PROCESSO PENALE
(XXVIII, p. 282; App. III, II, p. 491; IV, III, p. 59)
Con l'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale del 1988, conclusasi la vacatio legis voluta dal legislatore sia per evitare le difficoltà e le incertezze che potevano derivare dalla sua immediata applicazione a un ordinamento giuridico assuefatto da lunghissimo tempo a un altro sistema processuale, sia per dotare gli uffici giudiziari di attrezzature e personale più adeguati alle nuove esigenze, si è iniziata una nuova fase nella storia del p. penale. Non più fondata prevalentemente sull'uso del rito inquisitorio, come al tempo della vigenza del codice Rocco del 1930, la giustizia penale ha recepito taluni dei criteri essenziali di quello accusatorio, pur discostandosene per vari aspetti, anche di considerevole importanza, riflettenti tuttora la presenza di elementi e di tratti derivanti dal sistema inquisitorio (v. codice: Codice di procedura penale, in questa Appendice).
In realtà rito accusatorio e rito inquisitorio, tra loro concettualmente alternativi e opposti per i principi sui quali si fondano e per le norme che li regolano, non hanno mai avuto nell'ordinamento italiano una completa applicazione. Se il primo, infatti, marcatamente garantista, tipico della giustizia anglosassone, e caratterizzato dall'assoluta parità nella posizione processuale dell'accusa e della difesa è stato recepito in linea di tendenza dal nuovo codice di procedura penale del 1988, quello inquisitorio, caratterizzante l'amministrazione della giustizia dell'Europa continentale e fondato su una spiccata asimmetria tra i poteri processuali della difesa e dell'accusa a vantaggio di quest'ultima, favorita nell'accertamento dei fatti portati in giudizio, non qualificava del tutto il sistema del codice del 1930; non a caso la cultura giuridica dell'epoca aveva definito la procedura penale italiana un "sistema misto", composto cioè da elementi tratti dai due riti, anche se in quantità naturalmente differenti per la prevalenza di quelli propri dell'inquisitorio. Assuefatto, comunque, a una lunga tradizione di applicazione più o meno vasta del rito inquisitorio nell'esercizio della giurisdizione penale e nel processo che la caratterizzava (seppure temperata da taluni accorgimenti normativi nei principi e nei metodi), l'ordinamento italiano non poteva accogliere sic et simpliciter le istanze favorevoli a una rapida e radicale riforma della materia con l'introduzione in toto del sistema accusatorio.
Del rito inquisitorio recepito nel codice del 1930 apparivano ormai obsolete, oltre che in evidente contrasto con i postulati e le normative costituzionali a base nettamente garantista, sia l'idea della segretezza connaturata alla fase istruttoria del procedimento dominata dalle figure del giudice istruttore e del pubblico ministero, con scarsa o quasi nulla presenza della difesa, sia l'immagine meramente formale di una fase dibattimentale, fondata prevalentemente sul mero riscontro delle prove acquisite in quella precedente e, quindi, del tutto inidonea a un'effettiva tutela dell'imputato la cui posizione nel giudizio risultava largamente svantaggiata. Di qui i motivi ispiratori della riforma, che si è tradotta con l'emanazione del codice del 1988, i cui obiettivi fondamentali dovevano essere: a) la semplificazione e celerità nello svolgimento del processo; b) l'attuazione totale dell'oralità e della pubblicità nel giudizio; c) la par condicio per l'accusa e la difesa in ogni fase del procedimento; d) la tutela della libertà del difensore; e) garanzie e diritti per l'imputato.
Da molte parti, all'indomani dell'entrata in vigore del nuovo codice sono stati avanzati dubbi sulla concreta possibilità di veder realizzati completamente questi obiettivi, oltre che sull'idoneità del nuovo rito processuale a risolvere i molti problemi dell'amministrazione della giustizia penale. Si tratta di dubbi che hanno in larga misura contribuito ad attenuare la natura accusatoria del procedimento, inducendo il legislatore, sin dalla fase di preparazione della nuova normativa, a qualche ripensamento sull'opportunità di un'integrale recezione del modello anglosassone, e portandolo, all'indomani della sua introduzione, a formulare qualche modifica ai suoi dettati.
Il conseguimento totale degli obiettivi connaturati al nuovo rito appariva piuttosto problematico: la celerità e la semplicità nello svolgimento del processo, da tutti auspicate, potevano, infatti, incontrare ostacoli talvolta nell'uso essenzialmente dilatorio delle garanzie e delle prerogative della difesa, talaltra nelle difficoltà di conduzione del rito da parte della persona o del collegio giudicante, la cui posizione super partes poteva non di rado ridursi inter partes a scapito del ruolo di guida loro conferito dal codice. Anche taluni caratteri del procedimento, che dovevano renderlo innovativo rispetto a quello precedente, sembravano destinati in realtà a perdere molta della loro auspicata incisività.
Nel nuovo testo, infatti, queste previsioni si sono in parte avverate. L'oralità, per es., viene pretermessa ogni volta che, oltre che alle prove raccolte nell'istruzione dibattimentale (nel contraddittorio cioè delle parti innanzi al giudice), si dà ingresso nel processo a prove precostituite (per es. le dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria o al pubblico ministero, senza contraddittorio, dai testimoni nel corso delle indagini preliminari o quelle rese da un imputato in un procedimento connesso). Inoltre l'auspicata pubblicità, intesa quale presenza del pubblico allo svolgimento dell'attività processuale e come controllo della collettività sull'amministrazione della giustizia, esclusa com'è dalle indagini preliminari, dall'udienza preliminare che si svolge al termine di quelle e, naturalmente, da tutti gli atti che si svolgono in camera di consiglio, si realizza soltanto nell'udienza dibattimentale. Anche la sottrazione al giudice di ogni potere d'iniziativa in materia di incriminazione penale e di ricerca delle prove, tipica del rito accusatorio, viene violata ogniqualvolta egli, sia di fronte alla richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero, sia in sede di udienza preliminare, sia in fase d'istruzione dibattimentale, può provocare la formulazione di un'imputazione, la ricerca di nuove prove o indicare le ulteriori indagini da svolgere. La dialettica paritaria tra accusa e difesa, che dovrebbe rendere il nuovo rito un processo di parti, infine, se appare pienamente realizzata nel dibattimento, è sminuita, a danno della difesa, nella fase preliminare per la somma dei poteri spettanti al pubblico ministero, anche se la legittimità degli atti dovrebbe essere garantita dalla presenza del cosiddetto Giudice delle Indagini Preliminari (GIP). Comunque va rilevato come espressione tipica di questa par condicio siano quei procedimenti che hanno per fondamento un accordo tra il pubblico ministero e l'imputato (come il giudizio abbreviato, la cui celebrazione può avvenire solo su consenso del primo alla richiesta del secondo) e il patteggiamento. Questo istituto porta all'applicazione di una pena concordata, a richiesta di una delle parti accolta dall'altra: mancando l'assenso del pubblico ministero alla pena richiesta dall'imputato, il giudice può prescindere comunque dal parere del primo, allorché ritenga ingiustificato il suo dissenso e congrua la pena richiesta dall'imputato.
Nel suo schema essenziale, secondo il nuovo codice, il procedimento resta fondato, come quello disciplinato dal testo del 1930, su tre gradi di giudizio: primo grado, appello e ricorso per cassazione, il secondo dei quali può essere pretermesso o perché alla sentenza si può immediatamente fare ricorso per cassazione, o perché la parte preferisce non avvalersene. All'interno dei singoli gradi di giudizio vi sono almeno due fasi: quella degli atti preliminari al dibattimento e quella dibattimentale. Tali fasi nel giudizio di primo grado sono estremamente ricche nelle loro articolazioni che dalle indagini preliminari, culminanti o con la richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero al giudice o con l'imputazione a carico dell'indagato che diventa così imputato, portano al giudizio dibattimentale. Questo, che s'inizia con l'istruzione dibattimentale fondata sull'esame incrociato delle parti e dei testimoni (cross examination del processo anglosassone) e sulla discussione in contraddittorio, termina con l'emanazione della sentenza. Esiste poi una serie di procedimenti speciali che accelerano e semplificano il processo. Oltre al giudizio abbreviato col patteggiamento della pena, che rende inutile l'udienza dibattimentale, il giudizio immediato e il giudizio direttissimo evitano l'udienza preliminare, mentre quello per decreto penale di condanna elude sia l'udienza preliminare che l'udienza dibattimentale.
Il giudizio di appello e quello per cassazione appaiono più semplici di quello di primo grado, risolvendosi di norma nella celebrazione di un'udienza dibattimentale pubblica o in camera di consiglio, non pubblica. In questi giudizi di secondo e di terzo grado, comunque, scarse appaiono le innovazioni formali dettate dal nuovo codice.
Tra i provvedimenti di maggiore interesse emanati dal governo dopo l'entrata in vigore del testo del 1988 vanno segnalati per la loro importanza i cosiddetti ''decreti anticriminalità'' che hanno ulteriormente sminuito il carattere accusatorio del procedimento. Il D.L. 13 maggio 1991 n. 152 (convertito nella l. 12 luglio 1991 n. 203) e il D.L. 9 settembre 1991 n. 292 (convertito nella l. 8 novembre 1991 n. 356), attuando taluni aggiustamenti della normativa appena introdotta, ne hanno ristretto la sfera d'applicazione, reintroducendo tra le misure cautelari persino l'ipotesi di ''cattura obbligatoria'', peraltro esclusa dall'art. 275 del codice. Ma soprattutto il D.L. 8 giugno 1992 n. 306 (convertito nella l. 7 agosto 1992 n. 356), unitamente alle sentenze della Corte costituzionale nn. 241, 254 e 255 del 3 giugno 1992, rendendo utilizzabili come prove nel corso del dibattimento anche dichiarazioni ed elementi resi da testi o da indagati alla polizia giudiziaria e al pubblico ministero durante le indagini, si è posto in assoluto contrasto con lo spirito del rito accusatorio ritornando invece alla tradizione inquisitoria che si voleva abbandonare. Fenomeno questo reso particolarmente evidente nei recenti processi sia contro la criminalità organizzata sia relativi a eventi delittuosi scaturiti dell'incontro tra politica e affari.
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