PROCOPIO (Προκόπιος, Procopius)
Usurpatore contro Valentiniano e Valente nel 365-366 d. C. Nato a Corico in Cilicia nel 325 d. C., era parente di Basilina, cognata di Costantino il Grande e madre di Giuliano. Entrò nel collegio dei notarii e salì agli alti gradi, in grazia della sua parentela. Giuliano lo nominò comes e nella campagna persiana affidò il comando del corpo distaccato di 18.000 uomini a lui e a Sebastiano. Il compito loro assegnato, di grande importanza per la riuscita del piano di guerra, non fu assolto dai due generali, che erano anche in discordia. Gioviano, successore di Giuliano, allontanò dall'esercito P., incaricandolo di accompagnare le spoglie di Giuliano a Tarso e di curarne la sepoltura. Dopo, sentendosi minacciato nella vita, P. si tenne nascosto e sfuggì alle ricerche di Gioviano. Approfittò poi del malumore contro Valente e si fece conferire a Costantinopoli (28 settembre 365) quel potere imperiale che riteneva spettargli legittimamente. Riuscì dapprima a consolidare la sua posizione, trovando appoggio presso i giulianei e anche presso i costanziani; si procurò inoltre l'aiuto dei Goti. S'impossessò della diocesi di Tracia; Valentiniano per allora ordinò solo di sbarrare la frontiera dell'Illirico. Passato in Asia P. fece disertare l'avanguardia di Valente e s'impadronì delle provincie di Bitinia e di Ellesponto. Ma nel 366 la sorte piegò a favore di Valente, dalla cui parte era passato l'influente generale Flavio Arbizione. Prima defezionò da P. Gomoario, che comandava il corpo distaccato in Lidia, poi, presso Nacolea in Frigia, Agilone, che teneva il comando con lui del grosso dell'esercito. P. fuggì, ma due tribuni lo tradirono, consegnandolo a Valente, che lo fece subito decapitare (27 maggio 366).
Bibl.: O. Seeck, Geschichte des Untergangs der antiken Welt, 3ª ed., IV, V; E. Stein, Geschichte des spätromischen Reiches, I, Vienna 1928, pagine 261-262; 264, 270-271; A. Solari, in Historia, V (1931), pp. 383-87; id., in Byzantion, VII (1932), pp. 143-48; id., in Rivista di filologia, n. s., XI (1933), pp. 492-96; id., La crisi dell'imp. rom., I, Milano 1933, pp. 12-15, 23 e passim.