fornito l'ovocita, figlio sociale della donna che avrà promosso l'intera procedura e figlio uterino della donna che l'avrà partorito.
La surrogazione di utero sta conoscendo, soprattutto negli Stati Uniti, una certa, anche se limitata, diffusione; pressoché inesistenti sono i casi di surrogazione per puro spirito di solidarietà, dato che troppo lunghi, troppo onerosi e anche troppo 'a rischio' sono i nove mesi di gravidanza per non indurre la madre 'uterina' a chiedere alla madre committente un adeguato compenso alle sue prestazioni. Indipendentemente da questo profilo, resta comunque la questione della liceità della pratica, che molti vorrebbero riconoscere in nome del diritto fondamentale di una donna alla maternità (sia pur solo genetica) e in nome del diritto alla vita di tutti quegli embrioni in provetta, che in moltissimi casi soltanto grazie all'impianto in un utero in affitto potrebbero sperare di nascere.
Il primo argomento è debole; il diritto alla maternità è tale solo se realizzabile in via naturale; quando per realizzarsi richiede non solo l'intervento di una équipe medica, ma anche quello di un'altra donna, legata alla committente da vincoli contrattuali, esso si configura in modo molto diverso, alla stregua cioè di una pratica sociale di tipo interpersonale, non solo non riconducibile nel solenne novero dei diritti fondamentali, ma anche dalla legittimità ben dubbia; non diversamente si porrebbe il caso di un preteso diritto alla maternità da realizzare, per es., tramite una compravendita di embrioni, se non addirittura di neonati, da ritenere evidentemente illecita. La discussione si fa più delicata sul preteso diritto alla nascita dell'embrione procreato in provetta. Da parte di molti si è insistito sull'opportunità, in via del tutto eccezionale, di favorire l'impianto di embrioni soprannumerari (quelli 'avanzati' dalle pratiche di procreazione assistita) in uteri di donne disposte ad assumersi il carico della maternità esclusivamente in nome della difesa della vita. Il tentativo di introdurre nella legislazione italiana una simile norma è naufragato e ben difficilmente si pensa che potrà essere riproposto. Al di là degli eventi in definitiva occasionali che hanno sancito il tramonto di questa proposta, resta la sua difficile plausibilità: in quanto norma eccezionale, essa avrebbe dovuto servire a sradicare il fenomeno della produzione di embrioni soprannumerari, ma nella realtà lo avrebbe invece inevitabilmente incentivato; in quanto norma rivolta a donne 'di buona volontà', essa avrebbe probabilmente contribuito a banalizzare una pratica ad alto rischio simbolico, oltre che strettamente medico, delle cui possibili e pericolose ricadute nessuno ha ancora adeguata cognizione. La verità è che a un errore riconosciuto come tale, cioè la produzione di embrioni soprannumerari, non si ripara cercando di gestirne, con vari compromessi, gli effetti sociali, ma semplicemente proscrivendolo; inoltre, il prezzo di questa proscrizione, cioè l'impossibilità di far nascere tanti embrioni soprannumerari, va addebitato esclusivamente a coloro che li hanno procreati e poi congelati. Poche immagini come quelle delle cosiddette 'banche degli embrioni', in cui sono custodite tante vite 'sospese', sono in grado di farci riflettere su quella depersonalizzazione della tecnica che da questo discorso ha preso le mosse e sulla quale inevitabilmente esso deve tornare a curvarsi.
repertorio
Procreazione assistita e sterilità
Con la definizione di procreazione assistita, o procreazione medico-assistita (PMA), si intendono tutti quegli interventi che il medico mette in atto per consentire a una coppia con problemi di alterata fertilità di avere un figlio. Intendendo per patologica qualsiasi situazione che alteri lo stato fisiologico dell'individuo e che ne comprometta l'equilibrio psicofisico, si può riconoscere all'infertilità, in tutte le sue forme, il valore di entità patologica ben definita.
In Italia il 17-19% delle coppie vive il disagio di tale situazione o lo ha sperimentato in passato. Questa alta frequenza rende ragione della rilevanza medico-sociale del problema, che coinvolge un ampio settore della popolazione, soggetto, quindi, di diagnosi, trattamenti e assistenza. Il riconoscimento dell'infertilità quale patologia, ovvero condizione capace di alterare il benessere psicofisico dell'individuo, impone un'adeguata valutazione eziopatogenetica delle diverse forme di sterilità, nonché la conoscenza e un'attenta verifica dei protocolli terapeutici che possono essere adottati.
Per poter comprendere la finalità degli interventi di PMA, è opportuno definire l'infertilità come l'incapacità, una volta ottenuto il concepimento, di portare a termine la gravidanza protraendola fino alla sopravvivenza del feto (impotentia generandi) e la sterilità come la condizione in cui la coppia, pur avendo rapporti sessuali senza ricorrere ad alcun metodo contraccettivo, non abbia avuto gravidanze nell'arco di due anni. La sterilità può essere ulteriormente distinta in primitiva quando la donna non ha mai avuto gravidanze e secondaria nel caso in cui risulti impossibile ottenere ulteriori gravidanze. Le cause che determinano la sterilità di una coppia sono attribuibili pressoché in uguale misura al partner maschile e femminile; una piccola percentuale, corrispondente a circa il 15% dei casi, rimane di origine sconosciuta.
L'approccio alla correzione di tutte le condizioni capaci di alterare la fertilità umana prevede il ricorso a terapie farmacologiche e chirurgiche, a cui si affiancano oggi le tecniche di PMA. Queste tecniche non rimuovono l'ostacolo riproduttivo, ovvero non ripristinano una situazione fisiologica tale da consentire il concepimento spontaneo; in tale contesto non possono essere considerate a tutti gli effetti vere e proprie terapie. Il ricorso a queste procedure dovrebbe essere pertanto indicato soltanto in seguito a un'accurata valutazione clinico-anamnestica del paziente e quando sia stata del tutto esclusa ogni altra possibilità di intervento medico-chirurgico a efficacia nota.
Le informazioni disponibili relative ai rischi e ai benefici derivanti dall'applicazione sull'uomo delle nuove tecnologie riproduttive riguardano prevalentemente i risultati delle diverse tecniche di fecondazione utilizzate e la percentuale di gravidanze ottenute; sono invece ancora carenti i dati sulle condizioni dei nati da concepimento indotto nonché sui rischi che possono verificarsi per la donna, a breve e a lungo termine.
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Le tecniche di procreazione assistita
Gli interventi di PMA possono essere effettuati tramite procedure di semplice inseminazione, indicate come procedure in vivo, per le quali non è prevista alcuna forma di manipolazione dei gameti, o attraverso trattamenti più invasivi e complessi che richiedono il prelievo ovocitario e la fecondazione extracorporea, noti come trattamenti in vitro. La prima bambina nata da concepimento realizzato tramite fecondazione in vitro è stata Louise J. Brown, che fu fatta nascere nel 1978 all'Oldham General Hospital, Lancashire, dall'équipe del dott. Robert Edwards.
Un'ulteriore suddivisione riguarda le procedure omologhe ed eterologhe, nelle quali vengono impiegati rispettivamente gameti appartenenti alla coppia oppure estranei a essa.
Nelle forme di semplice inseminazione artificiale, il seme maschile viene introdotto nell'apparato genitale femminile con lo scopo di procurare o facilitare l'incontro degli spermatozoi con l'uovo e quindi la fecondazione. In questo caso, pertanto, il termine artificiale si riferisce esclusivamente ai mezzi adoperati per la raccolta e l'introduzione del seme nell'apparato genitale femminile, mentre il processo biologico della fecondazione, consistente nella combinazione dell'elemento maschile con quello femminile, con la conseguente formazione dell'individuo, resta totalmente naturale. Nella fecondazione in vitro (FIV) l'incontro tra lo spermatozoo e l'ovocita avviene fuori dal corpo umano. Nella tecnica più diffusa, la FIVET (Fertilization in vitro and embryo transfer), ottenuta la fecondazione extracorporea, gli embrioni vengono trasferiti nell'utero. Le fasi principali di un ciclo di FIVET possono essere schematicamente suddivise in: induzione farmacologica dell'ovulazione, recupero degli ovociti, inseminazione, fecondazione, coltura embrionaria e trasferimento degli embrioni. Soprattutto in caso di infertilità maschile, alla FIVET tradizionale si preferisce la tecnica denominata ICSI (Intra cytoplasmatic sperm injection), nella quale la fertilizzazione in vitro è ottenuta con l'iniezione di singoli spermatozoi direttamente nell'ovulo. Un'altra tecnica di PMA è il GIFT (Gametes intra fallopian transfer), che come la FIVET prevede la stimolazione ovarica e il prelievo di uova e sperma; la fecondazione avviene però nelle tube dove i gameti sono trasferiti mediante intervento chirurgico.
Infine la ZIFT (Zygote intra fallopian transfer) e la TET (Tubal embryo transfer) sono altre tecniche che si basano sul trasferimento intratubarico rispettivamente di zigoti o di pre-embrioni, dopo aver ottenuto la fecondazione in vitro dei gameti.
Connesse all'impiego di tutte le tecniche di PMA sono problematiche attualmente oggetto di discussione, per le quali si sta cercando di trovare un consenso che possa condurre a una regolamentazione atta a definire i limiti e le possibilità di applicazione di queste metodologie, tenendo conto della complessità di tali interventi in sintonia con il riconoscimento e il rispetto della salute sia della madre sia del bambino.
Il ruolo dei diversi fattori, quali l'indicazione al trattamento per i diversi tipi di patologia e l'influenza delle numerose variabili che interferiscono sui risultati dell'intervento, cioè sull'ottenimento della gravidanza e sull'evoluzione della stessa, potrebbe essere meglio valutato se venissero applicati protocolli standardizzati e linee guida e se i dati disponibili fossero numericamente ampi e omogenei, così da costituire un pool significativo da sottoporre a idonee indagini e analisi statistico-epidemiologiche. La necessità di conoscere, attraverso la disponibilità di dati scientificamente attendibili, sia il numero e il tipo di trattamenti effettuati, sia l'esito di ciascuno di essi deriva dalla consapevolezza che la PMA, al pari di qualsiasi atto medico, comporta rischi e complicazioni che possono riguardare diversi momenti del trattamento, come per es. la fase della stimolazione ovarica, l'anestesia, l'avvio e il decorso della gravidanza, e le condizioni di salute dei nati.
L'induzione dell'ovulazione si ottiene attraverso l'uso di farmaci che stimolano le ovaie a produrre diversi ovociti maturi invece di un singolo ovocita, come avviene normalmente nell'ovulazione fisiologica. La tendenza a far maturare più ovociti trova giustificazione, da parte degli specialisti del settore, nella maggiore probabilità di ottenere una gravidanza quando più di un ovocita viene fecondato e trasferito nell'utero a ogni ciclo di trattamento. Il tipo di farmaco e la durata della stimolazione dipendono dal protocollo ritenuto maggiormente efficace per quel programma e per quella paziente.
L'induzione farmacologica della crescita follicolare multipla, utilizzata al fine di ottenere migliori percentuali di gravidanze, può comportare alcuni effetti indesiderati a breve e a lungo termine; tra quelli a breve termine, in particolare, vi è la sindrome da iperstimolazione ovarica di origine iatrogena che può manifestarsi con sintomatologia clinica di diverso grado.
L'affinamento delle tecniche di prelievo ovocitario ha determinato un recupero di gameti femminili per ciclo di FIVET o di GIFT superiore a quanto necessario per terminare un ciclo di trattamento. L'impossibilità poi di definire correttamente la qualità degli ovociti fa sì che vengano fecondati tutti, il che porta alla produzione di embrioni in eccesso (i cosiddetti embrioni soprannumerari). Per assicurarne la sopravvivenza a beneficio della stessa coppia tali embrioni vengono conservati mediante congelamento.
Più recentemente è stata tentata anche la procedura di crioconservazione di ovociti non fecondati. Questa metodica, che potrebbe trovare maggiore consenso nell'opinione pubblica rispetto alla crioconservazione di embrioni, trova tuttavia difficoltà pratiche di applicazione, soprattutto in considerazione del grande rischio di alterazioni cromosomiche. Infatti, i possibili danni all'ovoplasma e la frequente presenza di polispermia e di embrioni poliploidi dopo l'inseminazione degli ovociti scongelati dimostrano come tale possibilità debba essere ancora considerata ad alto rischio per la terapia in campo umano. Se si riuscisse a risolvere queste difficoltà, l'impiego di questa tecnica potrebbe trovare particolare applicazione in situazioni specifiche, come per es. in pazienti ad alto rischio di perdere la funzione ovarica o, anche, in pazienti che debbano subire un'ablazione chirurgica delle gonadi.
Un ulteriore argomento di dibattito è offerto dal ricorso a gameti ricevuti in donazione. A tale riguardo è opportuno ricordare come il trattamento effettuato con ovociti ricevuti in donazione costituisca una concreta possibilità per le donne affette da patologie come la disgenesia ovarica, la menopausa precoce, la menopausa chirurgica o quella iatrogena, patologie che colpiscono l'8-10% delle donne sterili.
Le tecniche di PMA hanno portato a notevoli progressi anche nel campo della sterilità maschile, dove alcune condizioni, fino a poco tempo fa risolvibili soltanto con il ricorso a seme di donatore, possono attualmente essere affrontate ricorrendo a particolari tecnologie, come per es. l'ICSI. È da tener presente al riguardo che in letteratura esistono segnalazioni di possibile trasmissione di patologie alla prole nata da tali procedure.
Non possono essere inoltre trascurati i rischi anestesiologici e le complicanze legate all'elevata incidenza di gravidanze plurigemine nei concepimenti indotti. Le gravidanze multiple derivano dal fatto che, ignorando la qualità degli embrioni, ne vengono trasferiti molti nell'utero. È da ricordare come la frequenza naturale di gravidanze con tre o più feti, in Italia come negli altri paesi europei, è all'incirca dello 0,1‰; a partire dai primi anni Ottanta vi è stato un brusco incremento di queste gravidanze che in poco tempo si sono triplicate e il cui numero sembra essere in continuo aumento. Il fenomeno, osservato non solo in Italia, potrebbe ascriversi proprio alla diffusione delle pratiche di PMA.
I dati sulle condizioni di salute dei nati, provenienti principalmente da paesi in cui esiste una normativa e dove l'attività di sorveglianza è presente e costante da diverso tempo (Francia, Regno Unito, Svezia, Australia, Nuova Zelanda), sono ancora insufficienti per poter dedurre informazioni dettagliate. È comunque possibile affermare che la prematurità e il basso peso alla nascita rappresentano eventi frequenti nella PMA e costituiscono quindi importanti complicazioni per i rischi immediati e a lungo termine che comportano. La probabilità che si verifichino queste condizioni è superiore tra coloro che ricorrono alla PMA rispetto alla popolazione generale e questo aumento non è attribuibile esclusivamente alla elevata incidenza di (multi)gemellarità, perché anche tra i nati singoli prematurità e basso peso sono più frequenti che nella norma. Va inoltre segnalato che nei nati singoli da PMA la probabilità di nascere con un peso inferiore a 1500 g è tre volte più alta di quella della popolazione generale; ovviamente nei nati da gravidanza gemellare, soprattutto se i feti sono più di tre, la frequenza di peso inferiore a 1500 g aumenta considerevolmente.
L'elevata percentuale di nati pretermine e di peso basso o molto basso tra le nascite da procreazione assistita porta come conseguenza immediata un incremento, in questa categoria di popolazione, dei tassi di mortalità perinatale, neonatale e infantile. Nel registro britannico i dati sulla mortalità perinatale e quella infantile relativamente ai bimbi nati da PMA sono rispettivamente 2,8 e 2,5 volte maggiori di quelli osservati in tutta la popolazione.
Nei nati da PMA maggiori mortalità e morbilità perinatali sono solo in parte correlabili al parto plurimo e risultano infatti più elevate anche nei nati da parto singolo. I dati disponibili, seppure non del tutto tranquillizzanti, non consentono poi di valutare in maniera inequivocabile le problematiche pediatriche a medio e a lungo termine, soprattutto per quanto riguarda lo sviluppo neurologico e comportamentale. Per poter valutare almeno a breve e a medio termine (3-5 anni) questi e altri aspetti ancora non noti della PMA, dovrebbero essere raccomandate e potenziate tutte le strategie di intervento che consentano un monitoraggio continuo e costante di tutela e sorveglianza della salute, soprattutto in considerazione della rapida e continua evoluzione scientifica di tali tecnologie.
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Il Registro nazionale italiano della procreazione medico-assistita
La peculiare situazione del nostro paese, dovuta alla carenza di indicazioni e di normative specifiche, ha reso indispensabile l'attivazione di uno strumento finalizzato alla conoscenza e alla descrizione del fenomeno della PMA, in termini di tipologia e numero di strutture presenti sul territorio nazionale, numero di trattamenti effettuati e percentuali di successo per tecnica utilizzata. In particolare è stata l'esigenza di mantenere un controllo costante di quanto avviene in questo settore, attraverso la raccolta di informazioni e di dati omogenei, che ha creato i presupposti per avviare un'attività di coordinamento delle strutture pubbliche e private che, a livello nazionale, effettuano i diversi trattamenti di PMA. In tale contesto nel 1993 l'Istituto superiore di sanità ha attivato un'indagine conoscitiva nazionale al fine di valutare la frequenza delle diverse indicazioni per le quali le coppie ricorrono al trattamento, esaminare la diffusione e la percentuale di successo di ciascuna metodica impiegata, stimare gli esiti di tutti i cicli di trattamento e lo stato di salute delle donne e dei nati, consentire il confronto e la collaborazione con registri analoghi a livello internazionale.
L'indagine conoscitiva nazionale sull'attività di PMA è stata sospesa nel 1999, poiché la raccolta di dati, basata sul singolo ciclo, non permetteva di stimare alcuni parametri fondamentali per analisi epidemiologiche accurate: per es., la mancanza di un codice identificativo della donna o della coppia rendeva impossibile la costruzione di un denominatore di riferimento. In una c0ndizione di partecipazione volontaria si rischiava di non poter delineare la realtà della situazione. Tuttavia, in mancanza di una normativa che definisca il ruolo di un'attività di sorveglianza, come quella antecedentemente avviata dall'Istituto superiore di sanità, viene a mancare uno degli strumenti più importanti per la tutela della salute della donna, cioè la possibilità di effettuare il controllo di qualità delle informazioni pervenute.
Un'ordinanza del ministro della Sanità, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 7 marzo 1997 e successivamente prorogata pone il divieto di commercializzazione e di pubblicità di gameti e di embrioni umani. In base all'art. 3 di tale ordinanza, i centri pubblici e privati in cui si praticano tecniche di PMA devono comunicare al Ministero della Sanità (dipartimento della prevenzione), all'Istituto superiore di sanità (laboratorio di epidemiologia e biostatistica) e al competente assessorato regionale i dati relativi alla composizione dello staff clinico, la denominazione del centro o dell'istituto, il relativo indirizzo e il tipo di attività espletata.
Attualmente le informazioni relative ai centri presenti nel nostro paese sono in fase di elaborazione e di aggiornamento da parte dell'Istituto superiore di sanità; da un'analisi preliminare risulta che i centri pubblici e privati presenti nel territorio sono trecentosettantasette, con un incremento notevole rispetto all'ultimo censimento (marzo 1999). L'analisi finale non consentirà tuttavia di ottenere informazioni complete come quelle fornite per il periodo 1994-98 dalla sorveglianza del Registro nazionale italiano della procreazione medico-assistita, poiché si procederà all'elaborazione dei soli dati derivanti dall'ordinanza ministeriale. Pur riconoscendo i limiti di una sorveglianza basata sulla partecipazione volontaria e pertanto frammentaria e discontinua, si può ugualmente sostenere che uno strumento che consenta di delineare la situazione nazionale in tale settore, così come avviene in altri paesi, è sempre più urgente e indispensabile.
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I risultati dell'indagine epidemiologica
Le tabelle illustrano i risultati dell'analisi dei dati volontariamente inviati dai centri di PMA e pervenuti fino al 31 dicembre 1998 al laboratorio di epidemiologia e biostatistica dell'Istituto superiore di sanità. Si tratta di 14.786 schede relative ad altrettanti cicli di trattamento di PMA, con importanti informazioni sulle tecniche utilizzate, sulla distribuzione delle metodiche in vivo e in vitro per tipo di patologia accertata, sulle complicanze occorse durante l'intervento e su altri aspetti importanti. Il numero dei cicli effettuati non corrisponde al numero delle donne trattate, in quanto la stessa donna può essere stata sottoposta a più cicli con la stessa o con diverse procedure. È da notare inoltre che su novantasette centri che negli anni 1994-98 hanno inviato dati, soltanto due li hanno inviati per ognuno degli anni presi in esame e nel 1998 risultano pervenuti soltanto i dati di venticinque centri.
La tab. 1 mostra il numero di schede pervenute per anno e per regione di appartenenza del centro di trattamento; l'ultima colonna offre la distribuzione percentuale per regione delle schede pervenute. Marche, Valle d'Aosta e Basilicata non avevano mai inviato schede al momento dell'analisi. Si può notare una diversa partecipazione nel tempo all'indagine e una differente distribuzione delle strutture nelle varie regioni. Un fenomeno abbastanza frequente tra gli utenti è infatti la 'migrazione' da una regione all'altra, dovuta sia alla diversa disponibilità di metodiche offerta da ciascun centro, sia all'informazione, ottenuta da fonti non ufficiali, sulle percentuali di successo, ovvero di gravidanze.
Tabella 1
La tab. 2 fornisce indicazioni relative alle diverse procedure effettuate negli anni in osservazione; è importante notare l'incremento dei trattamenti di ICSI, metodo di elezione per i casi di infertilità maschile.
Tabella 2
La tab. 3 illustra la distribuzione delle tecniche in vitro e in vivo per tipo di patologia dichiarata in ciascuna scheda; erano stati praticati 10.085 cicli con tecniche in vitro e 4701 con tecniche in vivo, sostanzialmente tutte inseminazioni semplici. Tra i dati relativi alle patologie per cui le coppie ricorrono al trattamento, è interessante soffermarsi sul numero di cicli effettuati per patologia inspiegata, ricordando come il dibattito in corso sulla normativa proponga come criterio di accesso alla PMA l'accertamento di un'evidente condizione di incapacità a procreare, e soltanto qualora i metodi terapeutici non risultino idonei e non senza prima aver esperito tentativi meno invasivi.
Tabella 3
La tab. 4 offre il numero dei cicli iniziati, dei cicli completati e la percentuale di gravidanze ottenute per tipo di tecnica; su 14.786 cicli praticati, 1027 sono stati sospesi durante il trattamento. Le schede contenevano informazioni sulla gravidanza conseguenza del singolo ciclo, intesa come avvenuta fecondazione e quindi come esame gravidico positivo, e non come outcome finale.
Tabella 4
La tab. 5 mostra il numero di cicli in cui la procedura adottata, omologa o eterologa, è stata dichiarata per ogni ciclo.
Tabella 5
La tab. 6 illustra le risposte sul numero di anni di rapporti non protetti precedenti il trattamento di quel singolo ciclo; le risposte sono state raccolte su 13.416 schede. La stragrande maggioranza delle donne ha atteso da due a dieci anni prima di sottoporsi alla tecnica di PMA.
Tabella 6
La tab. 7 mostra l'occorrenza delle complicanze occorse durante il singolo ciclo di trattamento PMA e la tab. 8 ne specifica il tipo. Relativamente ai dati illustrati in queste due tabelle, è opportuno specificare come le informazioni relative alle complicanze siano risultate spesso carenti, o addirittura non segnalate; questo argomento richiederebbe invece un particolare monitoraggio volto a conoscere i rischi che la donna può correre in corso di trattamento, in qualsiasi fase del ciclo nonché durante la gravidanza stessa, e a informare la paziente al momento dell'accesso a tali procedure. Un consenso informato adeguato e accurato è essenziale affinché gli utenti possano realmente conoscere i rischi e i benefici derivanti da una gravidanza frutto di PMA.
Tabella 7
Tabella 8